Il disperato bisogno di Elena - 4a parte

di
genere
dominazione

Mi risvegliai nel mio letto, senza sapere come ci ero arrivata. La casa era silenziosa. Guardai il telefonino per sapere che ore fossero: le 05.43. Provai ad alzarmi ma non riuscii a tirarmi su. Il rumore comunque destò
l'attenzione dell'infermiera che Andrea aveva assunto per darmi assistenza per qualche giorno. Si presentò. Mi chiese come stavo.
- Sono a pezzi - le risposi. Lentamente, i ricordi del giorno prima riaffiorarono nella mia mente, anche se non così definiti come mi sforzavo di averli. Rabbrividendo, dopo vari tentativi mi accorsi che facevo fatica a mettere a fuoco la mia testa. Forse era l'effetto dei farmaci ma non solo ritenni. Sapevo che la mente umana, per preservarsi, tende a cancellare gli episodi troppo crudi, violenti, vergognosi. Non sapendoli sostenere con ragionamenti logici li rimuove dalla memoria o meglio, li seppellisce nei suoi recessi più profondi. Sarebbe successo così anche a me? Non potevo saperlo, adesso. Ci sarebbe voluto tempo, ma quanto ora non lo sapevo dire. Mentre il mio corpo si svegliava, iniziarono ad arrivare il dolore e i vari indolenzimenti. Sentii un bruciore incredibile al pube, dove i peli della mia figa erano stati strappati. Mi pizzicava da morire. La cosa però che più mi sgomentò, fu il rendermi conto che dovevo parlare con i miei figli, che avrebbero preteso di conoscere cosa mi fosse successo. Fui sconvolta dalla vergogna che avrei dovuto sopportare. Iniziava anche a farsi largo in me un cupo senso di colpa nei loro confronti: li avevo trascurati, e non c'erano scuse per questo. Mi prese una forte senso di scoramento. L'assistente tornò nella mia camera con una tazza di tè fumante. Aprì un poco le persiane e lasciò entrare un po' di aria fresca, e con essa anche la prima luce del mattino. Fu così che scoprii una busta sul comodino di fianco a me. La aprii. "Ciao Elena. Mi sono permesso di farti avere l'aiuto, per il tempo che vorrai, della sig.ra Martina. E' un'ottima infermiera e una persona fidatissima. Sarà a tua disposizione per tutto e porterà anche se lo vorrai (e se loro saranno d'accordo) i tuoi figli a scuola. Per quanto riguarda l'ufficio non preoccuparti assolutamente. Vorrei poterti passare a trovarti, e stare con te fino al rientro da scuola dei tuoi figli propongo. Voglio informarti che ho fatto dire loro che sei caduta dalle scale al lavoro. Spero che anche tu possa trovare plausibile questa spiegazione. Scusami se mi sono preso queste libertà. A tua discrezione
comunque, potrai rivederle in ogni momento. Attendo il tuo permesso per poter stare un po’ con te. Andrea". Presi il cellulare per mandargli un sms, chiedendogli di venire subito da me, ma mi fermai. "Che aspettasse almeno un po'…" pensai. Non volevo poi che mi vedesse nello stato pietoso in cui sicuramente mi trovavo. Ma come era possibile che non provassi rancore per lui, o ne fossi terrorizzata? La prima cosa che avevo pensato leggendo il suo messaggio era di rendermi presentabile. Ma cosa c'era nella mia testa? Possibile che i miei genitori, soprattutto mio padre, avesse ragione? Lui lo aveva sempre temuto, lo sapevo. Ero una femmina fragile e pertanto facile, secondo lui. Mi aveva fatto sempre pesare questa cosa, arrivando spesso a farmi percepire il suo giudizio pesante su di me. Direi il suo disprezzo. Mia madre, donna insulsa e ignorante, si era adeguata a lui, volente o nolente, e non mi fu mai di alcun conforto. Era però la figura di mio padre che mi diede da riflettere in quel momento. C'era sempre stato qualcosa di inquietante nel nostro rapporto. Come pretendeva di sapere come ero io, nel mio intimo, cosa albergava latente in me? Chi gli ricordavo? “La zia, ecco chi!” Fui presa da una serie di flash back, che mi apparvero stranamente chiari, questi sì, nella mente. Al di là del fatto che ci somigliavamo moltissimo io e mia zia, mi tornò alla memoria il feeling particolare tra lei e mio padre, la gelosia di lui nei suoi riguardi, le critiche sempre troppo