Tutti quei ragazzi (e quelle ragazze) - Shabby chic

di
genere
etero

Domandai "cioè?" come se non avessi capito. Lei era una cui piaceva dare buoni consigli non richiesti, mi ripetè di stare in guardia perché lo conosceva, era l'ex di una sua amica, ci provava con tutte e lo faceva così, era seriale. Le rivelai che era la seconda volta che lo vedevo e che più che scambiarci quattro chiacchiere seduta sul bracciolo di una poltrona non avevo fatto. La ragazza fece una smorfietta ironica e rispose "appunto, vedrai, è il suo modo di preparare il terreno". "Lo ha fatto anche con te?", chiesi quasi divertita. "Con me no perché, te l'ho detto, stava con la mia migliore amica; tra l'altro lui va in giro a dire di essere ancora innamorato, ma intanto...". "Mi stai dicendo che lo ha mollato lei?", "Sì".

"Bella scema", pensai della sua migliore amica.

Avevo mentito su tutta la linea, non era la seconda volta che vedevo Giovanni. Due giorni prima mi ero smessaggiata con lui, ne era seguita una lunga telefonata. Mi aveva proposto un cinema, curiosamente un primo spettacolo. Un film di un certo spessore, non Checco Zalone o Alessandro Siani, per capirci. Non era nemmeno chiaro cosa ci sarebbe stato dopo, era un ragazzo completamente diverso dagli altri, potrei dire "spirituale", o "intellettuale". Nonostante avesse appena un anno più di me sembrava provenire da un passato di cui avevo solo sentito parlare dai miei, tipo anni Settanta o Ottanta. Vestiva persino shabby chic o quasi, sciarpona e giacca di velluto pesante compresi, ma senza quella tipica leziosità. Lo avevo conosciuto al veglione di capodanno e ci avevo realmente fatto poche chiacchiere ma, come dire, molto intense. Nulla di speciale, però ci eravamo scambiati i contatti. Fu solo dopo la telefonata con cui mi invitava al cinema, e dopo quei cinque minuti passati a parlare prima che cominciasse il film, che dovetti ammettere con me stessa che si trattava di un tipo, a suo modo, terribilmente affascinante. Da un certo punto di vista pure troppo, perché pur essendo un bel manzo il suo aspetto fisico passava completamente in secondo piano. A parte la voce, devo dire, quella sì che avrebbe steso chiunque. Durante l'intervallo del film arrivò il solito "ti sta piacendo?", "sì, e a te?", "io è la seconda volta che lo vedo", "scusa? davvero?". Rispose che non solo gli piaceva il film, ma che era felice di farlo vedere a qualcuna che lo sapesse apprezzare. In sostanza, un complimento. Un po' intorcinato, è vero, ma pur sempre un complimento. Cosa potevo pensare di uno così? A parte il fatto che era uno che in un mese vedeva due volte lo stesso film, intendo dire. Ero lusingata, certo, ma... era sincero? Mi stava adulando? O ero davvero nella sua lista di persone-dotate-di-cervello? Non erano domande prive di senso: quando conosci un cretino che loda la tua intelligenza magari ti chiedi "dove ho sbagliato?", ma con lui era l'esatto contrario! Boh, contava poco, quello che contava era... boing, centrata in pieno!

Alla fine del film mi invitò a “vedere dove viveva”. Di lui sapevo ancora poco, era uno studente al terzo anno di filosofia e per mantenersi fuori di casa lavorava. Ok, avevo un amico fuorisede con cui scopavo (sempre meno) nel suo appartamento condiviso con altri studenti, ma per un romano come Giovanni la cosa era abbastanza insolita, in genere stavamo tutte e tutti a casa con mamma e papà. Gli domandai che lavoro fosse, mi rispose ridendo che il suo sogno era quello di fare il giornalista, ma che per il momento era arrivato alla tipografia. Mi piacque la sua ambizione ma soprattutto il suo understatement.

