Il disperato bisogno di Elena - 2a parte
di
Col. Kurtz
genere
dominazione
La mattina dopo provai un misto di sensazioni. Mi sentivo leggera come l'aria, come dopo un'intensissima
corsa, ma ero anche piena di dolori, e uno di questi, al mio ano, era particolarmente doloroso. Presi un forte antidolorifico e mi ripromisi di comprare una pomata lenitiva al più presto.
Mi sentivo anche in colpa per ciò che avevo fatto, e per come lo avevo fatto. Non ero la donna del
dottore, ne la sua compagna: ero una sua dipendente. Volevo confessarmi, una cosa che facevo da sempre, data la profonda religiosità della mia famiglia. Sono cattolica, anche se ormai comprendo che alcuni riti e dogmi, sono più delle usanze ormai, che delle reali necessità spirituali. Andai in chiesa e mi confessai allo stesso prete che mi aveva aiutata con il lavoro; scrissi in un foglio ciò che stavo vivendo senza nessuna omissione, anche dei miei pensieri più scabrosi. Il parroco si mostrò alquanto comprensivo con me, e la cosa mi stupì parecchio, perché invece io volevo essere punita. Lesse con attenzione, annuendo spesso e pronunciando diversi "capisco". Accennai al fatto che mi ero persa nel pensare a più uomini che facevano sesso con me contemporaneamente. Non seppi spiegarmi il perché, visto che già mi parevano, dal punto di vista dell'oscenità, tutto quello che avevo fatto col dottore.
- “Lei è una giovane donna, una madre e una moglei lasciata sola dal marito. Viva la sua vita sessuale senza problemi e stia tranquilla. Il Signore sa che in cuor suo lei è buona, una fedele devota”. Andai in pace, almeno per lui.
Il dottore non venne al lavoro quel giorno. Mi mandò un breve sms per annunciarmi la cosa. Da un lato mi spiacque ma dall'altro fui contenta. Pensai, con una punta d'orgoglio, che anche per lui fossero stati due giorni intensi, e che forse aveva bisogno di una pausa ristoratrice. Già pensavo al domani, quando la voglia sarebbe tornata, sapevo. Ne approfittai per sistemare un po' l'ufficio e rilassarmi. Verso sera arrivò un suo messaggio: "Domani sera gradirei molto venisse con me. Mangeremo fuori e incontreremo mia sorella Anna, che sarà in città. Dormiremo da lei. Può organizzarsi?". Toccai il cielo con un dito: forse, dopo la nascita dei miei bambini, questo è stato il momento più felice della mia vita. Iniziai a fantasticare su una nuova vita insieme. Il messaggio diceva che mi avrebbe presentato sua sorella!
Fui presa dal panico: come avrei fatto con i miei figli? La ragazza che li curava se ne andava alle 18,30, massimo le 19,00, e non avevo alcun rimpiazzo. Lo scrissi al dottore. "Le offra una cifra adeguata. Se
non accetta la licenzi e ne assuma un'altra con le giuste caratteristiche, anche rivolgendosi ad una agenzia. Il conto lo dia a me. Domani si prenda il tempo che le serve per fare le sue cose. La passerò a prendere in
ufficio per le 19,00". Non potevo non rimanere affascinata dalla fermezza e dalla sua decisone. Certo, poteva permetterselo, ma al confronto, il mio ex marito sembrava un ragazzino delle medie. Per menefreghismo, per incapacità o per carattere, molti uomini (tra cui il mio ex) non si prendono le responsabilità che competono loro. Gli stessi che poi non ci mettono un minuto secondo a mollarti coi figli, se trovano una che “li capisce" alla prima occasione. Risolsi offrendo alla mia babysitter la cifra "adeguata",
che lei accettò con entusiasmo. Arrivai così alla sera della "prima". Dopo un tragitto di una certa lunghezza, arrivammo nel parcheggio di un grande hotel fuori città, che definire lussuoso era alquanto riduttivo. Mi aspettavo la casa della sorella non il ristorante di un albergo, per quanto bellissimo. Non ero mai stata in un posto di così alto livello. Il dottore si avviò sicuro verso la reception e chiese di sua sorella, che di lì a poco ci raggiunse nella hall. Mi trovai una bella donna sulla cinquantina, elegante e sexy. Eravamo fisicamente simili, entrambe alte e formose. Anche l'abbigliamento notai era quasi lo stesso: estremamente succinto. Simpaticissima, mi piacque subito, e così credo io a lei. Si stabilì una intima complicità, che crebbe ancor di più quando ci raggiunse il suo "ragazzo" reduce da una seduta di palestra. Un bellissimo giovane, alto, atletico, moro. Non potei fare a meno di complimentarmi per il suo ottimo gusto.
- "E' un bel giocattolone, non c'è dubbio" mi disse lei, lasciandomi intendere che "il giocattolone" era anche tra le sue gambe.
- “Comunque, tu, mia cara, con mio fratello non hai di che lamentarti...".
-“Non lo faccio assolutamente infatti. Ho semplicemente fatto una constatazione, ammetto un po' ovvia -
Come faceva lei a saperlo? Forse aveva visto quanto il fratello fosse ben dotato? Non sapevo cosa pensare, e quindi accantonai quel pensiero.
