Benedetto sciopero (vietata la lettura ai minori di 18 anni)

di
genere
etero

Questo è stato , il mio primo racconto, scritto un pò mesi fà, corretto gentilmente da uno scrittore, come sempre faccio perchè il mio italiano "zoppica" e, a lui, "ROCOCO", va sempre il mio personale ringrazziamento per l'aiuto.
Se qualche scrittore o lettore mi vuole aiutare in fururo per buttar giù una nuova "storia" , basta lasciare un messaggio nell'aposito spazio commenti, altrimenti non fa niente: Buona lettura a tutti


RACCONTO DI PURA FANTASIA, PERSONAGGI, LUOGHI , NOMI, SONO DA RITENERSI PURAMENTE CASUALI.....racconto vietato ai minori di 18 anni---racconto per adulti, se prosegui nella lettura , sei consapevole che è un racconto per soli adulti-

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Sciopero benedetto


Una maledizione! Tre giorni di sciopero selvaggio dei traghetti mi condannavano a restare “prigioniero” al di qua dello Stretto. E dire che non ci volevo venire in Sicilia ed ho dovuto accettare la missione perché il collega era ammalato e comunque si sarebbe trattato di un mordi e fuggi!
Niente da fare: i traghetti scioperavano già da un giorno e per altri due non si avevano avvisaglie di revoca.
Incazzato come poche volte lo sono stato, mi sono affrettato a contattare casa per tranquillizzare mia moglie, poi a telefonare in azienda. Mi rassegno all’ineluttabile, mi convinco che non serve incazzarsi, e mi metto a cercare un posto dove passare questa vacanza supplementare, non voluta e non gradita.
Non ci impiego molto. Trovo una piccola pensione proprio dirimpetto al mare, una di quelle a gestione familiare: i titolari si chiamano Tonino e Marisa, una coppia molto cordiale, sulla quarantina, persone alla buona.
Debbo dire che l’ambiente è senza pretese, ma mi fa sentire perfettamente a mio agio. E poi si mangia benissimo. A mezzogiorno mi faccio una di quelle mangiate che me le ricorderò sempre, tutto a base di pesce fresco.
Nel pomeriggio, subito dopo una piccola pennichella, mi vado a fare un giro tra le vie del paese. Il sole di ottobre qui è ancora bello caldo. Entro in un negozio a comprarmi un costume e, dopo essermene tornato in camera ad indossarlo, mi dirigo senza meno verso la spiaggia.
E’ bello questo lungo litorale sabbioso semideserto. In lontananza scorgo solo un paio di ombrelloni. Mi butto in acqua, una bella nuotata energizzante, poi mi stendo a rosolare al sole ancora caldo.
All’improvviso un vociare concitato mi fa ridestare. Mi guardo attorno e a pochi metri da me vedo sopraggiungere dei ragazzi, due maschi e tre ragazze, di apparente età tra i 18 e i 20 anni. Mi soffermo sulle ragazze, così giovani, così sbarazzine, ma già molto donne, con un corpo ben modellato e con l’aria da porcelline. Mi sono sempre piaciute le giovani puledre come queste, sono selvatiche, curiose, disinibite: sono la disperazione dei genitori, ma sono il desiderio di molti uomini già grandicelli. Confesso che, quando ne ho avuto l’occasione, non mi sono fatto troppi scrupoli.
Accendono le sigarette, fanno chiasso, qualcuno grida e ridono tutti, le ragazze corrono a mare e si tuffano come tre sirene, dopo pochi minuti riemergono e corrono alla spiaggia ad asciugarsi.
Una in particolare mi colpisce, una brunetta, bassa di statura, capelli neri, un costumino bianco che aderisce in modo particolare addosso alla pelle bagnata, con le tette belle gonfie e i capezzoli turgidi che paiono perforare la stoffa: la tipica bella topa meridionale. Mi guarda e mi sorride, rispondo con un cenno della testa e un sorriso indagatore.
Mi volto dall'altra parte, sento una vocina.
