Servizio a domicilio
di
lerry
genere
etero
Preambolo
L'ho conosciuta durante il lockdown, in primavera. Ero riuscito a tornare in città da Napoli, dove frequentavo l'Università, partendo all'indomani dell'annuncio del Presidente del Consiglio circa la chiusura del grosso delle attività e del divieto di spostamento, e trovando ricovero in un bilocale malmesso ereditato da una vecchia zia. La solitudine e la noia avevano fatto strame di me già nella prima settimana di clausura, allorché colsi al volo e con rivitalizzante entusiasmo l'opportunità di lavorare come fattorino presso il Conad. La signora DeBellis era una delle numerose clienti che servivo quotidianamente, una delle tante di cui non conoscevo nemmeno il viso, lasciandole la spesa fuori la porta della villetta, sul tavolo di legno sotto al porticato. Poi, un giorno di fine aprile, ecco che accade quello che nelle storie viene chiamato esordio, ovvero la rottura dell'equilibrio iniziale e l'inizio di una serie di eventi da quell'evento scaturiti, e così, mentre ero quasi arrivato al cancelletto per andarmene, dopo aver riposto la sporta al solito posto, mi sento chiamare da una voce femminile, flautata ma al tempo stesso perentoria.
1° movimento
- Ehi, scusa... ragazzo... - Mi volto e, da dietro una siepe, vedo una testa dai capelli biondi e ricci, il viso ovale, occhi azzurri, labbra rosse...
- Mi dica, signora, - rispondo ossequioso e istintivamente sugli attenti.
- Voglio darti una mancia, se non ti dispiace... è più di un mese che mi porti la spesa fino all'uscio e, insomma, mi piacerebbe ringraziarti.
- Non deve sentirsi obbligata, signora, è il mio lavoro, - rispondo come si conviene.
- Lo faccio davvero con piacere, credimi. Il vostro servizio è prezioso, tu sei un ragazzo che lavora e che rischia di suo per farmi mangiare, quindi poche storie... dai, avvicinati. - Mi avvicino alla siepe che delimita il giardino e la vedo, in bikini azzurro, seduta su un lettino da spiaggia, la pelle lucida e già abbronzata. Alle sue spalle, il sole sfrangia i suoi raggi sulla superficie blu della piscina. Deglutisco, perché ciò che vedo (le cosce toniche e tornite, i seni gonfi e pieni, il ventre appena arrotondato...) mi piace e immediatamente mi arrapa, gonfiandomi la patta con un'erezione violenta e dolorosa. - Ecco, - dice riponendo il portafogli nella borsa e allungandomi una banconota da 50€, tenendola tra medio e indice, smaltati di verde smeraldo. - Prendili, avanti.
- Ma... signora... sono un po' troppi, non deve... - protesto, effettivamente spiazzato dalla generosa mercede.
- Ho detto prendili, - dice con tono inderogabile, agitando la banconota. - E poi basta con questa signora... - aggiunge ammiccante, - mi fai sentire più vecchia di quanto già non lo sia. Puoi chiamarmi Gloria e darmi del tu. Ora prendi questi soldi, per favore.
- Va bene. Grazie, Gloria, - sorrido e le sfilo dalle lunghe dita affusolate le 50 carte, infilandomele nella tasca posteriore dei jeans.
- Oh, bravo... - si sporge lievemente in avanti, mostrandomi meglio il panorama delle tette, e stringe le palpebre, focalizzando lo sguardo sul cartellino che ho assicurato in petto, sulla maglietta griffata Conad, - Larry... ti chiami Larry, giusto?
- Sì, - rispondo arrossendo senza motivo.
- Nome inusuale da queste parti...
- Come i miei genitori, del resto. Mi hanno chiamato come il personaggio di un film.
- Ah, sì? Quale? - chiede divertita.
- "Il grande Lebowski".
- Oh sì, certo! Dei fratelli Coen. Bellissimo film... Ricordo di averlo visto col mio ex marito, ma avrei tanto desiderato che ci fosse Jeff Bridges accanto a me, in quell'occasione, - e ride agitando la mano davanti al viso, come a scacciare la sciocchezza appena detta.
- Ok, signora... cioè... ehm... Gloria... allora io vado. Grazie infinite, è stata davvero gentilissima.
- Figurati. Ti ripeto, l'ho fatto con piacere e riconoscenza, - dice sdraiandosi. Poi, ci ripensa e si tira su sui gomiti: - Hai altre consegne? Adesso, dico... hai da completare il giro?
- In verità, questa era l'ultima prima della pausa pranzo.
- Bene, quindi non ti sto facendo perdere tempo.
- No, affatto.
- Senti, in una delle buste che mi hai portato dovrebbero esserci focaccia e prosciutto... perché non li prendi e buttiamo giù un boccone insieme? Sei la prima persona che vedo dal vivo dopo due mesi, ho bisogno di fare due chiacchiere con un essere umano in carne e ossa. Ho anche due birre fresche qui... - dice indicando col mento un frigo portatile, di quelli che si portano in spiaggia o nelle scampagnate fuori porta.
- Bèèè... - belo tentennante.
- Capisco la tua ritrosia, - interviene Gloria a togliermi dall'impasse, - e hai perfettamente ragione. Ma ti assicuro che sono reclusa in casa da due mesi, non ho avuto contatti con nessuno, nemmeno con mia figlia, che è a Bologna da quando è scoppiato tutto 'sto casino, e poi sono sicura che tu, per il lavoro che fai, sei supertamponato. Quindi, rompiamo gli indugi, - conclude con un sorriso aperto e solare, che scopre i denti bianchissimi e regolari, - e togli pure la mascherina.
- Va bene, - dico convinto togliendomi la mascherina, anch'essa col marchio del supermercato, e restituendole il sorriso, sebbene con tutto un altro effetto, - Vado a prendere la roba sul tavolo, allora.
- Ottimo, grazie! Quando ritorni, segui la siepe e troverai l'accesso. Io intanto stappo da bere.
