Cento parole, anche meno

di
genere
etero

Una parabola bianca che faccio appena in tempo a intercettare con la coda dell'occhio prima che precipiti, prima di richiudere gli occhi. Per qualche secondo resto così: affannata, tremolante, vuota. Alle mie spalle un fruscio leggero, in sottofondo il persistente beat. Schiaffetto sul sedere, ahi. Lo scatto della serratura, il rumore della porta che si apre. Il volume ora è molto, molto più alto.

What is love?
Baby, don't hurt me
Don't hurt me no more

Hands up & get lost into the groove. Inebetita, frastornata e ancora non mi basta. Nel battere ossessivo delle drum machine e dei synth bass inseguo la connessione mistica con il Nulla, muovo la testa come se volessi finire di svuotarmela. Del resto, quello che ho buttato giù prima insieme al vodka tonic serviva proprio a questo, a svuotarmi la testa. A resettare le sovrastrutture.

Stasera ho voglia di essere "quella" me: voi non lo sapete, nessuno lo sa, ma tra tutti questi nessuno c'è magari un qualcuno. Chiunque sia.

No, non chiunque. Sono troppo high quality almeno per i tre quarti di tutti loro. Fauna maschile e fauna femminile. Ridotto all'essenziale: cazzo/fica. Volgare? Sì e allora? E poi stanotte non importa, stanotte non ho preferenze. Una testa vuota non ha preferenze, è l'istinto che mi fa selezionare.

Smetto di girare sull'asse di me stessa, alzo le braccia, alzo la testa e guardo davanti a me.

Moi je l'ai vu, mais c'est la vie
Il m'a pas connue, je n'ai pas cru
Hier, j'ai rêvé qu'il m'a touchée.

Quello l'ho visto prima, vicino all'entrata. Canotta strategica per definire qualunque muscolo dalla vita in su vi venga in mente, a parte due deltoidi così e le linee dei bicipiti sembrano disegnate con un carboncino. Altezza giusta e capello scolpito, non troppo. Giurerei che ha un tatuaggio nascosto. Da qui non si apprezza, ma tanto la risonanza magnetica gliel'ho fatta prima: ha degli occhi di un verde smagliante e complessivamente l'aria di uno che ti sbatte al muro, se è il caso. L'ho osservato a lungo, non s'è nemmeno voltato.

Quella lì invece è la ragazza più bella sulla faccia della terra. Bellezza esotica e perfetta. Essere fregna è un conto, perfetta un altro. Io sono fregna ma almeno un punto debole ce l'ho, pure due. Per giocare in Champions League bisogna invece essere perfette. Quella ci gioca, e mi sa che la vince spesso. Tipo Real Madrid.

Lo sta puntando, è evidente. Lo sta puntando in quel modo in cui non se ne accorge nessuno tranne il diretto interessato. Sempre che non sia un coglione, ovviamente. E tranne quelle come me, ovviamente.

J'aimerais bien t'embrasser
Mon chéri, ne bise pas l'autre fille
Mon chéri, ne baise pas l'autre fille
Joli garçon.

Sticazzi, ne trovo cento.

Sticazzi, forse non mi va nemmeno più di trovarli. Forse ci ho ripensato e stanotte ho voglia di tornare a casa in ambulanza. Il pavimento trema, il remix di Avicii è un po' too much loud, chiudo gli occhi e ruoto ancora su me stessa per disorientarmi. Non ho più voglia di vedere quello che sto vedendo.

Ipnotizzata dal ritmo e dalle luci, fanculo al mondo, presa alle spalle nella danza. Due mani indiscutibilmente maschili bloccano il mio lento turn around e mi impongono movimenti diversi. Le lascio fare. Del resto, quello che ho buttato giù prima insieme al vodka tonic serviva proprio a questo, a lasciar fare. Sono disponibile a essere condotta, quindi conduci. Avvicinati, il tuo davanti contro il mio didietro, dalla schiena al sedere. Muoviti, strusciati, ondeggia, mi piace. Del resto, quello che ho buttato giù prima insieme al vodka tonic serviva proprio a questo, a essere disponibile e a farmelo piacere.

