L'oro di mio cugino

di
genere
pissing

Il cugino Ivano era più grande di me di qualche anno, ma, non solo, era alto e robusto, un giovanottone.
Io, tipino efebico dal sesso indefinito, pendevo dalle sue labbra.
Ci incontravamo ogni anno nella fattoria dei nonni, dove stavamo assieme per un paio di mesi.
Lui si approfittava di questa cosa, praticamente ero il suo zerbino, il suo schiavetto servizievole. Ricordo a sprazzi la prima volta che glielo portai a pisciare. Eravamo al fresco, sdraiati nel fienile. Ad un certo punto: “Dai, vieni, tiramelo fuori che mi scappa, me lo reggi mentre piscio, lo scrolli e lo rimetti a posto… mi raccomando, fallo gocciolare bene, che non mi voglio bagnare”.
Non dissi nulla e feci quello che voleva, mi tornava bene, ero all’altezza giusta, con la nuca gli arrivavo si e no al petto.
Divenne una costante, ogni volta che doveva farla mi portava con lui, gli reggevo il cazzo mentre pisciava, se eravamo in bagno se c’era dell’acqua glielo lavavo per benino.
Ero veramente bravo, portato, non una goccia di pipì gli finiva sui piedi o, quando lo riponevo, gli bagnava le mutande.
Adoravo il giallo dorato di quel liquido.
Oro.
Qualche estate dopo, appena terminata una delle sue copiose pisciate, nel frutteto, mi chiese di accarezzarglielo prima di metterlo a posto, la cosa mi rese felice, mi piaceva tenere in mano quel coso guizzante, scuro, pesante, sicuramente grosso, ma enorme se confrontato col mio. Fui ancora più contento quando divenne duro come il marmo ed io automaticamente iniziai a fare avanti e indietro con la mano, affascinato dalla cappellona viola che appariva e scompariva.
“Bravo, vai avanti così… dai… ah… abbassati i pantaloni… scopriti il culo...”. Gli shorts che indossavo andarono giù assieme alle mutandine.
“Che bel culetto che hai, scommetto che neppure quelli di tua sorella o di tua cugina sono così”.
Era vero.
Ebbi un moto di sorpresa quando giunsero gli schizzi, potenti, il getto di sborra colpì una pianta a due metri da noi.
Da quel momento fu un crescendo di pisciate, seghe e toccate di culo. Dovetti tirarle anche al suo amico del cuore Riccardo che venne a trovarlo dalla città e restò un settimana. Li facevo venire tutti e due, uno dopo l’altro. Poi gli facevo fare la pipì.
Tornammo a casa, durante l’inverno non feci altro che pensare ad Ivano ed al suo cazzone, al getto potente.
Mi masturbavo pensandoci, con una smania addosso che solo stringendolo di nuovo mi sarebbe passata.
Anche quando orinavo provavo un piacere diverso, la trattenevo il più possibile così, quando mi liberavo ce n'era di più.
Quando ci rivedemmo, ai primi di luglio dell’anno dopo, mi fecero tutti un sacco di feste, mi dissero che ero cresciuto. In realtà mi ero alzato, di più che per la mia età, ma in maniera strana, non molto mascolina, peli non se ne vedevano e le dimensioni del mio pisello erano sempre decisamente insignificanti.
Comunque ero ancora molto, molto giovane.
A modo suo anche il cugino Ivano mi fece i complimenti, i miei soliti pantaloncini corti fecero effetto: “Cavolo, che fighetta che sei diventato, le gambe lunghe e lisce ed il culo rotondo. Proprio una femminuccia”.
Questa cosa sembrava arraparlo parecchio, io, che fremevo nel guardarlo, trovai il modo di farlo orinare e di tirargli subito una sega. Mentre mi accarezzava il culo disse che adesso ero veramente bellissimo, che sembravo una modella.
Preso dall’eccitazione questa volta fui meno abile e mi sporcai la mano di sborra, guardando Ivano negli occhi la leccai, lui mi disse che stavo diventando come voleva lui e che aveva in mente “grandi cose”. Dopo dicemmo ai nonni che noi avremo dormito assieme, nel grande ed antico letto matrimoniale, per farci compagnia, loro accettarono di buon grado.
Aveva organizzato tutto.
Lui aveva a disposizione una sorta di piccolo appartamento, ricavato nell’ala più vecchia della grande masseria, dietro al fienile, lì non ci viveva nessun altro, era, praticamente, un’altra casa, mi ci trasferii anch’io.
