Tutti quei ragazzi (e quelle ragazze) - Che scema
di
RunningRiot
genere
etero
È andata bene. In definitiva, la cosa più difficile è stata convincere Bob a far finta che non mi conoscesse proprio, o se non altro che mi conoscesse molto poco. Si è subito insospettito, un po' perché sa come sono fatta e un po' perché non è scemo. No, non è questione di gelosia o possessività. Da questo punto di vista non c'è nessunissimo problema. Bob è un ragazzo simpatico, intelligente, sensibile. Unico particolare spiacevole, i pompini delle ragazze non gli piacciono, nemmeno se si tratta di far vincere loro una scommessa. Ciò che lo preoccupava stasera me l'ha detto con lo sguardo anziché con le parole. Ma poiché neanche io sono scema, l'ho subito rassicurato: "Tranquillo, non voglio mettermi nei guai". Entrambi sapevamo a cosa mi riferissi.
E infatti, per dire, sono stata bene attenta a non prendere niente, nemmeno Thc. Un paio di drink ok, ma giusto per sciogliermi un po'. Andare oltre sarebbe stato troppo, sarebbe stato controproducente.
Dovrei essere soddisfatta, molto soddisfatta, mi ripeto guardandomi allo specchio cercando di fare meno rumore possibile. Testimone ne è la cura con cui poggio la boccetta di acqua micellare sulla mensola. Pure troppa, la prudenza. Ma non vorrei svegliare nessuno. Non vorrei disturbare, è solo questo. Non ho particolari timori di rotture di cazzo da parte dei miei. Sono le cinque di mattina, assai spesso sono tornata molto più tardi e in condizioni difficili da spiegare. Ma me la sono sempre cavata, sono una generatrice automatica di cazzate, bugie, mi escono spontanee e soprattutto sempre assai credibili.
La verità è che, più in generale, sono brava a fingere. Quasi una professionista. Uscire da me stessa e convincere qualcuno di avere fatto altro, o di essere un'altra, mi viene molto bene. Potrei dire che a volte è un bisogno. È chiaro, debbo essere abbastanza in controllo. Per questo evito sostanze e mi limito con l'alcol. Perché bere e calarsi sono altri modi per uscire da me stessa, completamente diversi. Il Role Play impone invece una certa disciplina, però mi viene naturale: scelgo il personaggio e lo recito, potrei reggere anche dei giorni convincendo le persone che sono qualcun’altra. Mi diverte ma, come dicevo prima, è anche un modo per soddisfare le mie necessità.
Stasera era pure un po' più difficile del solito. Non la ragazza borghese viziata e annoiata, nemmeno la finta timida da trascinare nella perdizione, o la malinconica zoccolina appena lasciata dal fidanzato per un'altra. Stasera il ruolo che mi sono scelta era quello della scema, della perfetta idiota. Sono l'esatto opposto, quindi immaginate la complicazione. L'idea mi è venuta, diciamo così, grazie alla mia proverbiale stronzaggine, un altro dei lati della mia personalità che ogni tanto prende il sopravvento. Mentre attendevo di sottopormi a una ceretta intima, ascoltavo dall'altra parte della tenda la delirante conversazione tra una ragazza e l'estetista in tirocinio che probabilmente le stava facendo le unghie. Ho fatto un mix tra i due cervelli e non mi sono nemmeno dovuta impegnare a farle più sciroccate di quanto fossero in realtà: erano perfette così, erano un copione vivente.
Roberto, vedi i casi del destino. Un altro Roberto, ovviamente, non il mio amico gay. Lui ad esempio sarà ancora sicuro che la biondina svampita alla quale ha chiamato un taxi appena una mezz'oretta fa sia effettivamente una studentessa perditempo che fa anche la commessa part time in una catena di alimentari bio. Una vegana dell'ultima ora che ogni tanto sgarra, una salutista sui generis. “Ma scusa, fumi?”, mi ha chiesto sorpreso quando sono uscita con la sigaretta in mano dal locale dove ci eravamo conosciuti. Gli ho risposto con un sorrisino idiota e coprendomi la bocca con la mano: “Solo il venerdì” (mezzo pacchetto in una sera, alla faccia dell’eccezione). Forse lì ha avuto la conferma che non gliel'avrei fatta tanto complicata e che, magari offrendomi un altro paio di drink, mi si sarebbe portata facilmente a casa.
La conferma, certo. Perché “questa è un po’ troia” l'avrà pensato sin da subito, quando sono sbucata dal nulla a quella festa un po’ improvvisata - un locale dalle parti di Ponte Milvio, piccolino ma piuttosto frequentato - e dopo avere mollato Bob avevo fatto conoscenza in modo eccessivamente estroverso con le ragazze del suo gruppo, che tra l'altro ho l'impressione che mi abbiano scambiata per un'altra. "Ciao, io sono Aaaa... lessia!". Un piccolo cambio di programma: proprio in extremis ho pensato che darmi un altro nome mi avrebbe aiutata a fingere meglio, in realtà è stato vero solo fino a un certo punto, potevo tranquillamente restare Annalisa.
Anyway, è stato proprio con quelle ragazze che ho cominciato a fare la scema, per vedere se funzionava. Non ci vuole tanto, almeno all'inizio: fingi di non capire quasi nulla ma allo stesso tempo appari molto interessata a ciò che viene detto, di norma cose molto futili che non meriterebbero più di tre secondi di attenzione; ridi spesso, anche a sproposito, però senza esagerare.
