Binari
di
William Kasanova
genere
bondage
La striscia di tessuto sui miei occhi può avermi gettata in una notte completa, ma so ugualmente dove mi trovo: sotto le mie spalle e le mie gambe passano due blocchi freddi di metallo, stretti e alti mezza spanna. Posso non aver visto dove mi hanno abbandonata, ma sono certa che sono sopra i binari del tratto di ferrovia che corre poco distante dal fiume.
La fune sulle ginocchia mi stringe le gambe, potrei allontanarmi solo strisciando. Mi divincolo: la corda che mi lega le braccia dietro alla schiena e passa sul mio ventre mi blocca qui, mi impedisce di allontanarmi. Contraggo di nuovo gli addominali per sollevarmi ma la fune mi ferma e mi strattona: è stata legata al binario sotto le mie scapole.
Quando i due uomini dello Sfregiato si sono presentati al saloon chiedendo di me e mi hanno portato alla sua fattoria fuori dalla città mi aspettavo di tutto, da quel pervertito… ma non fino a quel punto. Se avessi saputo che mi sarei ritrovata in questa situazione, legata sulla ferrovia, però… non lo so, non so se avrei accettato comunque…
La strada è poco distante. Non hanno impiegato molto, quei due, a portarmi in spalla e lasciarmi qui dopo che mi hanno tirata giù dal cavallo che mi stava trasportando. Almeno mi hanno tolto il panno dalla bocca… Forse, se passasse qualcuno…
Un fischiettio, zoccoli calpestano la striscia polverosa che unisce la città al deserto.
Qualcuno percorre la strada! Chi può essere? I due sgherri che mi hanno portata qui? No, andavano di fretta ed è solo uno quello che sento.
Coraggio. «Ehi! Laggiù!»
Il cavallo nitrisce, un uomo lo tranquillizza con parole che non capisco. L’animale sbuffa, si acquieta. Delle suole impattano con il terreno, dei passi frusciano tra l’erba.
«Chi è?» domanda una voce maschile.
Ho la gola arsa, deglutisco a fatica. «S-sono qui! Sui binari!»
Delle foglie frusciano, dei legnetti si spezzano. I passi si fanno più vicini. Si fermano.
«Tu che ci fai lì?»
La bocca è aperta per rispondere, ma mi fermo. Conosco quella voce… è… è il figlio del fattore McAllister? Quello stronzetto mi mangia con gli occhi tutte le volte che passa per la città e viene a bere qualcosa al saloon. Mi sembra impossibile che non sia mai alzato dal tavolo e sia venuto a chiedermi una prestazione.
Trattengo il sorriso.
«Ieri sera, gli uomini dello Sfregiato mi hanno presa al saloon e portata dal loro padrone». Non posso vederlo, ma sono certa che mi sta togliendo i vestiti di dosso con lo sguardo, i suoi occhi stringersi mentre immagina il mio corpo nudo… il suo cazzo irrigidirsi mentre la sua fantasia corre libera come un mustang nelle praterie della libido. «Lui è un pervertito e non ho voluto sottostare alle sue proposte disgustose: mi ha condannata a questo».
McAllister… Jack? Jack non pronuncia una parola. Non si è mosso, non ci sono rumori.
«Non si sfida lo Sfregiato», sogghigna. «Sei stata pazza. Non credevo che una puttana si facesse tutti questi problemi quando qualcuno le propone qualcosa di strano, soprattutto se è lui… lo Sfregiato… a pretendere qualcosa».
Stringo le labbra. Non ha tutti i torti.
«Mi aiuti?»
Lui sospira. «Sai, non voglio mettermi contro lo Sfregiato», sogghigna ancora lo stronzo. «Non vorrei che poi mi conciasse come lui. Sai benissimo che “ha gli artigli”…»
Cosa? No, no! Non abbandonarmi! «Aspetta! Sta per arrivare il treno! Vuoi davvero lasciarmi qui?»
