Come tutto può cambiare - seconda parte
di
Enkii racconti
genere
tradimenti
Preparatevi, in questa parte tutto cambia.
Un’anima si perde nel calice dell’abisso, dove l’ebbrezza svela verità taglienti e il gioco diventa specchio di fragilità nascoste. Tra ombre di dominio e sussurri di resa, un riflesso si incrina, lasciando intravedere l’eco di un riscatto o di una caduta più profonda.
Il brindisi dei vinti
La mattina dopo, Luca si svegliò con il sapore della sconfitta in bocca. Il divano era impregnato di un misto di vodka rovesciata e sudore, e il suo corpo tremava per i postumi della sbornia. La testa gli pulsava come se qualcuno ci stesse battendo sopra con un martello, e ogni movimento gli costava uno sforzo immenso. Il biglietto di Martina era ancora lì, accartocciato sul pavimento, un promemoria della sua caduta.
Sentì la porta della camera da letto aprirsi e il suono di passi leggeri. Martina entrò nel salotto, fresca e riposata, con una tazza di tè in mano. Lo fissò per un momento, poi fece una smorfia. “Dio, che puzza. Sembri una distilleria ambulante. Non ti vergogni?”
Luca si tirò su a fatica, passandosi una mano sul viso. “Sto male,” mormorò, la voce rauca. “Ho bisogno di riposare.”
“Riposare?” disse lei, posando la tazza con un gesto secco. “Non hai fatto niente per meritartelo. Guarda questo posto, è ancora un casino. E il bagno? L’hai pulito come ti ho detto?”
“Non ancora,” rispose lui, abbassando lo sguardo. “Ci vado ora.”
“Bene,” disse Martina, incrociando le braccia. “Ma prima fai una cosa per me. Vai a comprare altra vodka. Quella di ieri l’hai praticamente sprecata tutta con le tue scenate.”
Luca la fissò, incredulo. “Non posso bere ancora. Sto già da schifo.”
“Non mi interessa,” tagliò corto lei. “Non la compri per te, la compri per noi. Ma visto che sei così bravo a lamentarti, stasera ti facciamo divertire di nuovo. Muoviti.”
Luca si alzò, barcollando, e uscì sotto un cielo grigio che sembrava riflettere il suo stato d’animo. Tornò mezz’ora dopo con una bottiglia di vodka economica, l’unica che poteva permettersi con i pochi soldi che gli restavano. La posò sul tavolo, sperando di potersi ritirare in pace, ma Martina aveva altri piani.
Verso sera, Matteo tornò da chissà dove, portando con sé un’energia che riempiva la stanza. “Oh, guarda qui,” disse, prendendo la bottiglia. “Il nostro servo ci ha rifornito. Bravo, Luca. Sei utile, ogni tanto.”
“Grazie,” borbottò Luca, pentendosi subito di averlo detto.
Martina rise, sedendosi sul divano con una gamba accavallata. “Sempre con quel ‘grazie’. Sei un disco rotto. Dai, siediti. Facciamo un altro gioco, visto che ti piace tanto l’alcol.”
“Non mi piace,” provò a dire lui, ma Matteo lo interruppe, spingendolo su una sedia.
“Non importa,” disse, svitando il tappo della vodka. “Ti piace perché lo diciamo noi. Stasera giochiamo a ‘Il Re del Bicchiere’. Funziona così: io e Martina siamo i re, e tu sei il suddito. Ogni volta che diciamo qualcosa, tu bevi. Se sbagli, bevi doppio. Chiaro?”
Luca scosse la testa, il panico che gli saliva in gola. “Non ce la faccio. Vi prego, non voglio.”
“Non vuoi?” disse Martina, alzandosi e avvicinandosi a lui. Prese la bottiglia dalle mani di Matteo e gliela agitò davanti al viso. “Allora ti verso tutto in faccia e ti faccio pulire con la lingua. Scegli tu.”
Luca chiuse gli occhi, sconfitto. “Va bene,” sussurrò.
“Bene,” disse lei, versandogli un bicchiere pieno fino all’orlo. “Cominciamo. Matteo, tocca a te.”
Matteo si appoggiò al muro, un ghigno sul viso. “Okay. Luca, dimmi che sono il migliore.”
Luca deglutì, il bicchiere in mano. “Sei il migliore,” mormorò, poi bevve un sorso, il bruciore che gli strappava un gemito.
“Fallo meglio,” disse Martina, ridendo. “Con entusiasmo. Dai.”
“Sei il migliore!” ripeté lui, più forte, e bevve di nuovo. Il liquido gli scese nello stomaco come fuoco.
“Bravo,” disse Matteo. “Ora dimmi che sei un perdente.”
Luca esitò, le mani che tremavano. “Io… non voglio.”
“Bevi doppio,” ordinò Martina, e Matteo gli versò un altro shot sopra quello che già aveva. Luca mandò giù entrambi, tossendo violentemente mentre loro ridevano.
“Dai, riprova,” disse Matteo. “Sei un perdente. Dillo.”
“Sono un perdente,” sussurrò Luca, bevendo ancora. La stanza cominciava a girare, i contorni sfocati.
Martina si chinò verso di lui, il viso a pochi centimetri dal suo. “Ora dimmi che io sono troppo per te. Che non mi meritavi mai.”
Luca sentì le lacrime pungergli gli occhi, ma obbedì. “Sei troppo io me. Non ti meritavo mai.” Un altro sorso, e il suo stomaco si ribellò, ma riuscì a trattenerlo.
“Perfetto,” disse lei, sedendosi sulle gambe di Matteo. “Vedi? È divertente quando ti arrendi. Continua, Matteo.”
Matteo alzò la bottiglia come un trofeo. “Dì che sono più uomo di te.”
“Sei più uomo di me,” disse Luca, la voce spezzata, e bevve. Ormai era un automa, ogni parola un altro chiodo nella sua dignità.
Il gioco andò avanti per un’ora. Ogni frase era un’umiliazione peggiore della precedente: “Dì che sei un rifiuto.” “Dì che ci fai schifo.” “Dì che ti piace guardarci insieme.” Luca beveva a ogni comando, il corpo che tremava e la mente che si spegneva. A un certo punto, dopo aver detto “Sono un verme inutile,” crollò dalla sedia, finendo in ginocchio sul pavimento.
“Guarda che spettacolo,” disse Martina, filmando con il telefono. “Non regge nemmeno seduto. Dai, Luca, alzati e bevi ancora.”
“Non posso,” gemette lui, la testa china. “Sto per vomitare.”
“Vomita dopo,” disse Matteo, tirandolo su per il braccio. “Prima finisci il bicchiere. Dai, un ultimo brindisi. A noi, i re, e a te, il nostro buffone.”
Luca prese il bicchiere con mani incerte, versandosene metà addosso mentre cercava di bere. Il resto gli scivolò in gola, e finalmente il suo corpo cedette. Cadde di nuovo, vomitando sul pavimento mentre Martina e Matteo scoppiavano a ridere.
“Che schifo,” disse lei, allontanandosi. “Pulisci, dai. Non lo faccio io per te.”
Luca, ancora in ginocchio, prese uno straccio con mani tremanti, pulendo il suo stesso vomito sotto i loro sguardi divertiti. “Sembri un animale,” disse Matteo, dandogli un calcio leggero sul fianco. “Finisci e vai a lavarti, che puzzi.”
Martina gli versò un po’ di vodka sui capelli, l’ultima goccia di umiliazione. “Ecco, così sei completo,” disse, prima di voltarsi e baciare Matteo davanti a lui. “Andiamo di là. Questo qui è finito.”
Luca rimase lì, fradicio e distrutto, il sapore dell’alcol e della vergogna che gli impregnava ogni fibra. Non si mosse per ore, un relitto abbandonato nel suo stesso inferno.
Il calice dell’abisso
Il giorno successivo, Luca si svegliò con il corpo che implorava pietà. Ogni muscolo gli doleva, la testa era un tamburo di dolore, e la bocca aveva il sapore acre del vomito e della vodka. Il pavimento vicino al divano era ancora macchiato, nonostante i suoi tentativi di pulire la notte prima. Si alzò a fatica, cercando di ignorare il tremore delle mani, e si diresse verso il bagno per lavarsi la faccia. Sperava in un momento di tregua, ma la pace non era mai parte del suo destino ormai.
Martina lo intercettò prima che potesse raggiungere il lavandino. Era in cucina, con un succo d’arancia in mano, e lo fissò con un sorriso che prometteva guai. “Dove vai?” chiese, bloccandogli la strada.
“A lavarmi,” rispose lui, la voce debole. “Ho bisogno di…”
“Non hai bisogno di niente finché non te lo dico io,” lo interruppe lei, posando il bicchiere. “Guarda che schifo sei. Puzzi di alcol e disperazione. Ma sai una cosa? Oggi ti facciamo divertire ancora. L’alcol è il tuo migliore amico, no?”
“No, Martina, ti prego,” disse Luca, scuotendo la testa. “Non ce la faccio più.”
“Non ce la fai?” ribatté lei, avvicinandosi con un passo lento. “Peccato, perché non hai scelta. Matteo ha avuto un’idea geniale, e tu sei la star dello spettacolo.”
Matteo entrò in quel momento, una scatola di birre sotto il braccio e un’espressione soddisfatta. “Oh, eccolo il nostro campione,” disse, posando le lattine sul tavolo. “Pronto per il ‘Torneo del Reietto’? È una cosa che ho inventato apposta per te.”
Luca si irrigidì, il cuore che gli cadeva nello stomaco. “Che cos’è?”
Martina rise, prendendo una birra dalla scatola. “Te lo spieghiamo subito. Siediti, dai. Non fare il difficile.”
Luca si lasciò cadere sulla sedia, troppo stanco per resistere. Matteo si sedette di fronte a lui, aprendo una lattina con un sibilo. “Regole semplici,” disse, passandogliela. “Primo round: ‘La Corsa del Servo’. Devi bere una birra intera mentre corri da qui alla porta e torni indietro. Se versi anche una goccia, ricominci da capo con un’altra.”
“Non posso correre,” protestò Luca, fissando la lattina. “Sto male, io…”
“Allora cammina,” tagliò corto Martina, incrociando le braccia. “Ma bevi tutto. Forza, inizia.”
Luca prese la birra, le mani che tremavano, e si alzò. Fece un passo verso la porta, portandosi la lattina alla bocca. Il liquido freddo gli scivolò in gola, ma la fretta lo fece inciampare, e una parte gli colò sul mento, gocciolando sul pavimento.
“Ops,” disse Matteo, ridendo. “Hai perso. Ricomincia.”
Martina gli passò un’altra lattina, e Luca riprovò. Questa volta riuscì a bere tutto, barcollando fino alla porta e tornando indietro, il respiro affannoso e lo stomaco in rivolta. “Fatto,” ansimò, posando la lattina vuota.