Il sospetto che fossi un po’ zoccola ha certamente sfiorato di nuovo Roberto poco più tardi, quando noncurante di come ero vestita ho ballato dimenandomi e strusciandomi sui ragazzi più carini della festa, facendo vedere fin troppo. Il campanello della certezza gli è suonato quando con la coda dell’occhio mi ha vista uscire di soppiatto dalla porta del bagno del locale, furtiva, ridacchiando come una scema; e meno di un minuto dopo dalla stessa porta, è uscito Dome. Lo stesso Dome, che come lui fa lo schiavo in uno studio legale, gliene avrebbe dato conferma quando ormai non serviva più. L'ho saputo dopo, leggendo i loro messaggi.
Roberto aveva un ghigno che diceva qualcosa, però sul momento non ha indagato. Lo avevo già inquadrato, non male ma in tutta franchezza non era la mia prima scelta. Però Dome mi ha ghostata praticamente subito ed è andato al bancone a bere con persone che a Roberto non stanno molto simpatiche. In quel momento pensava che forse il suo amico se l’era pure fatta, quella troietta. Anche questo l'ho saputo dai loro messaggi.
In realtà no, Dome è stato semplicemente il più veloce a farsi sotto e a offrirmi da bere. E a provarci subito, in modo diretto e persino un po' volgare, ma senza arretrare di un millimetro di fronte ai miei finti dinieghi. Dalla richiesta di “un bacetto” alle mani addosso in meno di cinque minuti: "Dai, vieni, su, non ti faccio niente...", "no, ma no, cosa fai?". Non so cosa abbia visto in me per avere la certezza che avrebbe potuto avere ciò che voleva, ma evidentemente stavo recitando bene. E comunque in situazioni del genere un tipo così ha sempre un certo ascendente su di me, non c'è bisogno che faccia la cretina. Un maschio porco e deciso parla direttamente alla mia parte troia bypassando tutto il resto. Mi ci ha quasi trascinata in quel bagno nonostante i miei dinieghi studiatamente sempre più deboli ("ti prego, no", "dai, fammi vedere come succhi il cazzo", "ma no, non sono una così"). Dovevate vedere la sicumera con cui mi tappava la bocca ogni volta che facevo finta di protestare: "Non è giusto, non è giusto", "su, non fare così, dai che sei brava". Molto divertente ed eccitante al tempo stesso, per me. Non sapevo neanche io se compiacermi di più per le mie capacità orali o per quelle di attrice, anche se alla fine ho messo da parte ogni finzione e ci ho preso gusto, cosa che dal punto di vista della recitazione era pure meglio: scema e puttana, la preda perfetta. Meno perfetta la sua sborrata, ma non si può sempre avere tutto e comunque quella mano arrogante che mi imponeva sulla testa aveva un suo perché.
Pur non avendo ancora parlato con Dome, Roberto lo sapeva: se la sarebbe scopata senza alcuna difficoltà quella cretina conclamata che si agitava dentro quell'abitino molto corto e con le sneakers bianche. Tuttavia Roberto non ha la stessa arrogante sicurezza dell'amico, è uno che ci gira molto più intorno. Non dico che mi ha corteggiata ma quasi, attendendo le mie reazioni. Quando ho cominciato a ridere alle sue battute è stato come spalancargli un portone. Dimenticavo: limitarsi con l'alcol è necessario, ma in situazioni così fingere di essere sotto i suoi effetti è praticamente obbligatorio: scema, puttana e pure brilla. Boys, che volete di più?
Adesso, alle cinque di mattina, lo specchio mostra una ragazza vogliosa di andare a dormire, non più un'attrice pronta al gioco di ruolo. Non ho rimpianti, però, less than zero. Mi è piaciuto inventare questa Alessia e trasformarmi in lei. Anche mentre scopavo, la mia mente era concentrata su chi ero in quel momento. Una poverina dalla mente semplice, con un grande desiderio di piacere e nessuna responsabilità. Proprio perché dovevo mostrarmi l'esatto opposto di quel che sono, ve l'ho detto, è stato un po' complicato. Ma poiché impersonavo ciò che a volte vorrei davvero essere, è stato anche parte dell'eccitazione. Anzi forse la parte più eccitante. Ricordo cosa ho pensato nel momento esatto in cui ho smesso di succhiarglielo e mi sono tolta le mutandine sorridendogli, in attesa di essere trafitta dal suo cazzo, con le gambe aperte e le calze ancora addosso ma già follemente bagnata: "Magari se fossi davvero così potrei essere più felice, non dovrei affrontare ogni giorno il giudice più severo del mondo". Ovvero, me stessa.
A Roberto, alla festa, ho raccontato un po' di tutto e improvvisando poco: mi ero preparata bene, il personaggio me l'ero costruito con cura. Gli ho detto che sono ad Architettura, ma che è difficile e poi a me non piace studiare. Invece mi piace andare tanto in giro, viaggi e discoteche quando si può. Mi piace la moda e un giorno mi piacerebbe lavorarci, oppure il design di interni. Non ho social aperti (il che, a parte Insta, è pure vero) e sono fidanzata con un giocatore di basket. Ho scelto il basket perché con il calcio rischi sempre di trovare quello che sa vita morte e miracoli di tutte le squadre. Con il basket è meno probabile, ma mi ero comunque documentata sul sito della Virtus scegliendo un giocatore belga (o olandese, boh). Di basket Roberto ne sapeva quanto me, ma è comunque servito a comunicargli che, si sa, un paio di volte al mese il mio fida passa i weekend in trasferta, per non parlare delle coppe.
