Il cantiere ed altri luoghi 3 - Alla monta

di
genere
prime esperienze

Alcuni giorni dopo, come mi aveva detto Fede, per me ci fu la possibilità di dormire per la prima volta da Roby.
Ero lavato e profumato come al ballo di fine anno, sapevo bene come sarebbe andata la serata.
Mi accolsero piuttosto bene, ovviamente, anche perché una troia in calore con la bocca sapiente e disponibile come la mia non era facile trovarla.
Loro erano già nudi, io mi spogliai con calma, sullo schermo del salone scorrevano le immagini di un video porno dove un anziano insegnante di una high school americana inculava, con la sua nerchia enorme, uno studente, un biondino piuttosto carino ed effeminato che indossava la sola cravatta d’istituto.
Precisi io e Zietto.
Black disse che avremo fatto le cose con calma, che c’era tutto il tempo.
Mentre mi sistemavo sul grande divano (avevamo tutta la casa a disposizione), Fede prese fra le labbra, in modo piuttosto languido e femminile, il cazzo di Black. Lo succhiava piano piano, poi lo leccava tutto con attenzione, quasi fosse un gelato. Roby gironzolava per casa facendo in altre cose. Io ero già eccitato, il cazzo mi era venuto duro guardando Fede e Black, con un occhio sullo schermo, dove il professore, dopo averlo legato con la cravatta, letteralmente sfondava il suo giovane ed efebico allievo.
Fede smise un attimo di giocare con il cazzo di Black e: “Dai, ora fallo tu a me”, mi si rivolse così, alla pecorina sul divano e dimenando significativamente il culetto glabro ed invitante.
Io che, passivissimo, non avevo mai inculato nessuno, mi accostai, appoggiai timidamente con la lingua un po’ di saliva sul buco in attesa e per la prima volta, aiutandomi con una mano, indirizzai il pistolino verso una rosellina pronta ad accogliermi.
Il mio cazzino entrò facilmente, Fede diede un gridolino di goduria, lo afferrai per i fianchi e presi ad incularlo, avanti e indietro… avanti e indietro… schiaffeggiandogli il culo con il ventre, Sgnack…sgnack!
“Dai, dai… montami!” esclamò Fede prima di riprendere a succhiare e leccare Black, ancora con più trasporto. Si godeva i due cazzi che stava prendendo, in culo ed in bocca.
Aveva un bel buchetto accogliente, mi avvolgeva perfettamente, era una favola sbatterselo per benino.
Andai avanti per un po’ ma poi decisi di non venire, era troppo presto, lo tirai fuori e Fede si lamentò un momento, ci stava prendendo gusto, non si comprese cosa diceva perché aveva in gola il cazzo di Black.
Mi avvicinai a Roby, che era quello che l’aveva più grosso di tutti: “Fammelo succhiare”, gli dissi, leccandomi le labbra.
“Dai vieni, prendilo”, rispose lui mentre si sdraiava sul folto tappeto, la verga eretta come un palo.
Mi inginocchiai fra le su gambe aperte e mi abbassai, iniziai dalle palle, con la lingua e poi prendendogliele in bocca e poi su su, fino a sfiorare la cappella che però lasciavo stare. Continuai così, un‘infinità di volte, impazziva (avevo fatto in questo modo anche molte volte con Andrea, che arrivava ad urlare). Gli leccavo il tronco, il solco sotto il glande, il buco del culo, lo prendevo lateralmente fra le labbra ma sempre senza farlo entrare in bocca. Mi avrebbe picchiato per la frustrazione, però mischiata ad un piacere estremo. Era teso come un arco. Vicino all’esplosione mi afferrò per i capelli e me lo sbattè in bocca, giù, fin dentro l’esofago. Venne con una serie di spasmi, dovetti ingoiare tutto, perché non usciva di lì.
“Accidenti, ci sai proprio fare!” esclamò, mentre cercava di riprendersi.
Mentre lui diceva queste cose io ero rimasto per terra a quattro zampe e con il culo per aria, mentre mi ripulivo la bocca.
Qualcuno armeggiava dietro di me, era Black: “Adesso lo voglio assaggiare anch’io il tuo culetto”.
Senza troppi fronzoli si sputò sulla cappella e me la ficcò dentro. Stranamente mi fece piuttosto male, fu abbastanza rude ed era solamente la seconda volta che lo prendevo nel culo dopo molto tempo: “Fai piano, ahia!”, mi lamentai un po’ ma non più di tanto.