“Non male,” disse Matteo, ma il suo tono era beffardo. “Secondo round: ‘Il Canto del Buffone’. Devi cantare una canzone mentre bevi. Se smetti di cantare o di bere, ti versiamo addosso il resto.”
“Una canzone?” chiese Luca, confuso.
“Sì,” disse Martina, tirando fuori il telefono. “Mettiamo ‘Tanti auguri’. Dai, canta e bevi.” Gli passò un’altra birra, e Matteo fece partire la musica dal suo telefono.
Luca iniziò, la voce strozzata e incerta. “Tanti auguri a te…” Bevve un sorso, tossendo mentre cercava di continuare. “Tanti auguri a te…” Un altro sorso, e la birra gli uscì dal naso, facendolo soffocare.
Martina scoppiò a ridere, battendo le mani. “Oddio, è ridicolo! Sembra un maiale che grugnisce. Dai, Matteo, dagli la penalità.”
Matteo prese una lattina, la agitò forte e la aprì sopra la testa di Luca. La schiuma gli esplose addosso, inzuppandogli i capelli e la maglietta. “Canta meglio la prossima volta,” disse, ridendo.
Luca si asciugò il viso con la manica, il sapore della birra che gli colava in bocca. “Basta, vi prego,” sussurrò.
“Basta?” disse Martina, prendendo un’altra lattina. “Non abbiamo finito. Terzo round: ‘Il Brindisi del Reietto’. Devi fare un brindisi a noi, i tuoi re, e bere ogni volta che dici qualcosa di carino. Se non ci convinci, bevi doppio.”
Luca annuì, rassegnato. Prese la birra che gli passarono e si schiarì la voce. “A Martina e Matteo,” iniziò, la voce tremante. “Siete… siete belli insieme.” Bevve un sorso, il liquido che gli bruciava lo stomaco.
“Patetico,” disse Martina. “Non ci credi nemmeno tu. Bevi doppio.”
Luca bevve due sorsi, barcollando. “Siete forti,” continuò. “E… divertenti.” Un altro sorso.
“Ancora schifoso,” disse Matteo. “Doppi shot.”
Luca bevve ancora, la vista che si offuscava. “Siete tutto quello che non sono io,” disse, quasi singhiozzando. “Meritate tutto.”
Martina inclinò la testa, un sorriso crudele. “Meglio, ma non abbastanza. Doppio.”
Luca mandò giù altro alcol, ormai al limite. La stanza girava, e le loro risate gli rimbombavano nelle orecchie. “Siete i miei re,” mormorò, la voce spezzata. “Io sono niente.”
“Finalmente,” disse Martina, battendo le mani. “Questo ci piace. Bevi comunque, dai, per festeggiare.”
Luca bevve, ma il suo corpo non resse più. Cadde in avanti, la lattina che gli scivolava di mano e rotolava sul pavimento. Matteo lo tirò su per i capelli, ridendo. “Non reggi proprio, eh? Dai, ultimo tocco.”
Prese una bottiglia di vodka e gliela versò lentamente sulla schiena, il liquido freddo che gli scorreva lungo la spina dorsale. “Ecco, ora sei battezzato,” disse, mentre Martina filmava tutto.
“Mettiamolo su Instagram,” disse lei, ridendo. “Titolo: ‘Il Reietto annega’. Guarda che faccia, è da Oscar.”
Luca crollò sul pavimento, fradicio e ubriaco, mentre loro si allontanavano, lasciandolo lì come un rifiuto. “Pulisci domani,” gli urlò Martina prima di sparire in camera. “E non vomitare di nuovo, che fai schifo.”
Luca rimase immobile, il sapore dell’alcol che gli impregnava la pelle, la mente persa in un buio senza fine. Non era più un uomo, solo un giocattolo rotto, inzuppato di vergogna.
L’eco del bicchiere
Il giorno dopo il “Torneo del Reietto”, Luca si svegliò con il corpo che sembrava un campo di battaglia abbandonato. Ogni respiro era un rantolo, ogni movimento un’agonia. Il salotto puzzava di birra rancida e vodka versata, e il pavimento era ancora appiccicoso sotto i suoi piedi nudi. Si tirò su dal divano, la testa che pulsava come se qualcuno ci stesse scavando dentro con un trapano, e cercò di orientarsi. La casa era silenziosa, un raro momento di tregua, ma sapeva che non sarebbe durato.
Verso il tardo pomeriggio, la porta si aprì con un colpo secco. Martina entrò per prima, il viso teso, seguita da Matteo, che portava una busta piena di bottiglie tintinnanti. Dietro di loro c’era un gruppo di persone, le stesse voci chiassose della festa precedente, ma tra loro spiccava una figura nuova, una presenza che sembrava risucchiare l’aria dalla stanza.
Era una ragazza. Alta, con una cascata di capelli neri che le cadevano sulle spalle come seta liquida, e occhi verdi che tagliavano come lame sotto la luce fioca del lampadario. Indossava un giubbotto di pelle aderente, jeans strappati e stivaletti con borchie che ticchettavano sul pavimento con ogni passo. Ma non era solo la sua bellezza a colpire – era il modo in cui si muoveva, sicuro e deciso, il sorriso che le increspava le labbra come se sapesse qualcosa che gli altri ignoravano. Si chiamava Elena.
“Chi è questa?” chiese Luca, sottovoce, mentre il gruppo si sparpagliava nel salotto. Nessuno gli rispose, ma Martina lo fulminò con uno sguardo che diceva di stare zitto.
“Elena, benvenuta!” disse Matteo, posando le bottiglie sul tavolo con un gesto plateale. “Ragazzi, lei è una leggenda. L’ho conosciuta ieri al bar, e vi giuro, è un uragano.”
Elena rise, una risata profonda e musicale che fece voltare anche Sara, l’amica di Martina, con un misto di curiosità e invidia. “Un uragano, eh? Mi piace,” disse, appoggiandosi al muro con una posa disinvolta. “Allora, che si fa stasera? Non sono venuta qui per annoiarmi.”
Martina si irrigidì visibilmente. “Abbiamo un po’ di roba da bere,” disse, cercando di mantenere il controllo della situazione. “Pensavo di fare un gioco, tipo quello di ieri. Luca è bravo a fare lo scemo, vero, Luca?” Gli lanciò un’occhiata tagliente, aspettandosi la sua solita obbedienza.
Ma Elena intervenne prima che Luca potesse rispondere. “Un gioco, eh? Interessante. Ma se devo giocare, voglio qualcosa di più… creativo. Che ne dite di ‘La Ruota dell’Umiliazione’? Lo facevamo sempre al mio vecchio quartiere. È una cosa da duri.” La sua voce era calma, ma aveva un’energia che catturava tutti, persino Matteo, che annuì con entusiasmo.
“Spiega,” disse lui, incuriosito, mentre Martina incrociava le braccia, il sorriso che le si incrinava agli angoli.
Elena si avvicinò al tavolo, prendendo una bottiglia di tequila dalla busta. “Facile. Mettiamo una bottiglia al centro, come una roulette. La giriamo, e chi viene indicato deve bere e subire un’umiliazione scelta dal gruppo. Ma attenzione: se ti tiri indietro, bevi doppio e l’umiliazione diventa peggio. Ci state?”
Il gruppo esplose in un coro di approvazione. Martina, però, esitò. “Sembra una stupidaggine,” disse, cercando di sminuire l’idea. “Noi abbiamo già i nostri giochi, no? Luca è perfetto per quelli.”
Elena la fissò, un sopracciglio alzato. “Oh, tranquilla, Martina. Se hai paura di perdere, puoi guardare. Ma qualcosa mi dice che non sei tipo da tirarti indietro, giusto?” Il tono era amichevole, ma c’era una sfida nascosta, un guanto di velluto che pesava come piombo.
Martina arrossì, presa in contropiede. “Paura? Io? Figurati. Facciamo questa cazzo di ruota, allora.” Si sedette al tavolo, cercando di riprendere il controllo, ma gli occhi di tutti erano già su Elena, che posò la bottiglia al centro con un gesto deciso.
“Perfetto,” disse Elena, girandola per la prima volta. La bottiglia rallentò, fermandosi su uno dei ragazzi, quello con la felpa oversize. “Tu, come ti chiami?”
“Gabriele,” rispose lui, un po’ nervoso.
“Bene, Gabriele. Bevi un shot di tequila e… vediamo…” Elena guardò il gruppo con un sorriso malizioso. “Togliti la felpa e fai dieci flessioni cantando ‘Bella Ciao’. Vai.”
Gabriele rise, bevve lo shot e obbedì, arrancando tra le flessioni mentre la sua voce stonata riempiva la stanza. Il gruppo scoppiò a ridere, e persino Luca, seduto in un angolo, abbozzò un sorriso. Ma Martina non rise. Teneva d’occhio Elena, le labbra strette.
La bottiglia girò di nuovo, fermandosi su Sara. “Shot e… balla come una gallina per trenta secondi,” ordinò Elena. Sara bevve e si mise a saltellare, agitando le braccia, mentre Matteo sghignazzava e filmava col telefono.
Poi toccò a Luca. La bottiglia si fermò su di lui, e Martina si sporse in avanti, pronta a colpire. “Finalmente,” disse, con un ghigno. “Bevi e inginocchiati davanti a me e Matteo, dicendo che siamo i tuoi padroni.”
Ma Elena alzò una mano. “Aspetta un secondo, Martina. Io ho un’idea migliore.” Si voltò verso Luca, guardandolo negli occhi per la prima volta. C’era qualcosa di diverso nel suo sguardo, non solo crudeltà, ma una curiosità tagliente. “Bevi due shot di tequila, uno dopo l’altro. Poi vai in cucina, prendi un cucchiaio di senape e mangialo cantando ‘Volare’. Se vomiti, bevi ancora.”
Il gruppo esplose in risate, e Martina sbuffò, ma non protestò. Luca prese la bottiglia, le mani tremanti, e bevve i due shot. Il bruciore gli strappò un gemito, ma si alzò e barcollò verso la cucina. Tornò con un cucchiaio di senape gialla, il viso già contorto dal disgusto. “Vooolareee,” iniziò, la voce strozzata mentre infilava la senape in bocca. Il sapore acre gli fece lacrimare gli occhi, e il gruppo urlò di gioia mentre lui cercava di non soffocare.
“Grande, Luca!” gridò Gabriele, mentre Matteo batteva le mani. Martina, però, sembrava sempre più a disagio, il suo ruolo di regina messo in discussione dall’energia travolgente di Elena.