aspre di lui verso suo marito. Lo si poteva scambiare per il tipico atteggiamento protettivo fraterno, certo; ma io ora sapevo che poteva anche non essere così. Avevo vissuto su me stessa la complicità data dal sesso tra Andrea e Anna, avevo visto i loro sguardi. E ora, pensai, potevo aver capito: mio padre, probabilissimo per non dire certo, si faceva sua sorella, o ne era attratto sessualmente. E lei, probabilmente, ricambiava. Lui ne conosceva il “lato oscuro”. Perciò, per proprietà transitiva, aveva attribuito a me le sue stesse virtù, e i suoi vizi. Non li biasimavo per questo, ma li ritenni ipocriti. Il sesso non era e non è finalizzato al solo concepimento. Se vissuto come forma di sublimazione del corpo e dello spirito, maschio e femmina si sarebbero attratti magneticamente, indipendentemente dal loro rapporto di parentela. Non potevo non pensare a quante situazioni di questo tipo, in ogni momento, venissero vissute, di fatto inevitabilmente. Che questo causasse poi una catena di eventi e di sentimenti nascosti, repressi, di segreti inconfessabili e di colpe, che potevano fluttuare per anni nella testa di chi li aveva vissuti, con conseguenze a volte imprevedibili, era scontato. Mi resi anche conto che, se la teoria era corretta (la mia storia era lì a dimostrarlo), avrei potuto incontrare un'altra me, tra pochi anni, impersonata da mia figlia. Io non avevo avuto l'occasione per “peccare” in quel modo (e molto probabilmente lo avrei fatto, se avessi avuto il fratello giusto). Ma mia figlia un fratello ce l'aveva. Cosa avrei fatto? Non seppi, ancora una volta, darmi risposta. Fui solo grata che mi si fossero aperti gli occhi. Tutto, al solito, riportava ad Andrea, divenuto l'inizio e la fine di ogni mio pensiero. Entrarono i miei figli, insieme, a salutarmi. Mi presero in giro per ciò che "avevo combinato", e non mi parvero affatto turbati anzi: direi fossero divertiti da questa variazione nella loro routine quotidiana. Martina dopo qualche minuto li richiamò ai loro compiti di scolari e con un sorriso li fece uscire dalla stanza. La loro visita mi rasserenò. Certo adesso avrei dovuto affrontare alcuni conoscenti, qualche parente, il mio ex. Ero tranquilla però, forse come non lo ero mai stata. Avevo vissuto un'esperienza estrema e ne ero uscita tutto sommato bene "Quello che non ti ammazza ti rende più forte" era il detto. Forse era davvero così. O forse era solo il fatto di aver capito una volta di più chi ero davvero: una femmina, con tutto ciò che questo voleva dire: una donna, una mamma. Stava a me ora decidere quale ruolo volevo davvero interpretare, come e quando farlo. Avevo voglia di vedere Andrea e lo chiamai subito, appena i miei figli e Martina uscirono. Mi ritrovai ad aver paura, e non poteva che essere così. Sentii il mio stomaco stringersi. Raccolsi tutte le mie forze e andai in bagno, dove avrei cercato anche di mettermi un po' in ordine. Trovai il coraggio di guardarmi: lo specchio rimandò un'immagine che mi stupì assolutamente: ero bellissima. Sciupata, colpita, ferita, offesa... Ma c'era una luce particolare nei miei occhi, un'aria vissuta, ma serena. I miei capelli sporchi e in disordine mi conferivano un aspetto del tutto particolare. Sembravo una donnaccia, notai, eppure ero deliziosamente sexy. Il bordo del viso era leggermente gonfio e tumefatto e avevo profonde borse sotto gli occhi, ma non ero mai stata tanto splendente. Sorrisi a quella donna che mi guardava. Una donna, finalmente. Avevo subito di tutto: ero stata scopata in tutti i modi, ero stata violentata, nel vero senso del termine, ero stata abbandonata, tradita, posta davanti alla mia fragilità, al mio niente, e avevo scoperto di essere tutto, di poter fare tutto, di poter sopportare tutto, di poter godere di tutto. Una femmina, una troia, un’amante: peccatrice e santa. Ecco cosa ci rendeva così assolute, così trascendentali. Ecco perché la chiesa, le religioni, ovunque, ci temevano e scacciavano, così tanto, sempre. Ecco perché. Ci devastavano, gli uomini, i maschi, e noi