2° movimento
Copro la distanza che mi separa dal tavolo letteralmente danzando a una spanna da terra. Ciò che sta succedendo non mi sembra vero, un sogno, un sogno di quelli adolescenziali, che quando ti svegli ti ritrovi l'uccello duro come un ramo di teak e le mutande bagnate e tirate a mo' di tenda canadese. A proposito di uccello, penso con un pelo di preoccupazione palpandomi il pacco, cerchiamo di non fare figure di merda - mi raccomando al compare di sotto, che freme e sbatte come una bestia in gabbia (che poi è quello che è, d'altronde). Quando ritorno alla siepe, Gloria non è più sul lettino. Fiancheggio il lauroceraso, curato in modo maniacale, fin dove la siepe si interrompe, lasciando il posto a un cancellino in ferro battuto già aperto, per poi riprendere il suo corso per qualche metro e svoltare a sinistra, perimetrando l'intero giardino col prato all'inglese e l'erba morbidissima sotto al mio passo incerto.
- Poggia pure sul tavolino lì, - dice Gloria emergendo con la testa dall'acqua e indicando un gazebo in legno, - Staremo meglio all'ombra, non trovi?
Annuisco vigorosamente, con un sorriso che percepisco da ebete stampato sul volto accaldato. Il sole picchia davvero, fa molto caldo e il sudore mi ha incollato la maglietta alla schiena. Poso la roba sul tavolino, accanto alle due birre già stappate, e quando mi volto verso la piscina, Gloria è a metà scaletta, l'acqua che le cola dai capelli lungo il viso, e da lì scende verso il seno prepotente, congiungendosi ai rivoli che percorrono le cosce, fino ad allargarsi in una pozzanghera ai sui piedi, sul bordo piastrellato. Ancora gocciolante e sempre sorridendo, avanza verso di me. Prende un telo dalla spalliera della sedia e vi si avvolge, tamponando la pelle delicatamente.
- Lì dovrebbero esserci posate, tovaglioli di carta, bicchieri... insomma, quel che serve, - dice indicando un mobiletto in legno con tre cassetti, - Puoi fare tu, mentre mi do un'asciugata? Sai com'è, fa caldo ma non è estate, e io non sono più una ragazzina... - uggiola civettuola.
"Sei molto meglio, infatti, di una ragazzina", avrei voluto risponderle mentre recupero dai cassetti i tovaglioli e un coltello per tagliare a metà le focacce da farcire. Quando mi volto, la prima cosa che noto è il reggiseno zuppo d'acqua che sgocciola appeso al vertice della spalliera. All'angolo opposto, molleggiano i microslip. Provo senza successo a mandar giù il grumo che mi occlude la gola, respiro a bocca aperta, due rivoli di sudore mi colano dalle tempie. Dispongo i tovaglioli uno di fronte all'altro, il coltello a centro tavola. Alzo infine lo sguardo su Gloria, in piedi dall'altra parte del tavolino, avvolta in un telo bianco assicurato con un nodo sopra al seno. Al seno nudo, mi dico stringendo forte i denti. Ha in mano una birra e mi invita a prendere la mia. Tocchiamo le bocche delle bottiglie a mo' di brindisi.
- Allora a noi, - dice alzando il braccio, - Al nostro incontro, con la speranza che possa essere l'inizio della fine di questo incubo. Prosit! - conclude attaccandosi a canna.
- Prosit! - replico bevendo a mia volta.
- Benissimo!, - dice sedendosi e fregandosi le mani, - Mangiamo adesso, che ho una fame da lupi.
Prende il coltello, divide con taglio preciso una focaccia, la farcisce col prosciutto crudo e me la porge. Poi prepara per sé. Mangiamo in silenzio, mandando giù i bocconi con la birra e stappandone altre due una volta che l'abbiamo scolate. Dal frigo portatile tira fuori anche una vaschetta di alluminio con del tiramisù e una bottiglia di Sambuca. A fine pasto, con la testa un po' annebbiata e l'umore alle stelle, chiedo se posso fumare.
- Certo. Anzi, me ne offriresti una? Le mie le ho lasciate nella borsa sul lettino...
- Con piacere. Ho il tabacco, va bene lo stesso? - dico prendendo l'occorrente dalla tasca dei calzoni.
- Sicuro! Il trinciato mi ricorda la mia adolescenza e il tempo delle sigarettine 'farcite'. Ah, quanti ricordi! - sospira abbandonandosi allo schienale.
Confeziono rapidamente le due sigarette. Le porgo la sua e le accosto la fiamma per farla accendere. La cartina e i ciuffi di tabacco fuoriusciti sfrigolano nel prendere fuoco. Gloria aspira voluttuosamente e si poggia allo schienale, scivolando sulla seduta quel tanto che basta ad assumere una posizione semistesa, completata dall'accavallamento delle gambe che spingono l'orlo del telo un bel po' su, fino a lambire l'ombra scura che nasconde il punto d'incontro delle cosce. Tutto il movimento, i cui fotogrammi vengono registrati passo passo dalla mia mente impervertita dall'arrapamento, mi procura sferzanti brividi di eccitazione che mi scuotono come un fuscello in mezzo alla tormenta, tanto che ho difficoltà ad accendere la sigaretta, la cui punta trema come quella di un sismografo.
3° movimento
- Allora, Larry, - rompe il silenzio saturo del mio impaccio sorridendomi divertita, - dimmi... che fai nella vita? A parte lavorare, dico... - e aspira un'altra boccata di fumo, sputandola verso l'alto reclinando il capo e mostrandomi il collo, nel quale volentieri avrei affondato il morso, per poi tornare a guardami coi suoi occhi brillanti e verdi come lo smalto che le colora le unghie, incoraggiando la mia risposta col sorriso magnetico e agitando il piede sinistro. Con uno sforzo ciclopico, sollevo lo sguardo dalle sue cosce e, tirando un paio di tiri nervosi alla mia cicca, cerco qualche frammento di senso all'interno di un cranio pervaso di melassa.
- Studio, - sfiato alla fine. Non una gran risposta articolata, convengo, ma almeno sono riuscito a parlare.
- Non avevo dubbi. Si vede che sei un ragazzo in gamba. Hai occhi vispi e intelligenti. Sì, - aggiunge con una punta di malizia, - molto vispi. E cosa studi? - chiede scavallando e riaccavallando le gambe, in una replica piuttosto riuscita (a giudicare dal cedimento della mia mascella e dagli occhi che mi fuoriescono dalle orbite) della mitica scena di Sharon Stone.
- Le... lette-re... - deglutisco, ma la gola è arsa, sembra rivestita di cartavetrata, - Lettere e fi-filosofia, - dico infine tutto d'un fiato.