«Amber, giusto? Ti vedo spesso nel saloon, mentre aspetti il tuo cliente successivo…»
Annuisco. «Sì. Se mi liberi, ti faccio pagare meno, la prossima volta che passi».
Lui ride. «Mi hai preso per scemo? Nel frattempo, lo Sfregiato magari scopre che ti ho salvata io e mi fa fuori, e addio scopata a metà prezzo. E, comunque, se non sei tu la scema, sparirai dalla circolazione, o la prossima volta non si accontenteranno di farti prendere il treno lontano dalla stazione».
Le corde mi soffocano. Mi agito e che stringano ancora più. «Allora cosa vuoi? Soldi?»
Un ginocchio schiocca. Sento la voce più vicina. «No, che cazzata…»
Una mano si appoggia sulla mia testa e me la ruota verso di lui. Un qualcosa di caldo e umido passa sulla mia bocca. Un afrore di sesso inonda le mie narici.
Il fiato mi si blocca. Mi sta passando la cappella sulle labbra? Un liquido me le bagna.
Credevo davvero di salvarmi così facilmente?
Lui percorre il solco delle mie labbra a ritroso. «Quando me ne sono andato dalla città, il fumo del treno era all’orizzonte e si dirigeva alla stazione… Magari è meglio se ti dai una mossa con la bocca».
Bastardo… mi ha fregata.
Jack si muove, emette un soffio quando si alza. I suoi passi sono dietro la mia testa, le suole delle sue scarpe scricchiolano e qualcosa si posa ai lati delle mie tempie.
Un dito si insinua tra le mie labbra, come se volesse scardinarle. Le apro e la sua nerchia mi scivola in bocca.
La cappella è liscia, sprofonda per tutta la sua lunghezza. Il cavallo dei suoi jeans finisce sulla mia faccia quando mi penetra.
«Brava, puttanella…» sussurra.
Lo estrae lentamente, il sapore della sua eccitazione mi resta sulla lingua. Torna dentro con calma.
Le sue mani scivolano lungo le mie spalle e s’infilano nello scollo della mia camicetta lercia di polvere, circondano le mie tette e le afferrano. Inizia a palparle. Un soffio dal naso sottolinea la sua soddisfazione.
«Hai due gran belle bocce…» Le manipola, le impasta come se stesse preparando il pane. Il suo cazzo sembra diventare ancora più duro e grosso. «Sei sempre stata la più figa del bordello».
Continua a muoverlo nella mia bocca, un ritmo lento, la sua cappella che striscia sulla mia lingua, lui che geme di piacere ogni volta. Il tutto senza smettere di palparmi le tette.
Esce completamente, la saliva che bagna il suo uccello gocciola sul mio viso.
«Ripensandoci, non ho certo intenzione di sborrarti in bocca già al primo nostro incontro», sogghigna Jack. «Sono un signore, io…»
Si alza e si muove attorno a me. Si ferma vicino alle mie gambe.
«Peccato ti abbiano legato le ginocchia…»
«Puoi… puoi liberarmi e…»
Jack esplode in una risata. «Calma, ragazza mia, non prendere fretta…»
Stringo le labbra per non sbottare. Il metallo del binario sta vibrando? No, non ancora.
La mia gonna si solleva, si adagia sul mio ventre. Una mano afferra il bordo delle mie mutandine e le abbassa fino a metà delle cosce.
L’aria accarezza la mia figa, chiusa tra le gambe legate.
«Depilata, come piace a me». Un paio di dita si posano tra le mie grandi labbra e le discostano. «In un’altra occasione ci avrei dato una leccata: se è saporita quanto sei bella, dev’essere una delizia… Magari prima che una dozzina di clienti te la fottano, ovviamente».
Ma mi prende in giro?
Il fiato mi si mozza: era il fischio del treno, quello? Sta partendo dalla stazione? Quanto ci vorrà prima che ci raggiunga?
Una mano mi solleva il culo dal binario, un’altra mi alza le gambe e mi piega le ginocchia.
