Immagini dalla sessualità - Parte 2

di
genere
gay

Mi svegliai nel cuore della notte con il petto che batteva violentemente, la fronte in fiamme e i pensieri che abbaiavano come una muta di cani esaltata dalla caccia, il cazzo dritto e duro come non era mai stato. Il vago ricordo del sogno appena fatto si mischiava alle immagini di ciò che era successo solo poche ore prima e scatenava in me una varietà di sensazioni che faticavo a definire. Mi sentivo ancora sconvolto da ciò che era accaduto nella stanza dell’uomo che mi aveva abbordato; la mia parte strettamente maschile si rifiutava di accettare ciò che quella parte femminile che alberga in ognuno di noi aveva così tanto apprezzato; il contatto sessuale, e sensuale perché l’uomo aveva avuto una delicatezza molto difficile da replicare, con un essere del mio stesso sesso faceva maturare in me dubbi che mai avrei pensato di pormi tanto ero convinto della mia eterosessualità, del mio amore per il genere femminile, del mio spiccato machismo nei rapporti intimi. Spesso, nel pieno dell’amplesso, mentre penetravo le mie compagne, stringendo a me le loro gambe oppure cavalcandole da dietro, pensavo al mio uccello come a un maglio che le stesse spaccando in due. Questo pensiero mi dava il vigore per continuare a pompare e a stantuffare, forse traendone più piacere di quanto ne stessi veramente dando.

Nel buio di quella stanza d’albergo immersa nel silenzio della notte profonda mi resi conto che quel pompino omosessuale aveva cambiato completamente l’equilibrio della mia coscienza; aveva forse risvegliato in me una parte inconscia che avevo sempre ricacciato in quell’angolo buio in cui tutti noi tendiamo a nascondere ciò che non riusciamo a comprendere. Rigirandomi tra le lenzuola, dietro ai miei occhi continuavo a vedere il suo viso che dal mio basso ventre mi guardava e lavorava di lingua intorno alla cappella, ad ogni carezza del lenzuolo sulle mie natiche tornavo a ricordare la sua mano che le aveva gentilmente aperte per raggiungere la rosa segreta che vi si nascondeva. Per calmare l’eccitazione provocata da quei pensieri avrei dovuto gettarmi sotto una doccia gelata ma preferii allungare le mani verso il mio sesso, sfilarmi le mutande e masturbarmi furiosamente. Immaginai che le mie fossero le mani dell’uomo con cui ero stato poco prima, che salissero e scendessero lungo la mia asta come aveva fatto poco fa, che fosse ancora la sua bocca sul mio glande e la sua lingua a stuzzicare il mio orifizio. Lo sperma eruttò in caldi fiotti impetuosi che mi schizzarono il ventre.

Lentamente il fiato recuperò il suo ritmo calmo, il petto smise di salire e scendere rabbiosamente e le immagini erotiche sfumarono nel grigiore della notte. Mi pulii e ripresi finalmente sonno.



Il giorno mi colse con lo smanioso desiderio di ritrovare quell’uomo affascinante che mi aveva guidato in quei primi passi di una lussuria finora inesplorata. Lo cercai per i corridoi del grande albergo, al ristorante dove si serviva ancora la prima colazione, al bar dove i primi avventori avvinazzati cominciavano la loro lunga giornata di Bloody Mary e Gin Tonic. La sua figura era scomparsa, avevo perduto per sempre quel primo contatto con un mondo ancora ignoto, come se il ponte che avrebbe dovuto transitarmi verso nuove esperienze fosse crollato. Il petto mi si strinse perché ero io l’artefice di quella disfatta; io e soltanto io, che con la mia fuga precipitosa condita di sensi di colpa e vergogna, che però la notte aveva cancellato lasciando posto alla concupiscenza, avevo impedito a me stesso l’opportunità di approfondire la consapevolezza di ciò che ero e di ciò che avrei potuto diventare.

Mi maledissi fino a ferirmi gli occhi nel disperato tentativo di riconoscere fra quelle decine di volti, il volto familiare dell’uomo che aveva succhiato il mio pene e amplificato il mio piacere.
scritto il
2025-02-15
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