tornavamo più belle, più desiderabili, più arrapate e vogliose, più serve e schiave di prima. Più vere, ogni volta di più. Era impossibile non amarci, non amare quello che eravamo sempre state, dall'inizio del tempo. Impossibile anche non temerci, dai maschi interessati solo al potere, fine a se stresso. La convinzione nella giustezza del mio ragionamento mi spinse, una volta di più, a vedere Andrea come un angelo caduto per me da un luogo altissimo, siderale, fuori dal mondo in cui ero vissuta fino ad un mese prima. Un angelo che sapeva trasformarsi in demonio, se necessario. Come tutti gli angeli, sapevo. Un sms mi annunciò "sono davanti alla porta di casa tua. A." a cui risposi con un "entra, è aperto". Sentii la porta aprirsi e chiudersi e un – Permesso? - . Gli diedi la mia voce da seguire. Il cuore iniziò a esplodermi nel petto. Entrò nella stanza. Chiusi gli occhi, e tesi le braccia in avanti, aspettando che mi trovasse, nella mia voluta oscurità. Lui si sedette sul mio letto e mi prese. Mi baciò delicatamente, scostandomi i capelli dal viso: non avrei voluto smettere di baciarlo mai più. Ero, adesso, nel mio "posto ideale", nel mio "utero materno al maschile". Stavo bene, come mai ero stata prima. Sentivo il fortissimo impulso di darmi a lui, di offrirmi, come in un sacrificio umano. Non importava quanto stessi male fisicamente, quanto dolore stessi patendo: se lo avesse voluto io ero sua, lì e subito. Se mi avesse steso, allargato le gambe e scopato, poi io lo avrei pure ringraziato, e sarei stata felice. Era così e basta, senza un perché, uno senso o una logica. Stavano così le cose, semplicemente. Lui mi spinse delicatamente giù, sul cuscino. Mi guardò e non disse niente, ma io sapevo che aveva capito. Per un istante pensai che si stesse commuovendo, ma fu solo un attimo, un barlume nei suoi occhi.
- Lo sai che ti trovo alquanto attraente? Quando torni in ufficio? - Scoppiammo in una risata, e la tensione mi abbandonò.
- Presto. Molto prima di quanto tu pensi -
- Sei sempre la solita sciocca - Tornò a baciarmi. Percepii chiaramente che anche lui ora iniziava ad amarmi. Lo avvertii dentro, istintivamente, non so come altro spiegarlo. All'inizio ebbi paura che la sua fosse solo pena, compassione per me, per com'ero, per ciò che mi aveva fatto. Ma non era così, lo sentivo.
- Senti, ma lo sai che oggi sei proprio bella? A saperlo… - Scoppiammo ancora a ridere.
- Ci penserò -
- Ottima idea! Chissà che io non abbia scoperto un nuovo trattamento di bellezza… -
Mi baciò con passione, vera. Mi scoppiò il cuore. Sentii una stretta fortissima all'utero. Le parole che mi scivolarono dalla lingua. - Vuoi scopare? – gli chiesi.
Esprimevo un pensiero reale, di totale asservimento all'uomo che amavo. Lui rimase a guardarmi per un
po' senza dire niente.
- No Elena. Cioè sì, ovviamente, ma non adesso, non ora intendo. Voglio che riposi e che ti ristabilisca bene. Tra l'altro, mi sembra di capire che non sia il solo ad avere questa impellente necessità... - Capii che
si riferiva ad Anna.
- Anna mi tormenta di telefonate per sapere come stai e pretende che tu la chiami, appena potrai. Le ho dovuto impedire fisicamente di venire qui - Risi, emozionata. Subito però fui presa da un senso di inquietudine. Si erano visti senza di me...
- Lo farò appena tu te ne sarai andato: non voglio che tu senta i nostri discorsi -
- Già... E’ l'ora dell'iniezione? La preparo – Prese la siringa e la fiala dal mio comodino.
- Me la vuoi fare tu? Ma starai mica scherzando? Io ho paura! -
- Posso farti notare che stai dicendo una sciocchezza incredibile? - Era effettivamente così.
- Oddio... Ma sei capace? - Mi venne la pelle d'oca. Proprio vero che la mente di una donna è un universo particolare: aveva appena finito di massacrarmi di botte e lo adoravo. Mi voleva fare un'iniezione, e ne ero terrorizzata. Mi scopava tutti i buchi più intimi, me li faceva scopare anche da altri, e lo trovavo eccitante. Guai però a bucarmi il culo con un aghetto… Mi scoprii il sedere, e io chiusi gli occhi.
