Tutti quei ragazzi (e quelle ragazze) - Intrecci 2/2
di
RunningRiot
genere
etero
La storia con Daniele si intreccia con quella con l’uomo sposato, anche se definirla “storia” è un parolone. L'ho conosciuto in un modo assurdo – uno scontro tra trolley correndo verso un treno in partenza a Termini, ma noi eravamo solo degli accompagnatori - e ancora più assurdo è stato incastrarmi con lui.
Quando mi ha invitata a bere qualcosa ho pensato che ci volesse provare. Logico, no? Voi che avreste pensato? La ragazza e il bavoso, e certo! Tuttavia l'aria del bavoso non ce l'aveva, al contrario, e soprattutto non sapeva minimamente che tipa avesse davanti, ovvero una che si diverte alle spalle degli altri, il mio solito gioco con quelli più grandi che faccio da quando sono adolescente.
Purtroppo quel giorno mi andava di divertirmi. Perciò, ben sapendo che di lì a poco avrei dovuto abbandonarlo al suo destino, ho accettato. E ho fatto pure l'oca, non senza una certa classe. Che nella fattispecie significava molta sobrietà, quasi pudore, nelle parole e allo stesso tempo ampio ricorso al linguaggio del corpo. Lo so controllare, è una cosa che ho affinato nel tempo: nessun contatto fisico, semmai solo visivo, per dargli l'impressione di un certo interesse e di voler cercare un collegamento; copiare qualche suo gesto, protendersi leggermente verso di lui mentre si parla. Cose così. Gli ho detto che dopo un quarto d'ora sarei dovuta andare via perché avevo un appuntamento con un ragazzo, sono rimasta con lui un'ora. Gli ho pure concesso di scambiarci i contatti sapendo bene che, al primo tentativo, lo avrei bloccato. Tutto secondo prassi. Poi ho deciso che mi ero divertita abbastanza e, ormai, anche abbastanza rotta il cazzo. Quando però mi sono alzata per salutarlo mi ha fulminata: "Pensi che scoperete?". Ho dissimulato molto bene, non perché fossi scandalizzata ma sorpresa sì, diciamo pure completamente spiazzata. Ho risposto con una risata quasi di scherno: "Forse, chi può dirlo?", solo perché non volevo mostrarmi debole.
Anche più sorpresa ci sono rimasta il giorno dopo, quando mi è arrivato un messaggio: “Allora, come è andata?”. Ok, lo avevo "provocato", ma non me lo aspettavo proprio. Ho fatto comunque la vaga, tipo rispondendo “bene” e basta. Lui no, ha chiesto proprio se con quel ragazzo (peraltro inesistente, me l’ero inventato lì per lì e poi ero andata a casa) ci avevo scopato. Dovevo ignorarlo e bloccarlo come da programma, ma che ne sapevo? Immaginavo di poter gestire tutto e divertirmi un altro po’. Gli ho risposto che scoparci no, non ne valeva la pena, ma che gli avevo fatto un pompino. E pensasse di me ciò che voleva. Credevo che gli sarebbe bastato per farsi una sega e arrivederci. Perché a quel punto sì, nonostante non si fosse presentato così al primo approccio il tipo me lo immaginavo come ve lo state immaginando voi.
E invece no, zero viscido. Ma proprio zero. Era quasi interamente interessato ai miei percorsi mentali e praticamente per nulla ai particolari. E a me, in tutta evidenza, andava di assecondarlo in quello. Non ricordo niente di quella prima chattata se non che: a) è durata tantissimo, praticamente tutto un pomeriggio, ma con molte pause visto che stava lavorando; b) mi aspettavo uno che volesse stare lì con il cazzo in mano a farsi dire COME avevo fatto un pompino e invece mi tirò fuori in modo per niente incalzante PERCHÉ avessi fatto un pompino a un tipo che non ne valeva la pena e che differenza ci fosse con lo scoparmelo (non è stato facile, essendo tutto inventato, ho dovuto fare ricorso a esperienze passate); c) mi sono sentita quasi sotto esame, non si accontentava di risposte superficiali e anzi mi ha tirato fuori con intelligenza cose cui non avevo mai pensato e considerazioni su me stessa che non avevo mai fatto, non in modo così approfondito, almeno. Non dico che sia stata una seduta di psicoterapia incentrata sul sesso ma quasi. Al termine della quale mi sono ritrovata inaspettatamente e clamorosamente bagnata in mezzo alle gambe.
Due o tre giorni dopo l'ho cercato io, è stato come se una mano invisibile scrivesse per me su WhatsApp che la sera sarei uscita e che desideravo due cose: restare sufficientemente lucida e trovare qualcuno che mi scopasse per bene e a lungo, non la tipica sveltina. Ero diretta a una festa dove ci sarebbero stati anche ragazzi e ragazze che conoscevo, avremmo fatto tardi. Avevo una reale e sanissima voglia di essere sbattuta con forza da uno con un bel cazzo, e magari anche sculacciata con passione, glielo scrissi mentre pensavo già al mio bersaglio: con uno dei ragazzi avevo già scopato un paio di mesi prima e sapeva il fatto suo.
Mi dispiace di avere gettato via tutti quei messaggi, che erano assolutamente espliciti ma non intimamente volgari, dicevamo semplicemente pane al pane. Tuttavia ricordo una sua definizione in cui mi sono ritrovata tantissimo e che ho fatto mia forever e anche usato spesso: "una cacciatrice che si finge preda". E ricordo anche una cosa che gli ho detto io, cioè che non c'era nessun motivo psicologico particolare, una volta tanto, avevo soltanto una enorme voglia fisica. Probabilmente ce l’avevo già prima che gli scrivessi, di certo quando l'ho salutato era cresciuta. A differenza di altre volte mi è rimasto in testa molto di quel venerdì sera e di quella scopata - purtroppo non del tutto aderente ai miei desiderata - e soprattutto che a un certo punto mi sono chiesta come l’avrei raccontato a Walter. Sì, questo era il nome di quell'uomo.