- Bellissimo! Ti ci vedo, sai? Hai quell'aria sognatrice di chi si perde dietro la letteratura e le speculazioni sopra i massimi sistemi, - poi, chinandosi per stropicciare il filtro nel posacenere e scorgendo la mia espressione da pesce lesso, ridendo divertita precisa: - È un complimento, Larry, non guardarmi così, - e ritorna nella posizione di prima, senza accavallare le gambe, però, ma lasciandole un po' distanziate tra loro.
- No no, - mi affretto a prendere parola, scuotendo il capo, - l'ho capito... cioè, grazie... sì, in effetti mi piace la letteratura... non mi sono offeso.
- Che buffo sei, - fa lei sempre più divertita, - Nel senso buono, eh. Sei molto simpatico. - Poi, facendosi aria con la mano destra dall'alto verso il basso, stendendo quindi il lungo braccio fino a mostrare la cavità rasata dell'ascella - Mamma, che caldo. E siamo solo a fine aprile! Non stai soffrendo con quella maglietta? È zuppa... ti conviene metterla un po' al sole ad asciugare, altrimenti ti si fredda il sudore addosso. E non è il caso di prendersi qualcosa proprio adesso, - chiosa saggia riempiendo altri due bicchierini con la Sambuca.
- In effetti sto sudando, - ammetto incrociando le braccia sul ventre e sfilando la polo rossa, torcendomi per sistemarla alla meglio sulla spalliera della sedia.
- Uhm... - mugola squadrandomi mentre si porta alle labbra il liquore. Lascia decantare il liquido nella bocca, poi lo manda giù, riponendo il bicchierino sul tavolo. - Hai un bel fisico, Larry... spalle larghe, pettorali gonfi, addominali evidenti... sei uno sportivo, non solo letteratura e filosofia.
- Bè, - belo ancora una volta imbarazzato, - vado in piscina un paio di volte a settimana, giusto per scaricare le giornate di studio. Cioè, andavo... adesso la tua è la prima piscina che vedo dopo due mesi.
- Se vuoi farti una nuotata, accomodati pure. Senza complimenti, - e suggella l'offerta rabboccando ancora i bicchierini.
- No no, grazie. Sei molto gentile, ma non mi sembra il caso.
- Se è per il costume, ne trovi diversi nella cabina giù in fondo, - dice indicando col pollice oltre la spalla, verso un punto in fondo al giardino, dove in effetti c'è una cabina di legno bianco col tetto spiovente azzurro.
- No, davvero. Tanto più che sono un po' brillo, - dico costringendomi a giustificare in qualche modo l'invito appena declinato.
- Come vuoi, - dice unendo e stirando le labbra, come rammaricata (almeno così interpretai la sua smorfia). Poi, cambiando discorso: - Io invece sono animatrice culturale. È così che viene definito adesso il mio lavoro.
- E di cosa ti occupi nello specifico? - chiedo interessato, accendendo una sigaretta e porgendogliela.
- Mmm... galantuomo, - mi gratifica Gloria prendendo la cicca e aspirando con la voluttà alla quale mi aveva abituato. - Dunque, organizzo mostre, convegni, presentazioni, vernissage... tutto ciò che è di interesse artistico-culturale, insomma, è che necessita di promozione.
- Interessante.
- Sì, lo è. A parte quando si ha a che fare con i capricci degli artisti. O, peggio, degli pseudo tali.
- Immagino, - convengo.
- Comunque, nel complesso è un lavoro molto stimolante, mi piace e adesso mi manca, visto che è tutto fermo. Come mi manca mia figlia e tutta la mia vita, insomma. Come a tutti, né più né meno.
- Cosa studia tua figlia a Bologna?
- Diana, si chiama così, sta prendendo la specialistica in psicologia. In gamba, anche se un po' pazzerella. Non a caso vuol fare la psicologa. Te la presenterò, se capiterà.
- Sarà un piacere.
- Anche per lei, credo.
- L'hai fatta giovanissima... - butto lì, più a me stesso per la verità, guardando in alto per fare due conti e valutare la distanza anagrafica tra madre e figlia.
- Hai detto bene, Larry, giovanissima! Diciamo che Diana è stato il mio regalo di 18 anni.
- E... - sto per azzardare la domanda personale, ma Gloria, come se mi avesse letto nel pensiero, mi anticipa.
- Mio marito, dici? Non c'è. Siamo separati da 15 anni, da quando Diana ne aveva 10. Ogni tanto me lo rinfaccia, la stronzetta. Ad ogni modo, Mauro vive e lavora a Roma. Ha fatto carriera negli Interni, ma riesce a essere abbastanza presente. Specialmente con sua figlia, che è quel che conta.
- Già, - annuisco partecipe. - Anche i miei sono separati da tanto. Da sempre, direi, avrò avuto 2-3 anni, però anche mio padre è molto presente. Ci vediamo spesso e anche con mamma è rimasto molto legato.
- Scopano ancora?
- Eh? - sobbalzo non riuscendo a trattenere la sorpresa per la domanda inerente all'intimità dei miei genitori esposta con quel termine volgare.
- Ops, scusami, non volevo turbati. È stato l'alcol a parlare per me, - si schermisce coprendosi la bocca sorridente con la mano, - da sobria mi sarei espressa diversamente, giuro, - e si bacia la croce formata dagli indici.
- No, macché turbato, - sorrido a mia volta, - Non devi scusarti. Comunque, credo di sì. Cioè, sono sicuro che è capitato e che capiti ancora.
- Uhm... e com'è che sei così sicuro?
- Bè, è successo che li ho sentiti, - ammetto arrossendo come un ravanello.
- U-uh... e qui la cosa si fa interessante, - squittisce giuliva riempiendo ancora i bicchieri con entusiasmo, - Mi stai dicendo che li hai spiati? - chiede vuotando il bicchiere in un sorso, alla russa.
- Nooo, che dici, - mi metto sulla difensiva, buttando giù d'un fiato la mia dose di Sambuca, - Quando è successo è stato un caso, li ho sentiti del tutto fortuitamente. Non sapevo nemmeno che ci fosse mio padre in casa. Ero rientrato prima del solito, la prima cosa che ho visto è stata la sua tromba sul tavolo. Poi ho sentito che si davano da fare in camera da letto. La porta era chiusa, ma, insomma, si capiva benissimo ciò che stavano facendo.
- Cioè, ti sei messo a origliare dietro alla porta?