Il suo "ti piacerebbe vedere dove abito?" un po' mi ha sorpresa. Pensavo che mi avrebbe proposto di accompagnarmi a casa e che in macchina si sarebbe inventato qualcosa, non prevedevo una location così "comoda", a dirla tutta. Comoda e pagata dal papà. Sul divano siamo stati un po' a parlare del più e del meno, forse è stato il momento della serata in cui ho spinto più forte sul pedale della cretina. Un po' era come se volessi fargli capire "che cazzo ci perdi tempo a chiacchierare con una come me, scopami", ovviamente senza dirglielo: la perfetta scema si accorge delle conseguenze delle sue azioni solo quando è troppo tardi, e magari se la stanno già sbattendo. La mia idea almeno era questa. E a proposito di idee, ne avevo scartata una che però, quando mi era venuta in mente, mi era parsa eccitante e geniale. Tipo dirgli "no ti prego, non mi scopare" verso... uh, diciamo tra l'ottava e la decima spinta. Innanzitutto perché non ero certa di dove sarei stata, tra l'ottava e la decima spinta. E poi perché, dai cazzo, mi sarei vergognata a essere proprio così imbecille. A tutto c'è un limite.
Lui ha dapprima tentato qualche approccio morbido, baci inframmezzati dai suoi whatsapp a chissacchì (poi l'ho capito, Dome), da un paio di shot e dai miei "no, dai, sono fidanzata", resi poco credibili da ciò che la mia lingua e le mie mani facevano e dalla voglia che i miei occhi esprimevano (sì esatto, quella voglia lì). Ma solo quando mi ha proposto di "vedere la casa" - molto piccola, in pratica mi ha portata subito in camera da letto - è partito all'attacco. Anche in questo caso la scusa gliel'ho fornita io, apposta: "Mi hai fatta bere troppo", "vieni, stendiamoci un po' qui, sono stanco anch'io". Credevo che se ne fosse accorto alla festa, mentre mi scatenavo nei balli, e invece solo in quel momento ha realizzato che le calze che indossavo non erano collant ma autoreggenti: l'ha sottolineato con un certo entusiasmo e da quel punto in poi è come impazzito completamente (il potere di una striscia di pelle nuda sopra le balze siliconate, eh?) e anche se per un po' ho "resistito" ho avuto tutto il tempo la sua mano fissa sul sedere, senza protestare. Solo una piccola défaillance, che a conti fatti gli avrà confermato una volta di più chi fossi: "Alessia, che bel culo che hai". Manco gli ho risposto, non perché la sua mano sulle natiche mi facesse chissà quale effetto, ma perché il nome "Alessia" mi è scivolato addosso. Chi se lo ricordava più che ero Alessia? Stacci più attenta, mi sono detta.
Poi sono arrivati i baci passionali e quella stessa mano che mi accarezzava le chiappe è finita dentro le mutandine, a trattarmi come la deficiente che volevo essere e come la troietta che sono: "No, fermati", ma senza allontanare il dito dentro di me. "Dai, è solo un modo per stare un po' insieme", mentre mi frullava la vagina con quel dito. Qui è stato arduo, è vero, ma in casi come questi una sedicente scema fa finta di accorgersi di cosa sta per accadere solo quando lui si tira fuori il cazzo. E dopo che Roberto l'ha fatto non c'è voluto molto per arrivare, ormai seminudi, a un livello di conversazione un po' più elevato: "Come cazzo succhi...", "sono brava?".
La prima volta che mi ha infilzata sono venuta subito, quasi fulminea, era troppo che aspettavo. Ho potuto recitare ben poco: "entra solo un po', ok?", "no, dai, non così", "ce l'hai troppo grosso" (era perfettamente gestibile, ma volevo spronarlo). Poi, beh, la Natura ha voluto la sua parte e la mia commedia è finita in stand by. Gli ho riempito la stanza di lagne e di "scopami", e forse lì si è fatto definitivamente l'idea che poteva fare quello che voleva con me. Un altro magari se la sarebbe fatta prima, ma purtroppo non era così sicuro di sé come il suo amico. Però la seconda volta ho goduto anche più della prima e più a lungo. Soprattutto dopo che, mentre gli stavo sopra, mi ha detto "lo vedi che sei zoccola?". Gli ho risposto "sì, sono una zoccola" con il tono di chi riconosce una sconfitta e mi sono lasciata completamente andare. È stato molto bello, è stato come a volte vorrei essere davvero. Leggera, senza un briciolo di pressione addosso, senza nessuna aspettativa su di me, libera da tutto e da tutti, sgravata da ogni ruolo sociale, familiare, accademico. Mi ha ribaltata, mi ha scopata forte e sono venuta di nuovo, stavolta in maniera violenta, incontrollata. Gli ho chiesto di togliersi il preservativo e schizzarmi addosso, lui se l'è sfilato ma ha voluto finire nel culo, nonostante i miei "no, esci, così non voglio". Forse gli orgasmi appena avuti mi hanno aiutata a non sentire troppo dolore ma comunque lo ho odiato, anche se non ho combattuto fino in fondo per impedire che mi sodomizzasse. Non ho mai capito perché a volte faccio così: non voglio ma resto quasi inerte, glielo rendo facile.