- Che paura! -
- Ma la pianti? Se non la smetti di do un morso sul culo che vedi, altro che puntura... -
- Magari lo preferisco... - Mi massaggiò delicatamente e mi fece l'iniezione. Non sentii nulla.
- Visto? Fifona - Mi diede un piccolo buffetto sul sedere.
- Sei bravissimo! Ti nomino mio infermiere -
- Volentieri - Mi diede un bacio sul sedere.
- Beh? Tutto qui? Speravo in qualcosa di più... -
- Elena... Riposa ora -
- Scopi con qualcun'altra? Con Anna? – Le parole, ancora una volta, mi scapparono fuori dalla bocca. Mi pentii subito di averlo detto.
- Scusami – Dissi abbassando lo sguardo. – Voglio esserci anch’io quando lo fate –
- Va bene, ti aspettiamo, ok? – Sorrisi.
- Tiralo fuori, ti prego -
- Elena, per favore... -
- Tirati subito giù i calzoni e vieni qui – Lo implorai. Non senza una certa riluttanza, Andrea esaudì il mio desiderio. Forse la mia preghiera. Glielo presi in mano e iniziai a menarlo e succhiarlo, stando sdraiata di
fianco, nel letto. Volevo spompinarlo bene, ma ero ancora troppo stanca e molto debole. Lui lo capì. Mi fece appoggiare la testa sul cuscino e venne a scoparmi la bocca. Sentivo il suo cazzo che si induriva sempre di più tra le mie guance. Lo tirava fuori e si face una sega davanti alla mia faccia, per non farmi affaticare. Io tiravo fuori la lingua per leccarglielo ma lui, accarezzandomi, mi face capire che non voleva che facessi fatica. Così, mi gustai il vederlo masturbarsi.
- Dimmi quando sei vicino - Era stupendo guardarlo menarsi l'uccello, lo trovai eccitante da morire. Capivo ora cosa provava lui quando guardava me, mentre lo facevo. Non mi era mai capitato di vedere un uomo
farsi una sega. Il suo ritmo aumentò.
- Non venire, ancora - Mi tirai su e glielo presi in mano. Quando lo sentii pronto per godere, me lo ripresi in bocca. Sborrò tanto, con dei bei fiotti, che sentii sulla mia lingua. Mandai giù tutto a fatica. Mi prese la testa tra le mani e mi spinse l'uccello giù fino in gola. Lo sentii fiottare ancora. Era pieno di seme, pensai con sollievo. Feci scorrere le mie dita sul suo cazzo, come mi aveva insegnato Anna, per suggere fino all'ultima goccia del suo nettare di maschio. Non avevo voluto solo soddisfarlo: volevo sentire la consistenza del suo sperma, il suo sapore, il suo aroma. Avevo imparato a conoscerlo. La prima eiaculazione, dopo ore di attesa, era densa, carica di odore e dei sapori di ciò che aveva mangiato e bevuto, del modo in cui la sua giornata era trascorsa, se era stata calma, o invece carica di nervosismo. Il suo corpo aveva avuto il tempo di sublimare la sua essenza, di distillarla attraverso un processo lento e completo. La seconda goduta invece, che lui spesso mi concedeva, era molto più liquida, quasi inodore, senza i gusti della prima, e soprattutto meno abbondante ovviamente: non c'era stato tempo affinché il suo organismo decantasse il cibo, filtrasse le bevande, gli umori e le tensioni, che era poi così bello, così intimo percepire nella sborra che fiottava nella mia bocca. Mi era sempre piaciuto farlo. Col tempo però, stando con mio marito, avevo iniziato a provare, se non disgusto, una sorta di istintiva repulsione verso lo sperma, e non mi resi più conto di quanto fosse importante quel segnale. Sapevo di donne che si rifiutavano assolutamente di bere il seme maschile, anche quello dei loro uomini. Le capivo, poteva essere disgustoso. Ora però ero così felice quando potevo soddisfare le voglie di Andrea, tutte. Mi stupivo di quanto fossero e fossi stata inconsapevole dell'importanza di fare queste cose, tolto che a me ora piaceva moltissimo farmi venire in bocca dal mio uomo, assaporarlo nella sua essenza più intima. Un gesto così bello per me, che non potevo neanche immaginare di non farlo. Mi ripromisi, appena fossi stata meglio, di farmi con Andrea un bel sessantanove, dove anch'io gli sarei potuta venire in bocca, più e più volte, sapendo che lui adorava che lo facessi, gridandogli il mio piacere sul suo cazzo, nella mia bocca. Dopo la goduta di Andrea potevo anche riposare. Mi svegliai nel pomeriggio, e stavo decisamente meglio. Andai in bagno, e lì constatai con rammarico che però gli ematomi purtroppo avevano iniziato a scurirsi. Era normale, anche se esteticamente avvilente per una donna che passava in abiti succinti, se non nuda, buona parte della sua