- Non ce n'era bisogno. Qualcosa avevo già percepito sul pianerottolo, tipo rumori di mobili spostati, hai presente... ho pensato che fossero i vicini alle prese con qualche lavoro o con le grandi pulizie...
- Invece... - interviene Gloria divertita ma sempre più presa, come palesa lo strofinio delle ginocchia.
- Invece quei rumori provenivano proprio dalla camera da letto dei miei... insomma, di mia madre, per essere precisi, e ci stavano dando dentro di brutto.
- Capisco. Invidio un po' i tuoi, sai? Cioè, restare affiatati, non solo legati da affetto, da separati non è usuale. Io col mio ex marito ho un buon rapporto, non fosse altro perché siamo cresciuti insieme, ma non abbiamo più fatto l'amore da quando è andato via. Come se si fosse persa d'un colpo l'intimità e il desiderio. Però, manca... specialmente adesso.
- Cosa? - chiedo con una leggerezza che, se non fosse per la situazione, potrebbe essere tranquillamente intesa come domanda sciocca.
- La possibilità di fare sesso, Larry. Ti confesso che avere un uomo per casa, durante tutto questo tempo, non mi avrebbe dispiaciuto... di sicuro il sesso avrebbe mitigato noia, angoscia, ansie eccetera eccetera. Tu non la pensi così?
- Bè, sì... sicuramente è come dici tu...
- Non mi sembri convinto. Oppure, dai per scontato il sesso con la tua fidanzata... evidentemente sei tra quei fortunati che l'hanno a portata di mano...
- In verità non sono fidanzato.
- Ah... hai il mio stesso problema, allora.
- Bè... sì.
- Ottimo... possiamo risolvere due problemi con un sol colpo!
- Cioè?
- Ahahah, come sei ingenuo, Larry! Mi fai morire! Sei proprio così o stai fingendo per reggere il gioco? A me vanno a genio entrambe le versioni, sia chiaro, ma è giusto per capire...
- Quali versioni?
- Uhuhuh, che spasso sei..., - poi, di colpo seria, - Hai ancora la mazza dura?
- Quale mazza?
- Quella che hai nelle mutande. L'ho vista da subito, è il motivo per cui abbiamo pranzato insieme, se proprio vogliamo dirla tutta. Dai, alzati, fammi vedere. - Mi alzo, titubante. - Oh, sì... eccola lì. Sembra che hai occultato nei calzoni un ombrello pieghevole. Tiralo fuori. Sono settimane che non ne vedo uno dal vivo, in carne e ossa. Mesi, se vogliamo essere sinceri, da quando è finita la mia storia con Giorgio. Pensa che, come un'adolescente, e grazie a 'sto maledetto lockdown, mi sono ridotta a guardare video porno su internet. A smanettarmi davanti a un monitor proprio come un quindicenne segaiolo. Avanti, l'angolo delle confessioni è finito... tiralo fuori. - Obbedisco. - Urca, che bestia! - sbotta sgranando gli occhi e conformando le labbra carnose intorno a una grossa O. Senza perdersi in chiacchiere, si alza, scioglie il nodo al telo, che si affloscia ai suoi piedi lasciandola nella sua superba nudità, e avanza verso di me. - Direi che gli piaccio, - ammicca sorniona tippettando il polpastrello dell'indice sulla cappella turgida, il che fa fremere e tremare istericamente tutto il cazzo, che si sbatte come un cane alla catena. - Mi sa che dobbiamo saltare i convenevoli, meglio passare subito al sodo, - dice afferrando il cazzo nel pugno sinistro e spingendomi con la mano aperta sul petto per invitarmi a sedere. - Ecco, ancora un po' di pazienza... - ansima posizionandosi su di me a gambe aperte, con le cosce sui braccioli della sedia, e sfregandosi la cappella tra i peli ricci e biondastri della fica, geometricamente composti in un piccolo triangolino morbido, stanando il clitoride. Si struscia così qualche secondo, poi, con un'inarcata delle reni, porta l'uccello all'entrata palpitante e rosa, e fagocita tutto il transito fino alla matrice, ruggendo lussuriosamente e affondandomi gli artigli nella carne della schiena. - Aaaaaaaahhh... come sei grosso, Larry! Me lo sento nello stomacooo... - e comincia a dimenarsi avanti e indietro e, in frenetica alternanza, con agili movimenti delle anche, in senso orario e antiorario. - Oh, sì... sto venendo, cazzo... ah ah ah... godo, Larry, sto godendo, lo senti... lo senti? Oh, mio diooooo... scopami, Larry, chiavami forte... - Inebedito e prossimo a esplodere, richiamo in servizio tutte le forze riposte in ogni fibra del mio corpo, abbranco le sue belle chiappe toste e, piantato saldamente sulle gambe, mi tiro su in piedi, facendo qualche passo in avanti e poggiando Gloria sul tavolo. Dopodiché, tenendomi forte ai suoi seni, prendo a fottermela di gran lena, gli ossi pubici che cozzano tra loro con violenza, il cazzo che produce nella fica in piena aequorei rumori, come se provenissero da salti a piè pari in una pozzanghera. - Sì sì siiiiiiii... - urla lei scuotendo la testa riccioluta a destra e sinistra, - aaaaahhh aaaaahhhhh... sfondami, Larry, sfondamiiiii... - allaccia le gambe sudate alle mie reni e asseconda come può le selvagge spinte del mio bacino, - Riempimi, riempimi tutta... oh ooohhh... continua, non fermarti... sto venendo ancora... oh sssiii, cazzo... sssssiiiii... aaaaaaahhhh. - Il secondo orgasmo è più devastante del primo e adesso mi appare come abbandonata, quasi disarticolata, come una bambola, le braccia aperte sul tavolo, le gambe penzoloni, i piedi che oscillano inerti, per effetto dei miei affondi, sempre più intensi e veloci perché, vivaddio, sto finalmente per godere anch'io. "Riempimi tutta", mi era sembrato di aver sentito, tuttavia, con l'ultimo barlume di lucidità, mi tiro indietro con eccellente scelta di tempo e, senza aver bisogno di menarmelo, spruzzo a dirotto sul corpo nudo e inerme di Gloria, irrorandole cosce, fica, pelo, pancia, seno di sbrodo caldo e appiccicoso, grufolando verso il cielo azzurro, limpido, sgombro di nuvole, gli ultimi spasmi della chiavata griffata Conad.