Dopo un po' però ho persino smesso di oppormi blandamente, ho ceduto a lui e alla rassegnazione. Credo che abbia scambiato i miei lamenti di dolore per gemiti di piacere, perché insisteva dicendo che ero una troia, voleva sapere se il mio ragazzo me lo mette nel culo e ripeteva a loop la frase più orribile di tutte le frasi del sesso: "zitta, lo so che ti piace”. In realtà l'unica cosa che mi è piaciuta è quando mi ha spruzzato dentro, e non solo perché segnava la fine del supplizio. L'ho proprio sentito, è stata come una scossa calda e bagnata. In quel momento gli ho detto sì, che mi piaceva. Non recitavo, onestamente non potevo pensare a recitare, e comunque, scema o non scema, le mie reazioni sarebbero state le stesse. Ho perso un po’ la testa e gli ho detto cose non proprio irreprensibili, diciamo pure assai poco dignitose. Subito dopo però mi sono ripresa, ho riafferrato il filo della mia messa in scena. Ho fatto finta di chiudermi in me stessa e gli ho chiesto "sei contento ora che mi hai scopata come una puttana?". Una domanda preparata da tempo, magari non proprio per quell'epilogo. Roberto ha riso e poi ha risposto "l'hai detto tu che sei una zoccola, ti piace pure nel culo". Credo che non l'abbia fatto per minimizzare ma, al contrario, con il preciso intento di umiliarmi. O perlomeno di vedere se quella cretina che aveva nel letto fosse in grado di percepire una cosa chiamata umiliazione. Non aveva la minima idea che il suo scherno non mi poteva ferire, anzi, a dirla tutta mi ha eccitata ancora. È stato piacere sessuale anche quello. Un po' particolare, è vero, tutto di testa, ma che si è fatto sentire anche al piano di sotto. Pulsavo dappertutto e quella mignotta della mia fica ne avrebbe voluto ancora. Ma da una parte lui era chiaro che non ne avesse più e dall'altra aveva già avuto ciò che voleva. Sì, certo, avrei potuto dirgli "allora giustiziala con due dita, questa zoccola", però quella sarebbe stata Annalisa, non Alessia.
In serate del genere può capitare di trovare chi se ne frega dei tuoi desideri e dei tuoi rifiuti. Ma in fondo anche questa è stata la prova della riuscita del mio gioco: mostrarmi così deficiente lo ha portato a non avere nessun rispetto. Né prima, né durante e nemmeno dopo, visto che si è disinteressato quasi subito di me, ha preso il telefono e ci ha smanettato mentre io mi riprendevo. Poi, quando è andato in bagno, ne ho approfittato per vedere se il telefono fosse bloccato da un codice.
La chat tra lui e Dome era cominciata quando eravamo ancora nel locale:
"Sta troia te la sei scopata? Mo me la porto a casa".
La risposta credo che invece sia arrivata quando eravamo già sul divano a pomiciare:
"Una pompa da paura, quella ha fame beato te che hai una casa".
"Le faccio pure il culo".
"Fatti dare il numero che ce la ripassiamo".
"Peccato che sia così stupida".
"E mica ci devi fare conversazione".
L'ultimo messaggio di Roberto, quello inviato prima di andare in bagno, era senza risposta. Dome dormiva, o verosimilmente lo stava facendo assaggiare a qualcun'altra.
"Avevi ragione".
"Ti va se una sera ci rivediamo? Magari viene pure Domenico". Non gli ho risposto né sì né no, ho detto "vediamo" e sono uscita di casa. Non mi ha nemmeno accompagnata in strada ad aspettare il taxi.
Mi sento come un'attrice di teatro che ha terminato il suo spettacolo. So già che è finita qui, che a letto non mi masturberò. La cosa mi alletta, soprattutto ripensando al modo in cui sono stata considerata e usata da Dome e da Roberto, ma sono troppo stanca. Magari lo farò domattina o magari dopo che uno dei due mi avrà cercata e io gli avrò bloccato il numero. E poi sta proprio cambiando il mio mood. È come se il cotone che rimuove gli ultimi residui di trucco mi facesse piano piano tornare in me. Lo uso di rado, giusto il lipstick, qualche volta il rimmel, ma sorrido pensando che si tratta comunque di un make up piuttosto costoso, dubito davvero che la commessa di un minimarket biologico se lo possa permettere. Mi do l'ultima sciacquata alla faccia e mi guardo allo specchio, sono di nuovo io. La visione della vera me stessa mi fa crollare.
Vivo sottosopra, come la sabbia di una clessidra. Il giorno e la notte si alternano, così diversi tra loro come le mie personalità. Mi spingo sempre avanti, senza sapere cosa c'è.
Non posso tornare indietro, non c'è nessuno per cui valga la pena tornare indietro. Nessuno cui mi interessi davvero chiedere se si ricorda di me o se mi ha dimenticata, non più.
La luce del bagno si spegne. Mi spengo io. È un sogno o è realtà? Questa immersa nel buio è casa, dove vivo, da dove fuggo, dove torno. Sono destinata a fuggire e a ritornare per sempre?