giornata lavorativa. Mi sentivo già assolutamente in grado di riprendere il lavoro, ma Andrea al riguardo non volle sentire ragioni: dovevo riposare e godermi i servigi di Martina almeno per qualche giorno. Lui era andato a Verona per un convegno, e sarebbe tornato il giorno appresso. La cosa mi inquietò un poco, ma me la dovetti far passare, soprattutto perché non ci potevo far nulla. Telefonai ad Anna, finalmente, che insisteva per venirmi a trovare "Sai benissimo come finirebbe se qui venissi da me Anna... Ma questa è la casa dei miei figli: non posso e non voglio sconsacrarla". Queste parole la toccarono profondamente, percepii. Era chiaro, il messaggio: “io sono ciò che tu sai, e che mi piace moltissimo essere: è la mia natura. Esiste però una netta separazione tra il "nostro" mondo, il mio, il tuo, di Andrea, e quello dei miei
figli, della mia famiglia, e tu, voi, per quanto la cosa mi ferisca, perché so ciò che significa, non ci entrerete mai”. Mi disse che capiva e che, per quanto avesse voglia di me, approvava la mia decisione "Fa presto però: mi manchi da morire". Lei sarebbe stata sempre fra me e Andrea. Mi stava bene, lo accettavo, ma mi lasciava anche un senso di frustrazione, in fondo al cuore, potevo percepirlo chiaramente. Dovevo poi ancora elaborare cosa era successo due giorni prima. Iniziavano ad allinearsi nella mia mente alcune possibili opzioni: poteva essere, anzi era certo, che il prete avesse detto ad Andrea del mio desiderio mistico di essere punita fisicamente, e che lui avesse deciso di darmi ciò andavo cercando. Non la solita sceneggiata sadomaso, ma una brutale e reale violenza, con la quale esaudire la mia richiesta, ed impartirmi una severa lezione di vita. Avevo letto qualcosa sull’argomento, tra gli altri anche quel libro famoso, che non mi era piaciuto per niente, e meno ancora il film. Sapevo di De Sade, e in effetti potevo paragonare ciò che mi era successo più a lui, che ad altre situazioni di cui avevo sentito parlare. Quello che mi era accaduto però, era diverso. Andrea non era stato solo sadico (se lo era stato): non aveva usato il
dolore di una candela, di una pinzetta, o altro. Non mi aveva legata, ne mi aveva simulato di stuprarmi, o altro farlo: mi aveva "semplicemente" picchiata, torturata, come si fa con un nemico, come si tortura un prigioniero, come si impone terrore ad un animale. Andrea era troppo intelligente per non aver pianificato la cosa, pensai. Intelligente forse tanto da voler andare oltre, portarmi al di là di un confine fatto di dolore puro, di pura paura, per poi riportarmi indietro, rimettermi giù, adagiata su un letto, a riposare e a pensare a me stessa. Mi aveva dato una lezione certo, ma non quella che avevo pensato di aver ricevuto, bensì una vera lezione di vita, vissuta per davvero. Non era una punizione, e nemmeno soddisfare una mera curiosità, un prurito, perché avrebbe potuto uccidermi in qualsiasi momento, se lo avesse voluto, facilmente, quasi senza sforzo per lui. E l'avrebbe fatto, ne ero sicura, istintivamente. Perché solo così, capii, mi avrebbe insegnato. Solo così avrei conosciuto il male, tutto il drammaticamente vero dolore, in modo da capirne la differenza, con quell'altro. Che maestro, che mentore era Andrea, che coraggio e che forza aveva. Una forza tale, per cui anche picchiando a sangue una donna, la sua donna, una delle cose più vili che si possano immaginare, egli risulti coraggioso, fin anche magnanimo, pronto, lui sì, a sacrificarsi per te, per il tuo bene, facendoti del male. Era geniale per quanto assurdo. Il risvolto psicologico della mia situazione mi colpì in maniera devastante. Se mai avevo gestito gli eventi della mia vita, ora non c'era nessuna possibilità di sfuggire al fatto che, da quando avevo conosciuto Andrea, gli eventi avrebbero gestito me. Dovevo semplicemente accettare la cosa, finché potevo. Ero entrata a far parte di quel esercito di donne che