Colleghi

di
genere
etero

I tacchi alti picchiettavano sul pavimento, il loro suono acuto rimbombava come un segnale di richiamo tra le pareti dell’ufficio vuoto. Leonardo capì che Cristina era ancora a lavoro nonostante l’ora tarda, per lui era un segnale chiaro, inequivocabile, un loro modo di comunicare senza l’uso di parole. Si appoggiò a braccia conserte contro lo stipite della porta del suo ufficio. Fissava Cristina che gli dava le spalle facendo passare tra le mani i fascicoli su cui avrebbero lavorato l’indomani.
Lei aveva sciolto i capelli, una lunga chioma, nera come le piume di un corvo, si riversava liscia e ben pettinata fino a metà schiena. La gonna grigio cenere terminava appena sopra le ginocchia mettendo a nudo le esili gambe avvolte dai collant neri.
Era passato più di un mese dall’ultimo loro rapporto sessuale, Cristina combatteva una quotidiana battaglia interiore contro l’istinto sessuale che la spingeva ad unirsi carnalmente col collega, una battaglia di razionale fedeltà, una battaglia che alle volte perdeva finendo tra le braccia di Leonardo.

Cristina sentì il collega avvicinarsi ma continuò a rivoltare scartoffie senza girarsi, lui le guardò il culo, un sedere tondo, piccolo e sodo, una rotondità ipnotica celata dalla stoffa della gonna. Leonardo allungò la mano palpandole il sedere, lei con una mano scansò in modo brusco quella di lui e sbuffò con fare stizzito. Lui la prese per un braccio facendola girare, ora si trovavano di fronte l’un l’altro,
le dita di lui accarezzarono il volto di Cristina, uno stupendo viso a diamante, sguardo magnetico con ipnotici occhi marroni e labbra a cuore che scatenavano negli uomini i più atavici istinti. Cristina è una bellissima donna di 34 anni, una donna a cui piace tenersi in forma e curare il proprio corpo; eleganza, raffinatezza e femminilità sono i tre aggettivi che meglio la descrivono.

Leonardo passò le dita sotto il mento di lei e le fece alzare lo sguardo. “Dimmi che non mi vuoi, ma dimmelo guardandomi negli occhi”.
“Non possiamo farlo, sono sposata, non possiamo” sussurrò Cristina senza alzare gli occhi verso di lui.

“Guardami!” le disse in tono deciso

Cristina alzò gli occhi, i loro sguardi si incrociarono.

“Non puoi lo so, ma so che lo vuoi” le rispose avvicinando le labbra a quelle di lei.
“Smettila per favore” replicò Cristina scostandosi. Era il suo gioco, dentro di lei ardeva il desiderio, lo voleva, lo desiderava come acqua nel deserto; ma sentirsi costretta la faceva stare meglio nei confronti del cornuto che l’aspettava tra le mura di casa.
Leonardo conosceva bene questo suo gioco, con entrambe le mani prese la camicetta di lei e la strattonò verso di sé. Le mise una mano dietro la nuca e la baciò sulla bocca, le labbra di lei si schiusero, le loro lingue si accarezzarono finendo l’una nella bocca dell’altro in un profondo e passionale bacio.

“Smettila ti prego” sussurrò senza convinzione.

Leonardo rispose baciandole il collo mentre con le mani slacciava la camicetta di lei in cerca del suo seno prosperoso, una quarta misura a forma di pera ancora sodo nonostante il recente allattamento. Slacciò il reggiseno che raggiunse la camicetta sul freddo pavimento ai loro piedi. Si fermò ad ammirare quel favoloso seno, prese in mano entrambe le tette palpandole con vigore, i capezzoli divennero immediatamente tesi e turgidi, svettavano come montagne scure su una pianura di pelle chiarissima. Li succhiò con passione mentre le mani continuavano a palpare le tette in modo rude.

