Il continuo di schiava federica
di
master sam e schiava federica
genere
dominazione
Io e Sam eravamo usciti con un gruppo di amici e stavamo facendo gli stupidi, facendo
finta di lottare e sciocchezze simili. La nostra relazione D/s restava per il mondo esterno
impercettibile e sporadica, e i nostri amici non ne sapevano niente. Tuttavia, quando lo
picchiai in testa con una rivista, colpendogli il naso abbastanza forte da fargli lacrimare gli
occhi, le cose cambiarono. Tirai fuori dalla borsa un fazzolettino, scusandomi per la mia
goffaggine. Lo prese e sorrise mentre si asciugava gli occhi.
“Va tutto bene,”
disse con voce abbastanza alta perché gli altri sentisero, prima di aggiungere:
“Ti punirò a dovere più tardi,”
in un tono rivolto solo a me. Inutile dire che passai gran parte del resto della giornata a
chiedermi cosa intendesse esattamente. Il suo tono non era troppo seccato ma
prometteva qualcosa di fuori dal comune, perciò non la sua mano. Il bastone? La frusta?
La sua cinta? Un righello? Mi avrebbe punita, scopata fino a venire per poi lasciarmi
insoddisfatta, cosa che aveva fatto una memorabile e terribilmente frustrante notte
insonne qualche mese prima, quando mi aveva lasciata con le mani legate dietro la
schiena mentre lui dormiva come un bambino? Dio, speravo di no. Avevo in mente
qualcosa di molto più gratificante e divertente.
Alla fine scelse qualcosa che fece sembrare una notte di frustrazione una passeggiata nel
parco. Anzi, credo che avrei preferito un mese di frustrazione. E non sono esattamente
una persona casta.
Ero in ginocchio, nuda sul suo letto quando mi spiegò cosa sarebbe successo. Mi stava
accarezzando il fondoschiena, scorrendo oziosamente un dito su e giù lungo la mia spina
dorsale. Quello, insieme al gelo della stanza e all’ardente pregustazione, fece in modo che
fossi già abbastanza assente, tanto che per un misericordioso minuto pensai di aver
frainteso. Decisamente una pia illusione.
“Hai capito?” domandò.
Rimasi in silenzio, sperando che in realtà avesse detto che aveva cambiato idea e mi
avrebbe invece picchiata fino alle lacrime e poi scopato il mio culo livido e pulsante senza
lubrificante come ricompensa. Mi avrebbe fatto un male d’inferno e decisamente contava
come punizione. Contava? Potevo proporlo? Contava come comando da sottomessa?
Smise di accarezzarmi la schiena e mi pizzicò un capezzolo. Con forza.
“Ho detto, hai capito?”
Deglutii a fatica e – incapace di parlare – feci di sì con la testa. Com’è che si dice? Puoi
capire ma non comprendere. Era il mio caso. Mi aveva appena chiesto di fare qualcosa
che non pensavo di poter fare. Non volevo farlo. Il pensiero di farlo mi faceva venire la
nausea per l’umiliazione e la rabbia. Per me non era in alcun modo allettante. Perfino la
normale soddisfazione da sottomessa che provo nel sapere che sto compiacendo
qualcuno umiliandomi non era sufficiente a farlo sembrare in qualche modo sexy. Niente
affatto.
Iniziò ad abbassarsi i pantaloni.
“Allora muoviti. Puoi arrivare fin laggiù baciando. Abituati, per così dire.”
Il divertimento nella sua voce era palese e mi fece infuriare. Sapeva di avermi chiesto
qualcosa che in ogni fibra del mio essere sentivo di non voler, di non poter fare e si stava
mettendo comodo sul cuscino, braccia sotto la testa, guardandomi con un sorriso mentre
cercavo di elaborare.
“Perché non cominci passandomi la lingua sul cazzo?” OK.
Questo potevo farlo. Questo mi piaceva farlo. Grandioso. Mi girai sul letto per mettermi in
posizione. Era già duro, ma quando iniziai a leccargli delicatamente l’asta, si ingrossò,
premendomi contro il viso, esigente quasi quanto il suo possessore. Lappai, diligente e
concentrata, perdendomi in una cosa che amavo fare. Ma all’improvviso fui di nuovo
trascinata alla realtà. Letteralmente. Mi prese per capelli e mi allontanò così bruscamente
che un filo di saliva rimase tra le mie labbra e la sua punta, spezzandosi prima che potessi
riprendere fiato e inghiottirlo. La volgarità di quella vista mi fece arrossire di umiliazione.