“Ciao, tu sei quello che è arrivato questa mattina, vero?”
E’ la ragazza dal costume bianco, quella che mi ha sorriso.
“Come ? … ah sì sì, sono arrivato questa mattina... ma te chi sei? come fai a saperlo?”
“Sono Serena, la figlia di Tonino e di Marisa…. ti ho visto questa mattina alla pensione”.
Qualche frase basta per la presentazione, subito si instaura una conversazione simpatica e spigliata anche con gli altri componenti di quella allegra compagnia.
Quando si rituffano in acqua mi alzo e mi avvio alla pensione, voltandomi un paio di volte per salutare Serena che dalle onde agita un braccio per rispondermi.
La serata la passo a gironzolare per le viuzze del paesino, a comprare banali gadgets per le mie bambine. Poi, dopo cena, mi stravacco sul letto della mia stanza e mi addormento presto, dopo essermi rimbambito con la televisione.
Il giorno dopo, dopo la fresca ed abbondante colazione servitami dalla signora Marisa, faccio un giro escursionistico nei paraggi. Al pomeriggio, subito dopo pranzo, ritorno alla spiaggia allo stesso posto del giorno prima, con la speranza di reincontrare la bella Serena che, lo confesso, mi aveva intrigato non poco.
Dopo una mezz'ora li vidi arrivare, erano lei e due amici, uno la abbracciava con una certa confidenza, segno, pensai, fosse il suo fidanzato.
Appena mi riconosce Serena lascia i suoi amici e corre da me a salutarmi con grande gioiosità.
“Non ti ho più visto ieri ….”
“Sono andato a letto presto, non sapevo dove e cosa fare, sono un forestiero qui”, dico come a scusarmi.
“Beh, se me lo dicevi ti portavo io a fare un giro..... dovevi chiedere di me ai miei….”
“Beh, non l’ho fatto per discrezione … ho avuto paura che potessero pensare male di me … ”, dico ridendo.
“Peccato!”, dice lei fingendo di rammaricarsi.
Nel frattempo lei si era tolta il vestito restando con il costume, un due pezzi che a malapena la le fasciava il corpo e i seni prorompenti. “Forse ho sbagliato”, le rispondo malizioso, “ma sai, se io avessi una figlia bella come te, starei molto attento a chi frequenta…”
Lei mi guardò sorridendo, si sistemò lo slip e poi il reggiseno, sempre a pochi centimetri da me inginocchiata sulla sabbia .
“Ma dai, non diciamo balle …. sono come tutte le altre, dai”, mi risponde facendo la civettuola, ma mostrandomi di gradire i miei complimenti.
Mi trovavo in una situazione imbarazzante, ero combattuto tra il desiderio insinuante di quella giovane donna ed il timore di imbarcarmi in un’avventuretta poco edificante.
“Cosa ti debbo dire? …. Hai un corpo che è dinamite pura … sei molto attraente, hai un viso bellissimo…. Insomma, non riesco ad essere indifferente … ma sono troppo grande e ….”.
Non mi risponde, si limita a sorridermi, siamo stesi su di un fianco una davanti all'altro, si volta a guardare cosa fanno i suoi amici, poi sfacciatamente e senza nessun preavviso si carezza con una mano un seno, proprio sul capezzolo che si vede bene sotto la stoffa.
“Vedi, è questo che intendevo dirti... sei eccitante e sai eccitare ... sei una diavoletta ..... guarda che se non smetti finisce davvero che ti salto addosso…”
Quasi la imploravo, ma dentro di me sapevo benissimo che non volevo che smettesse di carezzare quel capezzolo.
Si volta nuovamente all'indietro quando uno dei due amici la chiama per invitarla ad entrare in acqua.
I due si alzano, lei li guarda che si rincorrono sulla spiaggia per poi immergersi tra le onde, si volta verso di me e mi guarda ancora sorridendomi, si porta le mani dietro la schiena e, senza battere ciglio ma con un sorriso perfido e di sfida alle mie buone intenzioni, si slaccia il reggiseno e se lo sfila.