L'ho conosciuta durante il lockdown, in primavera. Ero riuscito a tornare in città da Napoli, dove frequentavo l'Università, partendo all'indomani dell'annuncio del Presidente del Consiglio circa la chiusura del grosso delle attività e del divieto di spostamento, e trovando ricovero in un bilocale malmesso ereditato da una vecchia zia. La solitudine e la noia avevano fatto strame di me già nella prima settimana di clausura, allorché colsi al volo e con rivitalizzante entusiasmo l'opportunità di lavorare come fattorino presso il Conad. La signora DeBellis era una delle numerose clienti che servivo quotidianamente, una delle tante di cui non conoscevo nemmeno il viso, lasciandole la spesa fuori la porta della villetta, sul tavolo di legno sotto al porticato. Poi, un giorno di fine aprile, ecco che accade quello che nelle storie viene chiamato esordio, ovvero la rottura dell'equilibrio iniziale e l'inizio di una serie di eventi da quell'evento scaturiti, e così, mentre ero quasi arrivato al cancelletto per andarmene, dopo aver riposto la sporta al solito posto, mi sento chiamare da una voce femminile, flautata ma al tempo stesso perentoria.
1° movimento
- Ehi, scusa... ragazzo... - Mi volto e, da dietro una siepe, vedo una testa dai capelli biondi e ricci, il viso ovale, occhi azzurri, labbra rosse...
- Mi dica, signora, - rispondo ossequioso e istintivamente sugli attenti.
- Voglio darti una mancia, se non ti dispiace... è più di un mese che mi porti la spesa fino all'uscio e, insomma, mi piacerebbe ringraziarti.
- Non deve sentirsi obbligata, signora, è il mio lavoro, - rispondo come si conviene.
- Lo faccio davvero con piacere, credimi. Il vostro servizio è prezioso, tu sei un ragazzo che lavora e che rischia di suo per farmi mangiare, quindi poche storie... dai, avvicinati. - Mi avvicino alla siepe che delimita il giardino e la vedo, in bikini azzurro, seduta su un lettino da spiaggia, la pelle lucida e già abbronzata. Alle sue spalle, il sole sfrangia i suoi raggi sulla superficie blu della piscina. Deglutisco, perché ciò che vedo (le cosce toniche e tornite, i seni gonfi e pieni, il ventre appena arrotondato...) mi piace e immediatamente mi arrapa, gonfiandomi la patta con un'erezione violenta e dolorosa. - Ecco, - dice riponendo il portafogli nella borsa e allungandomi una banconota da 50€, tenendola tra medio e indice, smaltati di verde smeraldo. - Prendili, avanti.
- Ma... signora... sono un po' troppi, non deve... - protesto, effettivamente spiazzato dalla generosa mercede.
- Ho detto prendili, - dice con tono inderogabile, agitando la banconota. - E poi basta con questa signora... - aggiunge ammiccante, - mi fai sentire più vecchia di quanto già non lo sia. Puoi chiamarmi Gloria e darmi del tu. Ora prendi questi soldi, per favore.
- Va bene. Grazie, Gloria, - sorrido e le sfilo dalle lunghe dita affusolate le 50 carte, infilandomele nella tasca posteriore dei jeans.
- Oh, bravo... - si sporge lievemente in avanti, mostrandomi meglio il panorama delle tette, e stringe le palpebre, focalizzando lo sguardo sul cartellino che ho assicurato in petto, sulla maglietta griffata Conad, - Larry... ti chiami Larry, giusto?
- Sì, - rispondo arrossendo senza motivo.
- Nome inusuale da queste parti...
- Come i miei genitori, del resto. Mi hanno chiamato come il personaggio di un film.
- Ah, sì? Quale? - chiede divertita.
- "Il grande Lebowski".
- Oh sì, certo! Dei fratelli Coen. Bellissimo film... Ricordo di averlo visto col mio ex marito, ma avrei tanto desiderato che ci fosse Jeff Bridges accanto a me, in quell'occasione, - e ride agitando la mano davanti al viso, come a scacciare la sciocchezza appena detta.
- Ok, signora... cioè... ehm... Gloria... allora io vado. Grazie infinite, è stata davvero gentilissima.
- Figurati. Ti ripeto, l'ho fatto con piacere e riconoscenza, - dice sdraiandosi. Poi, ci ripensa e si tira su sui gomiti: - Hai altre consegne? Adesso, dico... hai da completare il giro?
- In verità, questa era l'ultima prima della pausa pranzo.
- Bene, quindi non ti sto facendo perdere tempo.
- No, affatto.
- Senti, in una delle buste che mi hai portato dovrebbero esserci focaccia e prosciutto... perché non li prendi e buttiamo giù un boccone insieme? Sei la prima persona che vedo dal vivo dopo due mesi, ho bisogno di fare due chiacchiere con un essere umano in carne e ossa. Ho anche due birre fresche qui... - dice indicando col mento un frigo portatile, di quelli che si portano in spiaggia o nelle scampagnate fuori porta.
- Bèèè... - belo tentennante.
- Capisco la tua ritrosia, - interviene Gloria a togliermi dall'impasse, - e hai perfettamente ragione. Ma ti assicuro che sono reclusa in casa da due mesi, non ho avuto contatti con nessuno, nemmeno con mia figlia, che è a Bologna da quando è scoppiato tutto 'sto casino, e poi sono sicura che tu, per il lavoro che fai, sei supertamponato. Quindi, rompiamo gli indugi, - conclude con un sorriso aperto e solare, che scopre i denti bianchissimi e regolari, - e togli pure la mascherina.
- Va bene, - dico convinto togliendomi la mascherina, anch'essa col marchio del supermercato, e restituendole il sorriso, sebbene con tutto un altro effetto, - Vado a prendere la roba sul tavolo, allora.
- Ottimo, grazie! Quando ritorni, segui la siepe e troverai l'accesso. Io intanto stappo da bere.