- Che ne dite se andiamo a cena? Ho una fame... - Si rivolse a tutti, e tutti acconsentimmo. Non andammo al ristorante dell'albergo, ma salimmo nella loro camera, che poi era una bellissima suite, un piccolo appartamento con una enorme vasca idromassaggio al centro. Avevano disposto la tavola a lato un enorme letto. Ebbi subito la percezione che avrei provato nell'ordine prima la vasca e poi il letto: la domanda che istintivamente mi posi fu "ma con chi?" visto l'atteggiamento molto “aperto”, di Anna e del suo partner. Il dottore era uno spettatore compiaciuto e interessato: parlava molto poco e si limitava a sorridere. Ordinammo, e dopo un po' arrivò il carrello del cibo e il vino. Fu una cena deliziosa. Verso la fine l'atmosfera si era fatta decisamente allegra, visto il solo argomento trattato: il sesso. Era abbastanza sbalordita dall'assoluta mancanza di pudore di Anna nei confronti del fratello. Più di una volta lei gli si avvicinò, baciandolo sulle guance, con un trasporto e una passione imbarazzanti. Lo abbracciava e lo toccava di continuo. Non ero gelosa: la loro complicità mi intrigava moltissimo e la classe nel modo di fare di Anna era comunque fuori questione. Il ragazzo prese ad arrotolarsi e fumarsi degli spinelli, come se fosse la cosa più naturale del mondo, che riempirono la stanza dell’odore dolciastro della cannabis. Pensai che non si poteva fumare nella stanza di un albergo, ma nessuno parve badarci. Dopo un po’ di tempo il fumo passivo che respirai cominciò a darmi alla testa. Mentre ridevo, bevendo un delizioso cognac, sentii la mia pancia emettere un forte gorgoglio. Fui colta da un violentissimo spasmo intestinale e mi dovetti precipitare in bagno, imbarazzatissima. Svuotai il mio intestino, più e più volte. Anna mi chiese se stavo bene. Notai che si scambiò un cenno di intesa col fratello. Ero vuota e leggera e mi sentivo bene, pervasa da una bellissima ebrezza. Per questo, quando Anna e il suo ragazzo iniziarono a spogliarsi, prendendomi per mano e invitandomi a fare altrettanto, tolto un breve imbarazzo, non feci alcuna obiezione o resistenza alla cosa. Quando fummo nude entrammo nella vasca, continuando a conversare come stavamo facendo a tavola, con i bicchieri in mano. I nostri uomini parlavano tra loro, quasi indifferenti a noi. Non potei fare a meno di chiedere ad Anna, ad un certo punto, come si era sviluppata la stupenda relazione che aveva con il suo fratello.
- “Andrea è un uomo straordinario per me. Mi ha sempre protetta fin da quando era un ragazzino. Non il classico fratellone protettivo e geloso però: mi suggeriva di fare attenzione, e che non avrebbe tollerato alcun mio comportamento stupido o irresponsabile, capisci sicuramente cosa intendo. Lui di me ha sempre saputo tutto, perché glielo dicevo io. Io invece di lui non ho mai saputo molto: so che ha avuto una vita
abbastanza avventurosa, direi anzi misteriosa per alcuni anni. Ha avuto molte donne, questo lo so, un paio credo importanti, ma non ne so poi molto” -
- “Niente figli, che tu sappia?” – Mi pentii subito di averlo detto. Anna mi guardò sorridendo. Poi parlò.
- “No, non credo. Ma chissà ne ha e non lo sa" Era una considerazione intelligente. Sapevo di donne che avevano relazioni, anche di breve durata, al solo scopo di essere ingravidate da uomini come Andrea, semplicemente perché sentivano intimamente che i loro mariti non andavano bene per perpetuare la discendenza. Se sistematicamente, ritenevo, fosse stato eseguito il test del DNA su ogni nuova nascita, le sorprese sarebbe state parecchie. Nonostante io non facessi parte della categoria, potevo capirlo adesso.
- “E sì, se vuoi saperlo “- disse guardandomi e sorridendo.
- “Scusa: sì cosa? – Dissi perplessa, anche se subito capii dove voleva arrivare.
- “Sì, abbiamo fatto sesso - Anna mi aveva letto dentro.
- “E' stato il mio primo uomo. Vero uomo, sessualmente intendo. Dopo un paio di esperienze disastrose mi rivolsi a lui per chiedere un consiglio. Mentre ne parlavamo, mi ritrovai con il suo uccello in mano, e poi… Insomma abbiamo scopato. Non mi pento di niente. Oggi dico che fu anche giusto. Un uomo è un uomo e il sesso è il sesso. Se non è finalizzato alla procreazione, non vedo il motivo di limitarlo. Ovviamente, purché sia condiviso. Con Andrea, come credo tu ben sappia, ne valeva assolutamente la pena” - Ancora, aveva affermato una cosa vera. Ritenevo fossero moltissimi gli episodi come questo, anche se ovviamente non se ne sapeva nulla. Un ragazzo e una ragazza, nella stessa stanza, è palese che in un modo o nell'altro finiscano per attrarsi, soprattutto se tra loro c'è anche una intesa particolare, come nel loro caso. Quando anche nostri maschi si spogliarono ed entrarono con noi nella vasca, l'atmosfera era già parecchio ben disposta al sesso. Il ragazzo di Anna rivelò un uccello di dimensioni notevolissime, curvo, che infatti Anna definì “anatomico". I due maschi si sedettero di fianco a noi sul bordo della vasca, e fu chiaro quello che volevano noi facessimo. Cominciammo a menare i loro cazzi e a imboccarli, mentre loro si gustavano la scena delle due troie al loro completo servizio. Dopo un po' Anna si staccò dal suo giovane cazzo e si unì a me nel succhiare e leccare quello di Andrea. Fu inevitabile che le nostre lingue si toccassero, e notai che Anna faceva di tutto perché ciò avvenisse con frequenza sempre maggiore. Ci passavamo il cazzo di Andrea con voluttuosa generosità. Fabrizio, il ragazzo di Anna, le passò dietro e prese a fotterla con dei colpi violentissimi, che a lei evidentemente dovevano piacere tantissimo, perché venne subito. Scoprii che il ragazzo se la faceva un po' in figa e un po' nel culo, alternando, e mi ripromisi di provare con Andrea a fare altrettanto appena possibile. Ma non dovetti aspettare Andrea. Fabrizio passò da Anna a me con un gesto fulmineo e mi infilzò la figa con quel suo cazzo lungo e storto. Non era forse quello che, solo poche ore