chiedono, che pretendono, che il loro uomo le usi, le prenda dentro, se serve, fino alle estreme conseguenze e, se mai se ne fosse presentata l'occasione, non avrebbero titubato a confessare, soprattutto ad altre donne, forse invidiose, che quello era il loro uomo. E che uomo. Inutile discutere, assurdo ragionarci: così era dall'inizio del tempo, e così sarebbe stato forse sempre. Mi guardai allo specchio, nuda. I capelli in disordine, il volto con qualche ombra nera. Mi vidi le costole. Fui sorpresa nel vederle apparire sotto il mio seno. Corsi a pesarmi: 58,3! Ero calata di 6 kg in meno di un mese! Senza diete o corse: solo scopando. Forse anche i due giorni di letto, quasi senza mangiare, avevano contribuito alla mia dieta. Essendo alta 1 e 74, mi ritrovai praticamente in forma perfetta. I miei grossi seni sporgevano ora da un busto asciutto, da una pancia piatta e tonica. Il culo mi parve più alto, più sodo. Le gambe, per quando chiazzate da lividi, erano snelle, i polpacci evidenti, allenati a muoversi, a spingere. Decisi di uscire. Andai a vestirmi, felicissima di me. Volevo fare due passi, la giornata era bellissima e ne volevo approfittare per fare un po' di spesa in paese. Con tutto il piglio padronale di cui ero capace, sperando di non apparir ridicola, chiesi a Martina di fare lei i mestieri. Lei acconsentì con entusiasmo, contenta per la mia ritrovata energia. Mi misi uno dei miei vestitini succinti, i miei sandali alti e un leggero spolverino. Inforcai un paio di ampi occhiali da sole e uscii. Arrivata in paese entrai nel mini market dove andavo se non avevo altre possibilità di far compere. Mi presi tutto il tempo per girare tra gli scaffali. Notai che venivo tenuta d'occhio da una delle commesse, una giovane donna sulla trentina, che non smetteva un secondo di osservarmi. La cosa dopo un po' mi diede fastidio e mi avvicinai a lei per chiedere se, per caso, mi avesse scambiato per una ladra di alimentari e saponette. Anche questa, notai, era una cosa che solo un mese fa non avrei mai osato
fare. Ora, non solo non ci avevo neanche pensato un secondo a farla, ma la trovavo doverosa.
- Scusi, mi deve per caso dire qualcosa, signorina? -
- Come? No signora, assolutamente -
- Abbia pazienza, ma ho avuto l'impressione che mi stesse curando per vedere se mi intascavo qualcosa -
- Assolutamente no! Mi scusi tanto, non volevo importunarla -
- Ho capito, ma perché mi guardava? – Lei abbassò gli occhi imbarazzata, ma notai anche decisa.
- Perché la trovo bellissima signora. Mi scusi ancora – Sparì dietro ad una fila di scatolame. Rimasi interdetta. Pensai di non aver capito, quindi la seguii per avere la certezza di aver inteso bene.
- Signorina, o signora, mi scusi, non scappi… - Dissi, mentre camminavo verso di lei.
- Nulla signora, la stavo solo osservando, perché vorrei essere come lei, vestita come lei - La sua sincerità mi disarmò. Era giovane e molto carina.
- Grazie! E' un complimento molto bello. Detto poi da una bella e giovane donna come lei, ha ancora più valore! -
- Le confesso che sono alcuni giorni che la osservo, e che sto cercando il modo di parlarle per dirle quanto io la trovi bella ed elegante -
- Lei sta senz’altro esagerando. La ringrazio comunque… Fa davvero piacere sentirselo dire -
- Chissà quante persone le fanno dei complimenti... -
- Ma no, creda... Il suo comunque lo apprezzo davvero. Si vede che è sincero... Mi chiamo Elena - Tesi la mano.
- Io sono Laura. Mi scusi ancora se l'ho importunata -
- Si figuri, ci mancherebbe... ci siamo viste tante volte, in effetti, senza mai parlare. Era giusto presentarsi almeno -
- Io lo avrei voluto, ma non trovavo mai il coraggio. Lei era sempre così seria... E poi non volevo sembrarle sfacciata. Oggi però non ho saputo resistere, e a costo di fare una brutta figura ho trovato il coraggio. La prego signora, mi scusi ancora! -
- Va bene Laura... e chiamami Elena. Non scusarti più o adesso mi offendo davvero! -
- Senta Elena, visto che ormai ci sono, posso invitarla a bere un caffè al bar qui di fianco? Per farmi perdonare... - Non era poi così timida come voleva apparire, notai.