“Molto carino, ma adesso basta.”
Mi diede un buffetto sulla testa come si fa con gli animali.
“Adesso perché non vai più in basso e mi lecchi un po’ le palle?”
Obbediente, spinsi la faccia nel suo inguine. D’un tratto ebbi un flashback della prima volta
in cui mi aveva detto di farlo e di come fossi avvampata per l’imbarazzo, esitando nel fare
una cosa che era evidentemente fatta apposta per umiliarmi. Mentre lo succhiavo
delicatamente, mi chiesi cosa mi era successo. Come ero passata dall’esitante imbarazzo
alla felice, perfino ghiotta, obbedienza? Nel giro di pochi mesi di quanto ancora si
sarebbero spostati i miei limiti? Come aveva fatto a farmi andare oltre con tale facilità? Ma
non c’era tempo per l’autoanalisi, poiché mi ordinò di scendere a baciargli l’interno cosce,
poi le ginocchia, gli stinchi e la parte superiore dei piedi. Obbedii. Più scendevo più i miei
baci diventavano rapidi e leggeri, nonostante la paura di essere sgridata. Fin troppo presto
mi ritrovai davanti ai suoi alluci. La stanza era silenziosa mentre lui aspettava. Era
indifferente, ogni cosa di lui tradiva la sicurezza che alla fine avrei fatto quello che mi era
stato chiesto. Lo sentii spostarsi dietro di me, cambiare posizione per vedere meglio la
guerra che si stava svolgendo nella mia testa e sulla mia faccia, per non perdersi niente.
Non ci guardava nessuno, eravamo solo lui e io. Dovevo farlo dopo tutto la sottomissione
non è tale se obbedisci solo alle cose che ti piace fare. Non riuscivo proprio a capire
perché la cosa mi turbasse così tanto. Sapevo che i suoi piedi erano puliti – dopo tutto non
era cattivo – e poi erano solo piedi. Nessuno stava guardando, eravamo solo io e lui.
D’accordo, in generale i piedi mi sembravano una sorta di tabù, umilianti, ma cercare di
superarlo non doveva essere così difficile, no? Perché è tanto peggio che baciargli le
mani? pensai, cercando di mettermi fretta, dando un senso di praticità ai miei pensieri
razionali. Abbassai la testa sui suoi piedi. Posso farlo. Lo soddisferò se lo faccio. Se riesco
a farla finita in fretta passeremo a qualcos’altro e sarà incredibilmente sexy.
Chiusi gli occhi. Ma i suoi piedi puzzano? Me lo sto immaginando perché non riesco a
vederli? Mi avvicinai ancora ma non riuscii a convincermi a compiere il passo finale. Feci
un paio di profondi respiri e provai di nuovo. Ancora inutile. Avevo le labbra asciutte, la
mente che girava vorticosamente. Posso farlo, pensai. Se l’avessi fatto subito non si
sarebbe reso conto di quanto mi dava fastidio.
“Ti ho detto di respirare sui miei alluci?”
Sapeva quanto mi stava dando fastidio. Era lampante. Risposi con un filo di voce:
“No.”
“Allora cosa aspetti? Muoviti.”
Timidamente, mi spostai sul letto e mi piegai per baciargli il dito più piccolo. Fu un bacio
leggero come una piuma, mi leccai le labbra improvvisamente riarse e spinsi giù la testa,
in opposizione a ogni istinto urlante. Emise un piccolo mormorio di piacere quando entrai
nuovamente in contatto con le sue dita e seppi che era dovuto al mio piegarmi alla sua
volontà più che alla sensazione della mia bocca sul suo piede. Riuscivo quasi a vederlo
sorridere dietro di me e mi infuriai con lui, con me stessa e la parte di me che agognava
questo, prendendomela anche con la degradazione che, almeno in parte, mi ero
autoinflitta. Baciai ogni dito, con delicatezza, rispetto e lentezza – volevo fare in modo che
non mi costringesse a ripeterlo – terminando con un bacio prolungato sull’alluce. E poi mi
girai per guardarlo, col respiro affannoso, la faccia e il collo rossi di imbarazzo. Cercai di
restare calma ma il suo sorrisetto mi fece capire che non ero brava a nascondere la mia
collera. Non dire molto mi avrebbe impedito di cacciarmi in guai più grossi, perciò optai per
la brevità nonostante il tono fosse ribelle.