Così ho cominciato a fare ciò che non avrei mai pensato di fare e che, per il tempo che è durata, rientra tra le esperienze più strane ma anche gratificanti della mia vita: ho iniziato a usarlo per pre-eccitarmi. Lo so, sembra strano e molto probabilmente lo è, ma gli mandavo messaggi per parlargli delle mie intenzioni o annunciargli cosa avrei fatto quella sera. Mi sono sempre domandata se, quando chiudevo la chat bruscamente e spesso senza nemmeno salutarlo, lui rimanesse arrapato. Non l'ho mai saputo, non me l'ha mai detto, tranne una volta che mi ha scritto qualcosa come "beh, adesso me l'hai fatto diventare duro".
Tra le cose che ci dicevamo e ciò che succedeva o non succedeva realmente in seguito non c'era quasi mai una relazione diretta. Spesso gli chiedevo istruzioni, se non piccoli ordini, su come vestirmi, come comportarmi, addirittura sul tipo di ragazzi da cui lasciarmi avvicinare: “Andiamo in un locale dove c'è molta gente, e mi vestirò sicuro un po' da troietta... accetto suggerimenti”. Oppure: “Ho voglia di essere trattata in quel modo, soprattutto flirtando prima, e poi ovviamente a letto.... ho bisogno di un orgasmo!”. Gli scrivevo cose così, lui si sforzava di darmi consigli. Poi però il più delle volte facevo di testa mia, cambiavo programmi. Il mio divertimento non era eseguire le sue disposizioni, mi bastava solo immaginare di farlo mentre chattavamo. Era terribilmente eccitante e alla fine mi ritrovavo immancabilmente bagnata. Spesso lo supplicavo di scrivermi cose che, magari qualche ora più tardi, avrei supplicato a un altro di ringhiarmi addosso: "Ti prego, dimmi cosa sono, ne ho bisogno", "sei una zoccoletta affamata di cazzo". Era ogni volta un brivido, una pulsazione al basso ventre, ero arrivata alla assurda convinzione che nessuno mi capisse meglio di lui, nemmeno le mie migliori amiche.
Una volta siamo rimasti incastrati in una discussione quasi filologica perché gli avevo detto che mi faceva venire voglia di essere puttana, "non troia, eh? lo step successivo". "E che differenza c'è?". Chiaramente non sono riuscita a spiegarglielo compiutamente, non avevo molti argomenti, così come non sono mai riuscita a spiegargli bene perché mi piace essere insultata. Lui sapeva perfettamente che è una cosa che piace a molte, ma voleva che gli dicessi perché piace A ME, questa era la differenza. "Oddio, fammi bagnare, fammi sentire così, dimmi qualsiasi cosa ti passi per la testa". Walter mi accontentava con un mix di oscenità, classe, esperienza e curiosità che mi faceva perdere la testa. Gli confidavo desideri reali o anche solo fantasie per la serata, mi sentivo libera di parlargli del mio bisogno che avevo a volte di rimediare un coattone tatuato e senza senso, e di essere trattata non come la principessa intelligente e brillante che sono ma come una bitch qualsiasi, una cosa usa-e-getta. E in quelle circostanze sì, ero molto oscena: "Voglio essere inutile, voglio essere sub e voglio un cazzo grosso e pieno, di quelli che prima ti vengono in faccia, e poi ti fanno sbrodolare sperma lungo le cosce per ore". Una volta sola, la prima, mi ha chiesto "perché?", poi mi ha sempre domandato quali strategie intendessi adottare per soddisfarmi o me ne faceva balenare altre.
È stato addirittura lui a darmi un suggerimento per una variazione sul tema dei miei giochi di ruolo: "Non fingere solo di essere scema, fingi anche di essere straniera, così ti diverti a sentire che dicono". Spesso gli chiedevo di darmi disposizioni precise sull'outfit, e devo ammettere che non era stereotipato. Anzi, ero decisamente più io quella che forzava sul look da zoccola. Andavamo avanti con discussioni tipo "cazzo, tu mi devi obbligare a togliere le mutandine lo sai? E devi obbligarmi a soddisfarmi stasera nel modo che dici tu"; "Lo sai che è più eccitante se te le togli e le dai a qualcuno, no? magari bagnate"; "No, stasera voglio proprio uscire senza niente sotto e guardare la faccia di quello che se ne accorgerà"; "Basta che se ne accorga il tipo giusto"; "Come deve essere il tipo giusto?"; "Uno che devi supplicarlo di fare piano perché ogni colpo ti sfonda, di non tirarti i capelli così perché ti fa male, di non inondarti la fica di sperma perché non sei protetta, lui se ne frega e ti fotte senza pietà, solo per svuotarsi le palle"; "Così mi fai colare, ho bagnato i leggings". Magari non riporto fedelmente le nostre chat ma certe volte il tenore era questo.
Ripeto, non era importante che tutto ciò accadesse o meno davvero. A volte succedeva meno, a volte di più, a volte non succedeva proprio nulla. Una volta smesso di chattare con lui mi regolavo come cazzo pareva a me. L'importante era che mi riducessi in condizioni pietose già prima di uscire di casa, su quello Walter era praticamente infallibile. E del resto, quando uno o due giorni dopo gli raccontavo come era andata, mica mi rimproverava se non avevo seguito le sue direttive.