“Fermati, smettila ti prego” sussurrò a stento Cristina tra gemiti e sospiri di piacere.
Lui non l’ascoltò, accarezzò il ventre piatto e la spinse contro la scrivania

“Lasciami andare, fermati”

Per risposta lui le tappò la bocca con la sua in un nuovo bacio profondo. Le mani di Leonardo armeggiavano con la zip della gonna che cadde a terra. Si staccò, la guardò estasiato dalla sua bellezza, un fisico perfetto, un fisico che qualsiasi donna firmerebbe un patto col diavolo per averlo. Cristina era appoggiata alla scrivania e sfoggiava tutta la sua magnetica bellezza. I sui capelli lisci e neri come una notte senza luna scendevano a coprire parte del seno che puntava dritto verso l’uomo, come a volerlo chiamare a sé.
Gli occhi di Leonardo scesero, quelli che credeva essere collant erano in realtà autoreggenti. “Allora sei uscita di casa con l’idea, con la voglia di scopare” pensò Leonardo mentre gli occhi si spostavano verso le mutandine, slip bianchi con ricami floreali, di stoffa semitrasparente che lasciavano intravedere il pelo nero.
Cristina aveva smesso di radersi la fica quando scoprì che al collega piacevano le donne col pelo in mezzo alle gambe, si limitava ad accorciare la folta foresta nera lasciando un invitante, soffice triangolo a celare le porte del paradiso.
Leonardo infilò una mano tra le gambe di lei, le mutandine erano fradice, letteralmente inzuppate dai suoi umori. Iniziò a far pressione muovendo l’indice avanti e indietro mentre Cristina ansimava mordendosi le labbra.

Le mutandine caddero tra le caviglie di lei, Leonardo guardò estasiato quel triangolo nero, accarezzò il pelo godendosi la soffice morbidezza di quella foresta ben curata. Le sue dita si fecero strada verso l’intimità più profonda, schiusero le labbra e furono accolte da un calore intenso e bagnato, scivolarono sul clitoride facendola gemere e finirono dentro di lei. La masturbò con due dita e le sue labbra tornarono a succhiarle i capezzoli durissimi e turgidi, i gemiti della donna riecheggiavano tra le mura dello studio, mute testimoni della loro passione. La mano era fradicia degli umori che colavano copiosi, estrasse le dita, la guardò negli occhi e le mise in bocca le stesse dita con cui l’aveva masturbata.
Cristina le succhiò guardandolo con aria innocente.

Lui tirò le dita verso il basso facendole capire quello che doveva fare.

Lei si mise in ginocchio con le gambe spalancate, armeggiò con la cintura, slacciò i pantaloni e senza esitare abbassò le mutande mettendo a nudo un cazzo in piena erezione. Il virile membro dalla cappella paonazza, turgida e grossa svettava duro come una quercia solitaria in un prato di peli neri e puntava dritto verso il viso di Cristina. Prese in mano il tronco nerboruto e venoso, ne tastò la ferrea consistenza segandolo lentamente, quella cappella grossa sembrava scolpita da un artista rinascimentale, lei ne era estasiata, l’adorava. La baciò, iniziò a leccarla con movimenti circolari facendolo ansimare di piacere, poi scomparve tra le sue deliziose labbra e quel palo di dura e pulsante carne venne accolto dal calore della sua bocca. Non era un cazzo lunghissimo, ma lei impazziva per quei sedici centimetri di puro piacere. Un cazzo massiccio, largo, esageratamente largo secondo lei, che riusciva ad accoglierlo solo con le labbra completamente aperte. Succhiava lentamente il cazzo dando abilmente piacere con le labbra e con la lingua, lui ansimava guardando lo spettacolo dall’alto; i suoi occhi si spostarono più in basso, la fica di Cristina stava colando denso e trasparente nettare senza nemmeno toccarla, sul pavimento lucido dell’ufficio chiazze sempre più larghe dei suoi umori brillavano sotto la fredda luce artificiale delle lampade.