Posso desiderare quello che non ho mai detto a nessuno? A nessuno ho mai detto “tienimi”. E nessuno mi ha mai cercata tanto a lungo per dirlo a me.
Se fossi capace di autocommiserarmi piangerei. Molto. Chissà se tra tutti quelli che ho preso e scartato ce n'è mai stato uno che avrei dovuto tenere. Ne sarei stata capace? Chissà, forse ora sarei diversa.
E chissà come sarebbe, se fossi diversa. Felice, allegra e stupida come Alessia andrebbe bene.
E infatti, per dire, sono stata bene attenta a non prendere niente, nemmeno Thc. Un paio di drink ok, ma giusto per sciogliermi un po'. Andare oltre sarebbe stato troppo, sarebbe stato controproducente.
Dovrei essere soddisfatta, molto soddisfatta, mi ripeto guardandomi allo specchio cercando di fare meno rumore possibile. Testimone ne è la cura con cui poggio la boccetta di acqua micellare sulla mensola. Pure troppa, la prudenza. Ma non vorrei svegliare nessuno. Non vorrei disturbare, è solo questo. Non ho particolari timori di rotture di cazzo da parte dei miei. Sono le cinque di mattina, assai spesso sono tornata molto più tardi e in condizioni difficili da spiegare. Ma me la sono sempre cavata, sono una generatrice automatica di cazzate, bugie, mi escono spontanee e soprattutto sempre assai credibili.
La verità è che, più in generale, sono brava a fingere. Quasi una professionista. Uscire da me stessa e convincere qualcuno di avere fatto altro, o di essere un'altra, mi viene molto bene. Potrei dire che a volte è un bisogno. È chiaro, debbo essere abbastanza in controllo. Per questo evito sostanze e mi limito con l'alcol. Perché bere e calarsi sono altri modi per uscire da me stessa, completamente diversi. Il Role Play impone invece una certa disciplina, però mi viene naturale: scelgo il personaggio e lo recito, potrei reggere anche dei giorni convincendo le persone che sono qualcun’altra. Mi diverte ma, come dicevo prima, è anche un modo per soddisfare le mie necessità.
Stasera era pure un po' più difficile del solito. Non la ragazza borghese viziata e annoiata, nemmeno la finta timida da trascinare nella perdizione, o la malinconica zoccolina appena lasciata dal fidanzato per un'altra. Stasera il ruolo che mi sono scelta era quello della scema, della perfetta idiota. Sono l'esatto opposto, quindi immaginate la complicazione. L'idea mi è venuta, diciamo così, grazie alla mia proverbiale stronzaggine, un altro dei lati della mia personalità che ogni tanto prende il sopravvento. Mentre attendevo di sottopormi a una ceretta intima, ascoltavo dall'altra parte della tenda la delirante conversazione tra una ragazza e l'estetista in tirocinio che probabilmente le stava facendo le unghie. Ho fatto un mix tra i due cervelli e non mi sono nemmeno dovuta impegnare a farle più sciroccate di quanto fossero in realtà: erano perfette così, erano un copione vivente.
Roberto, vedi i casi del destino. Un altro Roberto, ovviamente, non il mio amico gay. Lui ad esempio sarà ancora sicuro che la biondina svampita alla quale ha chiamato un taxi appena una mezz'oretta fa sia effettivamente una studentessa perditempo che fa anche la commessa part time in una catena di alimentari bio. Una vegana dell'ultima ora che ogni tanto sgarra, una salutista sui generis. “Ma scusa, fumi?”, mi ha chiesto sorpreso quando sono uscita con la sigaretta in mano dal locale dove ci eravamo conosciuti. Gli ho risposto con un sorrisino idiota e coprendomi la bocca con la mano: “Solo il venerdì” (mezzo pacchetto in una sera, alla faccia dell’eccezione). Forse lì ha avuto la conferma che non gliel'avrei fatta tanto complicata e che, magari offrendomi un altro paio di drink, mi si sarebbe portata facilmente a casa.
La conferma, certo. Perché “questa è un po’ troia” l'avrà pensato sin da subito, quando sono sbucata dal nulla a quella festa un po’ improvvisata - un locale dalle parti di Ponte Milvio, piccolino ma piuttosto frequentato - e dopo avere mollato Bob avevo fatto conoscenza in modo eccessivamente estroverso con le ragazze del suo gruppo, che tra l'altro ho l'impressione che mi abbiano scambiata per un'altra. "Ciao, io sono Aaaa... lessia!". Un piccolo cambio di programma: proprio in extremis ho pensato che darmi un altro nome mi avrebbe aiutata a fingere meglio, in realtà è stato vero solo fino a un certo punto, potevo tranquillamente restare Annalisa.
Anyway, è stato proprio con quelle ragazze che ho cominciato a fare la scema, per vedere se funzionava. Non ci vuole tanto, almeno all'inizio: fingi di non capire quasi nulla ma allo stesso tempo appari molto interessata a ciò che viene detto, di norma cose molto futili che non meriterebbero più di tre secondi di attenzione; ridi spesso, anche a sproposito, però senza esagerare.
Il sospetto che fossi un po’ zoccola ha certamente sfiorato di nuovo Roberto poco più tardi, quando noncurante di come ero vestita ho ballato dimenandomi e strusciandomi sui ragazzi più carini della festa, facendo vedere fin troppo. Il campanello della certezza gli è suonato quando con la coda dell’occhio mi ha vista uscire di soppiatto dalla porta del bagno del locale, furtiva, ridacchiando come una scema; e meno di un minuto dopo dalla stessa porta, è uscito Dome. Lo stesso Dome, che come lui fa lo schiavo in uno studio legale, gliene avrebbe dato conferma quando ormai non serviva più. L'ho saputo dopo, leggendo i loro messaggi.