Una sera però gli ho mandato due o tre messaggi, diciamo così, interlocutori. Non volevo nulla di particolare, o magari volevo che mi fornisse uno spunto per masturbarmi la sera a letto, boh. Eravamo in mezzo alla settimana, forse era addirittura un lunedì. Ha risposto solo verso mezzanotte, scusandosi. Chiamatelo intuito, ma ho avvertito dietro quelle scuse la voglia di raccontarmi qualcosa. Non parlava mai molto di sé, la logorroica (grafomane) ero io. Sapevo però che aveva un'amante, una collega. Stando almeno a quello che mi aveva detto non era una storia particolarmente squallida: erano stati insieme prima di sposarsi entrambi e di fare figli, ma sia pure sottotraccia l'affetto e l'attrazione erano rimasti; poi, una volta tornati a lavorare fianco a fianco, anche la passione si era rinfocolata. Per cui, di tanto in tanto... Chiamava questa donna "la mia amica". Gli ho detto che non doveva scusarsi e che immaginavo avesse fatto tardi al lavoro, mi ha risposto che invece, dopo avere finito, era andato a bere qualcosa con la sua amica: "Mi ha fatto un pompino in macchina". SDENG. Se volete qualche particolare, eccolo: ho avvertito il crampetto e la schiusa; con una mano reggevo il telefono e con l'altra, quella che normalmente uso per darmi piacere, lo spazzolino da denti; per un attimo ho persino pensato di infilzarmi con il manico dello spazzolino. "Sono un po' sotto choc", gli ho scritto. "Perché?", "Forse perché ti immagino con il tuo cazzo nella bocca di un'altra madre di famiglia?", "Ti basta poco, cosa dovrei dire io?", "Cioè?", "A volte immagino il mio cazzo nella tua, di bocca". Eh sì, un altro SDENG, era la prima volta in assoluto che mi faceva una avance. A letto poi mi sono masturbata, ma sforzandomi di non pensare a lui.
Evitare di immaginare la sua figura non era difficile, in definitiva ci eravamo visti una volta sola, quando ci siamo conosciuti, e non mi era sembrato indimenticabile. Non ci siamo nemmeno mai sentiti al telefono, tranne anche in questo caso una volta. Era un periodo un po’ di down tra di noi, o almeno così pensavo, in realtà ci stavamo avviando verso lo stop alla nostra relazione ma non lo sapevo. L’ho chiamato, io perché mi andava di sentire la sua voce e le sue parole. Anche un po’ per farmi perdonare, perché su WhatsApp ero stata insistente ed egoriferita più del solito anche se avevo capito benissimo che era praticamente sommerso dal lavoro. E gliel’ho proprio detto che volevo farmi perdonare e donargli un po’ di benessere. Che lo avrei voluto rilassato, in un posto scelto da lui, a bere qualcosa o a guardare la televisione, a scorrere i social… mentre io ero tra le sue gambe a succhiarglielo fino alle tonsille. Beh, a fare sesso virtuale era proprio negato, ma io no. E di come gliel’avrei succhiato gliel’ho raccontato per filo e per segno, di come avrei lasciato a lui la scelta di dove venire, di come l’avrei ripulito e di come non me ne sarebbe fregato assolutamente nulla di salutarlo e andarmene con la faccia ancora lordata dal suo sperma. Subito dopo gli ho mandato la foto delle mie mutandine scostate e della mia pelle luccicante. Mi ha detto di scordarmi che mi avrebbe mandato una foto del suo cazzo, l'ho apprezzato ma in realtà non era quello che volevo. Gli ho domandato solo “hai sborrato?” e lui ha risposto sì. “Tanto?”, “Saresti stata fiera di me”.
Era una cosa, quest’ultima, che potevamo capire solo noi. Due o tre mesi prima gli avevo scritto una sera dalla Provenza, ancora su di giri per essermi fatta uno scozzese, un papà separato in vacanza con due bambine bellissime. Un uomo, insomma, non grande come lui ma certamente un adulto fatto e finito. Mi ero persino interrogata se la mia attrazione per questo Syd, fisicamente un po' "daddy", non fosse in qualche modo correlata a lui, a Walter, ma avevo concluso che non era così. "Ho una cosa da raccontarti", gli ho scritto. Lui era in macchina che tornava dal lavoro e mi ha risposto "racconta", ma a me andava di sentirgli crescere la curiosità nel cervello e nelle vene e, come facevo spesso con lui, l'ho presa molto alla larga. All'inizio era una vera palla, perché non rispondeva mai. Poi, forse perché era arrivato o forse aveva parcheggiato da qualche parte, la chat si è fatta più serrata e ho piazzato il colpo: "SARESTI STATO FIERO DI ME!", "Perché?", "Indovina". Poiché ovviamente andava alla cieca, dopo un po' gliel'ho rivelato: "Mi sono fatta inculare, gliel'ho proprio chiesto io". Lui aveva la fissa del sesso anale, me l'aveva detto sin dalle prime conversazioni, io gli avevo fatto capire subito che la pratica non era tra le mie priorità e nemmeno tra i miei piaceri (ok, in parte mentivo, ma solo in minima parte). Non aveva insistito sul tema, non lo faceva praticamente mai, ma qualche suo accenno qua e là mi aveva fatto capire che invece, da questo punto di vista, era un vero e proprio maiale, che praticamente già dalle prime volte aveva smesso di chiederlo e lo faceva e basta (questo me lo rendeva interessante, per vari motivi che sarebbe troppo lungo spiegare), che per lui sodomizzare una donna era il completamento quasi obbligato di una bella chiavata (questo per altri versi mi rendeva