«Peccato, mi sarebbe piaciuto scoparti in figa…» Jack mi spinge le gambe contro il busto. «Mi accontenterò del tuo buco del culo».
Le mani mi bloccano le cosce, le ginocchia sono contro le mie tette, i suoi pantaloni scricchiolano. Si appoggia con il suo busto sulle mie gambe. Il cazzo bagnato dalla mia saliva scivola tra le mie chiappe.
Mi afferra per le braccia e mi penetra. Sprofonda nel mio culo, la sua cappella si fa strada dentro di me.
Ogni colpo spinge nel mio retto la sua nerchia e nella mia schiena il binario su cui sono appoggiata. Mi manca il fiato, e non solo per la posizione: il metallo inizia a vibrare, e lo fa sempre più forte.
«Muoviti, bastardo…» sibilo, «sborrami dentro!»
Jack dà un altro colpo. «Cos’hai, fretta, puttana?»
Boccheggio. Giro la testa verso il paese, ma continua ad essere solo buio.
Jack geme, aumenta la velocità.
Aumenta anche la vibrazione del binario. Un nuovo fischio del treno.
«Sbrigati a fottermi!»
Lo stronzo ride. «Finalmente una donna che vuole fare in fretta…»
Emette un gemito, mi sprofonda completamente nell’intestino per tutta la sua lunghezza, ansima e viene. «Cazzo, sì!»
Punto il volto verso la sua voce, tra le mie gambe. «Adesso liberami!»
Il suo cazzo scivola fuori di me con una lentezza esasperante. Esce e qualche goccia di sborra cola tra i miei glutei.
«Adesso dovresti pulirmelo, però…» Jack mi lascia e si alza in piedi. «Non vorrei andare in giro con il cazzo che mi puzza di—»
Mi dimeno. «Liberami, cazzo!»
Il treno fischia, i binari vibrano impazziti.
Lui sbuffa. «Sempre a dare ordini…» I sassolini della massicciata stridono sotto i suoi passi. Una mano mi afferra per una spalla, mi volta su un fianco.
Cosa cazzo vuole fare? Il treno fischia di nuovo, il suono del suo incedere diventa sempre più forte. Fischia ancora: deve averci visti sui binari!
La fune che mi blocca al binario si tende, tira, la tensione scompare. La mano mi prende ancora per la spalla e mi solleva, mi strattona e mi getta sul divano.
«Ehi!» esclamo.
«Ah, finiscila di rompere, Ambra! Ti ho appena salvato da quel treno per Yuma e ti lamenti?»
Giacomo afferra la pezza sui miei occhi e la solleva. Ha ancora il cazzo in tiro, bagnato dai nostri umori. Una goccia di sborra cola dalla cappella.
Sorride divertito e ha in mano lo smartphone. Preme sullo schermo: il filmato si ferma e il frastuono del treno scompare.
Ormai stava passando dove mi trovavo.
Lo getta sul divano e gira dietro di me. Quasi mi aspetto mi inculi di nuovo, e invece mi slega le braccia.
Le muovo davanti a me, mi sfugge una smorfia per il dolore alle spalle.
Giacomo mi libera anche le gambe e arrotola la fune. «Non prendertela con me, sei tu che hai queste fantasie erotiche bislacche».
Gli faccio la linguaccia. «Ci proviamo di nuovo, comunque».
«Certo», Giacomo annuisce, poco convinto, «basta che non ti passi ancora per la testa roba tipo la sirena nella rete e l’ambientalista ingrifato che pulisce i cormorani… La vasca da bagno è scomoda in due».
Guarda il gatto seduto in cima al suo castello tiragraffi, il quale gli risponde strizzando l’unico occhietto giallo che gli è rimasto. Il mio ragazzo sorride. «Adesso sarà meglio dare i croccantini buoni a Sfregiato, o rischio di trovarmi anch’io legato ai binari, e avrei paura di scoprire cosa mi faresti, se fossi tu a venire a salvarmi».