“Ahhh… che bello!” ululava Black mentre mi sbatteva come una cagna.
Ormai facevo veramente parte del gruppo, le attenzioni della prima volta erano andate a farsi benedire.
Ma il dolore se ne andò presto, rimase solo il piacere.
Paradossalmente, all’inizio mi aveva fatto più male Black con i suoi modi rudi, anche se piacevoli, di cazzi più grossi in altre occasioni, che però mi spalancavano quando già venivo scopato tutti i giorni e rimanevo aperto da una volta all’altra, senza fare in tempo a “richiudermi”. Questo accadeva soprattutto nel periodo immediatamente successivo ai fatti accaduti nel cantiere. Il ripetuto utilizzo del mio culo da parte dei quattro delinquenti aveva scatenato in me qualcosa di incontenibile.
Questa sorta di crudele, definitiva, iniziazione aveva tirato fuori la mia vera indole, cosa veramente fossi in quel momento, ero diventato come una femmina in calore, una cagna, una gatta, una mucca, un qualsiasi animale, che si sottoponeva alla monta e si faceva “coprire” da tutti i maschi della sua razza che si avvicinavano dopo aver sentito il suo “odore”, senza poterne fare a meno. Il mio aspetto ambiguo ed androgino, quasi un femminiello, contribuiva tantissimo ad attirarli. Un branco di cani famelici che avevano trovato la loro preda.
Ciò ebbe una crescita esponenziale a causa del fatto che uno dei quattro del cantiere, il più giovane e fisicamente dotato (tale Rino) prese ad incularmi con regolarità, nonostante le iniziali rimostranze del Fidanzatino che, comunque, non aveva certo smesso di scoparmi. Questo bullo era un piccolo spaccone frequentatore di bar. Spesso alticcio, finì col cantarsela con altri come lui “Sapete che Rossi, quello con la faccia da fimmina, è ricchione, ha il culo e la bocca sempre belli caldi”. In definitiva, capitava che alcuni lo convincessero a portarli da me quando ci dovevamo vedere ed io mi ritrovai a soddisfare anche questi, che, successivamente venivano anche da soli e portavano altri e via così. Io ero piuttosto scombussolato, non finivo mai di maneggiare cazzi ed il culo era effettivamente sempre pieno, un porta spalancata dove entravano tutti.
Spesso erano rapporti rapidi, “cattivi”, di nascosto in qualche anfratto, dietro ad un cespuglio o sui sedili posteriori di una macchina, con il seggiolino del bambino spostato da una parte, magari qualcun altro che aspettava il suo turno lì vicino come si fa con una puttana di strada. Quattro colpi assestati senza alcuna accortezza dopo una penetrazione brutale, oppure un veloce pompino con la perentoria richiesta “Ingoia brutta troia”, mai disattesa, sovente con la minacciosa raccomandazione finale di non raccontare a nessuno quello cha era successo (curiosamente, poi erano loro a farlo). Il bello è che godevo come una scrofa a farmi trattare in quel modo.
Il cazzo mi piaceva ma ora si esagerava.
Non ero in grado di dire di no e mi facevo scopare da chiunque ne avesse l’intenzione, uno dopo l’altro. Alcuni arrivarono al punto di aspettarmi sotto casa. Stavo acquistando una certa notorietà “Rossi, la troietta sempre a pecorina, di sicuro il culo te lo dà e la minchia ti sucherà”, era un ritornello che circolava in certi posti. Il bello è che quelli che dicevano così erano machos, presunti sciupafemmine, gente che parlava male dei froci e cose del genere. Anche volendo non mi potevo negare, temevo che i miei venissero a sapere qualcosa, visto il numero degli uccelli vogliosi che ormai mi volavano attorno, di quelli che erano stati con me e di altre persone che desideravano farlo o, semplicemente, sapevano. Viceversa, un rifiuto avrebbe potuto avere conseguenze devastanti, perché il tizio, contrariato, poteva far sapere come mi comportavo a chiunque, sarebbe bastato un pizzino.
Come il cane che si morde la coda, se vado con tutti la faccenda si allarga e si può risapere ma se non lo faccio rischio ugualmente perché qualcuno può rimanerci male ed agire di conseguenza.
Era già tanto che chi mi stava vicino non si fosse accorto di avere in casa questa puttana così ricercata, ma non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.
Il culmine fu raggiunto il giorno della festa del patrono, quando le cose rischiarono di precipitare.