La bottiglia girò ancora, fermandosi su Martina. Elena sorrise, un sorriso che prometteva guai. “Tocca a te, Marti. Bevi uno shot e… vediamo… vai fuori, sotto la pioggia, e urla ‘Sono una stronza’ tre volte a squarciagola. Poi torna dentro e baciami la mano come una serva.”
Martina sbiancò. “Cosa? Non se ne parla.”
“Allora bevi doppio e l’umiliazione peggiora,” disse Elena, impassibile. “Regole del gioco, tesoro. O forse non sei all’altezza?”
Il gruppo si zittì, gli occhi puntati su Martina. Lei strinse i pugni, il viso rosso di rabbia e imbarazzo. “Va bene,” sibilò, prendendo lo shot e mandandolo giù con un gesto rabbioso. Uscì sotto la pioggia, il gruppo che si accalcava alla finestra per guardare. “Sono una stronza! Sono una stronza! Sono una stronza!” urlò, la voce che si spezzava nel vento. Tornò dentro fradicia, i capelli incollati al viso, e si avvicinò a Elena con passo rigido. Le prese la mano e la sfiorò con le labbra, un gesto rapido e carico di odio.
“Brava,” disse Elena, con un tono che era allo stesso tempo gentile e devastante. “Sembri quasi umana così.”
Matteo rise, ma c’era una nota incerta nella sua voce. Il gruppo applaudì, ma Martina non riuscì a nascondere il tremore delle mani mentre si sedeva. Elena aveva preso il controllo, e la sua sicurezza, quella che Martina aveva sempre ostentato, cominciava a sgretolarsi.
La bottiglia girò di nuovo, fermandosi su Matteo. “Shot e… fai il giro della stanza a quattro zampe abbaiando come un cane,” disse Elena, senza nemmeno guardarlo.
Matteo obbedì, un po’ troppo entusiasta, e il gruppo lo incitò mentre si muoveva goffamente sul pavimento. Ma quando tornò al tavolo, i suoi occhi cercarono quelli di Elena, non di Martina. E Martina lo notò.
Il gioco continuò, con Elena che orchestrava ogni umiliazione con una creatività spietata. A un certo punto, propose un round di gruppo: “Tutti bevono tre shot di fila, poi si inginocchiano in cerchio e si versano la birra addosso a vicenda. L’ultimo che resta in piedi vince.”
Il caos esplose. Luca, già al limite, bevve i tre shot e crollò quasi subito, la birra che gli colava sul viso mentre Gabriele gliene versava un’altra dose ridendo. Sara resistette un po’ di più, ma finì per accasciarsi contro il divano. Martina cercò di tenere il passo, ma barcollò e cadde, il viso contratto in una smorfia di frustrazione. Matteo durò più a lungo, ma alla fine si arrese, ridendo e tossendo.
Elena, invece, rimase in piedi, stabile come una roccia, la birra che le gocciolava dai capelli ma senza intaccare la sua compostezza. “Sembra che abbia vinto io,” disse, pulendosi il viso con un gesto lento.
Martina, ancora a terra, la fissò con un misto di rabbia e insicurezza. “Chi cazzo sei tu per venire qui e comandare tutti?” sbottò, la voce spezzata dall’alcol e dall’umiliazione.
Elena si voltò verso di lei, il sorriso che si spegneva appena. “Sono solo una che sa giocare meglio di te, Martina. Non te la prendere, non è colpa mia se non reggi il confronto.”
Il silenzio calò sul gruppo, pesante come piombo. Martina si alzò, barcollando, e uscì dalla stanza senza una parola, diretta in camera da letto. Matteo fece per seguirla, ma Elena lo fermò con un gesto. “Lasciala andare,” disse piano. “Ha bisogno di un momento.”
Luca, fradicio e stordito, guardava tutto dalla sua posizione sul pavimento. Per la prima volta, provò qualcosa di diverso dalla vergogna: una scintilla di curiosità verso quella ragazza che aveva ribaltato ogni equilibrio. Ma non osò parlare. Non ancora.
La serata finì con Elena che prendeva una birra fresca e si sedeva sul divano, come una regina sul trono, mentre il gruppo si disperdeva tra risate e lamentele. Martina non tornò, e Matteo, per la prima volta, sembrava incerto su cosa fare. Luca, invece, rimase lì, un relitto inzuppato di alcol e speranze infrante, ma con un pensiero nuovo che gli si insinuava nella mente: forse, in quel caos, c’era qualcosa di diverso all’orizzonte. Qualcosa che non capiva ancora.
Il riflesso incrinato
La mattina dopo “La Ruota dell’Umiliazione” si trascinò lenta e pesante nell’appartamento. Il salotto era un disastro: bottiglie vuote sparse come cadaveri dopo una battaglia, macchie di birra sul pavimento e un odore acre che impregnava ogni angolo. Luca si svegliò sul divano, il corpo rigido e la testa ancora offuscata dall’alcol della sera prima. Si alzò piano, cercando di non attirare l’attenzione, ma il silenzio della casa era rotto solo dal rumore lontano della doccia in funzione. Non sapeva chi fosse dentro – Martina, Matteo o forse Elena – e una parte di lui sperava di non scoprirlo subito.
Mentre raccoglieva i rifiuti in un sacco della spazzatura, la porta della camera da letto si aprì. Martina uscì, i capelli ancora umidi e un’espressione cupa sul viso. Indossava una felpa oversize che le cadeva sulle spalle, un tentativo di sembrare rilassata che non convinceva nessuno. Non guardò Luca, ma si fermò al tavolo della cucina, prendendo una sigaretta dal pacchetto di Matteo e accendendola con mani nervose.
“Non dire niente,” sbottò, anticipando qualsiasi parola lui potesse azzardarsi a pronunciare. “Non sono dell’umore.”
“Non dire niente,” sbottò, anticipando qualsiasi parola lui potesse azzardarsi a pronunciare. “Non sono dell’umore.”
Luca annuì in silenzio, tornando al suo compito. Ma prima che potesse allontanarsi, la porta del bagno si aprì, e Elena emerse, avvolta in un asciugamano troppo corto, i capelli neri che gocciolavano sul pavimento. “Buongiorno, Marti,” disse con un sorriso pigro, ignorando del tutto Luca. “Dormito bene dopo ieri?”
Martina tirò una boccata dalla sigaretta, il fumo che le usciva dal naso come un drago irritato. “Non chiamarmi Marti,” rispose secca. “Solo i miei amici mi chiamano così.”
Elena rise, una risata leggera che sembrava danzare nell’aria. “Oh, scusa, non volevo invadere il tuo territorio. Ma dopo ieri sera, pensavo fossimo almeno conoscenti, no?” Si avvicinò al tavolo, prendendo una mela dalla ciotola e mordendola con un gesto lento, quasi provocatorio. “Gran gioco, comunque. Non pensavo che urlare sotto la pioggia ti avrebbe fatto così effetto.”
Martina strinse le labbra, gli occhi che si assottigliavano. “Non mi ha fatto nessun effetto,” mentì, buttando la cenere in un piattino. “È stato solo uno stupido gioco.”
“Uno stupido gioco che hai perso,” disse Elena, senza alzare la voce ma con una calma che pesava come un macigno. “Niente di grave, succede. Ma quell’uscita di scena… drammatica, devo dire.”
Prima che Martina potesse rispondere, Matteo entrò dalla porta principale, una busta di plastica in mano e un’aria stanca ma compiaciuta. “Ho preso la colazione,” annunciò, posando croissant e caffè da asporto sul tavolo. “Ehi, Elena, sei ancora qui? Pensavo fossi scappata dopo averci distrutti tutti ieri.”
Elena scrollò le spalle, lasciando cadere l’asciugamano quel tanto che bastava per sistemarsi i capelli, un gesto che fece voltare Matteo e arrossire Martina. “Non scappo mai dopo una vittoria,” disse, prendendo un caffè senza chiedere. “E poi, mi sto divertendo. Questo posto è un circo, e io adoro gli spettacoli.”
Martina sbuffò, spegnendo la sigaretta con un gesto rabbioso. “Se ti piace tanto, perché non ti trasferisci qui? Sembra che ti senti già a casa.”
“Magari lo farò,” rispose Elena, guardandola dritto negli occhi. “Ma non preoccuparti, non ti rubo il trono. Ancora.”
Il silenzio che seguì fu elettrico, interrotto solo dal rumore di Luca che chiudeva il sacco della spazzatura. Matteo, percependo la tensione, cercò di alleggerire l’atmosfera. “Dai, ragazze, rilassatevi. È solo una colazione, non una guerra. Luca, prendi un croissant, sembri uno zombie.”
Luca obbedì, troppo stanco per protestare, ma i suoi occhi continuavano a tornare su Elena. C’era qualcosa in lei – non solo la bellezza, ma quel carisma che sembrava piegare la stanza alla sua volontà – che lo affascinava e lo spaventava allo stesso tempo.
Martina, però, non era disposta a cedere terreno. “Sai, Elena,” disse, alzandosi e avvicinandosi a lei, “qui comando io. I giochi, le regole, tutto. Tu puoi fare la tua scenetta da dura, ma questo è il mio posto. E lui,” indicò Matteo con un cenno del capo, “è mio.”
Elena inclinò la testa, un sorriso che non raggiungeva gli occhi. “Tuo, eh? Interessante. Eppure ieri sera sembrava piuttosto… entusiasta di abbaiare per me.” Fece una pausa, lasciando che le parole colpissero, poi aggiunse: “Ma tranquilla, non sono qui per rubarti niente. Mi piace solo vedere quanto reggi prima di crollare.”
Matteo rise, ma c’era un’ombra di disagio nei suoi occhi. “Dai, Marti, non fare la gelosa. Elena è solo una che sa divertirsi. Vero, Luca?” Cercò il suo appoggio, ma Luca si limitò a un mormorio indistinto, troppo intimidito per intervenire.
Martina ignorò Matteo, fissando Elena con un’intensità che avrebbe potuto incendiare la stanza. “Vedremo chi crolla per prima,” disse, la voce bassa ma carica di minaccia. Poi si voltò e uscì sul balcone, sbattendo la porta scorrevole dietro di sé.
Elena non batté ciglio. Prese un altro morso della mela e si sedette al tavolo, accavallando le gambe con una grazia che sembrava studiata. “Che caratterino,” disse a Matteo, come se Martina non fosse mai esistita. “Scommetto che è divertente farla incazzare.”
“Non proprio,” rispose lui, grattandosi la nuca. “Di solito sono io quello che la calma. Ma devo dire, ieri sera hai messo un bel casino. Non la vedevo così fuori di testa da un pezzo.”
“E questo è solo l’inizio,” disse Elena, con un sorriso che prometteva tempesta. Poi, per la prima volta, si rivolse direttamente a Luca. “E tu, silenzioso? Che ne pensi di tutto questo? Sempre a pulire e basta, o hai qualcosa da dire?”