prima, avevo sognato di fare? Certo, e ora ero qui, con un cazzo giovane e robusto che mi chiavava la figa, mentre tenevo in bocca l'uccello del mio datore di lavoro, e con sua sorella che mi mungeva le tette. Guardai il dottore come credo faccia una cagna, portata a farsi montare in un canile, che il padrone tiene ferma e alla quale la padrona del maschio alza la coda per agevolare la penetrazione. Ero terrorizzata, eppure stavo godendo. Anna si insaponò le dita e mi penetrò il culo, prima con una poi con due dita, allargandomelo. Era ovvio ciò che di lì a qualche secondo accadde: Fabrizio, appena venni di figa, mi piantò nel culo quel suo palo ricurvo, facendomi urlare di dolore, di vergogna e maledetta me, di piacere. Un piacere da troia, da femmina dominata, da vittima sacrificale, che allarga le gambe e si mette a pecorina per il suo padrone, che fa ciò che vuole, quando vuole con lei. Il dottore, facendomi una coda di capelli con una mano, mi rimise al lavoro di bocca, mentre sua sorella adesso mi sgrillettava furiosamente. Mi infilò
medio e anulare nella figa, e prese a muovere le dita come se stesse suonando una nacchera. Venni oscenamente, rumorosamente, tantissimo. Mentre godevo, urlando, provavo a sottrarmi al pompino che stavo facendo ma Andrea mi costringeva a tenerglielo in bocca, scaricando le mie grida sul suo uccello. Fabrizio smise di incularmi e passò alla sua padrona, sempre fottendosela davanti e dietro. Andrea volle che glielo prendessi dentro, sedendomi sopra di lui. Speravo che le coppie si fossero fermate, ma mi illudevo. Andrea mi prese e mi trascinò verso di lui in basso, baciandoni la bocca oscenamente. A quel punto tornò Fabrizio. Il dottore mi tenne ferma per attimo, giusto il tempo di permettere a Fabrizio di sfondarmi
nuovamente il culo, mentre in figa avevo l'uccello del mio padrone. Inculata e chiavata da due maschi forti e potenti, mi ritrovai anche la bernarda sgocciolante di Anna in faccia, che pretendeva di essere leccata e
fatta godere a dovere. Ero una schiava, una bambola di gomma umana, un semplice strumento di piacere sessuale nelle mani dei miei padroni; perché loro erano tutti miei padroni. Io sentivo di volerne accettare solo uno, il Dottore, e questo mi diede molta amarezza e mi impedì di perdermi in quel vortice di piacere, che comunque, ammetto, era incredibilmente piacevole. Ritrovai me stessa per ciò che ero: una donna, una femmina, dominata e passiva. Pensai al rotolo di banconote, alla bolletta da pagare, alla rata del mutuo, e assecondai tutte le voglie di loro signori. Fabrizio e Andrea si scambiarono di posto e continuarono ancora per un po' a fottermi. Anna si gustava la scena e, di tanto in tanto, mi estraeva dal culo o dalla figa uno degli uccelli, a suo piacimento, e gli dava una bella succhiata, risbattendomelo dentro poi con
convinzione. Dominava la scena, come una maestra fa i suoi allievi. A suo comando, i maschi smisero di sfondarmi e noi femmine ci mettemmo in ginocchio davanti a loro che in piedi sul letto, presero a farsi una sega. Noi attendevamo, sapendo bene cosa ci sarebbe arrivato in faccia di lì a poco. Prima venne Fabrizio, che però non schizzò in faccia e in bocca alla sua padrona, ma a me, la sua buona quantità di sperma. Anna non gli lasciò tregua e si avventò sul suo uccello spompinandolo, come se pretendesse che restasse ancora in erezione. Il ragazzo fu scosso da contrazioni violente e si lasciò cadere sul letto, ma Anna quasi non staccò la sua bocca da lui neanche in quel frangente. Lo voleva. Velocissima si infilzò salendoci sopra e iniziando a cavalcare il povero Fabrizio. Questo, evidentemente, era il prezzo che il giovane uomo doveva pagare alla sua matura padrona. O forse era, più semplicemente, il suo lavoro. Il dottore volle che fossi io a finire l'opera e così presi a menarglielo mentre gli facevo un profondissimo pompino. Mi sborrò in bocca una quantità di sperma incredibile, un fiotto dopo l'altro, di seme densissimo. Era troppo. Per quanto provassi a inghiottirlo non ci riuscii, e fui perciò costretta a espellerlo, spruzzandolo
fuori dalla bocca, sul letto. Loro proruppero in una risata e in commenti ironici e di compiacimento, per la per il risultato virile di Andrea.
- “Non preoccuparti, sapessi quante volte, con Andrea, mi è capitata la stessa cosa... - disse ridendo. Mi prese per mano e andammo insieme a farci la doccia. Volle lavarmi via la sborra dal viso.
- “E' speciale il seme di Andrea” – disse.
- “Sì, hai ragione. A me fa un delizioso effetto calmante” -
- E' vero! Anche a me! Chissà come mai... -
- “Se fossi la sua compagna lo sfinirei di pompini” – Ridemmo complici, mentre ci lavavamo insaponandoci a vicenda.
- “E' stato davvero bellissimo Elena: sei stata stupenda. Sei una grandissima vacca e al contempo una donna molto pulita” - Lo trovai un complimento assolutamente bello. Aveva ragione. Poi fu il turno di Fabrizio di lavarsi, ovviamente solo. Andrea stava sul letto, nudo, appoggiato alla spalliera, con le sue due donne intorno. Gli avevamo dato parecchio piacere quella sera. Anna iniziò a rivestirsi e così Fabrizio.
- “Dove andate?” -
- “A casa” – disse Anna.