È chiaro, quando mi propose di andare a casa sua dapprima pensai “altro che spirituale, questo ha intenzioni molto più carnali”, ma subito dopo mi convinsi che non era così, qualcosa me lo diceva. E infatti non fu così. L’appartamento era minuscolo e noi ci stendemmo l’una affianco all’altro sul divano letto a bere birra e a chiacchierare, con in sottofondo una playlist del pleistocene che però, con lui, non stonava. Scoprii che era molto divertente, risi un sacco. Poi mi disse che era già in ritardo per il lavoro e… mi ritrovai fuori di casa, congedata. “Pronto? Stefy? Fate qualcosa stasera?”. Raccontai alla mia amica il mio insolito pomeriggio. Lei si ricordava solo vagamente di Giovanni, ma mi disse “la gente normale è così”, prendendo implicitamente per il culo il mio stile di vita. Le risposi ridendo che non mi aspettavo di incontrare uno fuori dalla norma, anche se in realtà Giovanni un po’ lo era.

- E se ci avesse provato? - domandò.
- Non lo so, non lo so proprio.

Era vero, non lo sapevo. Pur essendo rimasti un’ora appiccicati su quel divano non avevo sentito nessuna vibrazione di quel tipo, anche se ero stata benissimo. Oddio, è altrettanto vero che conoscendomi sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa... ma non accadde e perciò è inutile fare congetture.

Bastò tuttavia attendere poche ore, la mattina dopo, perché le sue intenzioni mi fossero più chiare. Mi invitò per un aperitivo e ci andai. Ero non solo incuriosita, ma ancora una volta lusingata di essere nel mirino di uno così e in qualche modo mi adeguai a lui. Il giorno prima non mi ero proprio posta il problema dell'outfit, ma stavolta lo feci ed evitai con cura quello da zoccolina con cui mi aveva conosciuta a Capodanno. Puntai su quello brava-ragazza-studentessa-modello: maglioncino, gonna lunga plissettata, stivali. Una certa aria raffinata da Roma Nord, baby. La sua tattica di corteggiamento era lunghissima, anzi il protocollo sembrava escludere accuratamente qualsiasi forma apparente di corteggiamento, a partire dai contenuti della conversazione. Ma la sua compagnia era così stimolante che me ne dimenticai persino. Finiti gli spritz, due a testa e offerti da lui, mi chiese cosa mi andava di fare, risposi che avremmo potuto andare a mangiarci un hamburger. Persino al Mac, aggiunsi, anche se non mi sembrava il tipo. E infatti: "Piuttosto che farti mangiare quella robaccia ti cucino io qualcosa, sono pure abbastanza bravo". Ding! Alarm signal.

Per un attimo mi soffermai sulla scelta delle parole: "robaccia" anziché "merda", definizione che io stessa avrei usato in contesti anche più formali. In effetti non gli avevo mai sentito usare espressioni volgari. Ma il punto non era quello, naturalmente. Il punto era che, per la seconda sera di seguito, mi invitava a casa sua. E che stavolta non ci sarebbe stato nessun impegno di mezzo: aveva lavorato durante il periodo di Natale e della fine dell'anno, si era preso qualche giorno di ferie.

- Mi stai rimorchiando? - domandai un po' per scherzo e un po' no, ma comunque d'impulso. Era una forma di difesa ma allo stesso tempo, visto il precedente del giorno prima, ero in un certo senso curiosa di mettere le cose in chiaro.

La sua risposta fu fulminea, mi afferrò la testa e mi baciò a lungo. Spazzolò con la lingua tutte le briciole delle patatine che mi erano rimaste tra i denti, si staccò risucchiando il mio labbro. Disse qualcosa sulla mia bellezza, anche se in quel momento dovevo sembrare molto più simile a un baccalà. Non me lo aspettavo proprio. Cioè, me lo aspettavo ma non così e non lì dentro. Pur senza essere stati scandalosi avevamo dato spettacolo e agli astanti doveva anche essere abbastanza chiaro che si era trattato di un "primo bacio". Quando andammo a pagare, la ragazza alla cassa mi fece pure l'occhiolino.