Luca si irrigidì, colto alla sprovvista. “Io… non lo so,” balbettò, stringendo il croissant tra le mani. “Faccio quello che mi dicono, di solito.”
Elena lo studiò per un momento, gli occhi verdi che scavavano più a fondo di quanto lui fosse abituato. “Peccato,” disse infine. “Sembri uno che potrebbe sorprendere, se solo ci provasse.” Poi si alzò, lasciando il caffè a metà, e si diresse verso la porta. “Ci vediamo stasera, ragazzi. Portate altra tequila. Ho in mente qualcosa di speciale.”
Quando uscì, la stanza sembrò svuotarsi di energia. Matteo si lasciò cadere sul divano, sospirando. “Quella ragazza è un problema,” disse, più a se stesso che a Luca. “Ma cazzo, è divertente.”
Luca non rispose, ma dentro di sé sentiva un groviglio di emozioni che non riusciva a decifrare. Elena era diversa da Martina e Matteo – non solo crudele, ma imprevedibile, come una forza che non si poteva controllare. E per la prima volta, si chiese se quella forza potesse essere un’uscita dal suo inferno, o solo un altro giro di vite.
Martina rientrò dal balcone poco dopo, il viso ancora contratto. “Che ha detto quella stronza mentre ero fuori?” chiese a Matteo, ignorando Luca.
“Niente di che,” rispose lui, evasivo. “Solo che torna stasera. Vuole fare un altro gioco.”
“Un altro gioco,” ripeté Martina, ridendo amaramente. “Bene. Che ci provi. Vediamo chi ride per ultima.”
Ma mentre parlava, la sua voce tremava appena, un’incrinatura che non era mai stata lì prima. Elena aveva scosso qualcosa in lei – la sua sicurezza, il suo controllo – e Luca, osservandola in silenzio, capì che il potere nella stanza stava cambiando padrone. Non sapeva ancora come, ma il riflesso di Martina si era incrinato, e il gioco, qualunque fosse, era appena iniziato davvero.
La crepa nel vetro
Il pomeriggio si trascinò lento nell’appartamento, un silenzio fragile che avvolgeva ogni cosa. Luca, come sempre, era chino sul tavolo del salotto, strofinando macchie invisibili con uno straccio, un rituale che lo teneva occupato e lontano dai guai. Martina trafficava in cucina, il rumore dei cassetti che si chiudevano più morbido del solito, quasi pensieroso. Matteo, sdraiato sul divano, scorreva il telefono con un sorrisetto vago, lanciando ogni tanto un’occhiata verso la cucina, ma senza dire nulla.
Quando il crepuscolo tinse le tende di arancione, la porta si aprì ed Elena entrò senza bussare, una busta di bottiglie in mano e un’aura che sembrava accendere l’aria intorno a lei. “Sera, ragazzi,” disse, posando la busta con un gesto fluido. “Ho portato il carburante per un nuovo gioco: ‘Confessioni Liquide’. Si beve, si confessa qualcosa di vero. Se menti o ti tiri indietro, doppio shot e una penitenza dal gruppo. Che ne dite?”
Martina uscì dalla cucina, asciugandosi le mani su uno strofinaccio, un sorriso teso ma non ostile sulle labbra. “Sembra interessante,” disse, appoggiandosi al bancone. “Meglio di ieri, spero.”
Elena inclinò la testa, un bagliore divertito negli occhi. “Oh, ieri è stato solo un antipasto. Questo è più… intimo. Ti piacerà, Martina.” Il tono era caldo, ma c’era un filo tagliente nascosto, come un complimento che punge.
Matteo si alzò, sfregandosi le mani. “Mi piace già,” disse, prendendo un bicchiere. “Dai, Marti, siediti. Facciamo un giro.” La sua voce era leggera, ma i suoi occhi guizzarono verso Elena con una complicità appena accennata.
Martina annuì, sedendosi al tavolo con un movimento più morbido del solito. “Va bene, vediamo che sai fare,” disse a Elena, quasi incuriosita.
Elena versò il rum nei bicchieri, un sorriso che danzava sulle labbra. “Tu, Luca, vieni qui,” disse, indicando una sedia. “Non puoi sempre pulire e basta.”
Luca obbedì, il cuore che batteva forte mentre si sedeva, il bicchiere tra le mani tremanti. Elena lo ignorò subito dopo, concentrandosi sugli altri. “Comincio io,” disse, bevendo un sorso lungo e posato. “Ho abbandonato un’amica in un bar perché mi aveva chiesto di mentire per lei. Non mi piace coprire le spalle a chi non se lo merita. Vero.”
Matteo bevve, un ghigno sul viso. “Ho fregato un cliente al lavoro vendendogli una macchina schifosa per fare cifra. Mi ha ringraziato pure. Vero.” Lanciò un’occhiata a Elena, quasi in cerca di approvazione, e lei gli fece un cenno impercettibile.
Martina prese il bicchiere, sorseggiando con calma. “Ho rubato un rossetto da un negozio quando avevo sedici anni,” disse, ridacchiando piano. “Mi sono sentita una ribelle. Vero.”
Elena annuì, ma il suo sorriso si allargò appena. “Carino, Martina. Quasi tenero. Pensavo fossi più… audace.” Le parole erano gentili, ma scavavano, insinuando un dubbio sottile.
Martina arrossì leggermente, ma rise. “Oh, ci arrivo, tranquilla,” disse, cercando di tenere il passo.
“Tocca a te, Luca,” disse Elena, girandosi verso di lui. “Bevi e parla.”
Luca bevve, il rum che gli bruciava la gola. “Ho… ho buttato via una foto di me e Martina perché mi faceva male guardarla,” mormorò, gli occhi bassi. “Vero.”
Martina lo fissò, sorpresa, ma Elena intervenne prima che potesse parlare. “Dolce,” disse, con un tono che sembrava quasi sincero. “Ma un po’ prevedibile, no? Dai, Martina, secondo giro. Sorprendimi.”
Martina bevve di nuovo, un po’ più veloce stavolta. “Ho mentito a Matteo dicendogli che ero uscita con Sara, ma ero con un altro,” disse, la voce leggera ma incerta. “Vero.”
Matteo alzò un sopracciglio, ma non disse nulla, limitandosi a un sorrisetto che poteva significare tutto o niente. Elena, invece, si sporse verso Martina. “Interessante,” disse. “E lui lo sapeva già, scommetto. Sei meno brava a nascondere di quanto credi, eh?” Il commento era morbido, quasi un sussurro, ma Martina si irrigidì, il sorriso che vacillava.
“Forse,” rispose, cercando di sembrare disinvolta. “Non importa, no?”
“Non importa,” confermò Elena, ma il suo sguardo diceva il contrario. “Matteo, vai.”
Matteo bevve, rilassato. “Ho lasciato un amico nei guai con dei tizi incazzati perché non volevo rogne. Se l’è cavata da solo. Vero.” Guardò Elena, e lei ricambiò con un cenno lento, come un’intesa segreta.
“Luca,” disse Elena, tornando a lui. “Forza.”
Luca bevve, il liquido che gli dava un coraggio fragile. “Vorrei sparire da qui a volte,” disse piano. “Ma non so dove andare. Vero.”
Elena annuì, ma il suo interesse era già altrove. “Carino,” disse. “Martina, di nuovo tu. Qualcosa di più… succoso, dai.”
Martina bevve, il viso che tradiva un leggero nervosismo. “Ho paura di non essere abbastanza per Matteo,” ammise, la voce più bassa. “Vero.”
Elena si sporse ancora, il sorriso che si affinava come una lama. “Oh, Martina, che confessione. E lo dici davanti a lui? Coraggiosa. O forse imprudente.” Fece una pausa, lasciando che il peso delle sue parole si depositasse. “Sai, a volte basta poco per perdere il controllo, no?”
Martina deglutì, cercando di ridere. “Non perdo niente,” disse, ma la sua voce era meno sicura.
“ Certo che no,” disse Elena, con una gentilezza che sembrava quasi pietà. “Matteo, tocca a te.”
Matteo bevve, un lampo negli occhi. “Ho sempre pensato che Martina fosse troppo prevedibile,” disse, con un tono casuale che nascondeva un’intenzione. “Vero.” Non guardò Martina, ma i suoi occhi sfiorarono Elena, che annuì appena.
Martina impallidì, ma si sforzò di sorridere. “Prevedibile, eh? Be’, almeno sono qui,” disse, ma la battuta suonò debole.
Elena prese il bicchiere, bevendo con calma. “Ho manipolato una persona per farla restare con me, solo per vedere se ci riuscivo,” disse, fissando Martina. “E ha funzionato. Vero.”
Martina rise, ma era una risata nervosa. “Sei proprio un tipo strano, Elena,” disse, cercando di mantenere il tono leggero. “Mi piace, però.”
“Lo so,” rispose Elena, con un sorriso che la inchiodava. “E tu sei così… accomodante. È adorabile.” La parola “adorabile” suonò come un insulto mascherato, e Martina abbassò lo sguardo per un istante.
“Luca,” disse Elena, senza perdere il ritmo.
Luca bevve, il rum ormai un rituale di resa. “Mi vergogno di essere me stesso,” mormorò. “Vero.”
“Lo immaginavo,” disse Elena, quasi distratta. “Martina, ultima confessione. Fammi vedere chi sei davvero.”
Martina bevve, le mani che tremavano appena. “A volte penso che Elena sia più forte di me,” disse, quasi sussurrando. “Vero.”
Elena si appoggiò allo schienale, il trionfo nascosto in un sorriso discreto. “Che dolce,” disse. “E così vero. Non ti preoccupare, Martina, è normale sentirsi così davanti a me.”
Martina rise di nuovo, ma era un suono fragile, come vetro che si incrina. “Sei proprio sicura di te, eh?” disse, ma non c’era sfida nelle sue parole, solo un’eco di resa.
Matteo si sporse verso Elena, un gesto quasi impercettibile. “Gran gioco,” disse piano, e il suo tono aveva una nota di ammirazione che Martina non colse.
Elena si alzò, prendendo la bottiglia. “Finito per stasera,” disse. “Grazie, Martina, sei stata… perfetta.” La parola era un altro ago, e Martina sorrise, ignara di quanto si fosse piegata.
Luca rimase in silenzio, il bicchiere vuoto davanti a lui, testimone muto di un gioco che lo schiacciava ma che, per la prima volta, non riguardava solo lui. Martina, quasi senza rendersene conto, si era lasciata scivolare sotto il peso di Elena, e Matteo, con il suo silenzio complice, aveva già scelto da che parte stare. La crepa nel vetro si era allargata, e il potere, sottile ma inesorabile, stava cambiando mani.
Continua...
Per il racconto completo scrivetemi a raccontienkii@gmail.com
Ps. Dalla prossima parte, il racconto verrà pubblicato nella sezione "Dominazione".