- “Ma questa è la vostra stanza” -
- “No Elena: è la vostra” - Capii così che era Stato Andrea a organizzare la seratina... Ci rimasi male, perché fu l'ulteriore conferma a quanto avevo capito prima, mentre venivo sfondata da lui e dallo schiavo di sua
sorella. In un modo o in altro dovevo farmene una ragione, e così fu.
Anna e Fabrizio se ne andarono, e io rimasi sdraiata sul letto nuda, di fianco al mio padrone, in attesa di soddisfare qualsiasi altro suo desiderio. Lo guardai, provando invidia e ammirazione, così forte e sicuro.
Eppure, mi girai dall'altra parte, dandogli la schiena, offesa. La sua sborra iniziava a fare effetto, e sentii chiudersi i miei occhi.
Mi svegliai, forse toccata da lui, stufo di stare solo. L'enorme televisore LCD trasmetteva le immagini di un film porno, i cui protagonisti erano due giovani uomini dotatissimi, uno di colore, e una splendida ragazza dai capelli rossi che i due maschi si scopavano a turno e contemporaneamente con enorme compiacimento della femmina, o almeno così sembrava. Mi girai verso Andrea, con aria interrogativa, e lui mi rimandò il mio sguardo. Voleva che io guardassi ciò che prima era capitato a me. Fu inevitabile che mi sentissi una puttana, anzi no, peggio: una puttana sa, e quindi accetta e gestisce, almeno in parte, il proprio destino. Io no. Ero stata portata in un posto semplicemente per soddisfare i piaceri di alcune persone. Mi ero illusa che la ragione fosse un'altra. Non che non mi fosse stato bene: è probabile che, se me l'avesse chiesto, ci sarei
stata comunque. Era il non aver condiviso la scelta, essermi trovata in mezzo a due uomini non mi faceva di certo essere la donna più serena del mondo. Lo accettavo. Dovevo iniziare a capire un po' prima e un po' meglio come girava il mondo. Decisi di stare al gioco.
- “Bello, posso dirlo per esperienza ormai” -
- “Sì... Qualcosa non va?” -
- “No, niente. Pensavo solo che non mi aspettavo una serata così. Devo capire, rendermi conto, che cosa sono e cosa faccio. Tutto poi troverà senso” -
- Capisco... Offesa? -
- “Offesa no. Un po’ amareggiata, qualsiasi cosa i
miei orgasmi abbiano detto di diverso” -
Calò il silenzio tra noi. Il televisore rimandava le immagini e i suoni del coito a tre. Andai in bagno. Mi guardai allo specchio e mi ci ritrovai dentro triste. Ero un oggetto vivente, un robot sessuale in carne ed ossa. Tornai e andai a sedermi di fianco a lui sul letto.
- “Vuole che le faccia qualcosa Dottore?” - Mi guardò a lungo. Mi prese dolcemente e mi baciò,
semplicemente. Mi fece stendere di fianco a lui e dopo tanti baci e carezze si sdraiò sopra di me. Istintivamente allargai le gambe, per poterlo accogliere dentro di me. Appena lui fu pronto, di nuovo durissimo, alzai le cosce verso l'alto e lo guidai dentro di me con la mano. Mi penetrò tutta, subito, muovendosi dolcemente e a fondo, con calma, mentre continuavamo a baciarci. "Dio che bello..." pensai. Stavo facendo l'amore, non stavo chiavando. Dopo alcuni bellissimi minuti in quella posizione gli feci capire che lo volevo montare io. Mi infilzai con il suo uccello sedendomici sopra, usando lo stesso ritmo che aveva usato lui con me poco prima. Ero in estasi. E non perché godevo, ma perché stavo facendo l'amore, o almeno a me così pareva, con quello che avrei voluto fosse il mio uomo. Avvertii chiaramente che stava per venire, così mi preparai a spostarmi e a farlo godere con la bocca. Lui mi trattenne.
- “Resta così, continua” -
- “Non prendo niente…” - Mi venne dentro. Non so descrivere quello che provai. Ero spaventata, felice, lusingata e incredula. Mentre lui fiottava il suo seme dentro di me venni anch'io, e non poteva che essere così. L'ultima volta che un maschio mi aveva sborrato dentro era stato quando io e il mio ex marito avevamo deciso di avere di avere il secondo figlio. Strinsi il mio utero sul suo uccello, come a spremere ogni goccia del suo sperma. Caddi su di lui. Mi accarezzò i capelli e mi tenne tra le sue braccia, mentre il suo cazzo si rilassava dentro di me, uscendo infine fuori. Mi accovacciai accanto a lui stringendo le gambe. Dopo, non fu difficile ammettere che una parte di me voleva essere fecondata. Forse è un istinto primordiale. Al nostro risveglio, notai che non avevo perso il suo sperma da dentro di me. Mi alzai, e non accadde niente. Dubitai che mi fosse venuto dentro. Forse si era svuotato tutto con la venuta di alcune ore prima… Mi riaccompagnò a casa, e lo salutai con la frase che avevo imparato a dirgli.
- “Vuole che torni lunedì dottore?” - . Mi prese tra le braccia e mi baciò con passione, toccandomi il culo e le tette.