“Che ne dici? ti piacciono?”
“Santo cielo, ricopriti Serena!.... se ci vedono mi arrestano!”.
Lei si alza in piedi , mi guarda, mi lancia un sorriso quasi di sfida, rimane a farsi guardare le tette per qualche secondo, poi grida agli amici:
"Arrivoooooo!!!"
Istintivamente, senza pensarci, mi porto la mano sul costume all'altezza del cazzo che ora comincia ad agitarsi; lei sorride e resta ferma in piedi a guardare la sfacciata manipolazione che sto operando sul mio cazzo diventato duro come un marmo.
Senza dire una parola scappa via in direzione del mare, si ferma di colpo mostrando i suoi abbondanti seni traballare, mi grida di raggiungerla, di unirmi a loro, e poi via di corsa a tuffarsi tra le onde.
Da parte mia ero imbarazzato, non potevo alzarmi, non volevo far vedere ai suoi amici in che stato di erezione era il mio pisellone.
Resto qualche minuto disteso a guardarli, a guardare lei che gioca scherzosa con i due ragazzi, che ogni tanto non mancano di darle qualche bella palpata. Poi mi accorgo che sto innervosendomi per non essere la con loro, per non essere uno di loro, per poterla a mia volta toccare, palpare. Mi frena la differenza di età e resto lì ancora ad ammirare eccitato quella ragazzina, femmina precoce, e i suoi grossi seni che traballano su e giù ogni volta che salta per pararsi dalle onde e dai getti di acqua dei suoi amici.
Poi mi decido, mi tuffo anch’io in acqua, restando inizialmente in disparte a un paio di metri da loro, per dissimulare la troppo vistosa erezione. Ma non ho che occhi per le mammellone di Serena, invitanti come una mela proibita.
Poi è lei che mi rivolge la parola. Mi raggiunge e mi gira attorno, vuole che la prenda sulla schiena. Istintivamente, senza pensarci, la aiuto abbassandomi, le afferro le cosce e la sospingo sulla schiena.
Il primo contatto con i suoi grossi, tondi e caldi seni è esaltante. Resto fermo per qualche secondo, lei con i talloni mi scalcia su un fianco spronandomi a camminare. Obbedisco come inebetito mentre sento sul dorso la punta dei capezzoli e le sue mammelle. Lei si avvicina all’orecchio e mi chiese sottovoce se mi piace portarla in spalla. Le sorrido annuendo, le nostre bocche sono a meno di dieci centimetri l'una dall'altra, la tentazione di baciarla è davvero tanta; ma resisto eroicamente, le rispondo a denti stretti:
“Serena, sei un diavolo! … mi stai mettendo a dura prova!”
Per tutta risposta lei mi si appiccicò ancora di più schiacciandomi i suoi globi sulla schiena. Era un gioco pericolosissimo, ne ero cosciente. Poi mi distraggono le voci dei suoi amici e lei, con uno scatto felino, scivola giù dalle mie spalle e li raggiunge. Mi riavvicino piano piano al gruppo, nuotiamo per un po’ tutti insieme, poi i due amici ci comunicano che vanno a stendersi al sole. Io e Serena ci attardiamo in acqua, lei ne approfitta per risalirmi sulle spalle.
Questa volta non riesco a frenare la mia eccitazione. Poggio le mie mani sotto le sue calde e morbide cosce, per tenerla ferma, mentre lei attanaglia le sue braccia attorno al mio collo come una medusa. Allungo una mano fino a sfiorarle l'elastico del costume, affondo le dita sino ad accarezzare il frutto proibito che sento pulsare sui miei polpastrelli. Lei mi aderisce alla schiena come una ventosa, non emette nessun verso, si lascia carezzare; allora passo ad una ispezione più accurata e sfacciata, solletico il suo taglietto e poi mi allungo a sfiorarle l’ano. Lei comincia a muovere il suo bacino, reclina la testa sul mio collo e si abbandona ai mie sempre più indiscreti palpeggiamenti. Insisto sul forellino anale, inizialmente lei si dimena un po’ irrequieta, poi il mio dito medio ne forza l'apertura e, anche se di poco, penetra in quel segreto meandro così stretto e così caldo.