2° movimento
Copro la distanza che mi separa dal tavolo letteralmente danzando a una spanna da terra. Ciò che sta succedendo non mi sembra vero, un sogno, un sogno di quelli adolescenziali, che quando ti svegli ti ritrovi l'uccello duro come un ramo di teak e le mutande bagnate e tirate a mo' di tenda canadese. A proposito di uccello, penso con un pelo di preoccupazione palpandomi il pacco, cerchiamo di non fare figure di merda - mi raccomando al compare di sotto, che freme e sbatte come una bestia in gabbia (che poi è quello che è, d'altronde). Quando ritorno alla siepe, Gloria non è più sul lettino. Fiancheggio il lauroceraso, curato in modo maniacale, fin dove la siepe si interrompe, lasciando il posto a un cancellino in ferro battuto già aperto, per poi riprendere il suo corso per qualche metro e svoltare a sinistra, perimetrando l'intero giardino col prato all'inglese e l'erba morbidissima sotto al mio passo incerto.
- Poggia pure sul tavolino lì, - dice Gloria emergendo con la testa dall'acqua e indicando un gazebo in legno, - Staremo meglio all'ombra, non trovi?
Annuisco vigorosamente, con un sorriso che percepisco da ebete stampato sul volto accaldato. Il sole picchia davvero, fa molto caldo e il sudore mi ha incollato la maglietta alla schiena. Poso la roba sul tavolino, accanto alle due birre già stappate, e quando mi volto verso la piscina, Gloria è a metà scaletta, l'acqua che le cola dai capelli lungo il viso, e da lì scende verso il seno prepotente, congiungendosi ai rivoli che percorrono le cosce, fino ad allargarsi in una pozzanghera ai sui piedi, sul bordo piastrellato. Ancora gocciolante e sempre sorridendo, avanza verso di me. Prende un telo dalla spalliera della sedia e vi si avvolge, tamponando la pelle delicatamente.
- Lì dovrebbero esserci posate, tovaglioli di carta, bicchieri... insomma, quel che serve, - dice indicando un mobiletto in legno con tre cassetti, - Puoi fare tu, mentre mi do un'asciugata? Sai com'è, fa caldo ma non è estate, e io non sono più una ragazzina... - uggiola civettuola.
"Sei molto meglio, infatti, di una ragazzina", avrei voluto risponderle mentre recupero dai cassetti i tovaglioli e un coltello per tagliare a metà le focacce da farcire. Quando mi volto, la prima cosa che noto è il reggiseno zuppo d'acqua che sgocciola appeso al vertice della spalliera. All'angolo opposto, molleggiano i microslip. Provo senza successo a mandar giù il grumo che mi occlude la gola, respiro a bocca aperta, due rivoli di sudore mi colano dalle tempie. Dispongo i tovaglioli uno di fronte all'altro, il coltello a centro tavola. Alzo infine lo sguardo su Gloria, in piedi dall'altra parte del tavolino, avvolta in un telo bianco assicurato con un nodo sopra al seno. Al seno nudo, mi dico stringendo forte i denti. Ha in mano una birra e mi invita a prendere la mia. Tocchiamo le bocche delle bottiglie a mo' di brindisi.
- Allora a noi, - dice alzando il braccio, - Al nostro incontro, con la speranza che possa essere l'inizio della fine di questo incubo. Prosit! - conclude attaccandosi a canna.
- Prosit! - replico bevendo a mia volta.
- Benissimo!, - dice sedendosi e fregandosi le mani, - Mangiamo adesso, che ho una fame da lupi.
Prende il coltello, divide con taglio preciso una focaccia, la farcisce col prosciutto crudo e me la porge. Poi prepara per sé. Mangiamo in silenzio, mandando giù i bocconi con la birra e stappandone altre due una volta che l'abbiamo scolate. Dal frigo portatile tira fuori anche una vaschetta di alluminio con del tiramisù e una bottiglia di Sambuca. A fine pasto, con la testa un po' annebbiata e l'umore alle stelle, chiedo se posso fumare.
- Certo. Anzi, me ne offriresti una? Le mie le ho lasciate nella borsa sul lettino...
- Con piacere. Ho il tabacco, va bene lo stesso? - dico prendendo l'occorrente dalla tasca dei calzoni.
- Sicuro! Il trinciato mi ricorda la mia adolescenza e il tempo delle sigarettine 'farcite'. Ah, quanti ricordi! - sospira abbandonandosi allo schienale.
Confeziono rapidamente le due sigarette. Le porgo la sua e le accosto la fiamma per farla accendere. La cartina e i ciuffi di tabacco fuoriusciti sfrigolano nel prendere fuoco. Gloria aspira voluttuosamente e si poggia allo schienale, scivolando sulla seduta quel tanto che basta ad assumere una posizione semistesa, completata dall'accavallamento delle gambe che spingono l'orlo del telo un bel po' su, fino a lambire l'ombra scura che nasconde il punto d'incontro delle cosce. Tutto il movimento, i cui fotogrammi vengono registrati passo passo dalla mia mente impervertita dall'arrapamento, mi procura sferzanti brividi di eccitazione che mi scuotono come un fuscello in mezzo alla tormenta, tanto che ho difficoltà ad accendere la sigaretta, la cui punta trema come quella di un sismografo.
3° movimento
- Allora, Larry, - rompe il silenzio saturo del mio impaccio sorridendomi divertita, - dimmi... che fai nella vita? A parte lavorare, dico... - e aspira un'altra boccata di fumo, sputandola verso l'alto reclinando il capo e mostrandomi il collo, nel quale volentieri avrei affondato il morso, per poi tornare a guardami coi suoi occhi brillanti e verdi come lo smalto che le colora le unghie, incoraggiando la mia risposta col sorriso magnetico e agitando il piede sinistro. Con uno sforzo ciclopico, sollevo lo sguardo dalle sue cosce e, tirando un paio di tiri nervosi alla mia cicca, cerco qualche frammento di senso all'interno di un cranio pervaso di melassa.
- Studio, - sfiato alla fine. Non una gran risposta articolata, convengo, ma almeno sono riuscito a parlare.
- Non avevo dubbi. Si vede che sei un ragazzo in gamba. Hai occhi vispi e intelligenti. Sì, - aggiunge con una punta di malizia, - molto vispi. E cosa studi? - chiede scavallando e riaccavallando le gambe, in una replica piuttosto riuscita (a giudicare dal cedimento della mia mascella e dagli occhi che mi fuoriescono dalle orbite) della mitica scena di Sharon Stone.
- Le... lette-re... - deglutisco, ma la gola è arsa, sembra rivestita di cartavetrata, - Lettere e fi-filosofia, - dico infine tutto d'un fiato.