Conosco l'incertezza che non mi fa voltare. I primi momenti sono i più importanti. Se lo asseconderò o lo respingerò non sarà per le parole, la simpatia, la brillantezza. In questi momenti non dai retta alla ragione, soprattutto se la ragione l’hai sedata. Darò retta solo ai miei occhi, al mio olfatto. Ed ai miei occhi piace ciò che vedono, il mio olfatto è attratto da ciò che sente. Il verde smagliante delle sue iridi, il mix del suo deodorante e del suo sudore. Mi basta un sorriso tossico per dire "sì" e per perdermi nella musica e nel ritmo in cui sono già persa, le sue mani sui miei fianchi e il suo corpo contro il mio. Non chiedo niente, non dico niente. Nomi, storie, provenienze non hanno alcun senso. Tutti quelli intorno a me, i miei amici, le mie amiche, quelli che ci hanno provato, quelli che ho rimbalzato, quelli che mi hanno messo le mani sul culo, sono un tutto indistinto, adesso. Di sicuro qualcuno mi odierà, qualcun'altro mi chiamerà puttana. Anche la bellezza esotica e perfetta stinge nella massa, come se ne fosse inghiottita, fagocitata. L'ultimo pensiero lucido è per lei: vattelappijànderculo.

Stretti e curvilinei, sinuosi e coordinati siamo a lungo una cosa sola, fin quando lo sento più vicino ancora, se possibile, che sembra voglia annusarmi il collo e i capelli da dentro la pelle.

Hands up su questo pezzo, HANDS UP!

Joli garçon, aime-moi

Ne dis pas au revoir .

È come un segnale, alzo le braccia nella danza lasciando le sue mani libere di esplorarmi: fianchi, ventre, seni. E di sentire i miei piccoli capezzoli indurirsi, protetti da null'altro che dal leggero tessuto della camicetta, le sue mani sono come un bra. Sono attraversata da brividi, sento la sua lingua sul collo e altri brividi ancora. Sento il bottone arrendersi e le sue dita sulla pelle, sento il possesso, sento per la prima volta la sua voce direttamente su un timpano: "Vieni".

Intrecciati per le mani lo seguo fino a un angolo dove i laser arrivano una volta ogni tanto. Baci e dita che passano tra i capelli, lingue e saliva. Stringimi, lasciamo che i nostri corpi si conoscano e che i nostri desideri crescano. Fino a sentirlo infilarsi sotto la gonna, giocare al gioco della conquista. Fino a miagolargli "sì" sulle labbra quando un dito scosta le mutandine e mi penetra. Lo sapevo che dovevo lasciarle a casa, invece le ho scelte pure con tanta cura, come una scema. La delicatezza con cui mi accarezza una chiappa e la forza con cui d'improvviso la stringe sono dure da descrivere. E poi non capireste mai fino in fondo, a meno che non l'abbiate provata. I polpastrelli sono come una calamita che accende e richiama a fior di pelle ogni recettore, anche se hai il cervello spento è il corpo che reagisce. Le dita sono una morsa che afferra, stringe e imprigiona come se fosse roba sua. È una cosa che si fa fatica a chiamare "piacere", tanto è insostenibile.

L'istinto: ricambiare la sfacciataggine di quelle mani. Lo sento cresciuto, lo sento crescere ancora. Anche questo piacere è duro da descrivere, duro come lui. La voglia di giocare mi investe, le mie labbra si staccano dalle sue per sussurrargliela all’orecchio.

- Voglio farti un pompino, ora.
- Voglio scoparti.
- Non ho voglia di scopare.

Mi penetra ancora un po’, stringe ancora un po'. È difficile accettare il distacco, vorrei tutto nello stesso momento e adesso. Mi dice "vieni" per la seconda volta, e per la seconda volta lo seguo tra i corpi danzanti, stonata e ridacchiante, eccitata. Del resto, quello che ho buttato giù prima insieme alla vodka tonic serviva proprio a questo, a lasciarmi trascinare, a stonarmi, a eccitarmi. A saltare l'inutile convenevole del "beviamo qualcosa", lo stupido corteggiamento del "sei molto bella, sai?", l'ipocrisia del "ci mettiamo da qualche parte?". Sono un format e voglio esserlo: disco bitch.