Questa volta gli rispondo con il dito medio.
Però l’idea non sarebbe male… devo convincerlo davvero a fare lui il passivo nella mia fantasia erotica.
La fune sulle ginocchia mi stringe le gambe, potrei allontanarmi solo strisciando. Mi divincolo: la corda che mi lega le braccia dietro alla schiena e passa sul mio ventre mi blocca qui, mi impedisce di allontanarmi. Contraggo di nuovo gli addominali per sollevarmi ma la fune mi ferma e mi strattona: è stata legata al binario sotto le mie scapole.
Quando i due uomini dello Sfregiato si sono presentati al saloon chiedendo di me e mi hanno portato alla sua fattoria fuori dalla città mi aspettavo di tutto, da quel pervertito… ma non fino a quel punto. Se avessi saputo che mi sarei ritrovata in questa situazione, legata sulla ferrovia, però… non lo so, non so se avrei accettato comunque…
La strada è poco distante. Non hanno impiegato molto, quei due, a portarmi in spalla e lasciarmi qui dopo che mi hanno tirata giù dal cavallo che mi stava trasportando. Almeno mi hanno tolto il panno dalla bocca… Forse, se passasse qualcuno…
Un fischiettio, zoccoli calpestano la striscia polverosa che unisce la città al deserto.
Qualcuno percorre la strada! Chi può essere? I due sgherri che mi hanno portata qui? No, andavano di fretta ed è solo uno quello che sento.
Coraggio. «Ehi! Laggiù!»
Il cavallo nitrisce, un uomo lo tranquillizza con parole che non capisco. L’animale sbuffa, si acquieta. Delle suole impattano con il terreno, dei passi frusciano tra l’erba.
«Chi è?» domanda una voce maschile.
Ho la gola arsa, deglutisco a fatica. «S-sono qui! Sui binari!»
Delle foglie frusciano, dei legnetti si spezzano. I passi si fanno più vicini. Si fermano.
«Tu che ci fai lì?»
La bocca è aperta per rispondere, ma mi fermo. Conosco quella voce… è… è il figlio del fattore McAllister? Quello stronzetto mi mangia con gli occhi tutte le volte che passa per la città e viene a bere qualcosa al saloon. Mi sembra impossibile che non sia mai alzato dal tavolo e sia venuto a chiedermi una prestazione.
Trattengo il sorriso.
«Ieri sera, gli uomini dello Sfregiato mi hanno presa al saloon e portata dal loro padrone». Non posso vederlo, ma sono certa che mi sta togliendo i vestiti di dosso con lo sguardo, i suoi occhi stringersi mentre immagina il mio corpo nudo… il suo cazzo irrigidirsi mentre la sua fantasia corre libera come un mustang nelle praterie della libido. «Lui è un pervertito e non ho voluto sottostare alle sue proposte disgustose: mi ha condannata a questo».
McAllister… Jack? Jack non pronuncia una parola. Non si è mosso, non ci sono rumori.
«Non si sfida lo Sfregiato», sogghigna. «Sei stata pazza. Non credevo che una puttana si facesse tutti questi problemi quando qualcuno le propone qualcosa di strano, soprattutto se è lui… lo Sfregiato… a pretendere qualcosa».
Stringo le labbra. Non ha tutti i torti.
«Mi aiuti?»
Lui sospira. «Sai, non voglio mettermi contro lo Sfregiato», sogghigna ancora lo stronzo. «Non vorrei che poi mi conciasse come lui. Sai benissimo che “ha gli artigli”…»
Cosa? No, no! Non abbandonarmi! «Aspetta! Sta per arrivare il treno! Vuoi davvero lasciarmi qui?»
«Amber, giusto? Ti vedo spesso nel saloon, mentre aspetti il tuo cliente successivo…»
Annuisco. «Sì. Se mi liberi, ti faccio pagare meno, la prossima volta che passi».