interessante la sua signora, che chiunque fosse doveva essere un bel tipetto, anche se non ho mai approfondito) e che per quella che era la sua esperienza solo a un paio di donne non era piaciuto per nulla. Questo invece me lo rendeva, almeno in parte, poco credibile, e comunque gli risposi che avrei potuto benissimo essere la terza. Tuttavia quella sera, in quella lunghissima chattata seduta sul bordo piscina di un hotel francese, gli raccontai di Syd. Contemporaneamente, scambiavo messaggi con la mia bff, ma ero molto più parca di dettagli. Per tutto il giorno ero stata impaziente di raccontarli a Walter, anche se non mi spiegavo il perché, non era certo per rendermi più interessante ai suoi occhi. Tra l'altro, mentre stavo lì, lo scozzese mi era passato proprio davanti al ritorno da una passeggiata con le figlie. Ci eravamo fatti giusto un cenno complice e, per qualche minuto, avevo abbandonato la chat per giochicchiare con le bambine. Ma a Walter tutto questo lo tradussi scrivendo qualcosa tipo "oddio, mi è passato davanti adesso e mi sono bagnata all'istante". Non era vero manco per niente, con lui a volte esageravo, anche se ciò che facevo più di frequente era "omettere" e "edulcorare". Mi domandò se mi fosse piaciuto e se mi avesse fatto male, risposi "non tanto" e che sì, mi era piaciuto. In realtà avevo anche pianto calde lacrime. Ma proprio come per la sottoscritta, anche per lui il lato mentale era più importante. Perciò, dopo avere negato di sapere cosa, se non l'eccitazione del momento, mi avesse spinta a chiedere di essere presa dietro (un ritegno curioso, da parte mia, visto che lo sapevo benissimo: un dito made in Scotland nel buchino mentre mi scopava), raccontai onestamente cosa mi avesse letteralmente portata sull’orlo della follia sessuale. "Cosa ha fatto quando gliel'hai chiesto?", "Mi ha detto di ripeterlo", "E poi?", "E poi ha detto 'che puttana' ed è entrato".
“Ha ragione lui, sei proprio una fantastica puttana”.
“In questo momento apprezzo più la puttana che il fantastica”.
(particolare peraltro stravero: quel "what a whore" è stata la causa di una delle sensazioni più allucinanti che abbia mai provato, sesso o non sesso).
Una parte dei nostri dialoghi, ve l'ho scritto, aveva lo scopo di pre-eccitarmi. L'altra parte del gioco comprendeva invece le mie confessioni post. Non inventavo nulla ma, appunto, omettevo o edulcoravo. Soprattutto le disavventure - perché in fondo temevo che mi annoiasse con le paternali o con gli avvertimenti a starci attenta con le sostanze - ma anche le delusioni. Se qualcuno mi pisciava, nel mio racconto ero io che "alla fine non avevo più tanta voglia", se qualcuno era stato un mezzo flop gli dicevo "certo, poteva impegnarsi un po' di più, però è andata bene". Ero convinta che mi credesse sempre ma, oggi come oggi, non ne sono tanto sicura.
L'unico su cui non ho mai fatto nemmeno mezza parola è stato Daniele. Quando è entrato nella mia vita con il suo carico di depressione tossica a Walter non ho detto nulla, avevo paura del suo giudizio su un tipo così, un bad boy solo e vulnerabile, pieno di cicatrici nell'anima e nel corpo. Mi dicevo che lo facevo per proteggere Daniele, perché mi sarebbe dispiaciuto sentir dire cose brutte su di lui. Walter in genere non mi giudicava, ok, ma quando giudicava altre cose sapeva essere tagliente e sprezzante.
Solo diverso tempo dopo, e non poteva essere altrimenti, ho capito che non era così: non gli ho parlato di Daniele - e ho fatto male - perché sentivo che mi avrebbe costretta a riflettere, a rallentare. E invece io correvo la mia folle corsa, vivevo senza pensare, mi facevo senza pensare, e scopavo senza pensare.
Dopo avere rotto con Daniele ruppi anche con lui, un po' di tempo dopo però. A prima vista le due cose non erano collegate, anzi sembravano proprio diametralmente opposte. Ma forse no. Forse - è una spiegazione possibile ma non ne sono certa - dopo avere deciso che non mi andava più di occuparmi di una persona mi ero detta che non mi andava nemmeno di avere qualcuno che si occupasse di me, sia pure in quel modo. Come se non volessi essere obbligata a essere razionale con nessuno. Io, che per altri versi sono sempre stata la razionalità impersonificata. Qualcuno potrebbe dire che la mia mente cominciava a scricchiolare e magari avrebbe ragione, conoscendo il seguito. Io mi dissi semplicemente che non me ne fregava più un cazzo.
L'occasione me la diede un suo messaggio che, confesso, aprii con fastidio. Era una specie di "che combini?" o qualcosa del genere. Gli risposi "Sai che sono passata vicino al tuo studio? per un attimo ho pure pensato di scriverti", "Potevi pure farlo, ero solo". Non so se fosse un'allusione, ma ho subito pensato a me che gli descrivevo come gli avrei fatto un pompino e alla sua idea di mettermelo in bocca. Era un mio pretesto? Direi proprio di sì, ma quello che conta è stata la mia replica: "Ci ho pensato sul serio. Poi però non era il caso dai, ammettiamolo". Ho atteso un po', ma non ha scritto nulla. Capitava eh? Che cazzo ne so, magari stava parlando al telefono con la moglie o per lavoro. Mi ha scritto un po' dopo, non saprei dire quanto. Ma non gli ho più risposto.