- Veramente, non mi sentirei molto a mio agio – abbassai gli occhiali per farle vedere i miei lividi.
- Oddio! Ma cosa le è capitato? - mi venne vicino.
- Ho avuto un piccolo incidente, sulle le scale per andare in ufficio... - mentii.
- La prego, non mi dica di no, la scongiuro... tenga gli occhiali, non si vede niente con quelli -
- Va bene... Speriamo non mi notino... La gente è così stupida... -
- Ha ragione... Comunque, per notarla la noteranno lo stesso, ma non certo per gli occhiali - mi disse ammiccando. Iniziavo a sentirmi più che lusingata dai suoi complimenti. Sentii una fitta al ventre e mi venne
voglia di fare pipì.
- Allora finisco di fare la spesa e ti aspetto qui al baretto di fianco -
- Ok! Faccio in un attimo! -
Mi accomodai su uno sgabello che permetteva di dare le spalle al bancone del bar pasticceria, molto bello devo dire, rivolto verso la piazza. Il padrone venne subito a chiedermi cosa desideravo: gli dissi che
aspettavo un'amica e se ne andò deferente. Laura entrò un po' affannata e mi sorrise, correndo verso di me. Il padrone fece ritorno e ordinammo due caffè con la panna.
- Era tanto che aspettavo questo momento sa? -
- E perché? -
- La stavo tenendo d'occhio e non vedevo l'ora di conoscerla - lo disse tutto d'un fiato, abbassando lo sguardo.
- Laura, perdonami: guarda che quello che dici potrebbe destare più di qualche perplessità. Ti suggerisco di spiegarti bene – accavallai le gambe, che si scoprirono parecchio nel farlo. Lei le guardò per qualche istante di troppo, socchiudendo leggermente le labbra. "Questa ragazza è lesbica. O bisessuale" pensai. La cosa mi turbò per qualche momento, ma poi mi ritrovai a pensare a me e ad Anna, che leccavamo insieme l'uccello di Andrea, slinguandoci spesso e molto volentieri, alle sue mani sulle mie tette, alla sua mano dentro la mia figa, e a me che facevo altrettanto con lei. "E allora? E' una bella ragazza, molto simpatica e spontanea... Tanto basta, e pure avanza. Fatti suoi". Lei ci mise un pochino, a trovare le parole.
- Al negozio, un po' perché non è che ci sia tutto quel da fare, un po' perché l'ho trovata subito molto bella, Elena, da prendere a paragone diciamo, le confesso che abbiamo parlato un po' di lei, io e la mia collega -
- Ah, sono oggetto pettegolezzo… Mi fa davvero piacere saperlo – lo dissi lasciandole intendere che ero delusa.
- No Elena, aspetti la prego, non mi fraintenda, posso spiegarle. All'inizio sì, è vero, abbiamo un po' spettegolato. Sa, il dottore è un uomo importante qui in paese, e di lui si è parlato sempre molto. Ha avuto più di relazioni con alcune donne qui in paese, tra l'altro qualcuna già sposata. Di altre invece lo si sospetta solo. E lei ora è la sua segretaria… L'unica che abbia mai avuto. Se ne è parlato, lo ammetto. Io però, passata la novità, mi sono ritrovata ad osservarla semplicemente per la sua bellezza, che ho trovato subito notevole. Ultimamente poi, ho constatato che è diventata ancora più bella. E oggi che è qui davanti a me le dico che è una delle donne più affascinanti e sexy che io abbia mai visto, ancora più di prima - Ero sbalordita. Si esprimeva con una sincerità disarmante. La trovavo deliziosa. Continuò.