Lui ride. «Mi hai preso per scemo? Nel frattempo, lo Sfregiato magari scopre che ti ho salvata io e mi fa fuori, e addio scopata a metà prezzo. E, comunque, se non sei tu la scema, sparirai dalla circolazione, o la prossima volta non si accontenteranno di farti prendere il treno lontano dalla stazione».
Le corde mi soffocano. Mi agito e che stringano ancora più. «Allora cosa vuoi? Soldi?»
Un ginocchio schiocca. Sento la voce più vicina. «No, che cazzata…»
Una mano si appoggia sulla mia testa e me la ruota verso di lui. Un qualcosa di caldo e umido passa sulla mia bocca. Un afrore di sesso inonda le mie narici.
Il fiato mi si blocca. Mi sta passando la cappella sulle labbra? Un liquido me le bagna.
Credevo davvero di salvarmi così facilmente?
Lui percorre il solco delle mie labbra a ritroso. «Quando me ne sono andato dalla città, il fumo del treno era all’orizzonte e si dirigeva alla stazione… Magari è meglio se ti dai una mossa con la bocca».
Bastardo… mi ha fregata.
Jack si muove, emette un soffio quando si alza. I suoi passi sono dietro la mia testa, le suole delle sue scarpe scricchiolano e qualcosa si posa ai lati delle mie tempie.
Un dito si insinua tra le mie labbra, come se volesse scardinarle. Le apro e la sua nerchia mi scivola in bocca.
La cappella è liscia, sprofonda per tutta la sua lunghezza. Il cavallo dei suoi jeans finisce sulla mia faccia quando mi penetra.
«Brava, puttanella…» sussurra.
Lo estrae lentamente, il sapore della sua eccitazione mi resta sulla lingua. Torna dentro con calma.
Le sue mani scivolano lungo le mie spalle e s’infilano nello scollo della mia camicetta lercia di polvere, circondano le mie tette e le afferrano. Inizia a palparle. Un soffio dal naso sottolinea la sua soddisfazione.
«Hai due gran belle bocce…» Le manipola, le impasta come se stesse preparando il pane. Il suo cazzo sembra diventare ancora più duro e grosso. «Sei sempre stata la più figa del bordello».
Continua a muoverlo nella mia bocca, un ritmo lento, la sua cappella che striscia sulla mia lingua, lui che geme di piacere ogni volta. Il tutto senza smettere di palparmi le tette.
Esce completamente, la saliva che bagna il suo uccello gocciola sul mio viso.
«Ripensandoci, non ho certo intenzione di sborrarti in bocca già al primo nostro incontro», sogghigna Jack. «Sono un signore, io…»
Si alza e si muove attorno a me. Si ferma vicino alle mie gambe.
«Peccato ti abbiano legato le ginocchia…»
«Puoi… puoi liberarmi e…»
Jack esplode in una risata. «Calma, ragazza mia, non prendere fretta…»
Stringo le labbra per non sbottare. Il metallo del binario sta vibrando? No, non ancora.
La mia gonna si solleva, si adagia sul mio ventre. Una mano afferra il bordo delle mie mutandine e le abbassa fino a metà delle cosce.
L’aria accarezza la mia figa, chiusa tra le gambe legate.
«Depilata, come piace a me». Un paio di dita si posano tra le mie grandi labbra e le discostano. «In un’altra occasione ci avrei dato una leccata: se è saporita quanto sei bella, dev’essere una delizia… Magari prima che una dozzina di clienti te la fottano, ovviamente».
Ma mi prende in giro?
Il fiato mi si mozza: era il fischio del treno, quello? Sta partendo dalla stazione? Quanto ci vorrà prima che ci raggiunga?
Una mano mi solleva il culo dal binario, un’altra mi alza le gambe e mi piega le ginocchia.
«Peccato, mi sarebbe piaciuto scoparti in figa…» Jack mi spinge le gambe contro il busto. «Mi accontenterò del tuo buco del culo».
