Ricordi
di
Alenika
genere
incesti
Una delle ultime volte che l'ho fatto con mio padre è stato in vacanza nella nostra casa estiva, quando avevo ventuno anni. Ho trascorso una settimana li con mio padre e mio fratello che era appena divenuto diciannovenne. Erano passati diversi anni dall'ultima volta che avevamo trascorso una settimana insieme; non avevo passato molto tempo con mio padre da quando avevo lasciato casa da diciannovenne immatura. Era la residenza estiva della nostra famiglia. Una costruzione bianca con persiane blu vicino al mare, costruita circa un secolo fa e acquistata negli anni '60 dai miei nonni.
Durante quella settimana con mio padre e mio fratello indossavo sempre dei bikini azzurri, del colore dei miei occhi, o rosso brillanti. Al mare i miei capelli lunghi castano chiaro divenivano biondi e spesso la mattina passavo a pettinarli.
Mio padre mi voleva.
Sentivo i suoi occhi posarsi sulle mie spalle e sul collo, sulle mie gambe, sul mio seno e sui miei fianchi. Mi muovevo diversamente quando sapevo che stava guardando. Volevo sembrargli sensuale. Camminavo diversamente quando percepivo con la coda dell’occhio che mi stava guardando da dietro. Guardandomi mentre percorrevo il sentiero che univa la casa alla riva. Guardandomi mentre indossavo e toglievo la camicia bianca che portavo mentre andavo in spiaggia, dove mi sedevo a leggere prima di fare il bagno.
Lo volevo anch'io.
Non ero più una ragazza. Nemmeno un adolescente. Ero un’adulta. Il mio corpo era quello di una donna che si voleva sentire desiderata. Giocavamo a bocce con alcuni vicini di casa. Spesso mi raccontavano aneddoti di quando ero bambina e mi divertivo sulla spiaggia, e storie sui miei antenati.
La sera io e mio fratello suonavamo. Io trasalivo quando mi chiedeva se volevo cantare “la canzone del sole”. La canzone della mia vita. Abbiamo bevuto gin tonic sulla veranda protetta mentre mio padre guardava la tv.
L’estati della mia infanzia le avevo trascorse in quella casa e in quella particolarissima stanza al piano di sopra dove dormivo. Molti dei pochi ricordi felici provengono da quel luogo.
Le prime tre notti non riuscivo a smettere di masturbarmi, consapevole della vicinanza di mio padre, che dormiva da solo al piano di sotto, in quell'enorme letto sul lato ovest della casa in cui qualche anno fa mi aveva legato le mani per sverginarmi l’ano. Non ho potuto farne a meno. Volevo e non volevo che entrasse nella stanza e mi scopasse duro.
E perfortuna lo fece la quarta notte.
Ricordo quando mio padre aprì la vecchia e pesante porta della mia stanza. Volevo che l’aprisse. Volevo che entrasse. Volevo sentirlo entrare dentro nella camera da letto. La mia camera con le tende in tessuto bianco con stampa di barche a vela rosse, lo specchio con la cornice in acero occhiolinato di fianco il mio letto e l'armadio con gli impermeabili gialli, gli stivali di gomma verde militare e le grandi camicie di flanella, appese a grucce di legno. Lo scaffale con l'ombrello a quadretti Plaid scozzesi e sandali di ricambio e la mia valigia con i miei vestiti.
Mio padre scostò la trapunta che nascondeva il mio segreto e vide il mio corpo nudo di ventunenne. Ero nuda e bagnata. Lo guardavo ed insicura aprii le gambe per fargli vedere il frutto del suo peccato. Bruciavo dalla voglia di avere il suo grosso cazzo duro spinto dentro di me. Ero caldissima. Desideravo che lui entrasse violentemente dentro di me, più forte di tutte quelle altre volte in cui mi ha scopato. Io non mi ero mai sentita così attraente prima. Il mio corpo era puro sesso, che già ansimava prima dell’amplesso. Anche mio padre era diventato per me un oggetto sessuale. L'ho oggettivato come oggettivavo me stessa per lui.
Mi scopò.
Io volevo violenza. Gli morsicai la spalla e con le mie unghie mi attaccai alla sua schiena. Lui mi prese e mi strinse a me sollevandomi da letto. Mi muovevo freneticamente. Tremavo ma allo stesso tempo danzavo cercando di toccarmi tutto dentro di me con il suo cazzo duro. Lui mi stringeva le tette. Mi pizzicava. E io godevo. Lui mi prese i miei fianchi e mi girò violentemente buttandomi nuovamente sul letto. Mi tirò i capelli, mi sculacciò lasciandomi lividi e di nuovo lo percepivo tutto dentro di me.
Mi sentivo scopata dal diavolo in persona.
Mi capitava di intravedere il suo riflesso allo specchio. Un demone che mi stava cavalcando, con un ghigno. Io ansimavo, lo sentivo, caldo. Strizzavo gli occhi. Era intenso. Mai nei miei dodici anni di matrimonio ho sperimentato un simile orgasmo. Non abbiamo detto niente. Non una sola parola. Poi si alzò dal letto, lasciò la stanza e tornò al suo letto scendendo le scale e attraversando il lungo il corridoio. Non abbiamo mai detto una parola su quello che è successo quella notte.