La soglia la varco io per prima, introducendo Joli garçon alla presenza di ragazze sorprese che ridono, aspirano dagli schermi dei telefoni, protestano o minacciano di chiamare la security. Lo bacio per non dover rispondere agli sguardi e aspettando che un box si liberi. Voglio vedere il suo tatuaggio nascosto, lo voglio leccare. Mentre lui chiude la porta vola un "ma guarda te sta troia", ma forse sono io che lo desidero e me lo immagino soltanto.

Se c’è qualche lettore di sesso maschile che pensa che i ladies siano più puliti dei gents rifletta, io mi limito a qualche piccola suggestione: vomito, fazzolettini sporchi, assorbenti gettati dove capita, domopack usati e non usati, etichette di indumenti intimi, se non addirittura mutandine vere e proprie.

Col cazzo che mi ci inginocchio. Ma forse per il cazzo potrei.

We found love in a hopeless place
We found love in a hopeless place.

Turn around and bend over, mano sulla schiena. “Mi vuoi scopare?”  Che domanda del cazzo, Annalì, te l’ha detto prima che ti vuole scopare. Le sole cose che ha detto sono “voglio scoparti”, e poi due volte “vieni”, ma non in quel senso. Che risposta ti aspetti?

Una risposta tipo "mo te sfonno" sarebbe gradita.

E invece: spinta sulla schiena un po' più forte, per farmi piegare un po' più verso il basso e ingoiare lo schifo di mettere una mano sulla ceramica: ma che cazzo ci hanno rovesciato sopra? La gonna sollevata e le mutandine abbassate, un dito come antipasto, il rumore di una bustina strappata, probabilmente con i denti. Uh, cazzo, sì! Oddio è bellissimo. Il mio ridondante “sì, fottimi" mentre lui si ritrae e affonda già da un po’. Fine delle trasmissioni: niente domande “ti piace/lo senti il mio cazzo?”, niente bestemmie seguite o precedute da un “quanto sei troia”. Solo i suoni del sesso sbattuto, mani sulle anche e i miei “così… bravo, dammelo tutto”. Anche questi non so se li ho soltanto immaginati.

Le sue ultime spinte per riempire il preservativo ancora un altro po’ sono il finale di sempre, esce senza fare un fiato, così com'era entrato. "No, non smettere".

Vuota, la chiappa che brucia per lo schiaffo. Ripercorro la traiettoria di quella parabola bianca che ho visto con la coda dell'occhio: un preservativo pieno di sperma sul pavimento. Quant'è curioso il contrasto tra come è afflosciato ora e la durezza che conteneva. Quella volta che quel figlio di puttana me l’ha svuotato in bocca non riuscivo a smettere di ridere. Stavo peggio di così, ridevo per qualsiasi cosa. Adesso invece un po' di presenza a me stessa ce l'ho.

Giurerei che si è tirato su i pantaloni.

Il volume della musica ora è molto, molto più alto. E così rimane. Joli garçon, non è che me ne freghi tanto, ma almeno la porta potevi chiuderla.

Quanto? Qualche secondo. Poi qualche altro secondo ancora, perché camminare con le mutandine alle ginocchia non è facile. È strano come mi preoccupi più di non sbrillentarle che di rendermi ridicola di fronte a queste due. Che c'è da ridere? Sì lo so, ho appena preso cazzo. E allora? Forse vi sarebbe piaciuto, ci scommetto che vi siete bagnate solo a guardarlo mentre se ne andava.

L'ho girato il gancio? Da fuori si vede il segno rosso? Se l'ho fatto è stato un secondo fa e già non lo ricordo. Tengo la porta chiusa con la mia schiena, con il mio peso. Basterebbe una spinta energica a farmi finire con la testa direttamente dentro il water. Che poi sarebbe il posto suo.