FINE
Quando mi ha invitata a bere qualcosa ho pensato che ci volesse provare. Logico, no? Voi che avreste pensato? La ragazza e il bavoso, e certo! Tuttavia l'aria del bavoso non ce l'aveva, al contrario, e soprattutto non sapeva minimamente che tipa avesse davanti, ovvero una che si diverte alle spalle degli altri, il mio solito gioco con quelli più grandi che faccio da quando sono adolescente.
Purtroppo quel giorno mi andava di divertirmi. Perciò, ben sapendo che di lì a poco avrei dovuto abbandonarlo al suo destino, ho accettato. E ho fatto pure l'oca, non senza una certa classe. Che nella fattispecie significava molta sobrietà, quasi pudore, nelle parole e allo stesso tempo ampio ricorso al linguaggio del corpo. Lo so controllare, è una cosa che ho affinato nel tempo: nessun contatto fisico, semmai solo visivo, per dargli l'impressione di un certo interesse e di voler cercare un collegamento; copiare qualche suo gesto, protendersi leggermente verso di lui mentre si parla. Cose così. Gli ho detto che dopo un quarto d'ora sarei dovuta andare via perché avevo un appuntamento con un ragazzo, sono rimasta con lui un'ora. Gli ho pure concesso di scambiarci i contatti sapendo bene che, al primo tentativo, lo avrei bloccato. Tutto secondo prassi. Poi ho deciso che mi ero divertita abbastanza e, ormai, anche abbastanza rotta il cazzo. Quando però mi sono alzata per salutarlo mi ha fulminata: "Pensi che scoperete?". Ho dissimulato molto bene, non perché fossi scandalizzata ma sorpresa sì, diciamo pure completamente spiazzata. Ho risposto con una risata quasi di scherno: "Forse, chi può dirlo?", solo perché non volevo mostrarmi debole.
Anche più sorpresa ci sono rimasta il giorno dopo, quando mi è arrivato un messaggio: “Allora, come è andata?”. Ok, lo avevo "provocato", ma non me lo aspettavo proprio. Ho fatto comunque la vaga, tipo rispondendo “bene” e basta. Lui no, ha chiesto proprio se con quel ragazzo (peraltro inesistente, me l’ero inventato lì per lì e poi ero andata a casa) ci avevo scopato. Dovevo ignorarlo e bloccarlo come da programma, ma che ne sapevo? Immaginavo di poter gestire tutto e divertirmi un altro po’. Gli ho risposto che scoparci no, non ne valeva la pena, ma che gli avevo fatto un pompino. E pensasse di me ciò che voleva. Credevo che gli sarebbe bastato per farsi una sega e arrivederci. Perché a quel punto sì, nonostante non si fosse presentato così al primo approccio il tipo me lo immaginavo come ve lo state immaginando voi.
E invece no, zero viscido. Ma proprio zero. Era quasi interamente interessato ai miei percorsi mentali e praticamente per nulla ai particolari. E a me, in tutta evidenza, andava di assecondarlo in quello. Non ricordo niente di quella prima chattata se non che: a) è durata tantissimo, praticamente tutto un pomeriggio, ma con molte pause visto che stava lavorando; b) mi aspettavo uno che volesse stare lì con il cazzo in mano a farsi dire COME avevo fatto un pompino e invece mi tirò fuori in modo per niente incalzante PERCHÉ avessi fatto un pompino a un tipo che non ne valeva la pena e che differenza ci fosse con lo scoparmelo (non è stato facile, essendo tutto inventato, ho dovuto fare ricorso a esperienze passate); c) mi sono sentita quasi sotto esame, non si accontentava di risposte superficiali e anzi mi ha tirato fuori con intelligenza cose cui non avevo mai pensato e considerazioni su me stessa che non avevo mai fatto, non in modo così approfondito, almeno. Non dico che sia stata una seduta di psicoterapia incentrata sul sesso ma quasi. Al termine della quale mi sono ritrovata inaspettatamente e clamorosamente bagnata in mezzo alle gambe.
Due o tre giorni dopo l'ho cercato io, è stato come se una mano invisibile scrivesse per me su WhatsApp che la sera sarei uscita e che desideravo due cose: restare sufficientemente lucida e trovare qualcuno che mi scopasse per bene e a lungo, non la tipica sveltina. Ero diretta a una festa dove ci sarebbero stati anche ragazzi e ragazze che conoscevo, avremmo fatto tardi. Avevo una reale e sanissima voglia di essere sbattuta con forza da uno con un bel cazzo, e magari anche sculacciata con passione, glielo scrissi mentre pensavo già al mio bersaglio: con uno dei ragazzi avevo già scopato un paio di mesi prima e sapeva il fatto suo.
Mi dispiace di avere gettato via tutti quei messaggi, che erano assolutamente espliciti ma non intimamente volgari, dicevamo semplicemente pane al pane. Tuttavia ricordo una sua definizione in cui mi sono ritrovata tantissimo e che ho fatto mia forever e anche usato spesso: "una cacciatrice che si finge preda". E ricordo anche una cosa che gli ho detto io, cioè che non c'era nessun motivo psicologico particolare, una volta tanto, avevo soltanto una enorme voglia fisica. Probabilmente ce l’avevo già prima che gli scrivessi, di certo quando l'ho salutato era cresciuta. A differenza di altre volte mi è rimasto in testa molto di quel venerdì sera e di quella scopata - purtroppo non del tutto aderente ai miei desiderata - e soprattutto che a un certo punto mi sono chiesta come l’avrei raccontato a Walter. Sì, questo era il nome di quell'uomo.