Roberto aveva un ghigno che diceva qualcosa, però sul momento non ha indagato. Lo avevo già inquadrato, non male ma in tutta franchezza non era la mia prima scelta. Però Dome mi ha ghostata praticamente subito ed è andato al bancone a bere con persone che a Roberto non stanno molto simpatiche. In quel momento pensava che forse il suo amico se l’era pure fatta, quella troietta. Anche questo l'ho saputo dai loro messaggi.
In realtà no, Dome è stato semplicemente il più veloce a farsi sotto e a offrirmi da bere. E a provarci subito, in modo diretto e persino un po' volgare, ma senza arretrare di un millimetro di fronte ai miei finti dinieghi. Dalla richiesta di “un bacetto” alle mani addosso in meno di cinque minuti: "Dai, vieni, su, non ti faccio niente...", "no, ma no, cosa fai?". Non so cosa abbia visto in me per avere la certezza che avrebbe potuto avere ciò che voleva, ma evidentemente stavo recitando bene. E comunque in situazioni del genere un tipo così ha sempre un certo ascendente su di me, non c'è bisogno che faccia la cretina. Un maschio porco e deciso parla direttamente alla mia parte troia bypassando tutto il resto. Mi ci ha quasi trascinata in quel bagno nonostante i miei dinieghi studiatamente sempre più deboli ("ti prego, no", "dai, fammi vedere come succhi il cazzo", "ma no, non sono una così"). Dovevate vedere la sicumera con cui mi tappava la bocca ogni volta che facevo finta di protestare: "Non è giusto, non è giusto", "su, non fare così, dai che sei brava". Molto divertente ed eccitante al tempo stesso, per me. Non sapevo neanche io se compiacermi di più per le mie capacità orali o per quelle di attrice, anche se alla fine ho messo da parte ogni finzione e ci ho preso gusto, cosa che dal punto di vista della recitazione era pure meglio: scema e puttana, la preda perfetta. Meno perfetta la sua sborrata, ma non si può sempre avere tutto e comunque quella mano arrogante che mi imponeva sulla testa aveva un suo perché.
Pur non avendo ancora parlato con Dome, Roberto lo sapeva: se la sarebbe scopata senza alcuna difficoltà quella cretina conclamata che si agitava dentro quell'abitino molto corto e con le sneakers bianche. Tuttavia Roberto non ha la stessa arrogante sicurezza dell'amico, è uno che ci gira molto più intorno. Non dico che mi ha corteggiata ma quasi, attendendo le mie reazioni. Quando ho cominciato a ridere alle sue battute è stato come spalancargli un portone. Dimenticavo: limitarsi con l'alcol è necessario, ma in situazioni così fingere di essere sotto i suoi effetti è praticamente obbligatorio: scema, puttana e pure brilla. Boys, che volete di più?
Adesso, alle cinque di mattina, lo specchio mostra una ragazza vogliosa di andare a dormire, non più un'attrice pronta al gioco di ruolo. Non ho rimpianti, però, less than zero. Mi è piaciuto inventare questa Alessia e trasformarmi in lei. Anche mentre scopavo, la mia mente era concentrata su chi ero in quel momento. Una poverina dalla mente semplice, con un grande desiderio di piacere e nessuna responsabilità. Proprio perché dovevo mostrarmi l'esatto opposto di quel che sono, ve l'ho detto, è stato un po' complicato. Ma poiché impersonavo ciò che a volte vorrei davvero essere, è stato anche parte dell'eccitazione. Anzi forse la parte più eccitante. Ricordo cosa ho pensato nel momento esatto in cui ho smesso di succhiarglielo e mi sono tolta le mutandine sorridendogli, in attesa di essere trafitta dal suo cazzo, con le gambe aperte e le calze ancora addosso ma già follemente bagnata: "Magari se fossi davvero così potrei essere più felice, non dovrei affrontare ogni giorno il giudice più severo del mondo". Ovvero, me stessa.
A Roberto, alla festa, ho raccontato un po' di tutto e improvvisando poco: mi ero preparata bene, il personaggio me l'ero costruito con cura. Gli ho detto che sono ad Architettura, ma che è difficile e poi a me non piace studiare. Invece mi piace andare tanto in giro, viaggi e discoteche quando si può. Mi piace la moda e un giorno mi piacerebbe lavorarci, oppure il design di interni. Non ho social aperti (il che, a parte Insta, è pure vero) e sono fidanzata con un giocatore di basket. Ho scelto il basket perché con il calcio rischi sempre di trovare quello che sa vita morte e miracoli di tutte le squadre. Con il basket è meno probabile, ma mi ero comunque documentata sul sito della Virtus scegliendo un giocatore belga (o olandese, boh). Di basket Roberto ne sapeva quanto me, ma è comunque servito a comunicargli che, si sa, un paio di volte al mese il mio fida passa i weekend in trasferta, per non parlare delle coppe.