Anche se ovattata la sento. Come on! Hands up su questo remix, HANDS UP!

Le mie mani corrono invece dentro la camicetta e sotto la gonna. Ne ho bisogno, non posso restare così.

How deep is your love?
So tell me, how deep is your love?
Can it go deeper?

Come il suo cazzo? Come le mie dita?

Due parole per ricordarmi la sua voce: "Vieni. Vieni". E mi ha scopata, santiddio come mi ha scopata. Due dita per ricordarmi il suo cazzo. Cazzo cazzo cazzo, più forte, non ti fermare Joli garçon, aime-moi, ne dis pas au revoir.

Manco me l'ha detto, au revoir. Mi ha lasciata co' sta troia lunga lunga e la mini rossa di strass che mi sorride e mi deride da uno specchio, ma si vede che pure lei è strafatta: "T'è bastato? O vuoi farti un altro giro?". "No". "A casa è un’idea che ti è passata per la testa, ricordi?". "No, ma se lo dici tu sarà vero. Però ora non mi va".

How deep is your love?

Is it like Nirvana?

Hit me harder again.

Apro gli occhi e il primo pensiero è: dove cazzo sono? Sdraiata sul sedile reclinato di una macchina, ecco dove sono. Il resto viene da sé: una volta che hai agganciato il cervello a qualcosa di concreto è tutto più facile. Diciamola meglio: ogni cosa sarebbe più facile, adesso non tanto. Con il passare delle ore lo diventerà. Prima o poi riuscirò a mettere insieme anche questi pezzi, a ricordare tutto. O quasi.

Annalì, fa’ uno sforzo. E invece no, non me ne frega un emerito cazzo neanche di fare uno sforzo. E poi non servirebbe a nulla, a volte la seconda dose fa di questi scherzi, sono una tossica di merda. Ogni volta penso a quelli che si vantano di saperla lunga e ti dicono che il sesso è la sensazione migliore: fidati, me le sono fatte tutte, il sesso è la droga migliore. Peccato che te lo dicano quando non hanno preso nulla e tu sì, lo dicono quando ti vogliono scopare e ti scopano. "Ti prego non mi inculare", "dai che ti piace". Come fai a credergli?

Non è che non ricordo proprio nulla, è una via di mezzo tra non ricordare nulla e ricordare troppo e in modo troppo affastellato. Un groviglio. Ma andrà a posto da solo.

Auto test, ho imparato che è bene farselo: occhi aperti, ricordo come mi chiamo, cosa faccio, cosa sento in questo momento. Ho la testa come un pallone. Cazzo, sono vigile. Cioè, non esageriamo.

Localizzazione: chissà chi me lo fa fare, eseguo un crunch addominale di una certa difficoltà e mi rialzo a sedere. Benedetta palestra. Guardo fuori dal finestrino.

Non so se è la foschia che vela la luce dei lampioni oppure sono io che ho lo sguardo annebbiato. Do un'altra occhiata fuori, per sicurezza, ma in realtà non ce n'è bisogno. Non c'è bisogno di Google Maps, riconosco il quartiere. Le palazzine costruite su colonne di cemento, come moderne palafitte. È una zona molto umida, il fiume non è lontano. È foschia.

Sopralluogo interno: volto la testa dall'altra parte, ho il collo un po' intorpidito. Sul sedile del guidatore, reclinato al massimo come il mio, un corpo maschile, vestito. Come me, del resto, ci faccio mente locale ora. Mi passo le mani addosso, un po' alla cieca. La gonna è al suo posto, la camicetta pure. Magari un po' stropicciata, verificherò, e con diversi bottoni aperti. Una tetta è fuori, me la ricopro istintivamente. Riporto lo sguardo sul tipo accanto a me. Se non fosse per il suo ronfare leggero, potrebbe tranquillamente essere morto. Giace in una posizione contorta, innaturale: gambe e bacino sono sistemati correttamente, come se dovesse guidare. La parte superiore del corpo no, è voltata verso di me di quasi novanta gradi. Messa anche peggio è la testa, ruotata ancora di più, la bocca è praticamente aperta sopra la pelle del sedile. Sedili in pelle, figa sta macchina, chissà che è. È una Mercedes, non mi chiedete il modello ma riconosco la stella.