- Ho notato che il suo cambiamento è coinciso con il suo impiego dal dottore, e mi sono rosa le mani dalla curiosità. Ecco, l'ho detto. Elena mi creda: non ho parlato con nessuno di questo, glielo giuro. E' solo la mia femminile curiosità, e invidia... Tanta, tanta invidia, per lei - Le credetti. Anche perché sentii che mi faceva comodo farlo. E poi era vero: lo avevo constatato anch'io poco prima. Nessuno, mai, mi aveva detto una cosa simile, neanche lontanamente vicina a ciò che mi aveva appeno detto Laura. Ero lusingata e sconvolta al tempo stesso. Il fatto che poi fosse una giovane e bella donna a dirmelo, rendeva la cosa ancora più intrigante e sconvolgente per me. Dopo parecchi secondi passati a trovare le parole dissi:
- Laura ascolta: sì, è vero, il dottore è un uomo speciale e sì, rende le donne che gli stanno vicine probabilmente ancora più femminili di quanto non siano già di loro. E' una cosa tutto sommato naturale. Ma da qui a dire che mi abbia trasformata da "bruco in farfalla" ce ne dove passare - mentii. Sapevo che aveva ragione. Da donna e da femmina lei l'aveva notato subito. Studiosa delle persone, per gioco o per passatempo, aveva assistito al mio cambiamento, giorno dopo giorno. Io non mi sarei mai accorta di lei, della sua attenzione a me, e quindi la ringraziai intimamente per avermi fatto questo dono. Lei poi mi disse:
- No, era già bella. Solo che prima era come spenta. Oggi invece vedo una luce dentro di lei... No, non è neanche questo. Oggi vedo la quintessenza della femminilità, e penso di sapere da cosa deriva. La invidio così tanto Elena... Mi scusi, so che è un peccato... - C'era un misto di lussuria e di tristezza in lei. Sentii forte l'impulso di baciarla. Mi stava facendo capire che sapeva che scopavo come una pazza, e che voleva farlo anche lei.
- Laura, credimi: sui giuramenti, sui peccati, sulle confessioni... permettimi di esprimere parecchio scetticismo, soprattutto ultimamente - Si creò tra noi un'intesa istantanea. Laura era una donna
intelligente e colta, potevo intuire, desiderosa di conoscere, che non si faceva alcun problema a chiedere ciò che non sapeva o non capiva; c'era in lei una sorta di ingenua furbizia, una maliziosa bontà che la rendeva adorabile, per me. Inoltre, era davvero bella: non molto alta, proporzionata benissimo, aveva
capelli castani lunghi e lucentissimi. Il viso ricordava quello di una bimba, ma aveva una luce particolare negli occhi, che ti faceva capire che lei non era affatto. Occhi verdissimi, ciglia lunghe, era curatissima. Indossava jeans e un maglioncino attillato, che faceva intravedere due bei seni molto sodi e giovani. L'avevo sorpresa più di una volta a guardarmi la scollatura, tanto che fu costretta a chiedermi della mia collana, per scusarsi. Stetti volentieri al gioco.
- Ti piace la mia collana? E' un regalo... - le porsi il crocefisso, invitandola a guardarlo più da vicino, sporgendomi verso di lei. Il mio seno adesso era davvero vicino alla suo viso. La pensai mentre ci affondava dentro il suo bel viso. Lasciai cadere intenzionalmente il crocefisso tra le tette: lei lo riprese, sfiorandole. Aveva gli occhi languidissimi e le vidi saettare la lingua all'angolo delle labbra. Era in calore, e le capitava lo stesso che stava accadendo a me. Si contorse sullo sgabello. Decisi di non spingermi, lì e in quel momento, troppo in là.
- Ora devo andare Laura. Grazie per il caffè e la chiacchierata... e dei complimenti! - le sorrisi sorniona.
- Elena, posso chiederti il tuo numero di telefono? Vorrei restare in contatto con te - passò al "tu" giustamente, e io la lasciai fare.
- Ma certo... Questo è il mio numero. Chiamami e ci organizziamo -
- Allora a presto, è stato bello conoscerti, davvero! -
- Esagerata! Comunque lo è stato anche per me Laura – Ci salutammo con il classico doppio bacio sulla guancia. Lei però, non mi prese per le spalle, come feci io: mi passò le mani sotto le mie braccia e mi prese per i fianchi, all'altezza del seno, e me lo toccò, anche se con un movimento ben mascherato da abbraccio affettuoso. Sentii colarmi l'umore della mia figa bagnata tra le gambe. Già me la sognavo, nuda, mentre mi sfondava la figa con una delle sue deliziose manine. Io invece l'avrei impalata con il grosso vibratore che
Andrea usava per farmi impazzire di goduria. Ero diventata Anna, e Laura ora era me. Adesso dovevo solo pensare a come portarla sul divano del mio ufficio. Dell’ufficio di Andrea, mi corressi.
scritto il
2015-12-08
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