Mentre viaggiavamo verso casa sua, un paio di fermate di bus, ci allacciammo, abbracciammo e sbaciucchiammo in modo molto più discreto. Non sapevo cosa pensasse lui, ma io già mi ponevo domande sul programma della serata: avremmo mangiato prima o dopo? Considerato il tipo, immaginai una lunga serie di baci sul suo divano letto, che poi sarebbero scivolati in una pomiciata, che si sarebbe evoluta in un pompino da farlo impazzire (ne avevo molta voglia, non tanto di farlo a lui ma in generale), che infine si sarebbe trasformato in una scopata (avevo voglia anche di quella, ma meno). Sentivo di essere io ad avere saldamente in mano la road map, mi sbagliavo. Appena dentro casa non ci fu nessun assalto selvaggio, né da parte sua né da parte mia. Anzi, mi mostrò il suo nido con più particolari del giorno prima e mi raccontò di come l'aveva messo su, mi offrì da bere. Mi dissi "boh, mi sa che prima si mangia", ero allo stesso tempo rilassata e sulle spine. Giovanni mise addirittura sul fuoco l'acqua per la pasta e poi, in piedi davanti a me con la sua Coca in mano, disse d'un tratto con la sua voce calda e profonda: "Voglio vederti nuda". Boing, centrata ancora una volta e completamente a sorpresa. Con delle conseguenze sul mio fisico che, sia pure ancora nascoste a lui, mi furono immediatamente chiare. Quelle parole così esplicite erano state una frustata, una penetrazione nel cervello che si trasmise subito ai capezzoli e al ventre, facendomi montare dentro la voglia di ubbidirgli su una svariata serie di cose, non solo su quella. Tra l'altro, l'aveva detto senza alcuna sicumera, è vero, ma aveva pur sempre detto "voglio" e non "vorrei" oppure "mi piacerebbe". Sapevo quale sarebbe stato l'epilogo del nostro incontro e ci contavo pure, ma non credevo che ci saremmo arrivati così, ero completamente imbambolata.

Mi spogliai sotto il suo sguardo cercando di non mostrare la mia agitazione e di non sembrare troppo goffa. Che fossi sexy ne dubito, perché non ho mai saputo farlo in modo sexy. Dopo gli stivali mi sfilai i collant restando in mutandine e reggiseno, un intimo nemmeno troppo ricercato. Ci guardammo, lui precisò con un sorrisino "tutto" e io, sganciandomi il bra, capii che come ogni volta che mi era capitato di rimanere completamente nuda davanti a un maschio vestito avrei ben presto cominciato letteralmente a colare. Restai così per un po' davanti a lui, preda dei crampetti al ventre e delle mie insicurezze: troppo magra, troppo alta, tette troppo piccole. Mi guardava e io non sapevo cosa cazzo pensasse. Secondo le mie precedenti esperienze - ancora non moltissime, ma qualche serata da troia sballata già ce l'avevo al mio attivo - a quel punto avrei già dovuto essere stata travolta. I tempi del sesso occasionale sono molto più famelici e, soprattutto, rapidi. Bruciano come benzina, si nutrono di voglia esasperata, di volgarità esplicita e, in fin dei conti, consenziente. Vai fuori di testa per un dito dentro, per un "succhiami il cazzo, cagna", per il rumore della bustina del preservativo strappata. Con Giovanni niente di tutto questo, naturalmente: mi ero completamente spogliata di fronte a lui ma tutto sembrava ancora sospeso per aria.

Aprì il divano letto, con calma. Tirò fuori un piumone senza copripiumone e lo stese. Vedendo che iniziavo ad avere freddo mi disse di infilarmi sotto. Lo feci, mi coprii interamente come se mi vergognassi mentre in realtà ero in una specie di trance. Solo a quel punto si spogliò anche lui, sedendosi sul letto e dandomi le spalle. Non certo per pudore, sembrava una cosa a metà tra una specie di rituale e un manuale di autostima maschile applicato. Notai dei boxer bianchi, ma poiché si infilò sotto il piumone del suo corpo nudo vidi solo la schiena, una parte del petto e il viso. A due centimetri dal mio sembrava anche più bello di quanto non fosse già. Mi salì addosso e sentii quasi subito il suo LUI già pronto che mi cercava, aprii le gambe per essere trovata. E presa.