Come cazzo fa a dormire in questo modo? Non sta scomodo?

Il peso che avverto sulla coscia è la sua mano. È appoggiata in un modo che non ha nulla di sensuale, direi piuttosto protettiva. Tra tutte le immagini che potrebbero venirmi in mente salta fuori la più idiota: sembra un pater familias di Pompei cementificato nell'atto di difendere la sua sposa. Non mi venite a dire che anche voi non fate di tanto in tanto questi pensieri assurdi perché non ci credo. Prima o poi devo tornarci, a Pompei. E fare pace con i ricordi di quella gita scolastica.

Sposto lo sguardo più in basso come l'occhio di una videocamera. Nella stessa inquadratura: un preservativo semi incastrato sul blocco del cambio automatico, i suoi pantaloni sbottonati e la patta spalancata; sotto, delle mutande che potrebbero essere azzurre, un pacco apparentemente ben pronunciato, ma poi vattelo a ricordare...

Ok, abbiamo scopato, mi pare evidente.

Check it out now, viene il bello: chi cazzo è questo qui? Va bene che faccio fatica a ricordare i nomi, ma quelli con cui scopo me li ricordo, almeno per un certo tempo. Tempo, è solo questione di tempo, so come funziona. La memoria tornerà a frammenti.

Vorrei vederlo meglio, qui dentro è più ombra che luce.

Perlustrazione del sedile posteriore: il mio giubbino, la borsa, una giacca maschile. Apperò, è un tipo da giacca... Prendo il telefono, accendo la torcia, gliela punto sul viso. Obiettivamente, l'operazione di riconoscimento è difficile. Gli vedo solo mezza faccia e il naso è schiacciato contro il sedile. Conciato in questo modo non è esattamente Chris Hemsworth, ma sospendo il giudizio. Forse non ricorderei nulla comunque.

Lo so, potrei cercare il portatessere dalla giacca, ammesso che lo tenga lì, e prendere la carta di identità, la patente… che ne so, qualcosa che abbia un nome e una cazzo di foto. Non pretenderete mica che lo faccia, vero? A che servirebbe? Già sto rincoglionita di mio, e poi non sono mica Kay Scarpetta. Basta, ricerche sospese, non faccio nulla, ho la testa vuota e gonfia, non penso a un cazzo. Quanto ci sto? Boh.

Torno a esplorarlo a figura intera. Camicia scura, figa, fuori dai pantaloni. E anche i pantaloni devono essere di quelli fighi. Ok, i pantaloni, la patta spalancata, le mutande azzurre. Riprendo il telefono, illumino. Il rigonfiamento pende verso destra. In corrispondenza della fine c'è una macchia che, a meno che non sia incontinente, è inequivocabile. Illumino il preservativo: cavolo, bel botto, complimenti.

Non l'ha nemmeno chiuso o buttato dal finestrino, ma ha fatto in tempo a rimettersi l'uccello nelle mutande. Poi deve essere svenuto. E quella macchia sui boxer significa che non gliel'ho nemmeno lucidato. Strano. Devo essere svenuta anch'io.

Avrei duecento cose da fare, è vero, ma faccio questa: mi abbasso un po’ di più e annuso, metto proprio la punta del naso sulla macchia e aspiro, lo scopro e aspiro meglio. Non ho nessuna pulsione sessuale, nemmeno mezza. C’è solo il piacere di sentire il profumo di maschio, tutto qui. Un po’ come quando passate davanti a una pasticceria: se vi offrissero un bignè non accettereste, non vi va, ma è bello gustarsi l’odore.