Un’anima si perde nel calice dell’abisso, dove l’ebbrezza svela verità taglienti e il gioco diventa specchio di fragilità nascoste. Tra ombre di dominio e sussurri di resa, un riflesso si incrina, lasciando intravedere l’eco di un riscatto o di una caduta più profonda.
Il brindisi dei vinti
La mattina dopo, Luca si svegliò con il sapore della sconfitta in bocca. Il divano era impregnato di un misto di vodka rovesciata e sudore, e il suo corpo tremava per i postumi della sbornia. La testa gli pulsava come se qualcuno ci stesse battendo sopra con un martello, e ogni movimento gli costava uno sforzo immenso. Il biglietto di Martina era ancora lì, accartocciato sul pavimento, un promemoria della sua caduta.
Sentì la porta della camera da letto aprirsi e il suono di passi leggeri. Martina entrò nel salotto, fresca e riposata, con una tazza di tè in mano. Lo fissò per un momento, poi fece una smorfia. “Dio, che puzza. Sembri una distilleria ambulante. Non ti vergogni?”
Luca si tirò su a fatica, passandosi una mano sul viso. “Sto male,” mormorò, la voce rauca. “Ho bisogno di riposare.”
“Riposare?” disse lei, posando la tazza con un gesto secco. “Non hai fatto niente per meritartelo. Guarda questo posto, è ancora un casino. E il bagno? L’hai pulito come ti ho detto?”
“Non ancora,” rispose lui, abbassando lo sguardo. “Ci vado ora.”
“Bene,” disse Martina, incrociando le braccia. “Ma prima fai una cosa per me. Vai a comprare altra vodka. Quella di ieri l’hai praticamente sprecata tutta con le tue scenate.”
Luca la fissò, incredulo. “Non posso bere ancora. Sto già da schifo.”
“Non mi interessa,” tagliò corto lei. “Non la compri per te, la compri per noi. Ma visto che sei così bravo a lamentarti, stasera ti facciamo divertire di nuovo. Muoviti.”
Luca si alzò, barcollando, e uscì sotto un cielo grigio che sembrava riflettere il suo stato d’animo. Tornò mezz’ora dopo con una bottiglia di vodka economica, l’unica che poteva permettersi con i pochi soldi che gli restavano. La posò sul tavolo, sperando di potersi ritirare in pace, ma Martina aveva altri piani.
Verso sera, Matteo tornò da chissà dove, portando con sé un’energia che riempiva la stanza. “Oh, guarda qui,” disse, prendendo la bottiglia. “Il nostro servo ci ha rifornito. Bravo, Luca. Sei utile, ogni tanto.”
“Grazie,” borbottò Luca, pentendosi subito di averlo detto.
Martina rise, sedendosi sul divano con una gamba accavallata. “Sempre con quel ‘grazie’. Sei un disco rotto. Dai, siediti. Facciamo un altro gioco, visto che ti piace tanto l’alcol.”
“Non mi piace,” provò a dire lui, ma Matteo lo interruppe, spingendolo su una sedia.
“Non importa,” disse, svitando il tappo della vodka. “Ti piace perché lo diciamo noi. Stasera giochiamo a ‘Il Re del Bicchiere’. Funziona così: io e Martina siamo i re, e tu sei il suddito. Ogni volta che diciamo qualcosa, tu bevi. Se sbagli, bevi doppio. Chiaro?”
Luca scosse la testa, il panico che gli saliva in gola. “Non ce la faccio. Vi prego, non voglio.”
“Non vuoi?” disse Martina, alzandosi e avvicinandosi a lui. Prese la bottiglia dalle mani di Matteo e gliela agitò davanti al viso. “Allora ti verso tutto in faccia e ti faccio pulire con la lingua. Scegli tu.”
Luca chiuse gli occhi, sconfitto. “Va bene,” sussurrò.
“Bene,” disse lei, versandogli un bicchiere pieno fino all’orlo. “Cominciamo. Matteo, tocca a te.”
Matteo si appoggiò al muro, un ghigno sul viso. “Okay. Luca, dimmi che sono il migliore.”
Luca deglutì, il bicchiere in mano. “Sei il migliore,” mormorò, poi bevve un sorso, il bruciore che gli strappava un gemito.
“Fallo meglio,” disse Martina, ridendo. “Con entusiasmo. Dai.”
“Sei il migliore!” ripeté lui, più forte, e bevve di nuovo. Il liquido gli scese nello stomaco come fuoco.
“Bravo,” disse Matteo. “Ora dimmi che sei un perdente.”
Luca esitò, le mani che tremavano. “Io… non voglio.”
“Bevi doppio,” ordinò Martina, e Matteo gli versò un altro shot sopra quello che già aveva. Luca mandò giù entrambi, tossendo violentemente mentre loro ridevano.
“Dai, riprova,” disse Matteo. “Sei un perdente. Dillo.”
“Sono un perdente,” sussurrò Luca, bevendo ancora. La stanza cominciava a girare, i contorni sfocati.
Martina si chinò verso di lui, il viso a pochi centimetri dal suo. “Ora dimmi che io sono troppo per te. Che non mi meritavi mai.”
Luca sentì le lacrime pungergli gli occhi, ma obbedì. “Sei troppo io me. Non ti meritavo mai.” Un altro sorso, e il suo stomaco si ribellò, ma riuscì a trattenerlo.
“Perfetto,” disse lei, sedendosi sulle gambe di Matteo. “Vedi? È divertente quando ti arrendi. Continua, Matteo.”
Matteo alzò la bottiglia come un trofeo. “Dì che sono più uomo di te.”
“Sei più uomo di me,” disse Luca, la voce spezzata, e bevve. Ormai era un automa, ogni parola un altro chiodo nella sua dignità.
Il gioco andò avanti per un’ora. Ogni frase era un’umiliazione peggiore della precedente: “Dì che sei un rifiuto.” “Dì che ci fai schifo.” “Dì che ti piace guardarci insieme.” Luca beveva a ogni comando, il corpo che tremava e la mente che si spegneva. A un certo punto, dopo aver detto “Sono un verme inutile,” crollò dalla sedia, finendo in ginocchio sul pavimento.
“Guarda che spettacolo,” disse Martina, filmando con il telefono. “Non regge nemmeno seduto. Dai, Luca, alzati e bevi ancora.”
“Non posso,” gemette lui, la testa china. “Sto per vomitare.”
“Vomita dopo,” disse Matteo, tirandolo su per il braccio. “Prima finisci il bicchiere. Dai, un ultimo brindisi. A noi, i re, e a te, il nostro buffone.”
Luca prese il bicchiere con mani incerte, versandosene metà addosso mentre cercava di bere. Il resto gli scivolò in gola, e finalmente il suo corpo cedette. Cadde di nuovo, vomitando sul pavimento mentre Martina e Matteo scoppiavano a ridere.
“Che schifo,” disse lei, allontanandosi. “Pulisci, dai. Non lo faccio io per te.”
Luca, ancora in ginocchio, prese uno straccio con mani tremanti, pulendo il suo stesso vomito sotto i loro sguardi divertiti. “Sembri un animale,” disse Matteo, dandogli un calcio leggero sul fianco. “Finisci e vai a lavarti, che puzzi.”
Martina gli versò un po’ di vodka sui capelli, l’ultima goccia di umiliazione. “Ecco, così sei completo,” disse, prima di voltarsi e baciare Matteo davanti a lui. “Andiamo di là. Questo qui è finito.”
Luca rimase lì, fradicio e distrutto, il sapore dell’alcol e della vergogna che gli impregnava ogni fibra. Non si mosse per ore, un relitto abbandonato nel suo stesso inferno.
Il calice dell’abisso
Il giorno successivo, Luca si svegliò con il corpo che implorava pietà. Ogni muscolo gli doleva, la testa era un tamburo di dolore, e la bocca aveva il sapore acre del vomito e della vodka. Il pavimento vicino al divano era ancora macchiato, nonostante i suoi tentativi di pulire la notte prima. Si alzò a fatica, cercando di ignorare il tremore delle mani, e si diresse verso il bagno per lavarsi la faccia. Sperava in un momento di tregua, ma la pace non era mai parte del suo destino ormai.
Martina lo intercettò prima che potesse raggiungere il lavandino. Era in cucina, con un succo d’arancia in mano, e lo fissò con un sorriso che prometteva guai. “Dove vai?” chiese, bloccandogli la strada.
“A lavarmi,” rispose lui, la voce debole. “Ho bisogno di…”
“Non hai bisogno di niente finché non te lo dico io,” lo interruppe lei, posando il bicchiere. “Guarda che schifo sei. Puzzi di alcol e disperazione. Ma sai una cosa? Oggi ti facciamo divertire ancora. L’alcol è il tuo migliore amico, no?”
“No, Martina, ti prego,” disse Luca, scuotendo la testa. “Non ce la faccio più.”
“Non ce la fai?” ribatté lei, avvicinandosi con un passo lento. “Peccato, perché non hai scelta. Matteo ha avuto un’idea geniale, e tu sei la star dello spettacolo.”
Matteo entrò in quel momento, una scatola di birre sotto il braccio e un’espressione soddisfatta. “Oh, eccolo il nostro campione,” disse, posando le lattine sul tavolo. “Pronto per il ‘Torneo del Reietto’? È una cosa che ho inventato apposta per te.”
Luca si irrigidì, il cuore che gli cadeva nello stomaco. “Che cos’è?”
Martina rise, prendendo una birra dalla scatola. “Te lo spieghiamo subito. Siediti, dai. Non fare il difficile.”
Luca si lasciò cadere sulla sedia, troppo stanco per resistere. Matteo si sedette di fronte a lui, aprendo una lattina con un sibilo. “Regole semplici,” disse, passandogliela. “Primo round: ‘La Corsa del Servo’. Devi bere una birra intera mentre corri da qui alla porta e torni indietro. Se versi anche una goccia, ricominci da capo con un’altra.”
“Non posso correre,” protestò Luca, fissando la lattina. “Sto male, io…”
“Allora cammina,” tagliò corto Martina, incrociando le braccia. “Ma bevi tutto. Forza, inizia.”
Luca prese la birra, le mani che tremavano, e si alzò. Fece un passo verso la porta, portandosi la lattina alla bocca. Il liquido freddo gli scivolò in gola, ma la fretta lo fece inciampare, e una parte gli colò sul mento, gocciolando sul pavimento.
“Ops,” disse Matteo, ridendo. “Hai perso. Ricomincia.”
Martina gli passò un’altra lattina, e Luca riprovò. Questa volta riuscì a bere tutto, barcollando fino alla porta e tornando indietro, il respiro affannoso e lo stomaco in rivolta. “Fatto,” ansimò, posando la lattina vuota.