“Va bene?”
Mi sorrise.
“Non ancora. Devi fare l’altro piede. Piegati e succhiami le dita.”
Mi girai subito, preferendo affrontare i suoi piedi anziché lo sguardo che aveva negli occhi,
che sembravano vedere troppo. Sam aveva più esperienza di me nella terminologia D/s,
ed era una costante fonte di stupore e irritazione il fatto che sembrava comprendere
questa parte della mia natura meglio di me, lasciandomi spaventata e infuriata nonostante
l’intensità della scena mi facesse bagnare. Ero combattuta tra una sensazione di euforia
così forte che mi sembrava di volare e il desiderio di prenderlo a pugni in testa per essere
così arrogante, anche se una vocina dentro di me mi diceva che era ingiusto definirlo
arrogante quando la maggior parte delle volte aveva ragione. Mi misi a cavalcioni sulle sue
gambe allungate per arrivare all’altro piede, pensando di poter sopportare quell’ultimo
pezzetto di abiezione. Fallo e basta, non pensarci. Iniziai a baciargli la parte superiore del
piede, prima di chiamare a raccolta quanto restava del mio coraggio e prendere finalmente
in bocca alcune dita. In realtà non aveva un cattivo sapore, perciò mi mossi lungo il piede,
succhiandogli l’alluce. Leccandolo. Adorandolo. Mentre mentalmente ripetevo un mantra:
questo finirà presto. Questo. Finirà. Presto. Poi, inaspettatamente, mi mise una mano tra
le gambe e gemetti di piacere e sorpresa attorno al suo piede. Seguendo il copione, colse
l’occasione per spingermi ancora di più il piede in bocca.
“Sei molto bagnata. Le tue labbra sono turgide. Si vede che ti piace quello che stiamo
facendo in questo momento.”
Chiusi gli occhi e continuai a succhiare, mentre il mio corpo rispondeva alla spinta delle
sue dita in quello che era con mia grande vergogna il mio bagnato. La stanza era
silenziosa a parte il rumore dei miei risucchi e delle sue dita che mi masturbavano con
calma. Mio malgrado ero bagnata, arrapata e disposta a tutto pur di venire, e mi spingevo
contro la sua mano mentre mi infilava dentro le dita. Ridacchiò.
“Dopo tutte quelle storie, viene fuori che ti piace farti costringere a leccarmi e succhiare i
piedi. In realtà ti piace essere trattata da puttana, tuo malgrado. Non è vero, puttana?”
Ignorai lui e il suo uso reiterato di quella che scherzosamente chiamava la parola con la
“p”, sapendo che stava cercando di ottenere una reazione. Arrossii ancora di più, ma di
schiena e con i capelli sul viso sapevo che non poteva accorgersene. Continuai invece a
leccare, pensando che probabilmente era una buona idea il fatto che fossi soffocata dal
suo piede altrimenti avrei di certo detto qualcosa che poteva cacciarmi in guai più seri.
Invece cercai disperatamente di concentrarmi sulla sua soddisfazione in modo che mi
permettesse di passare a qualcos’altro. Cosa molto difficile quando cerchi l’orgasmo con
tale disperazione che, nonostante tutto, faresti ogni cosa per trovare sollievo. Mentre mi
strofinava il clitoride con il pollice, mugolai eccitata, così vicina a venire nonostante tutto.
Credo che fu allora che gli venne l’idea.
“Adesso sì che sembri adorare davvero i miei piedi.”
Espressi la mia irritazione sbuffando col naso mentre gli spingevo brutalmente la lingua tra
le dita.
“Penso che dovrei continuare a farteli succhiare fino a quando non vieni attorno alla mia
mano. Sarebbe spassoso, no?”
Spassoso non era la parola giusta. Chiusi gli occhi, cercando in tutti i modi di ricacciare
indietro le lacrime di rabbia e umiliazione, sapendo che, per quanto odiassi farlo, lui
sarebbe riuscito a manipolare il mio corpo in modo che ne traesse il piacere più estremo.