Così ho cominciato a fare ciò che non avrei mai pensato di fare e che, per il tempo che è durata, rientra tra le esperienze più strane ma anche gratificanti della mia vita: ho iniziato a usarlo per pre-eccitarmi. Lo so, sembra strano e molto probabilmente lo è, ma gli mandavo messaggi per parlargli delle mie intenzioni o annunciargli cosa avrei fatto quella sera. Mi sono sempre domandata se, quando chiudevo la chat bruscamente e spesso senza nemmeno salutarlo, lui rimanesse arrapato. Non l'ho mai saputo, non me l'ha mai detto, tranne una volta che mi ha scritto qualcosa come "beh, adesso me l'hai fatto diventare duro".
Tra le cose che ci dicevamo e ciò che succedeva o non succedeva realmente in seguito non c'era quasi mai una relazione diretta. Spesso gli chiedevo istruzioni, se non piccoli ordini, su come vestirmi, come comportarmi, addirittura sul tipo di ragazzi da cui lasciarmi avvicinare: “Andiamo in un locale dove c'è molta gente, e mi vestirò sicuro un po' da troietta... accetto suggerimenti”. Oppure: “Ho voglia di essere trattata in quel modo, soprattutto flirtando prima, e poi ovviamente a letto.... ho bisogno di un orgasmo!”. Gli scrivevo cose così, lui si sforzava di darmi consigli. Poi però il più delle volte facevo di testa mia, cambiavo programmi. Il mio divertimento non era eseguire le sue disposizioni, mi bastava solo immaginare di farlo mentre chattavamo. Era terribilmente eccitante e alla fine mi ritrovavo immancabilmente bagnata. Spesso lo supplicavo di scrivermi cose che, magari qualche ora più tardi, avrei supplicato a un altro di ringhiarmi addosso: "Ti prego, dimmi cosa sono, ne ho bisogno", "sei una zoccoletta affamata di cazzo". Era ogni volta un brivido, una pulsazione al basso ventre, ero arrivata alla assurda convinzione che nessuno mi capisse meglio di lui, nemmeno le mie migliori amiche.
Una volta siamo rimasti incastrati in una discussione quasi filologica perché gli avevo detto che mi faceva venire voglia di essere puttana, "non troia, eh? lo step successivo". "E che differenza c'è?". Chiaramente non sono riuscita a spiegarglielo compiutamente, non avevo molti argomenti, così come non sono mai riuscita a spiegargli bene perché mi piace essere insultata. Lui sapeva perfettamente che è una cosa che piace a molte, ma voleva che gli dicessi perché piace A ME, questa era la differenza. "Oddio, fammi bagnare, fammi sentire così, dimmi qualsiasi cosa ti passi per la testa". Walter mi accontentava con un mix di oscenità, classe, esperienza e curiosità che mi faceva perdere la testa. Gli confidavo desideri reali o anche solo fantasie per la serata, mi sentivo libera di parlargli del mio bisogno che avevo a volte di rimediare un coattone tatuato e senza senso, e di essere trattata non come la principessa intelligente e brillante che sono ma come una bitch qualsiasi, una cosa usa-e-getta. E in quelle circostanze sì, ero molto oscena: "Voglio essere inutile, voglio essere sub e voglio un cazzo grosso e pieno, di quelli che prima ti vengono in faccia, e poi ti fanno sbrodolare sperma lungo le cosce per ore". Una volta sola, la prima, mi ha chiesto "perché?", poi mi ha sempre domandato quali strategie intendessi adottare per soddisfarmi o me ne faceva balenare altre.
È stato addirittura lui a darmi un suggerimento per una variazione sul tema dei miei giochi di ruolo: "Non fingere solo di essere scema, fingi anche di essere straniera, così ti diverti a sentire che dicono". Spesso gli chiedevo di darmi disposizioni precise sull'outfit, e devo ammettere che non era stereotipato. Anzi, ero decisamente più io quella che forzava sul look da zoccola. Andavamo avanti con discussioni tipo "cazzo, tu mi devi obbligare a togliere le mutandine lo sai? E devi obbligarmi a soddisfarmi stasera nel modo che dici tu"; "Lo sai che è più eccitante se te le togli e le dai a qualcuno, no? magari bagnate"; "No, stasera voglio proprio uscire senza niente sotto e guardare la faccia di quello che se ne accorgerà"; "Basta che se ne accorga il tipo giusto"; "Come deve essere il tipo giusto?"; "Uno che devi supplicarlo di fare piano perché ogni colpo ti sfonda, di non tirarti i capelli così perché ti fa male, di non inondarti la fica di sperma perché non sei protetta, lui se ne frega e ti fotte senza pietà, solo per svuotarsi le palle"; "Così mi fai colare, ho bagnato i leggings". Magari non riporto fedelmente le nostre chat ma certe volte il tenore era questo.
Ripeto, non era importante che tutto ciò accadesse o meno davvero. A volte succedeva meno, a volte di più, a volte non succedeva proprio nulla. Una volta smesso di chattare con lui mi regolavo come cazzo pareva a me. L'importante era che mi riducessi in condizioni pietose già prima di uscire di casa, su quello Walter era praticamente infallibile. E del resto, quando uno o due giorni dopo gli raccontavo come era andata, mica mi rimproverava se non avevo seguito le sue direttive.