- “Smettila di dire così” -
Capii che lo amavo profondamente, e che mi aveva preso l'anima, il corpo, la testa... Mi possedeva. Salita in casa e congedata la tata, i miei figli ancora addormentati, decisi di farmi un caffè. In piedi davanti ai fornelli, improvvisamente sentii uscire dalla mia vagina una quantità enorme di liquido. Il seme di Andrea si era staccato dalle pareti del mio utero e finalmente mi stava colando giù per le cosce. Corsi in bagno a lavarmi. Mentre mi sciacquavo fui colpita da un pensiero: avevo trattenuto dentro il seme dell'uomo che amavo, e il
suo sperma non aveva voluto abbandonare il mio corpo se non dopo aver adempiuto al suo biologico dovere. Era il segnale più chiaro ed evidente che ero caduta in amore per Andrea con tutta me stessa. Mi occupai dei miei figli, recuperando il mio senso materno. In quei giorni di sesso così intenso mi ero, per i miei standard, mi ero un po' allontanata. Compiti e compere sarebbe stato il tema del nostro week end. Il
piccolo mi sembrò più coccolone del solito, mentre la ragazza aveva per me una diffidente curiosità: voleva chiedermi cosa mi era successo, come andava col mio nuovo capo. Aveva senz'altro notato dei cambiamenti in me, ma era restia a farmi domande. Non eravamo amiche: lei era mia figlia e io sua madre, senza confidenze o discorsi "strani". Mi resi conto che non avevo più di fronte una bambina ma una giovanissima donna. La cosa, viste le recenti scoperte che avevo fatto su me stessa, mi terrorizzò per qualche istante perché mi somigliava moltissimo, sia fisicamente che caratterialmente. Immaginarla quindi
tra uomini che la usavano, così come stavano usando me, mi sconvolse. Fu forse per questa paura, e anche per il senso di pudore e vergogna che provavo, che accadde ciò che non era mai successo. Ad una serie di domande sul mio lavoro, che tendevano sempre più a spingersi verso la sfera personale, reagii con stizza. Lei a quel punto sfruttò l'occasione e affondò il dito nella piaga della mia vergogna, con una sarcastica battuta sul mio modo di vestire, decisamente diverso dal solito. Aveva ovviamente ragione. Ciononostante, lo schiaffo che le diedi la ferì profondamente. Non avrebbe dovuto succedere: scappò in camera sua piangendo. Volevo fermarla, chiederle scusa... Non ci riuscii. Capii che quello schiaffo non era per lei ma per me stessa. Volevo essere io quella punita, anche fisicamente, per ciò che avevo fatto. Andai ancora a confessarmi, e a dire ciò che avrei voluto che mi accadesse, per i peccati carnali che avevo commesso. Ancora una volta, il prete ascoltò in silenzio, annuendo. Ancora una volta si dimostrò comprensivo. Troppo. Mi scattò dentro qualcosa, un'intuizione.
- “Devo, voglio essere punita padre, severamente, fisicamente. Ne sento la necessità. Voglio espiare le mie colpe e non mi basta ciò che mi dice lei. Sento che è giusto che io debba essere umiliata per i peccati e le oscenità, che mi vengono imposte certo, ma dalle quali non faccio niente per sottrarmi, che in realtà mi piacciono, mi eccitano moltissimo, facendomi peccare ancora” –
Se avesse potuto, l'anziano padre si sarebbe menato l'uccello incartapecorito lì nel confessionale. Si muoveva e stringeva le gambe, evidentemente eccitato dalle mie parole. In parte ciò che asserivo era vero: volevo espiare quella che sentivo come una colpa. Volevo però anche verificare un dubbio che mi era balenato nella mente. Con quanto era accaduto venerdì sera, le volte che le mie confessioni, i miei pensieri più reconditi si erano tramutati in fatti reali, poco dopo, erano due. Volevo verificare se "non c'era
il due senza il tre". Il lunedì arrivai come al solito in ufficio per prima. Avevo ancora già voglia di lui. Ormai il mio ritmo biologico chiedeva anzi, imponeva orgasmi ripetuti a cadenza giornaliera. Lui arrivò poco prima
delle dieci, mi salutò e andò in bagno. Ne uscì completamente nudo. Ero seduta sul divano e lo stavo aspettando. Mi arrivò davanti, imponendomi di fargli immediatamente un pompino.
- “No. Per tutto quello che mi hai fatto, adesso tu lecchi me!” - Mi sdraiai a schiena sotto e allargai gambe e grandi labbra. Lui mi guardò, a metà tra il sorpreso e il divertito, e non se lo fece ripetere: affondò la faccia nella mia figa e iniziò a lavorarmi il grilletto con la lingua, con forza. Mi infilò dentro anulare e medio, alla stessa maniera di sua sorella, la suonatrice di nacchere. Mi prese un calore e un godimento intensissimo. Vedevo le mie gambe e i miei piedi ancora calzati nei sandali oscillare sotto la spinta della testa e della mano di Andrea. Sentii arrivare la goduta che aspettavo ormai da due giorni, e la agevolai respirando profondamente, sbuffando e ansimando. Venni benissimo, lasciandomi andare ad un grido liberatorio. Andrea prontamente non lasciò che il mio orgasmo di clitoride finisse e si precipitò a fottermi, scatenando di lì a poco un altro mio orgasmo, questa volta interno, diverso, sebbene altrettanto violento. Lo baciai con la lingua, oscenamente.
- “Sei una troia Elena” -
- “Sì. E' così. Mi piace il cazzo... Il tuo cazzo Andrea” -
- “Non è vero... Ti piace il cazzo e basta! Ammettilo” – A quell'insulto, falso solo in parte, reagii cercando di svincolarmi da lui e dal suo uccello dentro di me, offesa. Mi trattenne, continuando a pomparmi dentro
l'uccello. Visto poi che mi arrendevo, mi sollevò ancora di più le gambe, mi punto il pene sull'ano e con decisione mi entrò nel culo, dal davanti.
- “Visto che ho ragione? Godi troia, godi” - Lo tirò fuori e me lo infilò in figa per qualche colpo, poi me lo rimise nel culo, poi di nuovo in figa... ancora e ancora. Cercavo di non godere e di sembrare sofferente e
umiliata, ma ero solo umiliata, e nient’affatto soffrente. Lui lo sapeva benissimo. Stavo con la faccia voltata, ad occhi chiusi, con una mano sulla bocca, per non fargli vedere e sentire quanto quel dentro e fuori dai miei buchi mi piacesse.