Il suo "ti piacerebbe vedere dove abito?" un po' mi ha sorpresa. Pensavo che mi avrebbe proposto di accompagnarmi a casa e che in macchina si sarebbe inventato qualcosa, non prevedevo una location così "comoda", a dirla tutta. Comoda e pagata dal papà. Sul divano siamo stati un po' a parlare del più e del meno, forse è stato il momento della serata in cui ho spinto più forte sul pedale della cretina. Un po' era come se volessi fargli capire "che cazzo ci perdi tempo a chiacchierare con una come me, scopami", ovviamente senza dirglielo: la perfetta scema si accorge delle conseguenze delle sue azioni solo quando è troppo tardi, e magari se la stanno già sbattendo. La mia idea almeno era questa. E a proposito di idee, ne avevo scartata una che però, quando mi era venuta in mente, mi era parsa eccitante e geniale. Tipo dirgli "no ti prego, non mi scopare" verso... uh, diciamo tra l'ottava e la decima spinta. Innanzitutto perché non ero certa di dove sarei stata, tra l'ottava e la decima spinta. E poi perché, dai cazzo, mi sarei vergognata a essere proprio così imbecille. A tutto c'è un limite.
Lui ha dapprima tentato qualche approccio morbido, baci inframmezzati dai suoi whatsapp a chissacchì (poi l'ho capito, Dome), da un paio di shot e dai miei "no, dai, sono fidanzata", resi poco credibili da ciò che la mia lingua e le mie mani facevano e dalla voglia che i miei occhi esprimevano (sì esatto, quella voglia lì). Ma solo quando mi ha proposto di "vedere la casa" - molto piccola, in pratica mi ha portata subito in camera da letto - è partito all'attacco. Anche in questo caso la scusa gliel'ho fornita io, apposta: "Mi hai fatta bere troppo", "vieni, stendiamoci un po' qui, sono stanco anch'io". Credevo che se ne fosse accorto alla festa, mentre mi scatenavo nei balli, e invece solo in quel momento ha realizzato che le calze che indossavo non erano collant ma autoreggenti: l'ha sottolineato con un certo entusiasmo e da quel punto in poi è come impazzito completamente (il potere di una striscia di pelle nuda sopra le balze siliconate, eh?) e anche se per un po' ho "resistito" ho avuto tutto il tempo la sua mano fissa sul sedere, senza protestare. Solo una piccola défaillance, che a conti fatti gli avrà confermato una volta di più chi fossi: "Alessia, che bel culo che hai". Manco gli ho risposto, non perché la sua mano sulle natiche mi facesse chissà quale effetto, ma perché il nome "Alessia" mi è scivolato addosso. Chi se lo ricordava più che ero Alessia? Stacci più attenta, mi sono detta.
Poi sono arrivati i baci passionali e quella stessa mano che mi accarezzava le chiappe è finita dentro le mutandine, a trattarmi come la deficiente che volevo essere e come la troietta che sono: "No, fermati", ma senza allontanare il dito dentro di me. "Dai, è solo un modo per stare un po' insieme", mentre mi frullava la vagina con quel dito. Qui è stato arduo, è vero, ma in casi come questi una sedicente scema fa finta di accorgersi di cosa sta per accadere solo quando lui si tira fuori il cazzo. E dopo che Roberto l'ha fatto non c'è voluto molto per arrivare, ormai seminudi, a un livello di conversazione un po' più elevato: "Come cazzo succhi...", "sono brava?".
La prima volta che mi ha infilzata sono venuta subito, quasi fulminea, era troppo che aspettavo. Ho potuto recitare ben poco: "entra solo un po', ok?", "no, dai, non così", "ce l'hai troppo grosso" (era perfettamente gestibile, ma volevo spronarlo). Poi, beh, la Natura ha voluto la sua parte e la mia commedia è finita in stand by. Gli ho riempito la stanza di lagne e di "scopami", e forse lì si è fatto definitivamente l'idea che poteva fare quello che voleva con me. Un altro magari se la sarebbe fatta prima, ma purtroppo non era così sicuro di sé come il suo amico. Però la seconda volta ho goduto anche più della prima e più a lungo. Soprattutto dopo che, mentre gli stavo sopra, mi ha detto "lo vedi che sei zoccola?". Gli ho risposto "sì, sono una zoccola" con il tono di chi riconosce una sconfitta e mi sono lasciata completamente andare. È stato molto bello, è stato come a volte vorrei essere davvero. Leggera, senza un briciolo di pressione addosso, senza nessuna aspettativa su di me, libera da tutto e da tutti, sgravata da ogni ruolo sociale, familiare, accademico. Mi ha ribaltata, mi ha scopata forte e sono venuta di nuovo, stavolta in maniera violenta, incontrollata. Gli ho chiesto di togliersi il preservativo e schizzarmi addosso, lui se l'è sfilato ma ha voluto finire nel culo, nonostante i miei "no, esci, così non voglio". Forse gli orgasmi appena avuti mi hanno aiutata a non sentire troppo dolore ma comunque lo ho odiato, anche se non ho combattuto fino in fondo per impedire che mi sodomizzasse. Non ho mai capito perché a volte faccio così: non voglio ma resto quasi inerte, glielo rendo facile.