Si mise a battere il tempo, spingendomi dentro le dita con forza e in profondità,
conficcandomi il pollice nel clitoride a ogni affondo, fino a che la mia faccia non fu sepolta
nei suoi piedi e mi ritrovai mugolante con in bocca i suoi alluci. L’indomani mi avrebbe fatto
male, ma la sua furiosa, insistente penetrazione stava funzionando a dovere e, nonostante
tutto, il mio orgasmo crebbe, per poi scemare quando lui rallentò il ritmo, godendosi il
potere che era capace di usare senza sforzo su di me, e poi montare ancora. E ancora.
Non so per quanto tempo lo leccai, ma quando venni le mascelle mi facevano male e le
mie urla erano quasi rauche per quanto avevo la bocca secca. Alla fine non ebbi
coscienza di altro se non della sua mano e del suo piede. Ero un primordiale mucchio di
terminazioni nervose, disposta a tutto pur di venire, disposta a fare qualunque cosa
volesse, affinché lasciasse che accadesse e mi desse il sollievo a cui anelavo. L’avrei
supplicato e invece continuai a succhiargli le dita fino a che potevo, a leccargli le piante
dei piedi, così, senza parlare, gli mostrai che avrei fatto qualunque cosa per lui, anche
quello che un’ora prima avrei definito con estrema sicurezza un limite invalicabile. Una
volta ho letto da qualche parte che la chiave dell’umiliazione sessuale non è costringere
qualcuno a fare qualcosa che non vuole, ma portarlo a fare cose che segretamente sogna
di fare. Posso dire in tutta sincerità che non avevo mai sognato di degradarmi in un modo
tanto umiliante e ancora arrossisco a pensarci. Al tempo stesso, quando venni attorno alle
sue dita, il mio orgasmo fu uno dei più intensi avuti da molto tempo. E anche mentre mi
faceva ripulire le sue dita dal succo appiccicoso, prova di quanto mi fosse piaciuta l’insolita
punizione, prima di prendermi per capelli e abbassarmi sul suo corpo per succhiarlo, non
potei fare a meno di chiedermi come sarebbe stato doverlo rifare.
finta di lottare e sciocchezze simili. La nostra relazione D/s restava per il mondo esterno
impercettibile e sporadica, e i nostri amici non ne sapevano niente. Tuttavia, quando lo
picchiai in testa con una rivista, colpendogli il naso abbastanza forte da fargli lacrimare gli
occhi, le cose cambiarono. Tirai fuori dalla borsa un fazzolettino, scusandomi per la mia
goffaggine. Lo prese e sorrise mentre si asciugava gli occhi.
“Va tutto bene,”
disse con voce abbastanza alta perché gli altri sentisero, prima di aggiungere:
“Ti punirò a dovere più tardi,”
in un tono rivolto solo a me. Inutile dire che passai gran parte del resto della giornata a
chiedermi cosa intendesse esattamente. Il suo tono non era troppo seccato ma
prometteva qualcosa di fuori dal comune, perciò non la sua mano. Il bastone? La frusta?
La sua cinta? Un righello? Mi avrebbe punita, scopata fino a venire per poi lasciarmi
insoddisfatta, cosa che aveva fatto una memorabile e terribilmente frustrante notte
insonne qualche mese prima, quando mi aveva lasciata con le mani legate dietro la
schiena mentre lui dormiva come un bambino? Dio, speravo di no. Avevo in mente
qualcosa di molto più gratificante e divertente.
Alla fine scelse qualcosa che fece sembrare una notte di frustrazione una passeggiata nel
parco. Anzi, credo che avrei preferito un mese di frustrazione. E non sono esattamente
una persona casta.
Ero in ginocchio, nuda sul suo letto quando mi spiegò cosa sarebbe successo. Mi stava
accarezzando il fondoschiena, scorrendo oziosamente un dito su e giù lungo la mia spina
dorsale. Quello, insieme al gelo della stanza e all’ardente pregustazione, fece in modo che
fossi già abbastanza assente, tanto che per un misericordioso minuto pensai di aver
frainteso. Decisamente una pia illusione.
“Hai capito?” domandò.