“Non male,” disse Matteo, ma il suo tono era beffardo. “Secondo round: ‘Il Canto del Buffone’. Devi cantare una canzone mentre bevi. Se smetti di cantare o di bere, ti versiamo addosso il resto.”
“Una canzone?” chiese Luca, confuso.
“Sì,” disse Martina, tirando fuori il telefono. “Mettiamo ‘Tanti auguri’. Dai, canta e bevi.” Gli passò un’altra birra, e Matteo fece partire la musica dal suo telefono.
Luca iniziò, la voce strozzata e incerta. “Tanti auguri a te…” Bevve un sorso, tossendo mentre cercava di continuare. “Tanti auguri a te…” Un altro sorso, e la birra gli uscì dal naso, facendolo soffocare.
Martina scoppiò a ridere, battendo le mani. “Oddio, è ridicolo! Sembra un maiale che grugnisce. Dai, Matteo, dagli la penalità.”
Matteo prese una lattina, la agitò forte e la aprì sopra la testa di Luca. La schiuma gli esplose addosso, inzuppandogli i capelli e la maglietta. “Canta meglio la prossima volta,” disse, ridendo.
Luca si asciugò il viso con la manica, il sapore della birra che gli colava in bocca. “Basta, vi prego,” sussurrò.
“Basta?” disse Martina, prendendo un’altra lattina. “Non abbiamo finito. Terzo round: ‘Il Brindisi del Reietto’. Devi fare un brindisi a noi, i tuoi re, e bere ogni volta che dici qualcosa di carino. Se non ci convinci, bevi doppio.”
Luca annuì, rassegnato. Prese la birra che gli passarono e si schiarì la voce. “A Martina e Matteo,” iniziò, la voce tremante. “Siete… siete belli insieme.” Bevve un sorso, il liquido che gli bruciava lo stomaco.
“Patetico,” disse Martina. “Non ci credi nemmeno tu. Bevi doppio.”
Luca bevve due sorsi, barcollando. “Siete forti,” continuò. “E… divertenti.” Un altro sorso.
“Ancora schifoso,” disse Matteo. “Doppi shot.”
Luca bevve ancora, la vista che si offuscava. “Siete tutto quello che non sono io,” disse, quasi singhiozzando. “Meritate tutto.”
Martina inclinò la testa, un sorriso crudele. “Meglio, ma non abbastanza. Doppio.”
Luca mandò giù altro alcol, ormai al limite. La stanza girava, e le loro risate gli rimbombavano nelle orecchie. “Siete i miei re,” mormorò, la voce spezzata. “Io sono niente.”
“Finalmente,” disse Martina, battendo le mani. “Questo ci piace. Bevi comunque, dai, per festeggiare.”
Luca bevve, ma il suo corpo non resse più. Cadde in avanti, la lattina che gli scivolava di mano e rotolava sul pavimento. Matteo lo tirò su per i capelli, ridendo. “Non reggi proprio, eh? Dai, ultimo tocco.”
Prese una bottiglia di vodka e gliela versò lentamente sulla schiena, il liquido freddo che gli scorreva lungo la spina dorsale. “Ecco, ora sei battezzato,” disse, mentre Martina filmava tutto.
“Mettiamolo su Instagram,” disse lei, ridendo. “Titolo: ‘Il Reietto annega’. Guarda che faccia, è da Oscar.”
Luca crollò sul pavimento, fradicio e ubriaco, mentre loro si allontanavano, lasciandolo lì come un rifiuto. “Pulisci domani,” gli urlò Martina prima di sparire in camera. “E non vomitare di nuovo, che fai schifo.”
Luca rimase immobile, il sapore dell’alcol che gli impregnava la pelle, la mente persa in un buio senza fine. Non era più un uomo, solo un giocattolo rotto, inzuppato di vergogna.
L’eco del bicchiere
Il giorno dopo il “Torneo del Reietto”, Luca si svegliò con il corpo che sembrava un campo di battaglia abbandonato. Ogni respiro era un rantolo, ogni movimento un’agonia. Il salotto puzzava di birra rancida e vodka versata, e il pavimento era ancora appiccicoso sotto i suoi piedi nudi. Si tirò su dal divano, la testa che pulsava come se qualcuno ci stesse scavando dentro con un trapano, e cercò di orientarsi. La casa era silenziosa, un raro momento di tregua, ma sapeva che non sarebbe durato.
Verso il tardo pomeriggio, la porta si aprì con un colpo secco. Martina entrò per prima, il viso teso, seguita da Matteo, che portava una busta piena di bottiglie tintinnanti. Dietro di loro c’era un gruppo di persone, le stesse voci chiassose della festa precedente, ma tra loro spiccava una figura nuova, una presenza che sembrava risucchiare l’aria dalla stanza.
Era una ragazza. Alta, con una cascata di capelli neri che le cadevano sulle spalle come seta liquida, e occhi verdi che tagliavano come lame sotto la luce fioca del lampadario. Indossava un giubbotto di pelle aderente, jeans strappati e stivaletti con borchie che ticchettavano sul pavimento con ogni passo. Ma non era solo la sua bellezza a colpire – era il modo in cui si muoveva, sicuro e deciso, il sorriso che le increspava le labbra come se sapesse qualcosa che gli altri ignoravano. Si chiamava Elena.
“Chi è questa?” chiese Luca, sottovoce, mentre il gruppo si sparpagliava nel salotto. Nessuno gli rispose, ma Martina lo fulminò con uno sguardo che diceva di stare zitto.
“Elena, benvenuta!” disse Matteo, posando le bottiglie sul tavolo con un gesto plateale. “Ragazzi, lei è una leggenda. L’ho conosciuta ieri al bar, e vi giuro, è un uragano.”
Elena rise, una risata profonda e musicale che fece voltare anche Sara, l’amica di Martina, con un misto di curiosità e invidia. “Un uragano, eh? Mi piace,” disse, appoggiandosi al muro con una posa disinvolta. “Allora, che si fa stasera? Non sono venuta qui per annoiarmi.”
Martina si irrigidì visibilmente. “Abbiamo un po’ di roba da bere,” disse, cercando di mantenere il controllo della situazione. “Pensavo di fare un gioco, tipo quello di ieri. Luca è bravo a fare lo scemo, vero, Luca?” Gli lanciò un’occhiata tagliente, aspettandosi la sua solita obbedienza.
Ma Elena intervenne prima che Luca potesse rispondere. “Un gioco, eh? Interessante. Ma se devo giocare, voglio qualcosa di più… creativo. Che ne dite di ‘La Ruota dell’Umiliazione’? Lo facevamo sempre al mio vecchio quartiere. È una cosa da duri.” La sua voce era calma, ma aveva un’energia che catturava tutti, persino Matteo, che annuì con entusiasmo.
“Spiega,” disse lui, incuriosito, mentre Martina incrociava le braccia, il sorriso che le si incrinava agli angoli.
Elena si avvicinò al tavolo, prendendo una bottiglia di tequila dalla busta. “Facile. Mettiamo una bottiglia al centro, come una roulette. La giriamo, e chi viene indicato deve bere e subire un’umiliazione scelta dal gruppo. Ma attenzione: se ti tiri indietro, bevi doppio e l’umiliazione diventa peggio. Ci state?”
Il gruppo esplose in un coro di approvazione. Martina, però, esitò. “Sembra una stupidaggine,” disse, cercando di sminuire l’idea. “Noi abbiamo già i nostri giochi, no? Luca è perfetto per quelli.”
Elena la fissò, un sopracciglio alzato. “Oh, tranquilla, Martina. Se hai paura di perdere, puoi guardare. Ma qualcosa mi dice che non sei tipo da tirarti indietro, giusto?” Il tono era amichevole, ma c’era una sfida nascosta, un guanto di velluto che pesava come piombo.
Martina arrossì, presa in contropiede. “Paura? Io? Figurati. Facciamo questa cazzo di ruota, allora.” Si sedette al tavolo, cercando di riprendere il controllo, ma gli occhi di tutti erano già su Elena, che posò la bottiglia al centro con un gesto deciso.
“Perfetto,” disse Elena, girandola per la prima volta. La bottiglia rallentò, fermandosi su uno dei ragazzi, quello con la felpa oversize. “Tu, come ti chiami?”
“Gabriele,” rispose lui, un po’ nervoso.
“Bene, Gabriele. Bevi un shot di tequila e… vediamo…” Elena guardò il gruppo con un sorriso malizioso. “Togliti la felpa e fai dieci flessioni cantando ‘Bella Ciao’. Vai.”
Gabriele rise, bevve lo shot e obbedì, arrancando tra le flessioni mentre la sua voce stonata riempiva la stanza. Il gruppo scoppiò a ridere, e persino Luca, seduto in un angolo, abbozzò un sorriso. Ma Martina non rise. Teneva d’occhio Elena, le labbra strette.
La bottiglia girò di nuovo, fermandosi su Sara. “Shot e… balla come una gallina per trenta secondi,” ordinò Elena. Sara bevve e si mise a saltellare, agitando le braccia, mentre Matteo sghignazzava e filmava col telefono.
Poi toccò a Luca. La bottiglia si fermò su di lui, e Martina si sporse in avanti, pronta a colpire. “Finalmente,” disse, con un ghigno. “Bevi e inginocchiati davanti a me e Matteo, dicendo che siamo i tuoi padroni.”
Ma Elena alzò una mano. “Aspetta un secondo, Martina. Io ho un’idea migliore.” Si voltò verso Luca, guardandolo negli occhi per la prima volta. C’era qualcosa di diverso nel suo sguardo, non solo crudeltà, ma una curiosità tagliente. “Bevi due shot di tequila, uno dopo l’altro. Poi vai in cucina, prendi un cucchiaio di senape e mangialo cantando ‘Volare’. Se vomiti, bevi ancora.”
Il gruppo esplose in risate, e Martina sbuffò, ma non protestò. Luca prese la bottiglia, le mani tremanti, e bevve i due shot. Il bruciore gli strappò un gemito, ma si alzò e barcollò verso la cucina. Tornò con un cucchiaio di senape gialla, il viso già contorto dal disgusto. “Vooolareee,” iniziò, la voce strozzata mentre infilava la senape in bocca. Il sapore acre gli fece lacrimare gli occhi, e il gruppo urlò di gioia mentre lui cercava di non soffocare.
“Grande, Luca!” gridò Gabriele, mentre Matteo batteva le mani. Martina, però, sembrava sempre più a disagio, il suo ruolo di regina messo in discussione dall’energia travolgente di Elena.
La bottiglia girò ancora, fermandosi su Martina. Elena sorrise, un sorriso che prometteva guai. “Tocca a te, Marti. Bevi uno shot e… vediamo… vai fuori, sotto la pioggia, e urla ‘Sono una stronza’ tre volte a squarciagola. Poi torna dentro e baciami la mano come una serva.”