- Bellissimo! Ti ci vedo, sai? Hai quell'aria sognatrice di chi si perde dietro la letteratura e le speculazioni sopra i massimi sistemi, - poi, chinandosi per stropicciare il filtro nel posacenere e scorgendo la mia espressione da pesce lesso, ridendo divertita precisa: - È un complimento, Larry, non guardarmi così, - e ritorna nella posizione di prima, senza accavallare le gambe, però, ma lasciandole un po' distanziate tra loro.
- No no, - mi affretto a prendere parola, scuotendo il capo, - l'ho capito... cioè, grazie... sì, in effetti mi piace la letteratura... non mi sono offeso.
- Che buffo sei, - fa lei sempre più divertita, - Nel senso buono, eh. Sei molto simpatico. - Poi, facendosi aria con la mano destra dall'alto verso il basso, stendendo quindi il lungo braccio fino a mostrare la cavità rasata dell'ascella - Mamma, che caldo. E siamo solo a fine aprile! Non stai soffrendo con quella maglietta? È zuppa... ti conviene metterla un po' al sole ad asciugare, altrimenti ti si fredda il sudore addosso. E non è il caso di prendersi qualcosa proprio adesso, - chiosa saggia riempiendo altri due bicchierini con la Sambuca.
- In effetti sto sudando, - ammetto incrociando le braccia sul ventre e sfilando la polo rossa, torcendomi per sistemarla alla meglio sulla spalliera della sedia.
- Uhm... - mugola squadrandomi mentre si porta alle labbra il liquore. Lascia decantare il liquido nella bocca, poi lo manda giù, riponendo il bicchierino sul tavolo. - Hai un bel fisico, Larry... spalle larghe, pettorali gonfi, addominali evidenti... sei uno sportivo, non solo letteratura e filosofia.
- Bè, - belo ancora una volta imbarazzato, - vado in piscina un paio di volte a settimana, giusto per scaricare le giornate di studio. Cioè, andavo... adesso la tua è la prima piscina che vedo dopo due mesi.
- Se vuoi farti una nuotata, accomodati pure. Senza complimenti, - e suggella l'offerta rabboccando ancora i bicchierini.
- No no, grazie. Sei molto gentile, ma non mi sembra il caso.
- Se è per il costume, ne trovi diversi nella cabina giù in fondo, - dice indicando col pollice oltre la spalla, verso un punto in fondo al giardino, dove in effetti c'è una cabina di legno bianco col tetto spiovente azzurro.
- No, davvero. Tanto più che sono un po' brillo, - dico costringendomi a giustificare in qualche modo l'invito appena declinato.
- Come vuoi, - dice unendo e stirando le labbra, come rammaricata (almeno così interpretai la sua smorfia). Poi, cambiando discorso: - Io invece sono animatrice culturale. È così che viene definito adesso il mio lavoro.
- E di cosa ti occupi nello specifico? - chiedo interessato, accendendo una sigaretta e porgendogliela.
- Mmm... galantuomo, - mi gratifica Gloria prendendo la cicca e aspirando con la voluttà alla quale mi aveva abituato. - Dunque, organizzo mostre, convegni, presentazioni, vernissage... tutto ciò che è di interesse artistico-culturale, insomma, è che necessita di promozione.
- Interessante.
- Sì, lo è. A parte quando si ha a che fare con i capricci degli artisti. O, peggio, degli pseudo tali.
- Immagino, - convengo.
- Comunque, nel complesso è un lavoro molto stimolante, mi piace e adesso mi manca, visto che è tutto fermo. Come mi manca mia figlia e tutta la mia vita, insomma. Come a tutti, né più né meno.
- Cosa studia tua figlia a Bologna?
- Diana, si chiama così, sta prendendo la specialistica in psicologia. In gamba, anche se un po' pazzerella. Non a caso vuol fare la psicologa. Te la presenterò, se capiterà.
- Sarà un piacere.
- Anche per lei, credo.
- L'hai fatta giovanissima... - butto lì, più a me stesso per la verità, guardando in alto per fare due conti e valutare la distanza anagrafica tra madre e figlia.
- Hai detto bene, Larry, giovanissima! Diciamo che Diana è stato il mio regalo di 18 anni.
- E... - sto per azzardare la domanda personale, ma Gloria, come se mi avesse letto nel pensiero, mi anticipa.
- Mio marito, dici? Non c'è. Siamo separati da 15 anni, da quando Diana ne aveva 10. Ogni tanto me lo rinfaccia, la stronzetta. Ad ogni modo, Mauro vive e lavora a Roma. Ha fatto carriera negli Interni, ma riesce a essere abbastanza presente. Specialmente con sua figlia, che è quel che conta.
- Già, - annuisco partecipe. - Anche i miei sono separati da tanto. Da sempre, direi, avrò avuto 2-3 anni, però anche mio padre è molto presente. Ci vediamo spesso e anche con mamma è rimasto molto legato.
- Scopano ancora?
- Eh? - sobbalzo non riuscendo a trattenere la sorpresa per la domanda inerente all'intimità dei miei genitori esposta con quel termine volgare.
- Ops, scusami, non volevo turbati. È stato l'alcol a parlare per me, - si schermisce coprendosi la bocca sorridente con la mano, - da sobria mi sarei espressa diversamente, giuro, - e si bacia la croce formata dagli indici.
- No, macché turbato, - sorrido a mia volta, - Non devi scusarti. Comunque, credo di sì. Cioè, sono sicuro che è capitato e che capiti ancora.
- Uhm... e com'è che sei così sicuro?
- Bè, è successo che li ho sentiti, - ammetto arrossendo come un ravanello.
- U-uh... e qui la cosa si fa interessante, - squittisce giuliva riempiendo ancora i bicchieri con entusiasmo, - Mi stai dicendo che li hai spiati? - chiede vuotando il bicchiere in un sorso, alla russa.
- Nooo, che dici, - mi metto sulla difensiva, buttando giù d'un fiato la mia dose di Sambuca, - Quando è successo è stato un caso, li ho sentiti del tutto fortuitamente. Non sapevo nemmeno che ci fosse mio padre in casa. Ero rientrato prima del solito, la prima cosa che ho visto è stata la sua tromba sul tavolo. Poi ho sentito che si davano da fare in camera da letto. La porta era chiusa, ma, insomma, si capiva benissimo ciò che stavano facendo.
- Cioè, ti sei messo a origliare dietro alla porta?