Dopo cena mi portò in paese con lui, commentò con i suoi amici il mio aspetto, tutti loro pensavano che io fossi una femmina sbagliata.
Non ero arrabbiato, anzi, mi stava benissimo, era proprio l’aggettivo “sbagliata” che non mi piaceva, avrei preferito femmina e basta.
Tra l’altro c’erano anche alcune ragazzotte, delle belle villeggianti in minigonna o mini shorts, facevano arrapare tutti ma ancora non la davano a nessuno.
Questo contribuiva ad alzare la temperatura.
Verso l’una, mentre tornavamo a casa non pronunciò una parola, si vedeva che era carico, ogni tanto mi accarezzava la schiena per poi scendere giù, fino al culo.
Era estasiato dal mio posteriore.
“Voglio che sculetti… brava Rosy… così”. Il movimento mi era venuto istintivo.
Quando arrivammo non c’era più nessuno, filammo in camera. Appena dentro Ivano chiuse a chiave, poi: “Spogliati”.
Mi ci volle poco, era caldo, la canottierina e le braghettine colorate volarono via.
I minuscoli slip fecero la stessa fine.
“Adesso metti questa”. Mi porse, piuttosto solennemente, una minuscola sottoveste trasparente, rosa pallido, molto corta. Sembrava datata, probabilmente l’aveva trovata in qualche vecchio armadio.
Ero piuttosto confuso ma l’indossai senza fare commenti.
Immediatamente dopo mi passò un rossetto, di un rosso molto vivace ed una matita per gli occhi.
Ebbene, nonostante non avessi mai usato queste cose, automaticamente li applicai e piuttosto bene, del resto avevo sempre visto le donne della famiglia farlo.
I capelli lunghi contribuivano al mio aspetto da ninfetta perversa, una giovanissima puttanella dalle labbra rosse e gli occhi bistrati.
La perversione di mio cugino non aveva limiti, si denudò anche lui, mi abbracciò completamente poi mi baciò sulla bocca, insinuò la lingua fra le mie labbra, io le dischiusi e lui la spinse dentro, istintivamente gliela succhiai, parve piacergli molto. Mi resi conto che piaceva anche a me.
Da una parte della grande stanza era stato ricavato un bagno, ci finimmo dentro, sempre abbracciati, glielo afferrai, poi: “Dai falla Ivano”. Spinse un istante poi gli uscì, nel frattempo la facevo anch’io i getti si mescolavano, ci misi sotto la mano, ce la feci scorrere sopra.
Limonammo ancora per qualche istante, gli era venuto durissimo, iniziai a masturbarlo come facevo sempre.
“Aspetta, Rosy, andiamo sul letto”.
“Si Ivano”.
Ero sdraiata sulla schiena, la sottoveste era andata su, arrotolata sopra l’ombelico, Ivano torreggiava sopra di me.
“Si, così, voglio guardarti negli occhi mentre ti faccio donna”. Oltre ad una grande libidine si leggeva nel suo sguardo un gran divertimento.
Mi tirò su le gambe, fino quasi a piegarmi in due, il buco del culo intonso completamente scoperto.
“Adesso, piccola, mi prendo la tua verginità”.
Realizzai cosa stava succedendo quando mi sputò sull’orifizio e fece colare della saliva sulla cappellona congestionata.
“Fai piano… piano…”. Lo implorai con gli occhi sgranati, spaventata.
“Si che faccio piano, vedrai, ti piacerà essere mia”.
Così al femminile, anche questo sarebbe diventato normale.
Nel frattempo aveva infilato dentro un dito e lo muoveva avanti e indietro: “Dimmi che ti piace”.
“Si Ivano, cuginetto, mi piace”.
Era vero che mi piaceva, una sensazione strana.
Tolse in dito e mi penetrò con il suo membro, un piolo d’acciaio.
Quando entrò ebbi la sensazione che qualcosa si stesse allargando, staccando, come quando apri il velcro, straaaap….
Mi lamentai, perché provai dolore, forte ma sopportabile, vi era in me fin da quella giovane età una naturale predisposizione per il cazzo.
Lo spinse dentro fino in fondo, il cuginetto.
“Mamma mia quanto è stretto, che belloooo!”esclamò, estasiato.
Ansimando pompava, ormai senza alcun freno, un gemito mi usciva dalla bocca: “Ihhhhhh...”, lieve ma continuo. Come un sibilo. Sarebbe diventata una mia caratteristica.
Gemito inizialmente di dolore ma poi di piacere.