Quando il giorno dopo l'amica della sua ex mi disse che era stata lei a lasciarlo pensai impulsivamente “bella scema”, ve l'ho scritto all'inizio. Lo so, fu un pensiero stupido e volgare perché le relazioni non si basano su questo. Ma da ventiquattr’ore non riuscivo a impedirmi di rivivere quel momento e ripetere a me stessa “mio Dio”. Cosa posso dire? Mi scopò senza furia, sempre allo stesso ritmo più o meno, e anche senza molta fantasia, sempre faccia a faccia io sotto e lui sopra. Mi scopò con una dotazione buona ma assolutamente nella norma. E quindi? Beh, quindi mi scopò per un tempo in-fi-ni-to. Certe volte quando è troppo è troppo, hai bisogno di fermarti almeno per un po', provi pure fastidio e ti verrebbe da dire "senti, non è che è un parcheggio per cazzi, basta anche meno". Giovanni mi fece oltrepassare persino quella soglia, imperterrito. Più che strabiliata ero sconvolta. Non avevo avuto percezione del tempo, ma se qualcuno mi avesse detto che ero rimasta un'ora sotto di lui, pur essendo ovviamente inverosimile, ci avrei creduto. Mi faceva male tutto, non solo lì, avevo i crampi alle gambe per averle tenute aperte tutto quel tempo e dolore alla schiena per avere sopportato il suo peso contorcendomi come non credevo di essere capace. Ero soprattutto esausta, avevo avuto tanti di quegli orgasmi da sentirmi svuotata. Quegli orgasmi che io chiamo "a bassa intensità" e che accompagnavo con brividi che mi scuotevano, tranne uno - che non era stato né il primo né l'ultimo - durante il quale aveva dovuto tapparmi la bocca per evitare che mi sentissero in Svizzera. Me lo fece notare mentre mangiavamo i suoi - ottimi, è vero - spaghetti al sugo di vongole, io avvolta nel piumone e lui ancora completamente nudo. Non so come facesse, l'appartamentino non era così caldo. Quasi mi vergognai e gli chiesi scusa, ma lui mi fermò: "No, è stato bellissimo, davvero bellissimo". Pensai anche che avermi fatta strillare in quel modo lo rendesse orgoglioso della sua performance, temetti che volesse ricominciare, sinceramente non ce l'avrei fatta. Ma per quella sera evidentemente bastava a tutti e due. Solo una volta tornata a casa feci caso al fatto che mi aveva scopata senza preservativo e mi aveva inseminata senza nemmeno chiedermelo. Non mi sembrava un tipo "pericoloso" e io sono sempre stata protetta, però... cazzo, dovrei starci più attenta, mi dissi.

La sera seguente, dall'amica della sua ex fidanzata, seppi anche di essere stata la causa involontaria di una ennesima lite. A Capodanno l'aveva visto chiacchierare con me e scambiarci i contatti e si era infuriata. Stavolta fui sincera e, credo, completamente credibile: avevo la coscienza a posto e anche lui. Durante il veglione ero stata persino morigerata, almeno fino a un certo punto. E la sera in cui ebbi questa piccola conversazione con quella ragazza ero stata ancora più irreprensibile: con Giovanni avevo scambiato giusto quattro chiacchiere, e in pubblico, come se dopo Capodanno non ci fossimo più visti né sentiti, lui se ne era persino andato prima. Non mi aveva dato particolari confidenze, né io a lui. Non per timore di farlo di fronte agli altri ma come se ci fosse un accordo tra noi, tacito quanto stupido: tipo "l'altro ieri siamo andati al cinema, ieri abbiamo scopato, se continuiamo così diventa una storia". Me ne tornai a casa da sola anche se un po' di voglia di passare da lui ce l'avrei avuta. Ma a parte il mio primo e unico fidanzato - e il mio scopamico, naturalmente, però quello aveva già una ragazza e non faceva testo - non l'avevo mai data per due sere di fila allo stesso ragazzo. E Giovanni era interessante, d'accordo, ma non me la sentivo di avere una storia con lui. Del fatto che fosse "seriale" e che faceva così con tutte non me ne fregava un cazzo, anzi c'era anche una certa gratificazione dal sentirmi "prescelta" da un tipo così. La verità è che non me la sentivo proprio di avere una storia in assoluto.

Tuttavia, se a farci conoscere era stata una specie di intesa intellettuale, a incollarci l'una all'altro non era il sentimento, era la carne. L'impossibilità di tenere molto a lungo le mani dell'una lontane dall'altro, e viceversa. Tornata a casa, stavo finendo di spogliarmi per mettermi a letto, il display del telefono si illuminò, ding! "Ci vediamo domani?", "per me è ok", "che ti va di fare? cinema?", "facciamo che vengo da te e poi decidiamo", risposi immaginando che avrebbe voluto chiedermi la stessa cosa ma non ne avesse avuto il coraggio, o la sfrontatezza. Mi infilai sotto le coperte ridacchiando e cercando di prefigurarmi la scena: io che gli dico "ammettilo che non pensavi al cinema, volevi scopare" prima di spalancargli davanti le gambe. Mi masturbai sul ricordo ancora fresco del suo cazzo instancabile dentro di me.