- Non ce n'era bisogno. Qualcosa avevo già percepito sul pianerottolo, tipo rumori di mobili spostati, hai presente... ho pensato che fossero i vicini alle prese con qualche lavoro o con le grandi pulizie...
- Invece... - interviene Gloria divertita ma sempre più presa, come palesa lo strofinio delle ginocchia.
- Invece quei rumori provenivano proprio dalla camera da letto dei miei... insomma, di mia madre, per essere precisi, e ci stavano dando dentro di brutto.
- Capisco. Invidio un po' i tuoi, sai? Cioè, restare affiatati, non solo legati da affetto, da separati non è usuale. Io col mio ex marito ho un buon rapporto, non fosse altro perché siamo cresciuti insieme, ma non abbiamo più fatto l'amore da quando è andato via. Come se si fosse persa d'un colpo l'intimità e il desiderio. Però, manca... specialmente adesso.
- Cosa? - chiedo con una leggerezza che, se non fosse per la situazione, potrebbe essere tranquillamente intesa come domanda sciocca.
- La possibilità di fare sesso, Larry. Ti confesso che avere un uomo per casa, durante tutto questo tempo, non mi avrebbe dispiaciuto... di sicuro il sesso avrebbe mitigato noia, angoscia, ansie eccetera eccetera. Tu non la pensi così?
- Bè, sì... sicuramente è come dici tu...
- Non mi sembri convinto. Oppure, dai per scontato il sesso con la tua fidanzata... evidentemente sei tra quei fortunati che l'hanno a portata di mano...
- In verità non sono fidanzato.
- Ah... hai il mio stesso problema, allora.
- Bè... sì.
- Ottimo... possiamo risolvere due problemi con un sol colpo!
- Cioè?
- Ahahah, come sei ingenuo, Larry! Mi fai morire! Sei proprio così o stai fingendo per reggere il gioco? A me vanno a genio entrambe le versioni, sia chiaro, ma è giusto per capire...
- Quali versioni?
- Uhuhuh, che spasso sei..., - poi, di colpo seria, - Hai ancora la mazza dura?
- Quale mazza?
- Quella che hai nelle mutande. L'ho vista da subito, è il motivo per cui abbiamo pranzato insieme, se proprio vogliamo dirla tutta. Dai, alzati, fammi vedere. - Mi alzo, titubante. - Oh, sì... eccola lì. Sembra che hai occultato nei calzoni un ombrello pieghevole. Tiralo fuori. Sono settimane che non ne vedo uno dal vivo, in carne e ossa. Mesi, se vogliamo essere sinceri, da quando è finita la mia storia con Giorgio. Pensa che, come un'adolescente, e grazie a 'sto maledetto lockdown, mi sono ridotta a guardare video porno su internet. A smanettarmi davanti a un monitor proprio come un quindicenne segaiolo. Avanti, l'angolo delle confessioni è finito... tiralo fuori. - Obbedisco. - Urca, che bestia! - sbotta sgranando gli occhi e conformando le labbra carnose intorno a una grossa O. Senza perdersi in chiacchiere, si alza, scioglie il nodo al telo, che si affloscia ai suoi piedi lasciandola nella sua superba nudità, e avanza verso di me. - Direi che gli piaccio, - ammicca sorniona tippettando il polpastrello dell'indice sulla cappella turgida, il che fa fremere e tremare istericamente tutto il cazzo, che si sbatte come un cane alla catena. - Mi sa che dobbiamo saltare i convenevoli, meglio passare subito al sodo, - dice afferrando il cazzo nel pugno sinistro e spingendomi con la mano aperta sul petto per invitarmi a sedere. - Ecco, ancora un po' di pazienza... - ansima posizionandosi su di me a gambe aperte, con le cosce sui braccioli della sedia, e sfregandosi la cappella tra i peli ricci e biondastri della fica, geometricamente composti in un piccolo triangolino morbido, stanando il clitoride. Si struscia così qualche secondo, poi, con un'inarcata delle reni, porta l'uccello all'entrata palpitante e rosa, e fagocita tutto il transito fino alla matrice, ruggendo lussuriosamente e affondandomi gli artigli nella carne della schiena. - Aaaaaaaahhh... come sei grosso, Larry! Me lo sento nello stomacooo... - e comincia a dimenarsi avanti e indietro e, in frenetica alternanza, con agili movimenti delle anche, in senso orario e antiorario. - Oh, sì... sto venendo, cazzo... ah ah ah... godo, Larry, sto godendo, lo senti... lo senti? Oh, mio diooooo... scopami, Larry, chiavami forte... - Inebedito e prossimo a esplodere, richiamo in servizio tutte le forze riposte in ogni fibra del mio corpo, abbranco le sue belle chiappe toste e, piantato saldamente sulle gambe, mi tiro su in piedi, facendo qualche passo in avanti e poggiando Gloria sul tavolo. Dopodiché, tenendomi forte ai suoi seni, prendo a fottermela di gran lena, gli ossi pubici che cozzano tra loro con violenza, il cazzo che produce nella fica in piena aequorei rumori, come se provenissero da salti a piè pari in una pozzanghera. - Sì sì siiiiiiii... - urla lei scuotendo la testa riccioluta a destra e sinistra, - aaaaahhh aaaaahhhhh... sfondami, Larry, sfondamiiiii... - allaccia le gambe sudate alle mie reni e asseconda come può le selvagge spinte del mio bacino, - Riempimi, riempimi tutta... oh ooohhh... continua, non fermarti... sto venendo ancora... oh sssiii, cazzo... sssssiiiii... aaaaaaahhhh. - Il secondo orgasmo è più devastante del primo e adesso mi appare come abbandonata, quasi disarticolata, come una bambola, le braccia aperte sul tavolo, le gambe penzoloni, i piedi che oscillano inerti, per effetto dei miei affondi, sempre più intensi e veloci perché, vivaddio, sto finalmente per godere anch'io. "Riempimi tutta", mi era sembrato di aver sentito, tuttavia, con l'ultimo barlume di lucidità, mi tiro indietro con eccellente scelta di tempo e, senza aver bisogno di menarmelo, spruzzo a dirotto sul corpo nudo e inerme di Gloria, irrorandole cosce, fica, pelo, pancia, seno di sbrodo caldo e appiccicoso, grufolando verso il cielo azzurro, limpido, sgombro di nuvole, gli ultimi spasmi della chiavata griffata Conad.
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