La festa giungeva al termine, era praticamente tutto finito, c’era stato il concerto e dopo i fuochi d’artificio. Mentre tornavo a casa si avvicinò Rino che mi fece un cenno, sapevo bene cosa voleva e lo seguii, automaticamente. Sulla sua moto uscimmo dal paese ed arrivammo ad una masseria abbandonata, quando ci infilammo nella cantina, mi accorsi che eravamo stati seguiti, Rino aveva portato con se altre persone, ragazzi, uomini, non capivo quanti fossero, una dozzina o forse più, conosciuti e non. Erano tutti più o meno ubriachi e compresi che se sbagliavo si sarebbe messa male, alcuni erano tipi veramente pericolosi.
Iniziarono a parlare tra loro: “Facciamogli il culo! Dai comincia tu… poi glielo mettiamo in bocca al sucaminchia…” e cose del genere.
Provai a lamentarmi ma non sortii alcun effetto, anzi, divennero piuttosto minacciosi e dovetti stare al gioco. Al mio paese è capitato anche che le persone sparissero senza lasciare traccia.
Mi fecero spogliare e mi ritrovai nudo in mezzo a loro. Spuntarono le prime minchie in tiro ed io: “Su, non potete incularmi tutti, mi distruggete!” piagnucolai. Intendiamoci, non che i loro cazzi, presi singolarmente, mi dispiacessero, ma tutti insieme sembravano effettivamente troppi.
“Allora ci fai un pompino con l’ingoio” sentenziò uno dei più vecchi, almeno quarantenne, ubriaco perso.
Nel frattempo, però, un altro mi aveva fatto piegare ed mi aveva penetrato senza troppi fronzoli, facendomi male.
Decisero per il pompino. Tutto attorno al muro era sistemata una sorta di panca dove in precedenza venivano appoggiate le damigiane di vino o le giare dall’olio. Si sedettero, in fila, con il cazzo di fuori.
Protestando perché stava già quasi per venire, quello che mi stava sodomizzando si tolse e si sedette con loro. Io mi inginocchiai davanti al primo e presi a succhiarlo. Mentre mi davo da fare alcuni convennero che la dovevo bere tutta, un altro, ridendo sguaiatamente, decise che se ne fosse uscita avrei dovuto leccarla via e per punizione mi avrebbe infilato nel culo una bottiglia di vino che aveva portato con se, con un conseguente clistere di vino. Viste le condizioni di alterazione alcolica in cui versava temetti veramente che lo avrebbe fatto.
Così sbronzi non venivano mai, una fatica immane, mi aiutavo con le mani, li masturbavo mentre tenevo il loro cazzo in bocca. Tanti bei cazzi in una volta, in condizioni diverse mi sarebbe piaciuto tantissimo.
Passavo da l’uno all’altro, la bevetti tutta, la buttavo giù subito senza tenerla in bocca, non volevo sporcarli per evitare il peggio. Feci il pieno.
Finalmente anche l’ultimo sborrò, ingoiai con fatica e poi attesi gli eventi. Avevo una paura folle che volessero ancora qualcosa. Che, non contenti, si sarebbero inventati qualcosa di strano da fare al mio culo, la bottiglia si stagliava minacciosa davanti ai miei occhi, appoggiata sopra una mensola, ormai vuota. Invece iniziarono a filarsela. Forse perché i fumi dell’alcool se ne stavano andando e cominciavano a rendersi conto dell’accaduto, alcuni sgattaiolavano via vergognandosi di loro stessi, io, invece, non mi vergognavo affatto. Un paio, con meno problemi mentali degli altri, mi aiutarono a rivestirmi e mi accompagnarono per un tratto di strada.
La notte fu un casino, dovetti correre in bagno a vomitare tutta la sborra che avevo nello stomaco, un torrente. Fortunatamente mia madre se ne accorse all’ultimo quando avevo fatto in tempo a far scorrere l’acqua per mandare via tutto e non poté vedere cosa avevo vomitato. Gli dissi che avevo bevuto qualcosa che mi aveva fatto male, forse avevo esagerato, altro che se avevo esagerato!
Lei era incredula perché io ero e sono completamente astemio, allora gli dissi che non si trattava di alcol ma di una bibita troppo fredda. Ovviamente mi credette, non poteva certo immaginare che fossi una pompinara professionista, ingoiatrice industriale!