Le mani mi bloccano le cosce, le ginocchia sono contro le mie tette, i suoi pantaloni scricchiolano. Si appoggia con il suo busto sulle mie gambe. Il cazzo bagnato dalla mia saliva scivola tra le mie chiappe.
Mi afferra per le braccia e mi penetra. Sprofonda nel mio culo, la sua cappella si fa strada dentro di me.
Ogni colpo spinge nel mio retto la sua nerchia e nella mia schiena il binario su cui sono appoggiata. Mi manca il fiato, e non solo per la posizione: il metallo inizia a vibrare, e lo fa sempre più forte.
«Muoviti, bastardo…» sibilo, «sborrami dentro!»
Jack dà un altro colpo. «Cos’hai, fretta, puttana?»
Boccheggio. Giro la testa verso il paese, ma continua ad essere solo buio.
Jack geme, aumenta la velocità.
Aumenta anche la vibrazione del binario. Un nuovo fischio del treno.
«Sbrigati a fottermi!»
Lo stronzo ride. «Finalmente una donna che vuole fare in fretta…»
Emette un gemito, mi sprofonda completamente nell’intestino per tutta la sua lunghezza, ansima e viene. «Cazzo, sì!»
Punto il volto verso la sua voce, tra le mie gambe. «Adesso liberami!»
Il suo cazzo scivola fuori di me con una lentezza esasperante. Esce e qualche goccia di sborra cola tra i miei glutei.
«Adesso dovresti pulirmelo, però…» Jack mi lascia e si alza in piedi. «Non vorrei andare in giro con il cazzo che mi puzza di—»
Mi dimeno. «Liberami, cazzo!»
Il treno fischia, i binari vibrano impazziti.
Lui sbuffa. «Sempre a dare ordini…» I sassolini della massicciata stridono sotto i suoi passi. Una mano mi afferra per una spalla, mi volta su un fianco.
Cosa cazzo vuole fare? Il treno fischia di nuovo, il suono del suo incedere diventa sempre più forte. Fischia ancora: deve averci visti sui binari!
La fune che mi blocca al binario si tende, tira, la tensione scompare. La mano mi prende ancora per la spalla e mi solleva, mi strattona e mi getta sul divano.
«Ehi!» esclamo.
«Ah, finiscila di rompere, Ambra! Ti ho appena salvato da quel treno per Yuma e ti lamenti?»
Giacomo afferra la pezza sui miei occhi e la solleva. Ha ancora il cazzo in tiro, bagnato dai nostri umori. Una goccia di sborra cola dalla cappella.
Sorride divertito e ha in mano lo smartphone. Preme sullo schermo: il filmato si ferma e il frastuono del treno scompare.
Ormai stava passando dove mi trovavo.
Lo getta sul divano e gira dietro di me. Quasi mi aspetto mi inculi di nuovo, e invece mi slega le braccia.
Le muovo davanti a me, mi sfugge una smorfia per il dolore alle spalle.
Giacomo mi libera anche le gambe e arrotola la fune. «Non prendertela con me, sei tu che hai queste fantasie erotiche bislacche».
Gli faccio la linguaccia. «Ci proviamo di nuovo, comunque».
«Certo», Giacomo annuisce, poco convinto, «basta che non ti passi ancora per la testa roba tipo la sirena nella rete e l’ambientalista ingrifato che pulisce i cormorani… La vasca da bagno è scomoda in due».
Guarda il gatto seduto in cima al suo castello tiragraffi, il quale gli risponde strizzando l’unico occhietto giallo che gli è rimasto. Il mio ragazzo sorride. «Adesso sarà meglio dare i croccantini buoni a Sfregiato, o rischio di trovarmi anch’io legato ai binari, e avrei paura di scoprire cosa mi faresti, se fossi tu a venire a salvarmi».
Questa volta gli rispondo con il dito medio.
Però l’idea non sarebbe male… devo convincerlo davvero a fare lui il passivo nella mia fantasia erotica.
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