E in ogni caso, anche a riposo, bell'attrezzo amico mio, chiunque tu sia. Chissà se l’ho succhiato, probabile, quasi certo. Da un certo punto di vista è un peccato non essere andata fino in fondo, tutto quello sperma meritava una destinazione migliore di un preservativo. Anche se poi, buh, magari in precedenza gliel'ho pure fatto, che cazzo ne so. Magari cinque minuti dopo averlo conosciuto. In bocca non sento nulla di particolare. Anzi sì, ma non proprio in bocca. Ho la gola secca, devo avere esagerato con le ciospe, mi sa.

Spengo la torcia del telefono, tap sullo schermo. No, cazzo: cinque e cinquantasei. "Non faccio tanto tardi" vs. "se ti presenti per colazione almeno avverti, ché dormiamo tranquilli". Se non mi svegliavo arrivavo per pranzo. Non ho voglia dell'ennesima sbroccata dell'ennesima domenica mattina.

Cazzo, svegliati, riportami a casa. "Oh! Ehi! Sveglia! Coso!". Questo è proprio andato, forse respira ma è morto. Oh, non puoi ridurti così per una scopata, ma che cazzo hai preso?
 
Una persona normale insiste, è ovvio. Però bisogna essere normali. Perché dal punto di vista del tempo, ma direi pure da ogni altro punto di vista, qualsiasi cosa è meglio di ciò che sto per fare io: recupero giubbino e borsa, apro lo sportello, scendo. Esatto, me la faccio a piedi, alle sei di mattina. Tanto, da qui a casa sarà una mezz'oretta. Cazzata, ci metterei una mezz'oretta se me la facessi di corsa con le Adidas e l'abbigliamento da running. Con i tronchetti e questa mini, almeno il doppio. Almeno. È chiaro che non connetto. Però mi sembra lo stesso un'idea grandiosa.

Ma porca troia, perché sono venuta a dargliela proprio qui? Come ci siamo finiti? Magari lui ci viene per abitudine, magari abita qui vicino. Magari eravamo entrambi così schiodati che abbiamo deciso sul momento, mentre passavamo da ste parti.

Niente, non me lo ricordo, anche questa è una parte della notte di cui non ricordo un cazzo. Vabbè, ma saperlo che mi cambia? Siamo qui, che importanza ha come ci siamo arrivati? Prima o poi mi verrà in mente anche questo.

Guarda te su cosa cazzo devo esercitare la mia logica.

Tonnellate di guano per terra. Non vorrei riceverne altro in testa. Corricchio stando attenta a non scivolare. Proprio il classico passo da jogging, eh Annalì? Una con giubbino, mini e stivaletti che zompetta come se fosse sulle uova. Me lo dico da sola quanto devo essere ridicola. È serata: quelle troie che mi guardavano, le mutandine alle ginocchia, ero ridicola, la porta sbattuta in faccia, due dita dentro di me.

Ah già, Joli garçon. Messa a novanta sul water, gli avevo detto che non volevo. "Piano! Cazzo quant'è grosso!".

Lampione raggiunto senza danni, mi guardo intorno. Non proprio una grande idea. Devo togliermi da sto lampione, non c'è nessuno in giro però chiunque passi mi prenderebbe per una mignotta, di quelle professioniste voglio dire, con tutto il contorno di "abbella, quanto voi?", "ehm, no, guardi, c'è un equivoco...". Seconda cosa, dove cazzo sta l'Auditorium? A Roma ogni cinque metri c'è una freccia che indica l'Auditorium e qui no? Ma perché? Non mi oriento, non mi sono mai orientata da queste parti, è tutto uguale, come fa la gente che abita qui a non entrare in casa di qualcun altro? Cerco le luci, scruto in giro, lo vedo, deve essere quello, mi avvio su un marciapiede dissestato. Faccio non più di trenta metri e inciampo su qualcosa. La prima volta me ne fotto, la seconda no. Mi guardo i piedi, cazzo. Agganciate alla caviglia, mi sto trascinando appresso un paio di mutandine. Nere, di pizzo. La foga, è chiaro, non devo averle tolte bene in macchina. Infilarmele, nemmeno per idea. Dovrei raccoglierle e metterle in borsa. Troppa fatica. La cosa più intelligente ed economica da fare è invece lasciarle lì sull'asfalto. Parlo di economia dei movimenti, ovvio. Dal punto di vista delle finanze è un gioco a perdere, erano pure di un certo livello. Lo sapevo che dovevo lasciarle a casa, invece le ho scelte con tanta cura, come una scema. I cento metri successivi li percorro istericamente pensando come sempre alla faccia di colui o colei che le troverà.