- Ammettilo che non pensavi al cinema, volevi scopare, ahahahah...
- Tu invece?

Ok, la scena non era esattamente come me l'ero immaginata la notte precedente, ma sono dettagli. Eravamo sul suo divano e ci baciavamo, pomiciavamo. La sua mano si era infilata sotto il maglione e aveva alzato il reggiseno. Gli piaceva giocare con le mie tette e i miei capezzoli sensibilissimi. Quei dolori piccoli come punture di spillo erano fantastici, avrei voluto addirittura che me li mordesse. Gli tenevo la mano sulla coscia e mi trattenevo dall'accarezzargli il pacco. Ero decisa a fargli una piccola sorpresa - per la serie "con una come me puoi divertirti in tanti modi" - aspettavo solo il momento giusto. E il momento giusto arrivò. Lui disse "dai, spogliati" e io replicai "no, voglio fare una cosa". Mi inginocchiai tra le sue gambe senza nemmeno dargli il tempo di domandare "cosa?". Non credo che fosse il suo primo bocchino, credo piuttosto che non si aspettasse la mia iniziativa. I ruoli si erano completamente rovesciati e fui io a guidare il gioco dall’inizio alla fine. A rimanere passivo stavolta fu lui, sino all’esplosione finale. Per nulla oltraggioso e per nulla dominante. Non ne rimasi nemmeno delusa, quello era il suo stile e, del resto, aveva già dimostrato cosa poteva fare. Io stessa, che pure mi ero ripromessa di essere un po' troia, non mi sentivo particolarmente tale. Sfacciata e impertinente, piuttosto, come una che l'aveva fatta grossa. Ma in realtà è difficile descrivere quello stato d'animo. Nonostante sotto i jeans l'eccitazione pulsasse, vivevo come in un tempo dilatato: la voglia di essere presa era fortissima, ma lui era così... diverso. E faceva sentire diversa anche me. E di tempo sì, ce ne volle moltissimo, da slogarsi la mandibola e spaccarsi le ginocchia. Ecco, se vogliamo fui molto troia in quello, non so se un'altra ci avrebbe messo la stessa feroce dedizione. E nemmeno la stessa forza con cui gli allontanai le mani mentre rantolava "vengo, vengo..." e cercava di afferrarmi la testa per staccarsi. Uh, che carino, mi avverte.

In compenso l’obiettivo che mi prefiggevo era stato completamente centrato, se volevo rincretinirlo succhiandogli il cazzo ci ero riuscita. Lo dico per tutte le volte che l’ho scritto e che lo scriverò: avete presente quell’espressione da scemo che si disegna sul volto dei maschi, uhm, diciamo così… “dopo”? Beh, una cosa è “scemo” e una cosa è “ebete totale”. Lui era la seconda che ho detto.

Restammo un po' senza parlare, a guardarci, mi piaceva la sua aria stravolta e avrei dato chissà cosa per sapere cosa gli frullasse nel cervello. Versai della Coca in un unico bicchiere e mi sedetti accanto a lui, per un po' fu il momento dei "mi è piaciuto tantissimo", "anche a me", banali ma sinceri. Poi gli chiesi un bacio e ricominciammo a pomiciare. Appiattii la pancia e lo feci passare quando mi sbottonò i jeans, proprio come una brava ragazza che finalmente si lascia sditalinare almeno un pochino, lui sentì quanto fossi bagnata e pronta, dopo avermi infilzata capì dal mio gemito quanto desiderassi essere penetrata, possibilmente da qualcosa di più grande. Questo ebbe delle conseguenze su di lui e accorciò sensibilmente, credo, i suoi tempi di recupero. Ma se il gemito che mi aveva strappato era stato del tutto involontario, tutto il resto non lo fu. Avevo in mente un piano su come darmi a lui ed ero stracuriosa di conoscere la sua reazione. Il primo step era "spingere un po' di più sul pedale-troia". Avrei voluto dirgli "adoro il tuo cazzo" mentre me lo strusciavo sul viso qualche minuto prima, invece glielo dissi quasi a freddo, impugnandolo. Mentre gliele leccavo, e le avevo leccate a lungo, avrei voluto dirgli "hai delle palle bellissime" (la verità, peraltro), invece glielo dissi accarezzandogliele. Davanti alla mia sfacciataggine Giovanni recuperò finalmente la sua sicurezza:

- Ti voglio.
- Ti voglio anch'io - dissi.
- Ora spogliati...