Rimasi in silenzio, sperando che in realtà avesse detto che aveva cambiato idea e mi
avrebbe invece picchiata fino alle lacrime e poi scopato il mio culo livido e pulsante senza
lubrificante come ricompensa. Mi avrebbe fatto un male d’inferno e decisamente contava
come punizione. Contava? Potevo proporlo? Contava come comando da sottomessa?
Smise di accarezzarmi la schiena e mi pizzicò un capezzolo. Con forza.
“Ho detto, hai capito?”
Deglutii a fatica e – incapace di parlare – feci di sì con la testa. Com’è che si dice? Puoi
capire ma non comprendere. Era il mio caso. Mi aveva appena chiesto di fare qualcosa
che non pensavo di poter fare. Non volevo farlo. Il pensiero di farlo mi faceva venire la
nausea per l’umiliazione e la rabbia. Per me non era in alcun modo allettante. Perfino la
normale soddisfazione da sottomessa che provo nel sapere che sto compiacendo
qualcuno umiliandomi non era sufficiente a farlo sembrare in qualche modo sexy. Niente
affatto.
Iniziò ad abbassarsi i pantaloni.
“Allora muoviti. Puoi arrivare fin laggiù baciando. Abituati, per così dire.”
Il divertimento nella sua voce era palese e mi fece infuriare. Sapeva di avermi chiesto
qualcosa che in ogni fibra del mio essere sentivo di non voler, di non poter fare e si stava
mettendo comodo sul cuscino, braccia sotto la testa, guardandomi con un sorriso mentre
cercavo di elaborare.
“Perché non cominci passandomi la lingua sul cazzo?” OK.
Questo potevo farlo. Questo mi piaceva farlo. Grandioso. Mi girai sul letto per mettermi in
posizione. Era già duro, ma quando iniziai a leccargli delicatamente l’asta, si ingrossò,
premendomi contro il viso, esigente quasi quanto il suo possessore. Lappai, diligente e
concentrata, perdendomi in una cosa che amavo fare. Ma all’improvviso fui di nuovo
trascinata alla realtà. Letteralmente. Mi prese per capelli e mi allontanò così bruscamente
che un filo di saliva rimase tra le mie labbra e la sua punta, spezzandosi prima che potessi
riprendere fiato e inghiottirlo. La volgarità di quella vista mi fece arrossire di umiliazione.
“Molto carino, ma adesso basta.”
Mi diede un buffetto sulla testa come si fa con gli animali.
“Adesso perché non vai più in basso e mi lecchi un po’ le palle?”
Obbediente, spinsi la faccia nel suo inguine. D’un tratto ebbi un flashback della prima volta
in cui mi aveva detto di farlo e di come fossi avvampata per l’imbarazzo, esitando nel fare
una cosa che era evidentemente fatta apposta per umiliarmi. Mentre lo succhiavo
delicatamente, mi chiesi cosa mi era successo. Come ero passata dall’esitante imbarazzo
alla felice, perfino ghiotta, obbedienza? Nel giro di pochi mesi di quanto ancora si
sarebbero spostati i miei limiti? Come aveva fatto a farmi andare oltre con tale facilità? Ma
non c’era tempo per l’autoanalisi, poiché mi ordinò di scendere a baciargli l’interno cosce,
poi le ginocchia, gli stinchi e la parte superiore dei piedi. Obbedii. Più scendevo più i miei
baci diventavano rapidi e leggeri, nonostante la paura di essere sgridata. Fin troppo presto
mi ritrovai davanti ai suoi alluci. La stanza era silenziosa mentre lui aspettava. Era
indifferente, ogni cosa di lui tradiva la sicurezza che alla fine avrei fatto quello che mi era
stato chiesto. Lo sentii spostarsi dietro di me, cambiare posizione per vedere meglio la
guerra che si stava svolgendo nella mia testa e sulla mia faccia, per non perdersi niente.
Non ci guardava nessuno, eravamo solo lui e io. Dovevo farlo dopo tutto la sottomissione
non è tale se obbedisci solo alle cose che ti piace fare. Non riuscivo proprio a capire
perché la cosa mi turbasse così tanto. Sapevo che i suoi piedi erano puliti – dopo tutto non
era cattivo – e poi erano solo piedi. Nessuno stava guardando, eravamo solo io e lui.