Shot di memoria: incombe, mi schiaccia, spinge. Faccio fatica ad aprire bene le gambe. "Piano! Cazzo quant'è grosso!", "Te piace, eh?". Direi che Mister-quanto-ce-l'hai-grosso non era Joli garçon, era il secondo. Non ci pensare, cammina.

Fitta improvvisa: non mi avrà mica sodomizzata quello stronzo? No, non credo. Forse un dito, magari gliel'ho chiesto io. Non ci pensare, cammina.

Shot di memoria: canotta bianca e occhi verdi smaglianti. Poche parole - vieni, ti voglio scopare, vieni - ma fatti concreti. Però ha sborrato troppo presto. E quello che è rimasto in macchina? Come? Quando? Non ci pensare, cammina.

La luce, il piazzale dell'Auditorium, il deserto metropolitano, i tacchi fanno un rumore assurdo. La salita buia e solitaria dove si sente l'odore del maneggio (mai capito dove stiano i cavalli), ma in fondo sono solo cento metri. Vado. In giro non c'è nemmeno una macchina della Vigilanza. Chissà poi che ci devo fare con la Vigilanza, magari trovo un matto e per di più armato.

Al semaforo lo slargo da attraversare mi sembra immenso, ma almeno siamo ai confini della civiltà: hic sunt Parioli. Beh, a quest'ora quei simpatici ragazzi con le Louboutin ai piedi che ti mettono il Ghb nella vodka e poi ti si battono in otto dentro un privè avranno altro da fare, no?

Attraverso l'incrocio, scelgo il lato meno pericoloso. Ma è pur sempre tanto tanto buio. Come si fa a essere terrorizzate e a non fregarsene di un cazzo? Se non lo sapete, ve lo dico io come si fa: come sto facendo io adesso. E visto che ci siamo, vi dico pure come è una walk of shame: l'unico interesse è il passo successivo, mi fanno male i piedi. No, ok, non solo i piedi. Mi fa anche un po' male lì.

Passano due macchine veloci, trattengo il respiro. La mini rossa e pure con gli strass, ma perché cazzo non mi sono messa un bel total black stanotte, passamontagna compreso? I miei passi sul marciapiede fanno un fracasso infernale. Ho l'incubo di auto che accostano, vieni che te ce portamo noi a casa, prima però famo un salto al parcheggio dell'Aquaniene, ahò, questa 'n c'ha manco le mutande.

Questa manco c'ha le mutande... Però m'è rimasto il reggiseno a casa, no? Controllo in mezzo alla strada, porca troia, ho dimenticato di abbottonarmi, avrò camminato un chilometro con la camicetta spalancata e le tette quasi di fuori.

Shot di memoria: "Ahahahah non mi stai portando a casa", "Dai facciamo un giro, ok?".

Shot di memoria: "Quello che ti pare". Restare, andarsene, tornare a casa, mollarmi lì. Quello che ti pare, anche quello che stai facendo adesso. Mi stai toccando ovunque davanti a tutti, seduta sulle tue ginocchia. Mi piace? Sì, no, non lo so, neutro. Non ti sento quando parli, c'è troppo rumore, fa' il cazzo che ti pare. Del resto, la seconda calata serviva proprio a questo, a farti fare il cazzo che ti pare.

Chissà che roba era, non un granché, sennò col cazzo che mi svegliavo.

A proposito di cazzo, questa è piazza Santiago del Cazzo, non ci stanno più i taxi qui? O è quell'altra piazza? Però chiamare un taxi, perché no? Chissà perché le idee migliori mi vengono sempre quando penso al cazzo.

- Dio che mazza che c'hai...