Continuai anche lì per qualche istante, ma, d’un tratto, lei si divincola e con una capriola si rituffa e si allontana sorridendomi.
Non ce la facevo davvero più. Sono costretto a portare una mano sul mio cazzo, che oramai assomiglia più ad un periscopio di un sommergibile che ad un pene inalberato. E, quando Serena si riavvicina e prende a nuotarmi intorno, senza nessun pudore la invito a guardare sott'acqua.
Si tuffa, scompare sott’acqua, poi riemerge e, ridendo, esclama:
“Oddio quant’è grosso!”
Poi si allontana verso riva e mi lascia lì a menarmelo da solo.
“Che puttanella!”, sibilo tra i denti per il disappunto.
Nuoto un altro pò per farmi passare l'eccitazione, più volte spero in un suo ravvicinamento, ma vedo che si è sdraiata in mezzo ai suoi amici che la riempiono di toccatine e palpeggiamenti.
Per me stava diventando una tortura.
Ad un certo punto la vedo rientrare in acqua, mi annuncia che i suoi amici vogliono andar via. Le chiedo se va via anche lei, a sorpresa mi risponde di no, che resta con me, e sorride maliziosa. Le dico che sono rimasto in acqua perché non potevo esibire il mio palo infuocato che si rifiutava di rientrare nei ranghi.
Vedo che lei guarda insistentemente i suoi amici che stanno andando via. Appena escono dalla nostra vista, lei si mi si avvicina con decisione, si guarda attorno e, rassicuratasi, impugna il mio cazzo vibrante e dà inizio ad una violenta masturbazione sott’acqua.
Eccitato, sorpreso da tanta determinazione, la lasciavo fare. Dopo appena un minuto mi sussurra di toccarla ancora, come avevo fatto prima; senza indugiare inizio a mia volta a masturbarla con decisione, soffermandomi più a lungo sullo spacco delle sue chiappe e sul forellino anale, ma, appena il mio dito entra di un centimetro, si divincola nuovamente e di corsa esce dall’acqua e si ridistende sulla sabbia.
Sono esasperato, il cazzo mi scoppia, ho la sensazione che lo faccia apposta a farmi impazzire di voglia. Esco anch’io dall’acqua col cazzo che mi fuoriesce dagli slip e con la delusione che mi si legge negli occhi.
“Dai, ora dobbiamo andare…”, mi dice sbrigativa e comincia a infilarsi una t-shirt e a cingersi la vita con un pareo nero.
“Scusa”, le dico, “dove posso cambiare il costume…. È bagnato, ed ho solo un paio di pantaloni…”
Mi dice di seguirla. Mi guardo attorno sospettoso, non capisco dove andiamo. Superiamo un falsopiano di sabbia pieno di arbusti, ci dirigiamo verso una casa in costruzione, apparentemente abbandonata, forse abusiva. Lei si fa strada tra muri semiscalcinati, poi imbocca una scala che porta la primo piano.
“Qui puoi cambiarti, non c’è nessuno …”
Mi guardo attorno, non si vede e non si sente anima viva. La guardo gironzolare nello stanzone pieno di mattoni, piastrelle e bancali pieni di polvere. La vedevo nervosa, ma anch’io lo ero, eccitato dinanzi a quel giovane corpo appena coperto dal bikini e dal pareo.
Di colpo mi calo il mio costume brandendo per aria la mia asta tesissima. Le si blocca, si fa seria, si morde appena un labbro,
mi guarda e poi sorride. Senza parlare e senza muoverci ci fissiamo e fissiamo i nostri corpi. Poi lei si gira di spalle e mi dice di seguirla. Nudo come un verme, con il costume e la camicia sotto il braccio, la seguo fino ad uno stanzino che, contrariamente alle altre stanze, era piuttosto pulito, con un piccolo mobiletto alla parete e dei cartoni per terra.