Martina sbiancò. “Cosa? Non se ne parla.”
“Allora bevi doppio e l’umiliazione peggiora,” disse Elena, impassibile. “Regole del gioco, tesoro. O forse non sei all’altezza?”
Il gruppo si zittì, gli occhi puntati su Martina. Lei strinse i pugni, il viso rosso di rabbia e imbarazzo. “Va bene,” sibilò, prendendo lo shot e mandandolo giù con un gesto rabbioso. Uscì sotto la pioggia, il gruppo che si accalcava alla finestra per guardare. “Sono una stronza! Sono una stronza! Sono una stronza!” urlò, la voce che si spezzava nel vento. Tornò dentro fradicia, i capelli incollati al viso, e si avvicinò a Elena con passo rigido. Le prese la mano e la sfiorò con le labbra, un gesto rapido e carico di odio.
“Brava,” disse Elena, con un tono che era allo stesso tempo gentile e devastante. “Sembri quasi umana così.”
Matteo rise, ma c’era una nota incerta nella sua voce. Il gruppo applaudì, ma Martina non riuscì a nascondere il tremore delle mani mentre si sedeva. Elena aveva preso il controllo, e la sua sicurezza, quella che Martina aveva sempre ostentato, cominciava a sgretolarsi.
La bottiglia girò di nuovo, fermandosi su Matteo. “Shot e… fai il giro della stanza a quattro zampe abbaiando come un cane,” disse Elena, senza nemmeno guardarlo.
Matteo obbedì, un po’ troppo entusiasta, e il gruppo lo incitò mentre si muoveva goffamente sul pavimento. Ma quando tornò al tavolo, i suoi occhi cercarono quelli di Elena, non di Martina. E Martina lo notò.
Il gioco continuò, con Elena che orchestrava ogni umiliazione con una creatività spietata. A un certo punto, propose un round di gruppo: “Tutti bevono tre shot di fila, poi si inginocchiano in cerchio e si versano la birra addosso a vicenda. L’ultimo che resta in piedi vince.”
Il caos esplose. Luca, già al limite, bevve i tre shot e crollò quasi subito, la birra che gli colava sul viso mentre Gabriele gliene versava un’altra dose ridendo. Sara resistette un po’ di più, ma finì per accasciarsi contro il divano. Martina cercò di tenere il passo, ma barcollò e cadde, il viso contratto in una smorfia di frustrazione. Matteo durò più a lungo, ma alla fine si arrese, ridendo e tossendo.
Elena, invece, rimase in piedi, stabile come una roccia, la birra che le gocciolava dai capelli ma senza intaccare la sua compostezza. “Sembra che abbia vinto io,” disse, pulendosi il viso con un gesto lento.
Martina, ancora a terra, la fissò con un misto di rabbia e insicurezza. “Chi cazzo sei tu per venire qui e comandare tutti?” sbottò, la voce spezzata dall’alcol e dall’umiliazione.
Elena si voltò verso di lei, il sorriso che si spegneva appena. “Sono solo una che sa giocare meglio di te, Martina. Non te la prendere, non è colpa mia se non reggi il confronto.”
Il silenzio calò sul gruppo, pesante come piombo. Martina si alzò, barcollando, e uscì dalla stanza senza una parola, diretta in camera da letto. Matteo fece per seguirla, ma Elena lo fermò con un gesto. “Lasciala andare,” disse piano. “Ha bisogno di un momento.”
Luca, fradicio e stordito, guardava tutto dalla sua posizione sul pavimento. Per la prima volta, provò qualcosa di diverso dalla vergogna: una scintilla di curiosità verso quella ragazza che aveva ribaltato ogni equilibrio. Ma non osò parlare. Non ancora.
La serata finì con Elena che prendeva una birra fresca e si sedeva sul divano, come una regina sul trono, mentre il gruppo si disperdeva tra risate e lamentele. Martina non tornò, e Matteo, per la prima volta, sembrava incerto su cosa fare. Luca, invece, rimase lì, un relitto inzuppato di alcol e speranze infrante, ma con un pensiero nuovo che gli si insinuava nella mente: forse, in quel caos, c’era qualcosa di diverso all’orizzonte. Qualcosa che non capiva ancora.
Il riflesso incrinato
La mattina dopo “La Ruota dell’Umiliazione” si trascinò lenta e pesante nell’appartamento. Il salotto era un disastro: bottiglie vuote sparse come cadaveri dopo una battaglia, macchie di birra sul pavimento e un odore acre che impregnava ogni angolo. Luca si svegliò sul divano, il corpo rigido e la testa ancora offuscata dall’alcol della sera prima. Si alzò piano, cercando di non attirare l’attenzione, ma il silenzio della casa era rotto solo dal rumore lontano della doccia in funzione. Non sapeva chi fosse dentro – Martina, Matteo o forse Elena – e una parte di lui sperava di non scoprirlo subito.
Mentre raccoglieva i rifiuti in un sacco della spazzatura, la porta della camera da letto si aprì. Martina uscì, i capelli ancora umidi e un’espressione cupa sul viso. Indossava una felpa oversize che le cadeva sulle spalle, un tentativo di sembrare rilassata che non convinceva nessuno. Non guardò Luca, ma si fermò al tavolo della cucina, prendendo una sigaretta dal pacchetto di Matteo e accendendola con mani nervose.
“Non dire niente,” sbottò, anticipando qualsiasi parola lui potesse azzardarsi a pronunciare. “Non sono dell’umore.”
“Non dire niente,” sbottò, anticipando qualsiasi parola lui potesse azzardarsi a pronunciare. “Non sono dell’umore.”
Luca annuì in silenzio, tornando al suo compito. Ma prima che potesse allontanarsi, la porta del bagno si aprì, e Elena emerse, avvolta in un asciugamano troppo corto, i capelli neri che gocciolavano sul pavimento. “Buongiorno, Marti,” disse con un sorriso pigro, ignorando del tutto Luca. “Dormito bene dopo ieri?”
Martina tirò una boccata dalla sigaretta, il fumo che le usciva dal naso come un drago irritato. “Non chiamarmi Marti,” rispose secca. “Solo i miei amici mi chiamano così.”
Elena rise, una risata leggera che sembrava danzare nell’aria. “Oh, scusa, non volevo invadere il tuo territorio. Ma dopo ieri sera, pensavo fossimo almeno conoscenti, no?” Si avvicinò al tavolo, prendendo una mela dalla ciotola e mordendola con un gesto lento, quasi provocatorio. “Gran gioco, comunque. Non pensavo che urlare sotto la pioggia ti avrebbe fatto così effetto.”
Martina strinse le labbra, gli occhi che si assottigliavano. “Non mi ha fatto nessun effetto,” mentì, buttando la cenere in un piattino. “È stato solo uno stupido gioco.”
“Uno stupido gioco che hai perso,” disse Elena, senza alzare la voce ma con una calma che pesava come un macigno. “Niente di grave, succede. Ma quell’uscita di scena… drammatica, devo dire.”
Prima che Martina potesse rispondere, Matteo entrò dalla porta principale, una busta di plastica in mano e un’aria stanca ma compiaciuta. “Ho preso la colazione,” annunciò, posando croissant e caffè da asporto sul tavolo. “Ehi, Elena, sei ancora qui? Pensavo fossi scappata dopo averci distrutti tutti ieri.”
Elena scrollò le spalle, lasciando cadere l’asciugamano quel tanto che bastava per sistemarsi i capelli, un gesto che fece voltare Matteo e arrossire Martina. “Non scappo mai dopo una vittoria,” disse, prendendo un caffè senza chiedere. “E poi, mi sto divertendo. Questo posto è un circo, e io adoro gli spettacoli.”
Martina sbuffò, spegnendo la sigaretta con un gesto rabbioso. “Se ti piace tanto, perché non ti trasferisci qui? Sembra che ti senti già a casa.”
“Magari lo farò,” rispose Elena, guardandola dritto negli occhi. “Ma non preoccuparti, non ti rubo il trono. Ancora.”
Il silenzio che seguì fu elettrico, interrotto solo dal rumore di Luca che chiudeva il sacco della spazzatura. Matteo, percependo la tensione, cercò di alleggerire l’atmosfera. “Dai, ragazze, rilassatevi. È solo una colazione, non una guerra. Luca, prendi un croissant, sembri uno zombie.”
Luca obbedì, troppo stanco per protestare, ma i suoi occhi continuavano a tornare su Elena. C’era qualcosa in lei – non solo la bellezza, ma quel carisma che sembrava piegare la stanza alla sua volontà – che lo affascinava e lo spaventava allo stesso tempo.
Martina, però, non era disposta a cedere terreno. “Sai, Elena,” disse, alzandosi e avvicinandosi a lei, “qui comando io. I giochi, le regole, tutto. Tu puoi fare la tua scenetta da dura, ma questo è il mio posto. E lui,” indicò Matteo con un cenno del capo, “è mio.”
Elena inclinò la testa, un sorriso che non raggiungeva gli occhi. “Tuo, eh? Interessante. Eppure ieri sera sembrava piuttosto… entusiasta di abbaiare per me.” Fece una pausa, lasciando che le parole colpissero, poi aggiunse: “Ma tranquilla, non sono qui per rubarti niente. Mi piace solo vedere quanto reggi prima di crollare.”
Matteo rise, ma c’era un’ombra di disagio nei suoi occhi. “Dai, Marti, non fare la gelosa. Elena è solo una che sa divertirsi. Vero, Luca?” Cercò il suo appoggio, ma Luca si limitò a un mormorio indistinto, troppo intimidito per intervenire.
Martina ignorò Matteo, fissando Elena con un’intensità che avrebbe potuto incendiare la stanza. “Vedremo chi crolla per prima,” disse, la voce bassa ma carica di minaccia. Poi si voltò e uscì sul balcone, sbattendo la porta scorrevole dietro di sé.
Elena non batté ciglio. Prese un altro morso della mela e si sedette al tavolo, accavallando le gambe con una grazia che sembrava studiata. “Che caratterino,” disse a Matteo, come se Martina non fosse mai esistita. “Scommetto che è divertente farla incazzare.”
“Non proprio,” rispose lui, grattandosi la nuca. “Di solito sono io quello che la calma. Ma devo dire, ieri sera hai messo un bel casino. Non la vedevo così fuori di testa da un pezzo.”
“E questo è solo l’inizio,” disse Elena, con un sorriso che prometteva tempesta. Poi, per la prima volta, si rivolse direttamente a Luca. “E tu, silenzioso? Che ne pensi di tutto questo? Sempre a pulire e basta, o hai qualcosa da dire?”