Questo d'improvviso lo ricordo bene, come fosse appena successo. Duro, dritto, con la punta scoperta che svettava verso l'alto. Yummm. Seduto lui, in ginocchio io. Dove eravamo? Dov'era sparito tutto quel rumore? Avrà detto "succhia"? Avrà detto "famme 'na pompa"? Mi ha chiamata Annalisa, lo ricordo. Conosceva il mio nome.

Ma lui come si chiamava? Madonnina mia, domani risparmiami telefonate imbarazzanti: "Ciao, sono Tizio", "Chiii?", "Tizio, ti ho scopata stanotte al Villaggio Olimpico".

Chissà se mi parlerebbe così, dopo tutto quello che c'è stato tra noi. Che c'è stato tra noi? Un bocchino e una scopata. E basta? Chissà se mi parlerebbe proprio. Magari domattina gli faccio schifo. Stamattina, Annalì, è quasi l'alba. Ma è possibile che ricordi solo tre parole e per di più dette da quell'altro?

Ah no, ha detto "dai-facciamo-un-giro-ok". Wow.

E ha detto anche "ferma, ferma, arriva qualcuno". E io ho risposto "e sticazzi?" con il suo sapore in bocca.

"Come si tira giù sto sedile?", "Faccio io". Ma non eravamo più lì.

Ho il ricordo di una pomiciata dentro un portone che era molto più di una pomiciata. Sono quasi certa che era stasera. Forse.

Tutti i cocci torneranno al loro posto e, quando avrò finito di incollarli, me ne avanzerà uno.

Vaffanculo 39 in cinque minuti.

"Cinque minuti? Non si può fare prima?".

Sì vabbè, sto a parlà co' 'na macchina.

Shot di memoria: stesi su due poltrone una di fronte all'altro, mani che percorrono le cosce: "Cazzo quanto sei lunga", "sei tu che non sei abbastanza alto", "ce vieni spesso qui a fa' la mignotta?", "no, lasciami, non mi va, lasciami, MOLLAMI CAZZO!". Snapshot di una nottata devasto. Non era Joli garçon, e nemmeno Mister-quanto-ce-l'hai-grosso. Forse non era nemmeno stanotte. Lo stronzo è da contratto, la sbroccata isterica pure. Vedremo.

Yellow diamonds in the light
Now we’re standing side by side.

- Buongiorno, grazie.
- Buongiorno.

Madonnina bella, ti-prego ti-prego ti-prego, silenzio. Niente battute tipo "se semo scordate d'annà a letto, signorì", ok?.

Indirizzo. Silenzio.

As your shadow crosses mine
What it takes to come alive.

Rimontaggio logico e cronologico.  

Vieni.
Voglio farti un pompino, ora.
Voglio scoparti.
Non ho voglia di scopare.
Vieni.
Mi vuoi scopare?
Sì, fottimi.
No, non smettere.

Quello che ti pare.
Dio che mazza che c'hai...
Annalisa.
Ferma, ferma, arriva qualcuno.
E sticazzi?
Ahahahah non mi stai portando a casa.
Dai facciamo un giro, ok?

Qui va bene.
Come si tira giù sto sedile?
Faccio io.
Dio, hai un uccello enorme.
Certo che ce l'ho un preservativo.
Devi baciarmi quando entri.
Piano! Cazzo quant'è grosso!
Te piace, eh?
Oddio! Così mi sfondi! Sì, così! Vengo!
Vieni! Vieni! Vieni!
Oh! Ehi! Sveglia! Coso!

Novantasette, non pensavo che fossero così tante ma comunque non arrivo a cento parole. Compreso il mio nome, una risata e i sinonimi di "cazzo" e "scopare". Ma sono meno, se si annullano le ripetizioni.

E a proposito: "Vieni!" con punto esclamativo batte "Vieni" senza punto esclamativo tre a due.

Mancano gli insulti, ma magari da Mister-quanto-ce-l'hai-grosso qualche "troia" me la sono beccata e non la ricordo.

Tutto tornerà in mente. Tutto tornerà al suo posto.

We found love in a hopeless place
We found love in a hopeless place.

scritto il
2024-09-18
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