Ecco dove ho sbagliato
di
RunningRiot
genere
etero
Sapete cosa mi piace la domenica mattina?
Alzarmi dal letto sfatto e indossare una sua maglietta con il suo odore.
Andare in cucina e mettere la capsula nella macchinetta e la tazzina in posizione.
Chiedermi se quel leggero solletico sull’interno coscia sia una gocciolina sua.
E mentre il caffè scende guardare dal vetro della porta finestra com’è la giornata.
Piegarmi un po’, perché sennò il cielo non si vede.
Accorgermi solo all’ultimo che lui mi è dietro.
Abbandonarmi alla stretta delle sue braccia.
Inclinare il collo per fare spazio alle sue labbra.
Sentire la sua mano che mi preme il seno.
L’altra che mi solleva la maglietta e mi scopre il culo.
Che poi fa il giro, fino a piazzarsi davanti, tra le mie gambe, per guidare il suo cazzo dentro di me e tenercelo.
Più mezzo duro che mezzo morbido, ma comunque non del tutto pronto.
Accoglierlo con un gemito leggero, chiudendo gli occhi e affidando i palmi delle mani ai telai in pvc.
Il collo che resta inclinato per farsi percorrere da labbra e lingua, il lobo che attende i suoi carnefici bianchi.
Lo sento crescere a poco a poco, inesorabile, sempre un po’ di più.
Lo sento affondare a poco a poco, inesorabile, sempre un po’ di più.
La sua mano sul mio pube glabro, la sua carne di maschio nella mia fica, il suo ventre e il suo petto sul mio culo e sulla mia schiena. Il suo alito nel mio orecchio e tra i capelli.
Sono incastrata, prigioniera, presa.
Senza l'apnea affannosa di prima, senza strilli o parole, senza quella violenta percussione, senza nemmeno quella durezza.
Respiri profondi, silenzi, spinte lente. Gradualmente più spedite, non troppo. Il cazzo che sembra ingrandirsi, il cazzo che sembra scattare, la mia vagina spruzzata un'altra volta.
Un sospiro.
Godo nel sentirlo godere dentro di me un'altra volta.
Mi ha voluta e presa un'altra volta.
Sorriso, felicità, ossitocina.
Abbandonata nella stretta delle sue braccia sento le nostre respirazioni calmarsi.
Fino a che i corpi non si separano.
Mi volto e lo vedo appoggiato al tavolo. Nudo, con i bei peli che contornano il bel cazzo ancora lucido e in recupero da overperforming.
Beve il mio caffè.
Sorride e alza la tazzina come in un brindisi.
- Grazie - e poi va in bagno.
Nella vita dovevo fare la barista, non farmi tutti quei baristi.
E scegliere con cura i clienti.
Ecco dove ho sbagliato.
Alzarmi dal letto sfatto e indossare una sua maglietta con il suo odore.
Andare in cucina e mettere la capsula nella macchinetta e la tazzina in posizione.
Chiedermi se quel leggero solletico sull’interno coscia sia una gocciolina sua.
E mentre il caffè scende guardare dal vetro della porta finestra com’è la giornata.
Piegarmi un po’, perché sennò il cielo non si vede.
Accorgermi solo all’ultimo che lui mi è dietro.
Abbandonarmi alla stretta delle sue braccia.
Inclinare il collo per fare spazio alle sue labbra.
Sentire la sua mano che mi preme il seno.
L’altra che mi solleva la maglietta e mi scopre il culo.
Che poi fa il giro, fino a piazzarsi davanti, tra le mie gambe, per guidare il suo cazzo dentro di me e tenercelo.
Più mezzo duro che mezzo morbido, ma comunque non del tutto pronto.
Accoglierlo con un gemito leggero, chiudendo gli occhi e affidando i palmi delle mani ai telai in pvc.
Il collo che resta inclinato per farsi percorrere da labbra e lingua, il lobo che attende i suoi carnefici bianchi.
Lo sento crescere a poco a poco, inesorabile, sempre un po’ di più.
Lo sento affondare a poco a poco, inesorabile, sempre un po’ di più.
La sua mano sul mio pube glabro, la sua carne di maschio nella mia fica, il suo ventre e il suo petto sul mio culo e sulla mia schiena. Il suo alito nel mio orecchio e tra i capelli.
Sono incastrata, prigioniera, presa.
Senza l'apnea affannosa di prima, senza strilli o parole, senza quella violenta percussione, senza nemmeno quella durezza.
Respiri profondi, silenzi, spinte lente. Gradualmente più spedite, non troppo. Il cazzo che sembra ingrandirsi, il cazzo che sembra scattare, la mia vagina spruzzata un'altra volta.
Un sospiro.
Godo nel sentirlo godere dentro di me un'altra volta.
Mi ha voluta e presa un'altra volta.
Sorriso, felicità, ossitocina.
Abbandonata nella stretta delle sue braccia sento le nostre respirazioni calmarsi.
Fino a che i corpi non si separano.
Mi volto e lo vedo appoggiato al tavolo. Nudo, con i bei peli che contornano il bel cazzo ancora lucido e in recupero da overperforming.
Beve il mio caffè.
Sorride e alza la tazzina come in un brindisi.
- Grazie - e poi va in bagno.
Nella vita dovevo fare la barista, non farmi tutti quei baristi.
E scegliere con cura i clienti.
Ecco dove ho sbagliato.
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