Più per opportunità che altro, restai in casa alcuni giorni. Quando la festa del patrono iniziava già ad essere lontana tornai alla mia consueta, abbondante, dose di minchia. Ripresi a gironzolare per il paese sculettando per vedere cosa succedeva anche se ero sicuro che quei tizi non si “ricordavano nulla”. Capitò di incrociarne qualcuno. Quelli che facevano parte del mio normale giro, pur di rientrare nelle mie grazie arrivarono al punto di chiedermi scusa, che accettai dopo averli fatti un po’ soffrire, gli altri facevano finta di niente.
Restava il fatto che per un ricchioncello come me la vita si era fatta dura, era già la seconda volta che venivo preso praticamente con la forza da più uomini (ed ogni volta mi era piaciuto anche se non volevo ammetterlo) e questo rischiava di diventare un’abitudine, sarei potuto finire male.
In definitiva, poi, molti di quelli che mi scopavano lo facevano disprezzandomi, un giovane buco dove sfogare i loro istinti più bestiali, in mancanza di altro, di femmine disponibili, molto meglio di una sega. Intendiamoci, io partecipavo, il problema, come ho già detto, era che mi piaceva essere preso in quel modo, anche da tanti tutto assieme, in me stava facendo capolino il carattere da troia masochista e sottomessa che mi avrebbe caratterizzato anche negli anni a venire.
Passarono un paio di mesi e prima che la cosa degenerasse ci fu la partenza e ce ne andammo dal paese, ora dico fortunatamente.
Ma adesso era tutto diverso, tutto accadeva con più calma, con naturalezza. Black mi stava scopando per ciò che ero e non il surrogato di nulla ed io godevo, non c’era violenza o rabbia o senso di rivalsa o disprezzo, ma c’erano gioia, piacere, amicizia ed anche amore.
In quella grande città del nord alla gente non importava nulla di chi fossi a cosa facessi, tutti facevano i fatti loro. Io interessavo solamente a chi interessava a me.
Comunque ero di nuovo in calore, ampiamente disponibile alla monta, ma con molta più calma.
Mentre Black mi trombava con foga, presi a toccarmi, istintivamente, il pisello. Arrivai alcune volte vicino all’orgasmo, per poi fermarmi. Questo giunse proprio quando non mi stavo masturbando, aiutato dal movimento della nerchia nel mio intimo, un orgasmo prostatico fortissimo.
Black andò avanti ancora per qualche minuto poi anche lui sborrò, lo tirò fuori all’ultimo momento e me lo mise in bocca, “ass to mouth”, ingoiai tutto anche se puzzava un po’ di merda. Lavare il cazzo smerdato con la bocca era una delle prime regole che mi aveva insegnato Zietto: “Chi sporca pulisce”, mi aveva ironicamente detto con fare serioso, anche se successivamente, come vi spiegherò aveva preso provvedimenti. Nel frattempo Fede riempiva il culo di Roby.
Anche se proprio Fede mi aveva confessato che le inculate erano una cosa saltuaria, avevo la sensazione che da quando io mi ero unito a loro queste si erano intensificate. Forse il mio sederino era particolarmente invitante e stimolava questa pratica.
Ovviamente non era finita. Guardammo un filmettino alla moda poi decidemmo di andare a dormire, tutti nel letto matrimoniale di Roby.
Stavamo tutti quattro lì, stretti stretti. Completamente nudi riprendemmo ad accarezzarci a vicenda. Fede stava proprio dietro di me, mi strusciava il cazzo sul culo, mentre mi baciava sul collo e mi leccava le orecchie.
Partii di testa, mi alzai in ginocchio in mezzo a loro, confessai che avevo preso una vagonata di cazzi, che ero la troia del paese, che uno zio mi aveva sverginato e quando tornava mi scopava a più non posso, che gli lavavo sempre l’uccello ed il buco del culo con la lingua e che loro mi piacevano tantissimo e volevo che mi inculassero al momento, tutti e tre. Detto questo mi lanciai sui loro cazzi, iniziando a mangiarli come coni gelato.
Poi mi sedetti sopra il cazzo di Black facendolo entrare dentro, mi appoggiai su di lui e sollevai le gambe: “Ne voglio un altro”, era una cosa che non avevo ancora fatto, due in una volta, Roby si avvicinò, si mise in ginocchio a cavalcioni, fece scorrere il suo tarello sopra quello dell’amico fino ad arrivare sull’entrata, spinse ancora e lentamente si fece strada. Era entrato! Si muovevano ritmicamente ed io godevo come un matto, nonostante la dilatazione estrema ed un certo dolore.
Fede me lo mise in bocca mentre gemevo, sbrodolavo come una vacca.