A quel punto Serena mi viene vicina appoggiandosi completamente a me. Mi stringe a sè, ci baciamo famelicamente, ci cerchiamo e ci palpiamo convulsamente. Poi fa un passo indietro, si slaccia e sfila il costume e rimane completamene nuda a mezzo metro da me.
Era uno spettacolo! Una folta peluria nera sul pube, due seni già grossi come meloni e due occhi scuri ammalianti.
Si abbassa e io la aiuto ad aprire il cartone dalla parte più pulita, vi getta sopra il pareo, io i miei vestiti. Ci stendiamo, io sotto e lei sopra di me. Siamo come due leoni in gabbia, ci cerchiamo con la bocca, con le nostre lingue e le nostre mani cerchiamo ogni angolo del nostro corpo, inseguendo meravigliosi attimi di sesso puro.
Serena si muove come una assatanata, la sua perizia mi appare sorprendente per la sua età. Le mie titubanze, i miei dubbi morali sono del tutto evaporati. Non abbiamo bisogno di parole, il mio cazzo cerca il suo taglietto oramai fradicio, a sua volta lei mi prende tra le mani il cazzo e inizia un pompino favoloso che però interrompo dopo nemmeno un minuto per impedire, o perlomeno ritardare, una eiaculazione che si annunciava paragonabile all’eruzione dell’Etna.
Rotoliamo su quei cartoni, la rivolto, la lecco, la palpo dappertutto, poi in ginocchio come una capretta in calore inizio a stantuffarle il cazzo nella figa.
Non so per quanto tempo l’ho pistonata, mentre le farfugliavo nelle orecchie epiteti osceni (“troia”, “puttanella”, “porca”) e lei annuiva, sbuffava e gemeva. Ero infoiato, la montavo con vigore, probabilmente troppo, tanto che lei gira la testa per dirmi di fare più piano.
La lascio, mi stendo a mia volta sul pezzo di cartone, lei si rimette in piedi con le gambe aperte, apre con maestria la sua figa rossa, pelosa, umida, fa due passi e si china così sulla mia bocca, mentre porta un suo braccio indietro e con la mano inizia a segarmi il cazzo.
E’ l’apoteosi. Sto per venire, glielo sussurro di fermarsi, ubbidisce, mi lascia per sussurrarmi di montarla come prima, ma intanto le faccio segno di sedersi sul mio cazzo. Lo fa e la penetro con lei seduta sul mio ventre, poi quasi in sintonia lei mi lascia nuovamente e si mette carponi.
Dio, che monumento il suo bellissimo culo! Le sue scultoree forme rotonde e quella rosetta scura al centro erano un invito irresistibile ad introdursi.
Insalivo il dito medio e comincio a forzare con un po’ di delicatezza il foro; lei non si muove, anzi si spinge in giù poggiando la testa tra le mani sul cartone e mettendo ancor di più in evidenza il suo mappamondo. Il dito avanza, lei mugola, la falange è tutta dentro, comincio a muoverlo dentro, la sua voce si fa più roca, assume un tono quasi supplichevole, le chiedo se devo interrompere, mi risponde decisa di continuare.
Ancora respiri affannosi, gridolini trattenuti, e poi un invito perentorio:
“Dai, ti prego, non resisto, prendimi!”
Senza più indugiare appoggio il cazzo alla sua figa, la penetro ripetutamente; quando ho la sensazione che la mia verga sia sufficientemente lubrificata, la sfila dalla figa e la porto all’imbocco dell’ano. Cerco di essere il più delicato possibile, ma il cazzo è grosso ed il canale è stretto. Lei un po’ si contorce per il dolore, un po’ protesta perché indugio troppo. Entrato sino a metà nello sfintere, accelero decisamente e con pochi colpi la inculo di brutto, sino a far sbattere il mio pube contro le sue morbide chiappe.