D’accordo, in generale i piedi mi sembravano una sorta di tabù, umilianti, ma cercare di
superarlo non doveva essere così difficile, no? Perché è tanto peggio che baciargli le
mani? pensai, cercando di mettermi fretta, dando un senso di praticità ai miei pensieri
razionali. Abbassai la testa sui suoi piedi. Posso farlo. Lo soddisferò se lo faccio. Se riesco
a farla finita in fretta passeremo a qualcos’altro e sarà incredibilmente sexy.
Chiusi gli occhi. Ma i suoi piedi puzzano? Me lo sto immaginando perché non riesco a
vederli? Mi avvicinai ancora ma non riuscii a convincermi a compiere il passo finale. Feci
un paio di profondi respiri e provai di nuovo. Ancora inutile. Avevo le labbra asciutte, la
mente che girava vorticosamente. Posso farlo, pensai. Se l’avessi fatto subito non si
sarebbe reso conto di quanto mi dava fastidio.
“Ti ho detto di respirare sui miei alluci?”
Sapeva quanto mi stava dando fastidio. Era lampante. Risposi con un filo di voce:
“No.”
“Allora cosa aspetti? Muoviti.”
Timidamente, mi spostai sul letto e mi piegai per baciargli il dito più piccolo. Fu un bacio
leggero come una piuma, mi leccai le labbra improvvisamente riarse e spinsi giù la testa,
in opposizione a ogni istinto urlante. Emise un piccolo mormorio di piacere quando entrai
nuovamente in contatto con le sue dita e seppi che era dovuto al mio piegarmi alla sua
volontà più che alla sensazione della mia bocca sul suo piede. Riuscivo quasi a vederlo
sorridere dietro di me e mi infuriai con lui, con me stessa e la parte di me che agognava
questo, prendendomela anche con la degradazione che, almeno in parte, mi ero
autoinflitta. Baciai ogni dito, con delicatezza, rispetto e lentezza – volevo fare in modo che
non mi costringesse a ripeterlo – terminando con un bacio prolungato sull’alluce. E poi mi
girai per guardarlo, col respiro affannoso, la faccia e il collo rossi di imbarazzo. Cercai di
restare calma ma il suo sorrisetto mi fece capire che non ero brava a nascondere la mia
collera. Non dire molto mi avrebbe impedito di cacciarmi in guai più grossi, perciò optai per
la brevità nonostante il tono fosse ribelle.
“Va bene?”
Mi sorrise.
“Non ancora. Devi fare l’altro piede. Piegati e succhiami le dita.”
Mi girai subito, preferendo affrontare i suoi piedi anziché lo sguardo che aveva negli occhi,
che sembravano vedere troppo. Sam aveva più esperienza di me nella terminologia D/s,
ed era una costante fonte di stupore e irritazione il fatto che sembrava comprendere
questa parte della mia natura meglio di me, lasciandomi spaventata e infuriata nonostante
l’intensità della scena mi facesse bagnare. Ero combattuta tra una sensazione di euforia
così forte che mi sembrava di volare e il desiderio di prenderlo a pugni in testa per essere
così arrogante, anche se una vocina dentro di me mi diceva che era ingiusto definirlo
arrogante quando la maggior parte delle volte aveva ragione. Mi misi a cavalcioni sulle sue
gambe allungate per arrivare all’altro piede, pensando di poter sopportare quell’ultimo
pezzetto di abiezione. Fallo e basta, non pensarci. Iniziai a baciargli la parte superiore del
piede, prima di chiamare a raccolta quanto restava del mio coraggio e prendere finalmente
in bocca alcune dita. In realtà non aveva un cattivo sapore, perciò mi mossi lungo il piede,
succhiandogli l’alluce. Leccandolo. Adorandolo. Mentre mentalmente ripetevo un mantra:
questo finirà presto. Questo. Finirà. Presto. Poi, inaspettatamente, mi mise una mano tra
le gambe e gemetti di piacere e sorpresa attorno al suo piede. Seguendo il copione, colse
l’occasione per spingermi ancora di più il piede in bocca.
“Sei molto bagnata. Le tue labbra sono turgide. Si vede che ti piace quello che stiamo
facendo in questo momento.”