- “Sto per godere troia” - Trò fuori il suo uccello da dentro di me, mi prese la mano e si fece fare una sega, standomi sopra. Mi spruzzò sperma ovunque, sul viso, sui capelli, sulle tette, sulla pancia.
- “Menalo, dai... brava, prendi i fiotti addosso” - Quindi, finito di versarmi addosso il succo dei suoi coglioni, si accasciò sul divano, esausto. Passò qualche minuto prima che la situazione mi consentisse di fargli l'unica domanda che potevo:
- “Perché mi hai trattato in questo modo? Puoi fare quello che vuoi, come e quando lo vuoi con me. Che bisogno hai di umiliarmi così? -
- “Penso che tu lo volessi Elena, che tu goda anche di questo” - Era vero. Volevo essere umiliata. Il mio dubbio pertanto trovò conferma: era il prete che gli indicava la via da prendere di volta in volta confessione dopo confessione. Prima la mia disperazione di donna sola, poi i due maschi, ora l'umiliazione... Tre indizi che facevano praticamente una prova. Mi indignai per il sacrilegio, volevo svergognare lui e il suo complice, con rabbia. Poi ritrovai la calma, e con essa l'idea che, non volendo (e potendo) rinunciare al dottore e a tutto quello che ne derivava, era intelligente e logico che infine io avessi: li avrei gestiti entrambi, a mio piacimento. Mi sarei trasformata da schiava in padrona, almeno per qualche istante, momento, minuto, ora. Avrei trovato il mio appagamento, non solo erotico ed economico, ma mentale. Avrei avuto il
controllo. Provai un senso di calma gioia, di razionale euforia. Fu uno dei momenti più belli e intensi della mia vita: assaggiai il potere, la forza della ragione, dell'intelligenza: un momento rarissimo e bellissimo, che penso poche persone in vita loro abbiano la possibilità di assaporare. Fu così che mi andai a confessare di nuovo, ancora anzi, ora più di prima. Indossai uno dei miei vestiti succinti e i miei sandali a tacco alto. I miei passi echeggiarono nella chiesa, annunciando il mio arrivo. Il vecchio prete, che evidentemente se ne intendeva, si sporse per vedere chi stava arrivando: fu molto compiaciuto nel vedermi, ne fui certa. Già pregustava il racconto, e poi fatto, da me, in ginocchio... Potevo anche capire la sua eccitazione. Capire sì, ma perdonare no. Iniziai il racconto delle mie oscenità, vedendolo e sentendolo torcersi nella sua tonaca. Quasi sentii il dolore che stava provando, la sua frustrazione. "Ascolta e impara bene, porco con la tonaca, essere sacrilego, falsario di sentimenti, di speranze. Impazzisci di lussuria, che altro per te non può essere che memoria, sofferenza. Fatti scoppiare il cuore dal desiderio, guardando le mie cosce, la scollatura dei miei seni. Tanto più di quello non puoi fare. E poi riferisci tutto al tuo padrone, che è anche il mio certo, ma che ora capisco, è più il tuo. Prima o poi troverò il modo di punirti per il tuo peccato. Ora mi accontento che il tuo padrone punisca me, ma solo come voglio e desidero io".
Gli confessai la mia voglia di dolore, misto a piacere in verità. Lo portai sul terreno della carne e del sangue, del patimento, dell'umore di vagina e delle doglie da parto che poi portavano
all'orgasmo. Poteva capire che sesso e dolore, che patimento ed estasi erano un tutt'uno? Poco mancò che
ci impazzì: la sua mente di uomo malvagio e sporco, camuffato da sant'uomo per convenienza, non sopportò tutta quella lussuria, quel marasma di sacro e profano. La Vergine madre, la Maddalena, Giovanna d' Arco, le estasi del Caravaggio e di Michelangelo, le possessioni demoniache che altro non erano che
estasi erotiche... Fu troppo per lui. Scappò via dal confessionale tenendosi le sottane, pronunciando frasi su Satana e i santi tutti. Risi di lui e di quanti come lui avevano creduto di potermi condizionare. Mi diedi della stupida, della sciocca: solo ora capivo ciò che ero. Sapevo comunque che la parte del messaggio essenziale gli era arrivata: volevo essere punita fisicamente per i miei peccati. Volevo però che ciò accadesse alle mie condizioni, e cioè che sì, di dolore si sarebbe trattato, ma anche di piacere. E tanto.
corsa, ma ero anche piena di dolori, e uno di questi, al mio ano, era particolarmente doloroso. Presi un forte antidolorifico e mi ripromisi di comprare una pomata lenitiva al più presto.
Mi sentivo anche in colpa per ciò che avevo fatto, e per come lo avevo fatto. Non ero la donna del
dottore, ne la sua compagna: ero una sua dipendente. Volevo confessarmi, una cosa che facevo da sempre, data la profonda religiosità della mia famiglia. Sono cattolica, anche se ormai comprendo che alcuni riti e dogmi, sono più delle usanze ormai, che delle reali necessità spirituali. Andai in chiesa e mi confessai allo stesso prete che mi aveva aiutata con il lavoro; scrissi in un foglio ciò che stavo vivendo senza nessuna omissione, anche dei miei pensieri più scabrosi. Il parroco si mostrò alquanto comprensivo con me, e la cosa mi stupì parecchio, perché invece io volevo essere punita. Lesse con attenzione, annuendo spesso e pronunciando diversi "capisco". Accennai al fatto che mi ero persa nel pensare a più uomini che facevano sesso con me contemporaneamente. Non seppi spiegarmi il perché, visto che già mi parevano, dal punto di vista dell'oscenità, tutto quello che avevo fatto col dottore.
- “Lei è una giovane donna, una madre e una moglei lasciata sola dal marito. Viva la sua vita sessuale senza problemi e stia tranquilla. Il Signore sa che in cuor suo lei è buona, una fedele devota”. Andai in pace, almeno per lui.