Era una cosa certamente fisica ma soprattutto cerebrale, adesso ero “definitivamente” del mio amato cugino, una sua proprietà, il suo buco.
Mi infilò di nuovo la lingua in bocca, le labbra si cercavano, oscenamente imbrattate di rosso.
“Ora che ti ho aperto voglio finire alla pecorina”. Disse, fermandosi.
Mi girai, volenterosa, nonostante tutto fece ancora un po’ fatica per mettermelo dentro nuovamente.
Mi teneva per i fianchi e pompava, voleva sentire il rumore dello schiaffo, del suo ventre che picchiava sul mio culo.
Splat, splat…
Ebbene il suo membro dentro di me che mi riempiva mi dava felicità, mi completava.
Così, da dietro, mi accorsi che mi piaceva (e mi piace) di più, più da cagna in calore.
“Ihhh… si Ivano, si”.
“Vengo, vengo! Ahhhhh! ” mi schizzò nel profondo “La senti, la senti?”
“Ihhhh… Si Ivano, la sento, mi sta bagnando dentro...” risposi.
“Menatelo, dai, prima che lo tiro fuori”.
Lo feci, non ci misi molto a venire, la prima sega della mia vita con un cazzo nel culo, quello di mio cugino.
“Aaaauuuuhhiiii!” fu forte, quasi doloroso.
In seguito avrei imparato che l’orgasmo col cazzo nel culo era molto più intenso di quello normale.
Vabbè, poi sarei venuto anche solo con l’inculata, senza toccarmi, ma questo più avanti, quando il piacere del prenderlo nel culo sarebbe diventato intensissimo.
Gli ressi il cazzo mentre pisciava e poi se lo lavava nel lavandino del bagno, come avevo praticamente sempre fatto.
Gli chiesi se potevo lavarmi la faccia, tutta imbrattata.
Sorrise, poi mi autorizzò.
Andammo a letto, ancora nudi, io con la pancia piena di sborra.
Dormimmo alcune ore.
Ma non era di certo finita.
Ad un certo punto mi svegliai, era giorno, il sole già si imponeva potente dalle finestre aperte, eravamo al primo piano ma in alto, sotto di noi c’era la stalla, il soffitto elevato di almeno quattro metri.
Ero su un fianco, col culo all’indietro, appoggiato ad Ivano che si trovava nella stessa posizione, il suo cazzo in piena erezione mattutina era appoggiato ad una chiappa, sulla sottoveste che si era incastrata sotto di me.
Ad un certo punto iniziò ad armeggiare, tirò forte la sottoveste, mi scoprì il culo, si sputò sulle dita poi mi bagnò il buchetto infiammato, appiccicoso di un po' di sperma che era fuoriuscito mentre dormivo, dopo se le passò sulla cappella.
Cominciò a scoparmi di nuovo, con voce flebile ed assonnata, con un lieve femmineo falsetto, gli dissi di fare piano perché il pertugio bruciava ancora dalla sera prima, però mi piaceva quella posizione, ad incastro, lui mi abbracciava ed il suo corpo aderiva completamente al mio.
Penetrò lentamente, centimetro dopo centimetro. Il rumore del nostro respiro, affannoso ed eccitato, si mescolava a quello che arrivava da fuori, prodotto dagli uccelli, dalle cicale, dai galli che non la finivano mai.
Terminò senza pronunciare una parola. Ci mise parecchio, dopo le due sborrate della sera prima, inoltre fece con calma, senza foga, gustandosi ogni istante.
“Iiiihhh… “ dalla mie labbra il sibilino.
Me li gustai anch’io, furono quelle prime inculate a farmi capire quanto godevo ad essere preso, coperto, sovrastato, penetrato dal maschio, quanto fossi femminuccia sottomessa.
Quando Ivano schizzò gemette forte, mentre mi mordeva la spalla stringendomi.
Io provai il piacere di sentirlo venire, scaricarsi dentro di me, della sua sborra.
Dopo restò lì, ancora profondamente dentro.
“Non ho ancora pisciato, Rosina, mi scappa forte”, le sue prime parole.
“Va bene Ivano, falla, andiamo”.
Io intendevo che ci saremo alzati e come al solito io glielo avrei tenuto in mano mentre orinava osservando ammaliato.
“Sai mi piacerebbe lasciarlo lì, mentre la faccio”.
“Si, tutto quello che vuoi”.
Ivano la mollò, dentro, giù in fondo.
“Ah! Cavolo, Ivano… brucia...” mi lamentai io.