Una sera però gli ho mandato due o tre messaggi, diciamo così, interlocutori. Non volevo nulla di particolare, o magari volevo che mi fornisse uno spunto per masturbarmi la sera a letto, boh. Eravamo in mezzo alla settimana, forse era addirittura un lunedì. Ha risposto solo verso mezzanotte, scusandosi. Chiamatelo intuito, ma ho avvertito dietro quelle scuse la voglia di raccontarmi qualcosa. Non parlava mai molto di sé, la logorroica (grafomane) ero io. Sapevo però che aveva un'amante, una collega. Stando almeno a quello che mi aveva detto non era una storia particolarmente squallida: erano stati insieme prima di sposarsi entrambi e di fare figli, ma sia pure sottotraccia l'affetto e l'attrazione erano rimasti; poi, una volta tornati a lavorare fianco a fianco, anche la passione si era rinfocolata. Per cui, di tanto in tanto... Chiamava questa donna "la mia amica". Gli ho detto che non doveva scusarsi e che immaginavo avesse fatto tardi al lavoro, mi ha risposto che invece, dopo avere finito, era andato a bere qualcosa con la sua amica: "Mi ha fatto un pompino in macchina". SDENG. Se volete qualche particolare, eccolo: ho avvertito il crampetto e la schiusa; con una mano reggevo il telefono e con l'altra, quella che normalmente uso per darmi piacere, lo spazzolino da denti; per un attimo ho persino pensato di infilzarmi con il manico dello spazzolino. "Sono un po' sotto choc", gli ho scritto. "Perché?", "Forse perché ti immagino con il tuo cazzo nella bocca di un'altra madre di famiglia?", "Ti basta poco, cosa dovrei dire io?", "Cioè?", "A volte immagino il mio cazzo nella tua, di bocca". Eh sì, un altro SDENG, era la prima volta in assoluto che mi faceva una avance. A letto poi mi sono masturbata, ma sforzandomi di non pensare a lui.
Evitare di immaginare la sua figura non era difficile, in definitiva ci eravamo visti una volta sola, quando ci siamo conosciuti, e non mi era sembrato indimenticabile. Non ci siamo nemmeno mai sentiti al telefono, tranne anche in questo caso una volta. Era un periodo un po’ di down tra di noi, o almeno così pensavo, in realtà ci stavamo avviando verso lo stop alla nostra relazione ma non lo sapevo. L’ho chiamato, io perché mi andava di sentire la sua voce e le sue parole. Anche un po’ per farmi perdonare, perché su WhatsApp ero stata insistente ed egoriferita più del solito anche se avevo capito benissimo che era praticamente sommerso dal lavoro. E gliel’ho proprio detto che volevo farmi perdonare e donargli un po’ di benessere. Che lo avrei voluto rilassato, in un posto scelto da lui, a bere qualcosa o a guardare la televisione, a scorrere i social… mentre io ero tra le sue gambe a succhiarglielo fino alle tonsille. Beh, a fare sesso virtuale era proprio negato, ma io no. E di come gliel’avrei succhiato gliel’ho raccontato per filo e per segno, di come avrei lasciato a lui la scelta di dove venire, di come l’avrei ripulito e di come non me ne sarebbe fregato assolutamente nulla di salutarlo e andarmene con la faccia ancora lordata dal suo sperma. Subito dopo gli ho mandato la foto delle mie mutandine scostate e della mia pelle luccicante. Mi ha detto di scordarmi che mi avrebbe mandato una foto del suo cazzo, l'ho apprezzato ma in realtà non era quello che volevo. Gli ho domandato solo “hai sborrato?” e lui ha risposto sì. “Tanto?”, “Saresti stata fiera di me”.
Era una cosa, quest’ultima, che potevamo capire solo noi. Due o tre mesi prima gli avevo scritto una sera dalla Provenza, ancora su di giri per essermi fatta uno scozzese, un papà separato in vacanza con due bambine bellissime. Un uomo, insomma, non grande come lui ma certamente un adulto fatto e finito. Mi ero persino interrogata se la mia attrazione per questo Syd, fisicamente un po' "daddy", non fosse in qualche modo correlata a lui, a Walter, ma avevo concluso che non era così. "Ho una cosa da raccontarti", gli ho scritto. Lui era in macchina che tornava dal lavoro e mi ha risposto "racconta", ma a me andava di sentirgli crescere la curiosità nel cervello e nelle vene e, come facevo spesso con lui, l'ho presa molto alla larga. All'inizio era una vera palla, perché non rispondeva mai. Poi, forse perché era arrivato o forse aveva parcheggiato da qualche parte, la chat si è fatta più serrata e ho piazzato il colpo: "SARESTI STATO FIERO DI ME!", "Perché?", "Indovina". Poiché ovviamente andava alla cieca, dopo un po' gliel'ho rivelato: "Mi sono fatta inculare, gliel'ho proprio chiesto io". Lui aveva la fissa del sesso anale, me l'aveva detto sin dalle prime conversazioni, io gli avevo fatto capire subito che la pratica non era tra le mie priorità e nemmeno tra i miei piaceri (ok, in parte mentivo, ma solo in minima parte). Non aveva insistito sul tema, non lo faceva praticamente mai, ma qualche suo accenno qua e là mi aveva fatto capire che invece, da questo punto di vista, era un vero e proprio maiale, che praticamente già dalle prime volte aveva smesso di chiederlo e lo faceva e basta (questo me lo rendeva interessante, per vari motivi che sarebbe troppo lungo spiegare), che per lui sodomizzare una donna era il completamento quasi obbligato di una bella chiavata (questo per altri versi mi rendeva interessante la sua signora, che