Il dottore non venne al lavoro quel giorno. Mi mandò un breve sms per annunciarmi la cosa. Da un lato mi spiacque ma dall'altro fui contenta. Pensai, con una punta d'orgoglio, che anche per lui fossero stati due giorni intensi, e che forse aveva bisogno di una pausa ristoratrice. Già pensavo al domani, quando la voglia sarebbe tornata, sapevo. Ne approfittai per sistemare un po' l'ufficio e rilassarmi. Verso sera arrivò un suo messaggio: "Domani sera gradirei molto venisse con me. Mangeremo fuori e incontreremo mia sorella Anna, che sarà in città. Dormiremo da lei. Può organizzarsi?". Toccai il cielo con un dito: forse, dopo la nascita dei miei bambini, questo è stato il momento più felice della mia vita. Iniziai a fantasticare su una nuova vita insieme. Il messaggio diceva che mi avrebbe presentato sua sorella!
Fui presa dal panico: come avrei fatto con i miei figli? La ragazza che li curava se ne andava alle 18,30, massimo le 19,00, e non avevo alcun rimpiazzo. Lo scrissi al dottore. "Le offra una cifra adeguata. Se
non accetta la licenzi e ne assuma un'altra con le giuste caratteristiche, anche rivolgendosi ad una agenzia. Il conto lo dia a me. Domani si prenda il tempo che le serve per fare le sue cose. La passerò a prendere in
ufficio per le 19,00". Non potevo non rimanere affascinata dalla fermezza e dalla sua decisone. Certo, poteva permetterselo, ma al confronto, il mio ex marito sembrava un ragazzino delle medie. Per menefreghismo, per incapacità o per carattere, molti uomini (tra cui il mio ex) non si prendono le responsabilità che competono loro. Gli stessi che poi non ci mettono un minuto secondo a mollarti coi figli, se trovano una che “li capisce" alla prima occasione. Risolsi offrendo alla mia babysitter la cifra "adeguata",
che lei accettò con entusiasmo. Arrivai così alla sera della "prima". Dopo un tragitto di una certa lunghezza, arrivammo nel parcheggio di un grande hotel fuori città, che definire lussuoso era alquanto riduttivo. Mi aspettavo la casa della sorella non il ristorante di un albergo, per quanto bellissimo. Non ero mai stata in un posto di così alto livello. Il dottore si avviò sicuro verso la reception e chiese di sua sorella, che di lì a poco ci raggiunse nella hall. Mi trovai una bella donna sulla cinquantina, elegante e sexy. Eravamo fisicamente simili, entrambe alte e formose. Anche l'abbigliamento notai era quasi lo stesso: estremamente succinto. Simpaticissima, mi piacque subito, e così credo io a lei. Si stabilì una intima complicità, che crebbe ancor di più quando ci raggiunse il suo "ragazzo" reduce da una seduta di palestra. Un bellissimo giovane, alto, atletico, moro. Non potei fare a meno di complimentarmi per il suo ottimo gusto.
- "E' un bel giocattolone, non c'è dubbio" mi disse lei, lasciandomi intendere che "il giocattolone" era anche tra le sue gambe.
- “Comunque, tu, mia cara, con mio fratello non hai di che lamentarti...".
-“Non lo faccio assolutamente infatti. Ho semplicemente fatto una constatazione, ammetto un po' ovvia -
Come faceva lei a saperlo? Forse aveva visto quanto il fratello fosse ben dotato? Non sapevo cosa pensare, e quindi accantonai quel pensiero.
- Che ne dite se andiamo a cena? Ho una fame... - Si rivolse a tutti, e tutti acconsentimmo. Non andammo al ristorante dell'albergo, ma salimmo nella loro camera, che poi era una bellissima suite, un piccolo appartamento con una enorme vasca idromassaggio al centro. Avevano disposto la tavola a lato un enorme letto. Ebbi subito la percezione che avrei provato nell'ordine prima la vasca e poi il letto: la domanda che istintivamente mi posi fu "ma con chi?" visto l'atteggiamento molto “aperto”, di Anna e del suo partner. Il dottore era uno spettatore compiaciuto e interessato: parlava molto poco e si limitava a sorridere. Ordinammo, e dopo un po' arrivò il carrello del cibo e il vino. Fu una cena deliziosa. Verso la fine l'atmosfera si era fatta decisamente allegra, visto il solo argomento trattato: il sesso. Era abbastanza sbalordita dall'assoluta mancanza di pudore di Anna nei confronti del fratello. Più di una volta lei gli si avvicinò, baciandolo sulle guance, con un trasporto e una passione imbarazzanti. Lo abbracciava e lo toccava di continuo. Non ero gelosa: la loro complicità mi intrigava moltissimo e la classe nel modo di fare di Anna era comunque fuori questione. Il ragazzo prese ad arrotolarsi e fumarsi degli spinelli, come se fosse la cosa più naturale del mondo, che riempirono la stanza dell’odore dolciastro della cannabis. Pensai che non si poteva fumare nella stanza di un albergo, ma nessuno parve badarci. Dopo un po’ di tempo il fumo passivo che respirai cominciò a darmi alla testa. Mentre ridevo, bevendo un delizioso cognac, sentii la mia pancia emettere un forte gorgoglio. Fui colta da un violentissimo spasmo intestinale e mi dovetti precipitare in bagno, imbarazzatissima. Svuotai il mio intestino, più e più volte. Anna mi chiese se stavo bene. Notai che si scambiò un cenno di intesa col fratello. Ero vuota e leggera e mi sentivo bene, pervasa da una bellissima ebrezza. Per questo, quando Anna e il suo ragazzo iniziarono a spogliarsi, prendendomi per mano e invitandomi a fare altrettanto, tolto un breve imbarazzo, non feci alcuna obiezione o resistenza alla cosa. Quando fummo nude entrammo nella vasca, continuando a conversare come stavamo facendo a tavola, con i bicchieri in mano. I nostri uomini parlavano tra loro, quasi indifferenti a noi. Non potei fare a meno di chiedere ad Anna, ad un certo punto, come si era sviluppata la stupenda relazione che aveva con il suo fratello.