Mi ha scopata e mi ha fatto venire. Io non dormii. I miei umori erano su tutto il letto. I suoi tutti su di me. Gli assaggiai ed erano i suoi. Mi sono sentita sporca. Ma io lo ero. Non ci siamo mai baciati. Non ci siamo baciati quella notte, proprio come non ci siamo baciati quando ero adolescente. Non mi ha mai messo la lingua in bocca. Ma io la mia lingua l’avrei messa per lui da ogni singola parte.
Durante quella settimana con mio padre e mio fratello indossavo sempre dei bikini azzurri, del colore dei miei occhi, o rosso brillanti. Al mare i miei capelli lunghi castano chiaro divenivano biondi e spesso la mattina passavo a pettinarli.
Mio padre mi voleva.
Sentivo i suoi occhi posarsi sulle mie spalle e sul collo, sulle mie gambe, sul mio seno e sui miei fianchi. Mi muovevo diversamente quando sapevo che stava guardando. Volevo sembrargli sensuale. Camminavo diversamente quando percepivo con la coda dell’occhio che mi stava guardando da dietro. Guardandomi mentre percorrevo il sentiero che univa la casa alla riva. Guardandomi mentre indossavo e toglievo la camicia bianca che portavo mentre andavo in spiaggia, dove mi sedevo a leggere prima di fare il bagno.
Lo volevo anch'io.
Non ero più una ragazza. Nemmeno un adolescente. Ero un’adulta. Il mio corpo era quello di una donna che si voleva sentire desiderata. Giocavamo a bocce con alcuni vicini di casa. Spesso mi raccontavano aneddoti di quando ero bambina e mi divertivo sulla spiaggia, e storie sui miei antenati.
La sera io e mio fratello suonavamo. Io trasalivo quando mi chiedeva se volevo cantare “la canzone del sole”. La canzone della mia vita. Abbiamo bevuto gin tonic sulla veranda protetta mentre mio padre guardava la tv.
L’estati della mia infanzia le avevo trascorse in quella casa e in quella particolarissima stanza al piano di sopra dove dormivo. Molti dei pochi ricordi felici provengono da quel luogo.
Le prime tre notti non riuscivo a smettere di masturbarmi, consapevole della vicinanza di mio padre, che dormiva da solo al piano di sotto, in quell'enorme letto sul lato ovest della casa in cui qualche anno fa mi aveva legato le mani per sverginarmi l’ano. Non ho potuto farne a meno. Volevo e non volevo che entrasse nella stanza e mi scopasse duro.
E perfortuna lo fece la quarta notte.
Ricordo quando mio padre aprì la vecchia e pesante porta della mia stanza. Volevo che l’aprisse. Volevo che entrasse. Volevo sentirlo entrare dentro nella camera da letto. La mia camera con le tende in tessuto bianco con stampa di barche a vela rosse, lo specchio con la cornice in acero occhiolinato di fianco il mio letto e l'armadio con gli impermeabili gialli, gli stivali di gomma verde militare e le grandi camicie di flanella, appese a grucce di legno. Lo scaffale con l'ombrello a quadretti Plaid scozzesi e sandali di ricambio e la mia valigia con i miei vestiti.
Mio padre scostò la trapunta che nascondeva il mio segreto e vide il mio corpo nudo di ventunenne. Ero nuda e bagnata. Lo guardavo ed insicura aprii le gambe per fargli vedere il frutto del suo peccato. Bruciavo dalla voglia di avere il suo grosso cazzo duro spinto dentro di me. Ero caldissima. Desideravo che lui entrasse violentemente dentro di me, più forte di tutte quelle altre volte in cui mi ha scopato. Io non mi ero mai sentita così attraente prima. Il mio corpo era puro sesso, che già ansimava prima dell’amplesso. Anche mio padre era diventato per me un oggetto sessuale. L'ho oggettivato come oggettivavo me stessa per lui.
Mi scopò.
Io volevo violenza. Gli morsicai la spalla e con le mie unghie mi attaccai alla sua schiena. Lui mi prese e mi strinse a me sollevandomi da letto. Mi muovevo freneticamente. Tremavo ma allo stesso tempo danzavo cercando di toccarmi tutto dentro di me con il suo cazzo duro. Lui mi stringeva le tette. Mi pizzicava. E io godevo. Lui mi prese i miei fianchi e mi girò violentemente buttandomi nuovamente sul letto. Mi tirò i capelli, mi sculacciò lasciandomi lividi e di nuovo lo percepivo tutto dentro di me.
Mi sentivo scopata dal diavolo in persona.
Mi capitava di intravedere il suo riflesso allo specchio. Un demone che mi stava cavalcando, con un ghigno. Io ansimavo, lo sentivo, caldo. Strizzavo gli occhi. Era intenso. Mai nei miei dodici anni di matrimonio ho sperimentato un simile orgasmo. Non abbiamo detto niente. Non una sola parola. Poi si alzò dal letto, lasciò la stanza e tornò al suo letto scendendo le scale e attraversando il lungo il corridoio. Non abbiamo mai detto una parola su quello che è successo quella notte.
Mi ha scopata e mi ha fatto venire. Io non dormii. I miei umori erano su tutto il letto. I suoi tutti su di me. Gli assaggiai ed erano i suoi. Mi sono sentita sporca. Ma io lo ero. Non ci siamo mai baciati. Non ci siamo baciati quella notte, proprio come non ci siamo baciati quando ero adolescente. Non mi ha mai messo la lingua in bocca. Ma io la mia lingua l’avrei messa per lui da ogni singola parte.
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Commenti dei lettori al racconto erotico