Luca si irrigidì, colto alla sprovvista. “Io… non lo so,” balbettò, stringendo il croissant tra le mani. “Faccio quello che mi dicono, di solito.”
Elena lo studiò per un momento, gli occhi verdi che scavavano più a fondo di quanto lui fosse abituato. “Peccato,” disse infine. “Sembri uno che potrebbe sorprendere, se solo ci provasse.” Poi si alzò, lasciando il caffè a metà, e si diresse verso la porta. “Ci vediamo stasera, ragazzi. Portate altra tequila. Ho in mente qualcosa di speciale.”
Quando uscì, la stanza sembrò svuotarsi di energia. Matteo si lasciò cadere sul divano, sospirando. “Quella ragazza è un problema,” disse, più a se stesso che a Luca. “Ma cazzo, è divertente.”
Luca non rispose, ma dentro di sé sentiva un groviglio di emozioni che non riusciva a decifrare. Elena era diversa da Martina e Matteo – non solo crudele, ma imprevedibile, come una forza che non si poteva controllare. E per la prima volta, si chiese se quella forza potesse essere un’uscita dal suo inferno, o solo un altro giro di vite.
Martina rientrò dal balcone poco dopo, il viso ancora contratto. “Che ha detto quella stronza mentre ero fuori?” chiese a Matteo, ignorando Luca.
“Niente di che,” rispose lui, evasivo. “Solo che torna stasera. Vuole fare un altro gioco.”
“Un altro gioco,” ripeté Martina, ridendo amaramente. “Bene. Che ci provi. Vediamo chi ride per ultima.”
Ma mentre parlava, la sua voce tremava appena, un’incrinatura che non era mai stata lì prima. Elena aveva scosso qualcosa in lei – la sua sicurezza, il suo controllo – e Luca, osservandola in silenzio, capì che il potere nella stanza stava cambiando padrone. Non sapeva ancora come, ma il riflesso di Martina si era incrinato, e il gioco, qualunque fosse, era appena iniziato davvero.
La crepa nel vetro
Il pomeriggio si trascinò lento nell’appartamento, un silenzio fragile che avvolgeva ogni cosa. Luca, come sempre, era chino sul tavolo del salotto, strofinando macchie invisibili con uno straccio, un rituale che lo teneva occupato e lontano dai guai. Martina trafficava in cucina, il rumore dei cassetti che si chiudevano più morbido del solito, quasi pensieroso. Matteo, sdraiato sul divano, scorreva il telefono con un sorrisetto vago, lanciando ogni tanto un’occhiata verso la cucina, ma senza dire nulla.
Quando il crepuscolo tinse le tende di arancione, la porta si aprì ed Elena entrò senza bussare, una busta di bottiglie in mano e un’aura che sembrava accendere l’aria intorno a lei. “Sera, ragazzi,” disse, posando la busta con un gesto fluido. “Ho portato il carburante per un nuovo gioco: ‘Confessioni Liquide’. Si beve, si confessa qualcosa di vero. Se menti o ti tiri indietro, doppio shot e una penitenza dal gruppo. Che ne dite?”
Martina uscì dalla cucina, asciugandosi le mani su uno strofinaccio, un sorriso teso ma non ostile sulle labbra. “Sembra interessante,” disse, appoggiandosi al bancone. “Meglio di ieri, spero.”
Elena inclinò la testa, un bagliore divertito negli occhi. “Oh, ieri è stato solo un antipasto. Questo è più… intimo. Ti piacerà, Martina.” Il tono era caldo, ma c’era un filo tagliente nascosto, come un complimento che punge.
Matteo si alzò, sfregandosi le mani. “Mi piace già,” disse, prendendo un bicchiere. “Dai, Marti, siediti. Facciamo un giro.” La sua voce era leggera, ma i suoi occhi guizzarono verso Elena con una complicità appena accennata.
Martina annuì, sedendosi al tavolo con un movimento più morbido del solito. “Va bene, vediamo che sai fare,” disse a Elena, quasi incuriosita.
Elena versò il rum nei bicchieri, un sorriso che danzava sulle labbra. “Tu, Luca, vieni qui,” disse, indicando una sedia. “Non puoi sempre pulire e basta.”
Luca obbedì, il cuore che batteva forte mentre si sedeva, il bicchiere tra le mani tremanti. Elena lo ignorò subito dopo, concentrandosi sugli altri. “Comincio io,” disse, bevendo un sorso lungo e posato. “Ho abbandonato un’amica in un bar perché mi aveva chiesto di mentire per lei. Non mi piace coprire le spalle a chi non se lo merita. Vero.”
Matteo bevve, un ghigno sul viso. “Ho fregato un cliente al lavoro vendendogli una macchina schifosa per fare cifra. Mi ha ringraziato pure. Vero.” Lanciò un’occhiata a Elena, quasi in cerca di approvazione, e lei gli fece un cenno impercettibile.
Martina prese il bicchiere, sorseggiando con calma. “Ho rubato un rossetto da un negozio quando avevo sedici anni,” disse, ridacchiando piano. “Mi sono sentita una ribelle. Vero.”
Elena annuì, ma il suo sorriso si allargò appena. “Carino, Martina. Quasi tenero. Pensavo fossi più… audace.” Le parole erano gentili, ma scavavano, insinuando un dubbio sottile.
Martina arrossì leggermente, ma rise. “Oh, ci arrivo, tranquilla,” disse, cercando di tenere il passo.
“Tocca a te, Luca,” disse Elena, girandosi verso di lui. “Bevi e parla.”
Luca bevve, il rum che gli bruciava la gola. “Ho… ho buttato via una foto di me e Martina perché mi faceva male guardarla,” mormorò, gli occhi bassi. “Vero.”
Martina lo fissò, sorpresa, ma Elena intervenne prima che potesse parlare. “Dolce,” disse, con un tono che sembrava quasi sincero. “Ma un po’ prevedibile, no? Dai, Martina, secondo giro. Sorprendimi.”
Martina bevve di nuovo, un po’ più veloce stavolta. “Ho mentito a Matteo dicendogli che ero uscita con Sara, ma ero con un altro,” disse, la voce leggera ma incerta. “Vero.”
Matteo alzò un sopracciglio, ma non disse nulla, limitandosi a un sorrisetto che poteva significare tutto o niente. Elena, invece, si sporse verso Martina. “Interessante,” disse. “E lui lo sapeva già, scommetto. Sei meno brava a nascondere di quanto credi, eh?” Il commento era morbido, quasi un sussurro, ma Martina si irrigidì, il sorriso che vacillava.
“Forse,” rispose, cercando di sembrare disinvolta. “Non importa, no?”
“Non importa,” confermò Elena, ma il suo sguardo diceva il contrario. “Matteo, vai.”
Matteo bevve, rilassato. “Ho lasciato un amico nei guai con dei tizi incazzati perché non volevo rogne. Se l’è cavata da solo. Vero.” Guardò Elena, e lei ricambiò con un cenno lento, come un’intesa segreta.
“Luca,” disse Elena, tornando a lui. “Forza.”
Luca bevve, il liquido che gli dava un coraggio fragile. “Vorrei sparire da qui a volte,” disse piano. “Ma non so dove andare. Vero.”
Elena annuì, ma il suo interesse era già altrove. “Carino,” disse. “Martina, di nuovo tu. Qualcosa di più… succoso, dai.”
Martina bevve, il viso che tradiva un leggero nervosismo. “Ho paura di non essere abbastanza per Matteo,” ammise, la voce più bassa. “Vero.”
Elena si sporse ancora, il sorriso che si affinava come una lama. “Oh, Martina, che confessione. E lo dici davanti a lui? Coraggiosa. O forse imprudente.” Fece una pausa, lasciando che il peso delle sue parole si depositasse. “Sai, a volte basta poco per perdere il controllo, no?”
Martina deglutì, cercando di ridere. “Non perdo niente,” disse, ma la sua voce era meno sicura.
“ Certo che no,” disse Elena, con una gentilezza che sembrava quasi pietà. “Matteo, tocca a te.”
Matteo bevve, un lampo negli occhi. “Ho sempre pensato che Martina fosse troppo prevedibile,” disse, con un tono casuale che nascondeva un’intenzione. “Vero.” Non guardò Martina, ma i suoi occhi sfiorarono Elena, che annuì appena.
Martina impallidì, ma si sforzò di sorridere. “Prevedibile, eh? Be’, almeno sono qui,” disse, ma la battuta suonò debole.
Elena prese il bicchiere, bevendo con calma. “Ho manipolato una persona per farla restare con me, solo per vedere se ci riuscivo,” disse, fissando Martina. “E ha funzionato. Vero.”
Martina rise, ma era una risata nervosa. “Sei proprio un tipo strano, Elena,” disse, cercando di mantenere il tono leggero. “Mi piace, però.”
“Lo so,” rispose Elena, con un sorriso che la inchiodava. “E tu sei così… accomodante. È adorabile.” La parola “adorabile” suonò come un insulto mascherato, e Martina abbassò lo sguardo per un istante.
“Luca,” disse Elena, senza perdere il ritmo.
Luca bevve, il rum ormai un rituale di resa. “Mi vergogno di essere me stesso,” mormorò. “Vero.”
“Lo immaginavo,” disse Elena, quasi distratta. “Martina, ultima confessione. Fammi vedere chi sei davvero.”
Martina bevve, le mani che tremavano appena. “A volte penso che Elena sia più forte di me,” disse, quasi sussurrando. “Vero.”
Elena si appoggiò allo schienale, il trionfo nascosto in un sorriso discreto. “Che dolce,” disse. “E così vero. Non ti preoccupare, Martina, è normale sentirsi così davanti a me.”
Martina rise di nuovo, ma era un suono fragile, come vetro che si incrina. “Sei proprio sicura di te, eh?” disse, ma non c’era sfida nelle sue parole, solo un’eco di resa.
Matteo si sporse verso Elena, un gesto quasi impercettibile. “Gran gioco,” disse piano, e il suo tono aveva una nota di ammirazione che Martina non colse.
Elena si alzò, prendendo la bottiglia. “Finito per stasera,” disse. “Grazie, Martina, sei stata… perfetta.” La parola era un altro ago, e Martina sorrise, ignara di quanto si fosse piegata.
Luca rimase in silenzio, il bicchiere vuoto davanti a lui, testimone muto di un gioco che lo schiacciava ma che, per la prima volta, non riguardava solo lui. Martina, quasi senza rendersene conto, si era lasciata scivolare sotto il peso di Elena, e Matteo, con il suo silenzio complice, aveva già scelto da che parte stare. La crepa nel vetro si era allargata, e il potere, sottile ma inesorabile, stava cambiando mani.
Continua...
Per il racconto completo scrivetemi a raccontienkii@gmail.com
Ps. Dalla prossima parte, il racconto verrà pubblicato nella sezione "Dominazione".
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