“Ssss… cuginetta, vedrai che poi ti piace… ahh!”.
Sentivo caldo dentro la pancia, che pian piano si riempiva.
Godevo, era bellissimo.
Ne fece un casino, del resto era la pisciata mattutina, la più copiosa.
“Sto finendo, mentre lo sfilo tu stringi forte, altrimenti si bagna il letto”.
Lo tirò via, io tenevo stretto, filai in bagno con dei brevi passettini e le chiappe contratte.
Mentre mi liberavo pisciavo anch’io, liquido davanti e dietro, da dove usciva anche tutto il resto, Ivano stava sulla porta ad osservarmi.
“Uhee! Siete ancora a dormire, sbrigatevi, che si va giù al fiume” questo era il padre di Ivano che strillava sotto la finestra.
“Si, zio, arriviamo” risposi mentre mi lavavo sul bidet, a gambe larghe, da brava zoccoletta appena montata.
Durante la colazione dovetti tornare di corsa in bagno, ero ancora smosso. Mia nonna e poi mia madre mi domandarono cosa avevo: “Un po’ di sciolta” risposi, dissero che dipendeva dalle bibite fredde che avevo bevuto.
Confermai, beh, mica potevo parlargli del clistere di pipì che mi aveva propinato Ivano!
Al fiume addirittura Ivano andò a pisciare da solo, senza portarmi con lui.
Come se non ci fossi.
Tra l'altro, io indossavo un paio di slippini rossi, un costumino acquistato qualche anno prima, che avevo lasciato lì, senza portarne altri.
Diventato troppo piccolo per me, mi copriva appena, le chiappette di fuori. Proprio per questo amavo indossarlo, adesso so perché, mi faceva sentire una ragazza. Quando facevo il bagno l'acqua fresca mi entrava nel buco del culo, ancora aperto.
Ero un po’ arrabbiato con lui, la sua indifferenza mi dava veramente fastidio.
Pensai che, probabilmente, era appagato e non mi voleva più.
Nonostante questo, appena mi chiamò per andare a fare il solito giretto, scattai come un gatto.
Infilai le scarpe da ginnastica e con il solo costumino addosso mi infilai nella selva.
Mi seguì ad una certa distanza, appena fummo sufficientemente lontani, fuori da occhi indiscreti, mi fermai.
Quando mi fu vicino gli saltai letteralmente addosso, ci baciammo appassionatamente. Spinsi la mano dentro ai suoi bermuda ed iniziai a masturbarlo furiosamente, poi mi girai, e mi abbassai le mutandine, porgendogli il culo.
“Brava Rosy, ma, anzi, da oggi per me sei Rosa, quando saremo soli ti chiamerò sempre così… però adesso facciamo un’altra cosa”.
Calati i bermuda si appoggiò ad un albero con le gambe leggermente divaricate.
“Inginocchiati… bene, il costume lascialo giù, è più bello… bacialo… siiii…. così, le palle… brava Rosa… brava… dai… la lingua… ah… leccalo, come un gelato… attorno… la cappella...”.
Seguivo alla lettera i suoi ordini, quando spalancai le labbra e lo strinsi in bocca ebbe un moto di piacere che si dovette reggere al tronco, gli tremavano le gambe.
Era buono, il cazzo, salato ma dolce allo stesso tempo.
Mi disse di succhiare, venne dopo un paio di minuti.
La sua mano sulla nuca, deglutii velocemente e mandai giù.
Ora facevo tutto.
Lo tenni ancora un po’ in bocca, restando in ginocchio. Lui sapeva cosa stava per succedere, io aspettavo. Il getto caldo mi arrivò in bocca, istintivamente mi tirai indietro, chiusi gli occhi ma, contemporaneamente, deglutii per mandarla giù.
Era aspra, forte.
Adesso mi stava pisciando in faccia ed io stavo lì a prendermela, anzi, dischiusi la bocca e ingoiai ancora.
Raggiante, Ivano, mi confidò che questa cosa lo arrapava tantissimo quasi quanto farmela nel culo.
Ci gettammo nel fiume per lavare via tutto quanto, poi tornammo dagli altri.
Nel frattempo gli dissi in un orecchio di bere tanto, perché volevo che mi pisciasse ancora nel culo.
Quella notte lo rifacemmo, come molte altre volte a venire.
Anche adesso, che sono una spettacolosa trav assatanata, pretendo uomini potenti, padroni, grandi pisciatori, che mi irrorano con il loro liquido dorato.






scritto il
2020-05-18
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