chiunque fosse doveva essere un bel tipetto, anche se non ho mai approfondito) e che per quella che era la sua esperienza solo a un paio di donne non era piaciuto per nulla. Questo invece me lo rendeva, almeno in parte, poco credibile, e comunque gli risposi che avrei potuto benissimo essere la terza. Tuttavia quella sera, in quella lunghissima chattata seduta sul bordo piscina di un hotel francese, gli raccontai di Syd. Contemporaneamente, scambiavo messaggi con la mia bff, ma ero molto più parca di dettagli. Per tutto il giorno ero stata impaziente di raccontarli a Walter, anche se non mi spiegavo il perché, non era certo per rendermi più interessante ai suoi occhi. Tra l'altro, mentre stavo lì, lo scozzese mi era passato proprio davanti al ritorno da una passeggiata con le figlie. Ci eravamo fatti giusto un cenno complice e, per qualche minuto, avevo abbandonato la chat per giochicchiare con le bambine. Ma a Walter tutto questo lo tradussi scrivendo qualcosa tipo "oddio, mi è passato davanti adesso e mi sono bagnata all'istante". Non era vero manco per niente, con lui a volte esageravo, anche se ciò che facevo più di frequente era "omettere" e "edulcorare". Mi domandò se mi fosse piaciuto e se mi avesse fatto male, risposi "non tanto" e che sì, mi era piaciuto. In realtà avevo anche pianto calde lacrime. Ma proprio come per la sottoscritta, anche per lui il lato mentale era più importante. Perciò, dopo avere negato di sapere cosa, se non l'eccitazione del momento, mi avesse spinta a chiedere di essere presa dietro (un ritegno curioso, da parte mia, visto che lo sapevo benissimo: un dito made in Scotland nel buchino mentre mi scopava), raccontai onestamente cosa mi avesse letteralmente portata sull’orlo della follia sessuale. "Cosa ha fatto quando gliel'hai chiesto?", "Mi ha detto di ripeterlo", "E poi?", "E poi ha detto 'che puttana' ed è entrato".
“Ha ragione lui, sei proprio una fantastica puttana”.
“In questo momento apprezzo più la puttana che il fantastica”.
(particolare peraltro stravero: quel "what a whore" è stata la causa di una delle sensazioni più allucinanti che abbia mai provato, sesso o non sesso).
Una parte dei nostri dialoghi, ve l'ho scritto, aveva lo scopo di pre-eccitarmi. L'altra parte del gioco comprendeva invece le mie confessioni post. Non inventavo nulla ma, appunto, omettevo o edulcoravo. Soprattutto le disavventure - perché in fondo temevo che mi annoiasse con le paternali o con gli avvertimenti a starci attenta con le sostanze - ma anche le delusioni. Se qualcuno mi pisciava, nel mio racconto ero io che "alla fine non avevo più tanta voglia", se qualcuno era stato un mezzo flop gli dicevo "certo, poteva impegnarsi un po' di più, però è andata bene". Ero convinta che mi credesse sempre ma, oggi come oggi, non ne sono tanto sicura.
L'unico su cui non ho mai fatto nemmeno mezza parola è stato Daniele. Quando è entrato nella mia vita con il suo carico di depressione tossica a Walter non ho detto nulla, avevo paura del suo giudizio su un tipo così, un bad boy solo e vulnerabile, pieno di cicatrici nell'anima e nel corpo. Mi dicevo che lo facevo per proteggere Daniele, perché mi sarebbe dispiaciuto sentir dire cose brutte su di lui. Walter in genere non mi giudicava, ok, ma quando giudicava altre cose sapeva essere tagliente e sprezzante.
Solo diverso tempo dopo, e non poteva essere altrimenti, ho capito che non era così: non gli ho parlato di Daniele - e ho fatto male - perché sentivo che mi avrebbe costretta a riflettere, a rallentare. E invece io correvo la mia folle corsa, vivevo senza pensare, mi facevo senza pensare, e scopavo senza pensare.
Dopo avere rotto con Daniele ruppi anche con lui, un po' di tempo dopo però. A prima vista le due cose non erano collegate, anzi sembravano proprio diametralmente opposte. Ma forse no. Forse - è una spiegazione possibile ma non ne sono certa - dopo avere deciso che non mi andava più di occuparmi di una persona mi ero detta che non mi andava nemmeno di avere qualcuno che si occupasse di me, sia pure in quel modo. Come se non volessi essere obbligata a essere razionale con nessuno. Io, che per altri versi sono sempre stata la razionalità impersonificata. Qualcuno potrebbe dire che la mia mente cominciava a scricchiolare e magari avrebbe ragione, conoscendo il seguito. Io mi dissi semplicemente che non me ne fregava più un cazzo.
L'occasione me la diede un suo messaggio che, confesso, aprii con fastidio. Era una specie di "che combini?" o qualcosa del genere. Gli risposi "Sai che sono passata vicino al tuo studio? per un attimo ho pure pensato di scriverti", "Potevi pure farlo, ero solo". Non so se fosse un'allusione, ma ho subito pensato a me che gli descrivevo come gli avrei fatto un pompino e alla sua idea di mettermelo in bocca. Era un mio pretesto? Direi proprio di sì, ma quello che conta è stata la mia replica: "Ci ho pensato sul serio. Poi però non era il caso dai, ammettiamolo". Ho atteso un po', ma non ha scritto nulla. Capitava eh? Che cazzo ne so, magari stava parlando al telefono con la moglie o per lavoro. Mi ha scritto un po' dopo, non saprei dire quanto. Ma non gli ho più risposto.
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