Dopo un po' però ho persino smesso di oppormi blandamente, ho ceduto a lui e alla rassegnazione. Credo che abbia scambiato i miei lamenti di dolore per gemiti di piacere, perché insisteva dicendo che ero una troia, voleva sapere se il mio ragazzo me lo mette nel culo e ripeteva a loop la frase più orribile di tutte le frasi del sesso: "zitta, lo so che ti piace”. In realtà l'unica cosa che mi è piaciuta è quando mi ha spruzzato dentro, e non solo perché segnava la fine del supplizio. L'ho proprio sentito, è stata come una scossa calda e bagnata. In quel momento gli ho detto sì, che mi piaceva. Non recitavo, onestamente non potevo pensare a recitare, e comunque, scema o non scema, le mie reazioni sarebbero state le stesse. Ho perso un po’ la testa e gli ho detto cose non proprio irreprensibili, diciamo pure assai poco dignitose. Subito dopo però mi sono ripresa, ho riafferrato il filo della mia messa in scena. Ho fatto finta di chiudermi in me stessa e gli ho chiesto "sei contento ora che mi hai scopata come una puttana?". Una domanda preparata da tempo, magari non proprio per quell'epilogo. Roberto ha riso e poi ha risposto "l'hai detto tu che sei una zoccola, ti piace pure nel culo". Credo che non l'abbia fatto per minimizzare ma, al contrario, con il preciso intento di umiliarmi. O perlomeno di vedere se quella cretina che aveva nel letto fosse in grado di percepire una cosa chiamata umiliazione. Non aveva la minima idea che il suo scherno non mi poteva ferire, anzi, a dirla tutta mi ha eccitata ancora. È stato piacere sessuale anche quello. Un po' particolare, è vero, tutto di testa, ma che si è fatto sentire anche al piano di sotto. Pulsavo dappertutto e quella mignotta della mia fica ne avrebbe voluto ancora. Ma da una parte lui era chiaro che non ne avesse più e dall'altra aveva già avuto ciò che voleva. Sì, certo, avrei potuto dirgli "allora giustiziala con due dita, questa zoccola", però quella sarebbe stata Annalisa, non Alessia.
In serate del genere può capitare di trovare chi se ne frega dei tuoi desideri e dei tuoi rifiuti. Ma in fondo anche questa è stata la prova della riuscita del mio gioco: mostrarmi così deficiente lo ha portato a non avere nessun rispetto. Né prima, né durante e nemmeno dopo, visto che si è disinteressato quasi subito di me, ha preso il telefono e ci ha smanettato mentre io mi riprendevo. Poi, quando è andato in bagno, ne ho approfittato per vedere se il telefono fosse bloccato da un codice.
La chat tra lui e Dome era cominciata quando eravamo ancora nel locale:
"Sta troia te la sei scopata? Mo me la porto a casa".
La risposta credo che invece sia arrivata quando eravamo già sul divano a pomiciare:
"Una pompa da paura, quella ha fame beato te che hai una casa".
"Le faccio pure il culo".
"Fatti dare il numero che ce la ripassiamo".
"Peccato che sia così stupida".
"E mica ci devi fare conversazione".
L'ultimo messaggio di Roberto, quello inviato prima di andare in bagno, era senza risposta. Dome dormiva, o verosimilmente lo stava facendo assaggiare a qualcun'altra.
"Avevi ragione".
"Ti va se una sera ci rivediamo? Magari viene pure Domenico". Non gli ho risposto né sì né no, ho detto "vediamo" e sono uscita di casa. Non mi ha nemmeno accompagnata in strada ad aspettare il taxi.
Mi sento come un'attrice di teatro che ha terminato il suo spettacolo. So già che è finita qui, che a letto non mi masturberò. La cosa mi alletta, soprattutto ripensando al modo in cui sono stata considerata e usata da Dome e da Roberto, ma sono troppo stanca. Magari lo farò domattina o magari dopo che uno dei due mi avrà cercata e io gli avrò bloccato il numero. E poi sta proprio cambiando il mio mood. È come se il cotone che rimuove gli ultimi residui di trucco mi facesse piano piano tornare in me. Lo uso di rado, giusto il lipstick, qualche volta il rimmel, ma sorrido pensando che si tratta comunque di un make up piuttosto costoso, dubito davvero che la commessa di un minimarket biologico se lo possa permettere. Mi do l'ultima sciacquata alla faccia e mi guardo allo specchio, sono di nuovo io. La visione della vera me stessa mi fa crollare.
Vivo sottosopra, come la sabbia di una clessidra. Il giorno e la notte si alternano, così diversi tra loro come le mie personalità. Mi spingo sempre avanti, senza sapere cosa c'è.
Non posso tornare indietro, non c'è nessuno per cui valga la pena tornare indietro. Nessuno cui mi interessi davvero chiedere se si ricorda di me o se mi ha dimenticata, non più.
La luce del bagno si spegne. Mi spengo io. È un sogno o è realtà? Questa immersa nel buio è casa, dove vivo, da dove fuggo, dove torno. Sono destinata a fuggire e a ritornare per sempre?
Posso desiderare quello che non ho mai detto a nessuno? A nessuno ho mai detto “tienimi”. E nessuno mi ha mai cercata tanto a lungo per dirlo a me.
Se fossi capace di autocommiserarmi piangerei. Molto. Chissà se tra tutti quelli che ho preso e scartato ce n'è mai stato uno che avrei dovuto tenere. Ne sarei stata capace? Chissà, forse ora sarei diversa.
E chissà come sarebbe, se fossi diversa. Felice, allegra e stupida come Alessia andrebbe bene.
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