Ora mi sentivo un montone e, mentre lei emetteva ancora gridolini soffocati, la tenevo per le grosse mammelle e le succhiavo avidamente il collo.
Non ce la facevo più, le palle erano vicine ad esplodere, ma non volevo sprecare il mio seme nel suo intestino. Allora lo tiro fuori, la faccio girare, lei capisce al volo le mie intenzioni, agguanta il mio cazzo, apre la bocca e me lo avvolge col palato. Pochi istanti e comincio a sborrarle la mia lava: una eruzione dilagante, che lei inghiotte a fatica, mentre io grugnisco come un animale e la gratifico con un urlo:
“Puttanaaaaa!!!!”
Poi tutto si calma, mi ritrovo steso accanto a lei sul cartone, lei mi sorride.
“Ti è piaciuto, vero?”, mi chiede sfacciatamente con quel sorriso da giovane porca.
“Mamma mia santa”, le rispondo, “tu sei peggio del vulcano”, alludendo all'Etna che distava pochi km da noi.
Poi l’accarezzo e le chiedo:
“Ma chi ti ha insegnato a scopare così?... per l’età che hai scopi come una professionista…. lo dico senza offesa ….”
Ride divertita:
“Sono sincera, l'ho fatto tre anni fa la prima volta, con Martino, quel ragazzo magro che era alla spiaggia …. ma poi sono stata con altri, anche con uno più grande, un suo cugino che ha 32 anni … ma da un po’ di tempo sono più fedele, lo faccio solo con Martino ….”
Mi rialzo, mi infilo i pantaloni; lei mi raggiunge e si schiaccia contro la mia schiena nuda. La afferro, inizio a baciarla sulla bocca roteando la mia lingua contro la sua. Le mi si stringe e si attacca come un polipo, abbassa le sue mani sul mio cazzo e, da sopra i pantaloni, comincia a manipolarmelo, come volesse ricominciare. Le faccio intendere con gli occhi che forse dobbiamo andare. Lei, come per rispondere alle mie inespresse preoccupazioni, mi dice:
“Non ti preoccupare, a mamma dirò che ti ho fatto vedere un po’ del litorale…”
Ci siamo rimessi in cammino e, dopo una decina di minuti, rientriamo alla pensione.
Ho passato la notte ripensando intensamente alla ninfa che mi aveva sedotto. Ora mi sembrava un sogno che svaniva, l’indomani lo sciopero dei traghetti sarebbe terminato e sarei ripartito.
Alle prime ore dell’alba, un leggero bussare alla porta mi fa sussultare. Guardo la radiosveglia, sono le 5.40. Vado ad aprire. E’ un’apparizione sconvolgente. Serena, nuda, avvolta nel pareo nero, si manifesta, si avvinghia al collo, mi bacia intensamente per dieci secondi, poi aggiunge:
“Questo è per salutarti … e ringraziarti”
Ciò detto, sparisce nel corridoio buio dissolvendosi nel nulla come un fantasma e lasciandomi senza fiato. Ma il pareo nero che mi ritrovo tra le mani mi conferma che non era stata una mia allucinazione.
Quattro ore dopo sono sulla nave, guardo indietro la sponda siciliana
che si allontana, tormento tra le mani il pareo nero e lo porto al naso per continuare a sentire l’odore di lei. Due giorni prima avevo maledetto lo sciopero, ora lo benedicevo come una grazia ricevuta.
Sono passati 8 anni e in Sicilia non ho più avuto occasione di tornare. Ma quel pareo nero l’ho messo sotto vetro e lo espongo nel mio studio.
Agli amici e conoscenti che mi chiedono spiegazioni, rispondo che è un vecchio ricordo di un viaggio in Andalusia. Spesso lo guardo e mi pare di vederci dentro il volto solare di una splendida ragazza siciliana che mi ha regalato un pomeriggio di estasi ed un po’ della sua giovinezza. Un ricordo bello, frizzante, che, nonostante il tempo che è passato, mi produce brividi impercettibili sulla pelle.
scritto il
2014-02-04
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