Chiusi gli occhi e continuai a succhiare, mentre il mio corpo rispondeva alla spinta delle
sue dita in quello che era con mia grande vergogna il mio bagnato. La stanza era
silenziosa a parte il rumore dei miei risucchi e delle sue dita che mi masturbavano con
calma. Mio malgrado ero bagnata, arrapata e disposta a tutto pur di venire, e mi spingevo
contro la sua mano mentre mi infilava dentro le dita. Ridacchiò.
“Dopo tutte quelle storie, viene fuori che ti piace farti costringere a leccarmi e succhiare i
piedi. In realtà ti piace essere trattata da puttana, tuo malgrado. Non è vero, puttana?”
Ignorai lui e il suo uso reiterato di quella che scherzosamente chiamava la parola con la
“p”, sapendo che stava cercando di ottenere una reazione. Arrossii ancora di più, ma di
schiena e con i capelli sul viso sapevo che non poteva accorgersene. Continuai invece a
leccare, pensando che probabilmente era una buona idea il fatto che fossi soffocata dal
suo piede altrimenti avrei di certo detto qualcosa che poteva cacciarmi in guai più seri.
Invece cercai disperatamente di concentrarmi sulla sua soddisfazione in modo che mi
permettesse di passare a qualcos’altro. Cosa molto difficile quando cerchi l’orgasmo con
tale disperazione che, nonostante tutto, faresti ogni cosa per trovare sollievo. Mentre mi
strofinava il clitoride con il pollice, mugolai eccitata, così vicina a venire nonostante tutto.
Credo che fu allora che gli venne l’idea.
“Adesso sì che sembri adorare davvero i miei piedi.”
Espressi la mia irritazione sbuffando col naso mentre gli spingevo brutalmente la lingua tra
le dita.
“Penso che dovrei continuare a farteli succhiare fino a quando non vieni attorno alla mia
mano. Sarebbe spassoso, no?”
Spassoso non era la parola giusta. Chiusi gli occhi, cercando in tutti i modi di ricacciare
indietro le lacrime di rabbia e umiliazione, sapendo che, per quanto odiassi farlo, lui
sarebbe riuscito a manipolare il mio corpo in modo che ne traesse il piacere più estremo.
Si mise a battere il tempo, spingendomi dentro le dita con forza e in profondità,
conficcandomi il pollice nel clitoride a ogni affondo, fino a che la mia faccia non fu sepolta
nei suoi piedi e mi ritrovai mugolante con in bocca i suoi alluci. L’indomani mi avrebbe fatto
male, ma la sua furiosa, insistente penetrazione stava funzionando a dovere e, nonostante
tutto, il mio orgasmo crebbe, per poi scemare quando lui rallentò il ritmo, godendosi il
potere che era capace di usare senza sforzo su di me, e poi montare ancora. E ancora.
Non so per quanto tempo lo leccai, ma quando venni le mascelle mi facevano male e le
mie urla erano quasi rauche per quanto avevo la bocca secca. Alla fine non ebbi
coscienza di altro se non della sua mano e del suo piede. Ero un primordiale mucchio di
terminazioni nervose, disposta a tutto pur di venire, disposta a fare qualunque cosa
volesse, affinché lasciasse che accadesse e mi desse il sollievo a cui anelavo. L’avrei
supplicato e invece continuai a succhiargli le dita fino a che potevo, a leccargli le piante
dei piedi, così, senza parlare, gli mostrai che avrei fatto qualunque cosa per lui, anche
quello che un’ora prima avrei definito con estrema sicurezza un limite invalicabile. Una
volta ho letto da qualche parte che la chiave dell’umiliazione sessuale non è costringere
qualcuno a fare qualcosa che non vuole, ma portarlo a fare cose che segretamente sogna
di fare. Posso dire in tutta sincerità che non avevo mai sognato di degradarmi in un modo
tanto umiliante e ancora arrossisco a pensarci. Al tempo stesso, quando venni attorno alle
sue dita, il mio orgasmo fu uno dei più intensi avuti da molto tempo. E anche mentre mi
faceva ripulire le sue dita dal succo appiccicoso, prova di quanto mi fosse piaciuta l’insolita
punizione, prima di prendermi per capelli e abbassarmi sul suo corpo per succhiarlo, non
potei fare a meno di chiedermi come sarebbe stato doverlo rifare.
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