Con la bocca piena feci segno anche a Lui di mettermelo dentro, di entrare con gli altri.
Lui mi chiese come avrebbe potuto fare, però si avvicinò al mio culo, Roby si spostò da una parte. Fede dall’altra appoggiò il cazzo nell’incavo che si era creato su un lato del mio buco, Iniziò a spingere lentamente, con precauzione. Non pensavo ci sarebbe riuscito o che io fossi in grado di sopportarlo, invece penetrò.
Lo stavamo facendo, era ciò che desideravo e stava succedendo, dicevo che mi sarei strappato, che sarebbe stato un casino, ma non importava.
Ma faceva male ma ero felice, loro erano dentro di me, insieme.
“Ah.. ah… ah.. dai, dai, spaccatemi”” gridavo, mentre si muovevano appena, forse un po’ spaventati.
Dopo alcuni minuti si sfilarono, io rimasi un momento disteso, il buco gocciolante, una sensazione di aperto, di larghezza che non avevo mai provato prima.
Un istante dopo ricominciai a manipolarli, leccarli, succhiarli, baciarli, finché, ad uno ad uno, non mi sborrarono addosso.
Dopo quella notte ci furono moltissimi incontri, altre penetrazioni multiple, altre incredibili e goduriosissime orge, fino al termine dell’anno scolastico.
Quando, in estate, trascorsi un periodo al paese, ripresi le consuete abitudini.
Il primo ad avvicinarsi fu il vecchio Fidanzatino, che ricominciò godere del mio culo e tutto il resto come niente fosse. Poi anche altri che si ricordavano benissimo di me. La girandola ricominciò, anche se non gli insuperabili livelli precedenti la mia partenza.
Il quel luogo mi tornava naturale mettermi a disposizione, mi concedevo nuovamente alla monta come se, grazie all’aria che si respirava lì, fosse di nuovo tutto come prima. Ero, però consapevole, che questo sarebbe durato solo un po’ di giorni, poi me ne sarei nuovamente andato lontano.
Quell’anno, poi, quando applicai anche ai paesani le nuove tecniche del pompino impazzirono. Avevo la mandibola sempre indolenzita.
Per non parlare di quando arrivò Zietto, non prima di aver chiamato ed aver domandato se io e la mia famiglia eravamo lì, che sarebbe stato felice di vederci.
Fina da quando, nel corso del primo “riposino” risalente all’anno precedente, si era reso conto di che troia ero diventato non ebbe veramente più freni (ne aveva pochi anche prima). Mi scopava di continuo, come se fossi sua moglie, in effetti, ormai andavo anche a dormire da lui. Lì vivevo nudo.
“perché sei venuto a trovarmi?” mi domandava ogni volta che andavo a casa sua, “Perchè voglio che il mio Zietto me lo mette ne culo”, rispondevo, questo lo mandava in estasi.
“Nipotina mia, Io ti ho insegnato ma poi ne ha fatta di strada”, mi sfotteva così quando, con il suo cazzone infilato nel culo, gli raccontavo le mie avventure anali ed orali.
Sperimentò anche lui con gioia tutte le mie arti da pompinara, apprezzandole ad una ad una. Poi, premuroso, gli venne in mente che a forza di leccare via merda dal suo cazzo avrei potuto pigliarmi qualcosa, infettarmi con qualche batterio, allora acquistò una macchinetta per il clistere, la mise in bagno e ci prese gusto. Mi sottoponeva a questa pratica molto spesso, prima delle lunghe inculate, lo faceva lui stesso ed a me non dispiaceva affatto. E’ rimasta un’igienica abitudine.
Mi portò anche via con lui, per una gita di alcuni giorni in montagna. Apprezzava farsi succhiare il cazzo durante le lunghe passeggiate, quando ci fermavamo in qualche luogo isolato, mentre ammirava il panorama.
Facevo tutto io, si sdraiava sull’erba ed io procedevo. Capitava anche che, se il posto era particolarmente tranquillo, io mi impalassi sul suo cazzo per farmi poi sborrare nel culo. Per non parlare nelle notti in albergo, che non avevano fine. Nonostante l’età era veramente un martello.
Fu il nostro viaggio di nozze. Ero la sua sposina calda e tuttofare.
Tutto questo è andato avanti per un po’ di tempo. Poi lo cose cambiano, Zietto è ormai molto anziano, non lo incontro da qualche anno.
Al paese non ci vado praticamente più.
scritto il
2015-05-28
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