Alice guarda i gatti

di
genere
incesti


Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole, mentre il mondo sta girando senza fretta...


E' buffo come certe canzoni ti risuonino dentro nelle situazioni più improbabili; e senza fatica si piantino lì, dietro le curve nascoste del cervello, mettendo rapidamente radici e diventando così impossibili da estirpare.


Ma io non ci sto più, e i pazzi siete voi...


- "Incesto!", mormorai a bassa voce, osservando inebetita la sinfonia silenziosa creata dalla fiamma davanti a me, che danzava nella penombra in cui avevo gettato la stanza qualche minuto prima.


- "Incesto!", ripetei... o forse lo urlai nella mia mente.


- "Cos'hai detto?"


Il mio cliente era sdraiato sul letto; mi stava fissando, confuso. Cercò di decifrare il mio sguardo, come se di fronte a lui non ci fosse un'escort trentacinquenne, bensì uno dei quadri più complessi di Pollock (non sono un'esperta d'arte, Mr. Google è corso in mio aiuto!) e a lui spettasse l'ingrato compito di indovinare cosa l'artista avesse voluto comunicare in quei pochi schizzi colorati.


Aspettai qualche secondo per recuperare le mie facoltà cognitive, mentre la debole luce che scaturiva dalla candela nella mia mano rendeva i mobili circostanti qualcosa di poco più consistente di un fantasma troppo stanco perfino per fare la sua comparsa.


- "Incesto. Incesto... IN-CE-STO! Amedeo, vuoi far finta di essere mio padre?"


Inclinai la candela - mi disse successivamente che sul mio viso, in quel preciso momento, era comparso un sorriso perfido che aveva iniziato a gareggiare con la luce sinistra che brillava nei miei occhi - e gli feci gocciolare alcune gocce di cera calda sul petto villoso, impiastricciandogli i peli. Sussultò quando il calore gli accarezzò la pelle e la arrossò.


- "Tut-tutto quello che v-vuoi, Lullaby!"


Risistemai la candela accanto alle altre e gli poggiai una mano sul grosso ventre, mentre il piacere del dolore provato pochi secondi prima ancora covava sotto la sua pelle, come una brace non del tutto spenta. Respirava velocemente, gonfiandolo e sgonfiandolo in respiri ravvicinati. Poco più in basso, all'altezza degli slip, notai un piccolo turgore farsi strada. Molto bene.


- "E dimmi, cosa vuoi chiedere a tua figlia?", gli domandai, intuendo già la risposta. Mi disse di toccargli il cazzo. Scontato.


Allungai la mano lentamente, i suoi peli si rizzarono al contrasto tra il caldo del suo corpo e il freddo delle mie dita, e gli accarezzai l'ombelico; glielo cerchiai con il polpastrello e lui gettò indietro la testa, ansimando e implorandomi di continuare.


- "Lullaby, sei proprio una figlia cattiva", finse di rimproverarmi con scarsa convinzione. Io, per tutta risposta, gli infilai decisa la mano dentro le mutande. Superato il groviglio di peluria, incontrai il salsicciotto.


Tutti pensarono dietro ai cappelli, lo sposo è impazzito oppure ha bevuto...


Di nuovo quella canzone, la mia canzone. La ignorai, rinchiudendola a chiave in un cassetto mentale, e gli afferrai il cazzo con due dita, affrettandone il risveglio. Gli sfilai le mutande e le gettai nell'ombra in fondo alla stanza, in quella frontiera lontana dove la luce delle candele non sarebbe potuta arrivare.


Quel piccolo fiammifero di carne si erse presto tra le sue cosce; perlomeno, per quanto le sue ridotte dimensioni glielo concedessero. Mi sforzai di essere professionale di fronte a quella caricatura di un cazzo, e di non emettere alcun suono che Amedeo avesse potuto interpretare come una presa per il culo. Lui, però, sembrò leggermi nella mente.


- "L'importante è saperlo usare!".


Non risposi. Mi chinai su di lui e gli poggiai le labbra carnose sulla cappella, reggendogli l'asta con pollice, indice e medio. Gli stampai un bacio sulla carne umida e gliela sfiorai con la punta della lingua, avvertendo l'elettricità che dal cazzo gli si spostò lungo lo stomaco, per poi prorompere in un soddisfatto "Oh sì, figlia mia, leccamelo!".


Iniziai a farlo con più foga, roteando la lingua e solleticandogli la parte bassa del glande, rendendolo irrequieto. Le mie dita si muovevano da sole in un frenetico sali-scendi. Mi ricordai di avere un'altra mano libera e iniziai a solleticargli i testicoli, chiudendo gli occhi e dimenticando di essere Alice (guarda i gatti e i gatti guardano nel sole...), concentrandomi sul mio alter ego Lullaby. Rimossi un lungo pelo nero che si era acquartierato sulla mia lingua e continuai con il mio lavoro, finché un prorompente fiotto denso mi riempì la bocca. Sputai e imprecai.


- "Cazzo Amedeo. Dovevi avvisarmi!"
- "Non volevi assaggiare la sborra del tuo paparino?"


Mi bloccai. Mi sarebbe piaciuto? Avrei voluto davvero assaggiare il seme denso e bianco di mio padre?


Lo guardai, distante anni luce da quella stanza da letto, e meccanicamente gli domandai cos'altro volesse. Seguendo il suo desiderio, mi spogliai completamente e gli mostrai la mia carnagione lattea. Mi sedetti a cavalcioni sulle sue gambe, gli afferrai le mani e gliele portai sul mio seno.


- "Vorresti accarezzare le tette di tua figlia?"
- "Quali tette?", rise delle mie scarse dimensioni, evitando di ricambiare il favore che gli avevo reso poco prima.


'fanculo Amedeo.


Iniziai a dimenarmi su di lui, a strusciare la mia fica non ancora pronta sul suo cazzo molliccio, stanco per la gioia provata in precedenza. L'attrito tra la mia peluria appena accennata, ispida e nera, e il suo folto groviglio amazzonico, tra la mia carne ansiosa di essere soddisfatta e la sua che tentava nuovamente di rispondere ai comandi, mi solleticò dentro e fece scaturire una prima goccia di piacere, che sarebbe stata presto seguita da numerose compagne.

E mentre cercavo di dargli e darmi piacere, ripensai ad Alice che guardava i gatti insieme a Lullaby.




Fine capitolo. Continua...
Email: aliceguardaigatti89@gmail.com
scritto il
2024-10-21
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