Leonardo la strattonò per i capelli facendole capire che doveva smettere. Cristina si alzò e si trovò addosso le mani del collega che in modo tutt’altro che gentile la mise a pecorina contro la scrivania. Le aprì le chiappe con entrambe le mani ammirando lo spettacolo: una fica sottile e lucida di umori, una fica che non smettevano di colare miele tra i peli inzuppati. Mai prima d’ora aveva visto una fica così bagnata senza averla leccata. Posò la cappella contro quel solco sottile, una mano le strinse il fianco, l’altra la prese per i capelli e la penetrò in modo brutale, con un solo, violento colpo di reni. Si sentì trafitta, urlò dal dolore.

“Stronzo, bastardo!” cercò di urlargli contro col poco fiato che le era rimasto nei polmoni.

Lui rispose iniziando a scoparla con colpi lenti ma decisi, lo tirava fuori piano fino alla cappella e poi lo spingeva brutalmente dentro di lei fino a sentire le palle sbattere contro la fica. Cristina non capiva come fosse possibile che quel dolore fisico potesse trasformarsi in piacere cerebrale e quel piacere cerebrale andava dritto nel luogo del dolore facendolo allagare
Nonostante all’apparenza potesse sembrare un rapporto ai limiti dello stupro, nella realtà quell’amplesso brutale era fonte di un piacere incommensurabile per entrambi. Leonardo aveva imparato a leggere le voglie della collega e godeva nel soddisfarle, ma ciò che più gli piaceva era vedere l’espressione del volto di Cristina in preda all’orgasmo, per questo si fermò, la alzò di peso e la fece sedere sul bordo della scrivania. Mise una mano attorno al collo di lei e la spinse all’indietro finché la sua schiena non impattò col freddo pianale del tavolo. Lui era in piedi tra le gambe di Cristina, sfregò la cappella sul clito facendola sussultare e poi entrò con irruenza in lei. Leonardo riprese a scopare la collega tenendo tutto il cazzo dentro di lei, la stava montando con tutta la forza che aveva in corpo mentre con una mano le palpava il seno come se volesse mungerla e con l’altra la teneva ferma stringendo lievemente le dita attorno all’esile collo della collega.

Entrambi erano prossimi al culmine del piacere quando dalla borsetta di Cristina iniziò a squillare il cellulare. Nessuno dei due se ne curò, la suoneria elettronica venne sopraffatta dai gemiti e dalle grida di Cristina che senza alcun freno inibitore stava raggiungendo l’orgasmo. Leonardo continuava a sbatterla con passionale impeto e finalmente il corpo di lei si irrigidì e iniziò a tremare sotto gli spasmi di un orgasmo intenso quanto l’amplesso che lo aveva provocato. Leonardo guardò il suo viso angelico trasformarsi in una maschera di puro piacere, un’espressione di pura estasi orgasmica, assestò l’ultimo, violento colpo e riversò in lei ondate di sborra mentre le mani stringevano il seno e il collo fino a farle male.

Cristina si ripulì alla buona, si rivestì in un lampo, estrasse lo smartphone dalla borsetta e chiamò il numero che l’aveva cercata pochi minuti prima.

“Ciao Amore, scusami ma proprio non potevo rispondere prima, sai … la riunione di cui ti ho parlato ieri è andata per le lunghe … mi hai tenuto la cena in caldo? … Grazie mille, sto proprio uscendo ora dall’ufficio a breve sarò a casa … si anche io ti amo, a tra poco ciao”.

Chiudendo la telefonata uscì dall’ufficio senza voltarsi per salutare il collega.

Leonardo sistemò la scrivania di Cristina e nella sua mente si attivò il conto alla rovescia per la prossima scopata. “Chiamalo pure amore ma tanto è me che vuoi” sussurrò infilandosi la giacca e uscì tra le autunnali folate di vento.

scritto il
2024-09-20
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