Secondo step: nonostante l'avesse intimato spingendomi forte due dita dentro, riuscii a mantenere la lucidità e il punto. Un punto che prevedeva, ancora una volta, una risposta negativa da parte mia, una piccola elusione del suo ordine. Il perché mi era abbastanza chiaro. Sì, certo, saremmo stati molto più comodi e liberi a tirare fuori il letto e a sistemarci nudi sotto il piumone. Ma io volevo regalargli una parte di me, di come sono fatta, di cui molto probabilmente non sospettava l'esistenza, quella che cerca il brivido di una sveltina semivestita. È seriale e ci prova con tutte, mi aveva detto quella ragazza, e personalmente non avevo dubbi che un sacco di volte ci riuscisse. Ma volevo vedere se ne aveva mai beccata una così.

Mi inginocchiai a quattro zampe sul divano abbassandomi i jeans quel tanto che bastava per offrirgli lo spettacolo del mio lato B. Il mio perizoma, scelto stavolta con molta cura tra i più minimal, ancorché zuppo gli nascondeva soltanto l'ingresso della mia vagina impazzita. Volevo che la desiderasse, che desiderasse scoprirla e che scoprendola tutto il suo sangue affluisse laggiù, volevo indurlo ad essere l'animale che tutte e tutti siamo (o che dovremmo essere) quando decidiamo di accoppiarci. Abbassai di quel tanto che bastava anche le mie mutandine in un implicito e silenzioso "scopami così, ti supplico". E lo fece, con il suo ritmo lento ma inesorabile, lo fece a lungo. È impossibile ricordare con esattezza tutto quello che gli dissi ma non fui eccessivamente volgare, credo. Per certi versi era strepitoso, mi piacquero moltissimo le sue mani che anziché tenermi saldamente ferma si erano infilate sotto il maglione e percorrevano lentamente il mio corpo. Mi sentivo lunga, mi sentivo desiderata, anche se non mi sentivo particolarmente troia e lui non era il tipo di macho dominante, mi stava benissimo. L'unico errore, se vogliamo chiamarlo errore, fu che a un certo punto gli dissi "più forte" senza considerare che quel "più forte" sarebbe durato tantissimo. Persi la testa per un tempo indefinito e, a parte il piacere che mi travolgeva, percepii soltanto che vedermi in questa condizione eccitava da morire anche lui. Soprattutto sentirmi urlare. Me lo disse dopo, anche con un certo ritegno: le mie urla lo facevano impazzire.

Come la prima volta, mi sentivo esausta, anche se sapevo che avevamo davanti un lungo pomeriggio e la sera, sapevo che ci sarebbe stato il tempo per recuperare. Era arrivato il momento di aprire il suo divano letto e infilarsi sotto il piumone. E di sentirsi dire "non ho mai fatto l'amore con una come te". E di rispondere "non ho mai avuto degli orgasmi così". Cosa non vera, intendiamoci, ma mi è sempre piaciuto gratificare chi se lo merita. Mi sono spesso sperticata in lodi, a volte totalmente insincere, nei confronti del cazzo, ma con Giovanni non mi pareva il caso (e sì che proprio il suo cazzo le avrebbe meritate). Gli dissi invece che avevo voglia di rifarlo again and again e così fu. Ogni volta molto a lungo e soprattutto standogli sopra, cosa inusuale anche questa.

Mi divertiva spingere il mio atteggiamento disinibito, per usare un eufemismo, sempre un po’ più in là di quanto si potesse aspettare, ma senza esagerare. Essenzialmente non mi dispiaceva restare la deliziosa biondina borghese che si era illuso di avere affascinata (no, ok, un po’ mi aveva davvero affascinata), anche se restava per me un mistero, peraltro mai svelato, di come un “rimorchiatore seriale” non si fosse mai ritrovato per le mani una ragazza almeno un po' zoccola. Ma se volevo liberare l'animale che era il lui ci ero riuscita, che pomeriggio. E che sera.

Ero compiaciuta e divertita da questa “mission”, tanto da convincermi che non sarebbe stato male mettere su con Giovanni una bella scopamicizia come quella che avevo con il mio Felix e che, lo sentivo, si sarebbe conclusa presto. Non sarebbe stato male per il significato che davo io alla scopamicizia, dove l’elemento “amicizia” era importante quasi quanto l’elemento “scopa”. Con lui stavo bene non solo in orizzontale, magari non abbastanza da innamorarmene ma da frequentarlo sì.

Purtroppo non ebbi il tempo di portare avanti il mio piano. Una sera che non lavorava uscimmo e mi disse che si era rimesso insieme alla sua ex. Inizialmente fu uno choc, non avevo idea che avesse continuato a insistere con lei. E naturalmente mi incazzai, più che altro per il sotterfugio. Ma poi pensai che questa non sarebbe stata una difficoltà insormontabile, anche se un po’ mi disturbava che avesse fatto tutto alle mie spalle. In fin dei conti non sarebbe stato il primo ragazzo "impegnato" cui donavo clandestinamente le mie grazie, anzi, stava diventando quasi una specialità della casa. Glielo dissi qualche giorno dopo, però le cose non andarono esattamente come avevo previsto.

- Guarda che per me possiamo continuare a vederci.
- Cioè? Come faresti?
- Che significa "come faresti?", è una cosa che riguarda me, la faccio perché mi va.
- Anche se sto con un'altra?
- Non voglio mica mettermi in mezzo.

Può darsi che il dialogo non sia stato con precisione questo, ma ero davvero convinta di quello che gli dicevo. E nulla mi toglierà mai dalla testa che fosse ciò che sperava. Del resto la stessa cosa l'avevo fatta con Felix: nel codice erotico tra me e il mio primo scopamico io ero la "troia dei giorni feriali". Non era un'offesa, era il nostro gioco. Perché con Felix scopavo molto ma giocavo anche molto. Con Giovanni avrei potuto, che ne so, essere la "troia dei giorni complicati" o qualche altra cosa, anche con lui mi piaceva passarci del tempo assieme e mi piaceva scoparci.

Non ero però disposta a soddisfare quella che mi sembrava una pretesa insensata. Già avevo dovuto toglierla dalla testa di Felix, adesso mi toccava farlo anche con lui. Voglio dire: l'harem anche no, eh?

- E quando non possiamo vederci che fai?
- In che senso?
- Non vorresti anche tu vedere le amiche o, che ne so, conoscere qualcuno?
- No, scusa, io faccio quello che mi pare.

Non glielo volli dire in modo esplicito, ma era superchiaro che il mio discorso, contestualizzato, significasse "mi diverto con chi mi pare". Anche in quel senso lì, ovvio. In quel periodo della mia vita non prevedevo di innamorarmi, tutt'altro, però certe basi di comportamento mi erano ben chiare e (ingenuamente) pensavo che dovessero esserle anche a lui: esclusiva sessuale ok ma solo se sono innamorata, e ricambiata. E che cazzo...

Non seguirono liti o scenate, anche se era evidente che non l'aveva presa bene. Ci vedemmo un altro paio di volte e anche in quelle occasioni non mancò mai di domandarmi come mi fossi, diciamo così, regolata in sua assenza. La sua gelosia era abbastanza fastidiosa e, in definitiva, il gioco cominciava a non valere più la candela. In un impeto di sincerità glielo dissi: se non riesci a farci pace è meglio chiuderla qui. Mi dispiacque meno di quanto pensassi, ne fui addirittura sollevata. L'ultima volta che lo sentii fu qualche tempo dopo, una mattina, o un pomeriggio, in cui ero in pieno hangover ma fingevo di dormire dopo una notte tossica ed eccitante, della quale in realtà avrei dovuto solo vergognarmi. Mi ero sballata in modo pesante e in modo ancora più pesante avevo giocato, ne sentivo ancora tutte le conseguenze sul mio corpo. Non avevo molto da dirgli e da raccontargli di un mondo di cui credo non sospettasse nemmeno l'esistenza, non mi andava nemmeno granché di parlarci del più e del meno. Nonostante fossi rincoglionita mi era chiarissimo il motivo di quella telefonata. Forse percepì la mia insofferenza e la mia rabbia e pensò che fossero indirizzate contro di lui, quando invece ce l'avevo con il mondo e, in ultima analisi, con me stessa. Non mi cercò più, io avevo smesso di cercarlo da un pezzo.

scritto il
2024-06-27
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