- “Andrea è un uomo straordinario per me. Mi ha sempre protetta fin da quando era un ragazzino. Non il classico fratellone protettivo e geloso però: mi suggeriva di fare attenzione, e che non avrebbe tollerato alcun mio comportamento stupido o irresponsabile, capisci sicuramente cosa intendo. Lui di me ha sempre saputo tutto, perché glielo dicevo io. Io invece di lui non ho mai saputo molto: so che ha avuto una vita
abbastanza avventurosa, direi anzi misteriosa per alcuni anni. Ha avuto molte donne, questo lo so, un paio credo importanti, ma non ne so poi molto” -
- “Niente figli, che tu sappia?” – Mi pentii subito di averlo detto. Anna mi guardò sorridendo. Poi parlò.
- “No, non credo. Ma chissà ne ha e non lo sa" Era una considerazione intelligente. Sapevo di donne che avevano relazioni, anche di breve durata, al solo scopo di essere ingravidate da uomini come Andrea, semplicemente perché sentivano intimamente che i loro mariti non andavano bene per perpetuare la discendenza. Se sistematicamente, ritenevo, fosse stato eseguito il test del DNA su ogni nuova nascita, le sorprese sarebbe state parecchie. Nonostante io non facessi parte della categoria, potevo capirlo adesso.
- “E sì, se vuoi saperlo “- disse guardandomi e sorridendo.
- “Scusa: sì cosa? – Dissi perplessa, anche se subito capii dove voleva arrivare.
- “Sì, abbiamo fatto sesso - Anna mi aveva letto dentro.
- “E' stato il mio primo uomo. Vero uomo, sessualmente intendo. Dopo un paio di esperienze disastrose mi rivolsi a lui per chiedere un consiglio. Mentre ne parlavamo, mi ritrovai con il suo uccello in mano, e poi… Insomma abbiamo scopato. Non mi pento di niente. Oggi dico che fu anche giusto. Un uomo è un uomo e il sesso è il sesso. Se non è finalizzato alla procreazione, non vedo il motivo di limitarlo. Ovviamente, purché sia condiviso. Con Andrea, come credo tu ben sappia, ne valeva assolutamente la pena” - Ancora, aveva affermato una cosa vera. Ritenevo fossero moltissimi gli episodi come questo, anche se ovviamente non se ne sapeva nulla. Un ragazzo e una ragazza, nella stessa stanza, è palese che in un modo o nell'altro finiscano per attrarsi, soprattutto se tra loro c'è anche una intesa particolare, come nel loro caso. Quando anche nostri maschi si spogliarono ed entrarono con noi nella vasca, l'atmosfera era già parecchio ben disposta al sesso. Il ragazzo di Anna rivelò un uccello di dimensioni notevolissime, curvo, che infatti Anna definì “anatomico". I due maschi si sedettero di fianco a noi sul bordo della vasca, e fu chiaro quello che volevano noi facessimo. Cominciammo a menare i loro cazzi e a imboccarli, mentre loro si gustavano la scena delle due troie al loro completo servizio. Dopo un po' Anna si staccò dal suo giovane cazzo e si unì a me nel succhiare e leccare quello di Andrea. Fu inevitabile che le nostre lingue si toccassero, e notai che Anna faceva di tutto perché ciò avvenisse con frequenza sempre maggiore. Ci passavamo il cazzo di Andrea con voluttuosa generosità. Fabrizio, il ragazzo di Anna, le passò dietro e prese a fotterla con dei colpi violentissimi, che a lei evidentemente dovevano piacere tantissimo, perché venne subito. Scoprii che il ragazzo se la faceva un po' in figa e un po' nel culo, alternando, e mi ripromisi di provare con Andrea a fare altrettanto appena possibile. Ma non dovetti aspettare Andrea. Fabrizio passò da Anna a me con un gesto fulmineo e mi infilzò la figa con quel suo cazzo lungo e storto. Non era forse quello che, solo poche ore
prima, avevo sognato di fare? Certo, e ora ero qui, con un cazzo giovane e robusto che mi chiavava la figa, mentre tenevo in bocca l'uccello del mio datore di lavoro, e con sua sorella che mi mungeva le tette. Guardai il dottore come credo faccia una cagna, portata a farsi montare in un canile, che il padrone tiene ferma e alla quale la padrona del maschio alza la coda per agevolare la penetrazione. Ero terrorizzata, eppure stavo godendo. Anna si insaponò le dita e mi penetrò il culo, prima con una poi con due dita, allargandomelo. Era ovvio ciò che di lì a qualche secondo accadde: Fabrizio, appena venni di figa, mi piantò nel culo quel suo palo ricurvo, facendomi urlare di dolore, di vergogna e maledetta me, di piacere. Un piacere da troia, da femmina dominata, da vittima sacrificale, che allarga le gambe e si mette a pecorina per il suo padrone, che fa ciò che vuole, quando vuole con lei. Il dottore, facendomi una coda di capelli con una mano, mi rimise al lavoro di bocca, mentre sua sorella adesso mi sgrillettava furiosamente. Mi infilò
medio e anulare nella figa, e prese a muovere le dita come se stesse suonando una nacchera. Venni oscenamente, rumorosamente, tantissimo. Mentre godevo, urlando, provavo a sottrarmi al pompino che stavo facendo ma Andrea mi costringeva a tenerglielo in bocca, scaricando le mie grida sul suo uccello. Fabrizio smise di incularmi e passò alla sua padrona, sempre fottendosela davanti e dietro. Andrea volle che glielo prendessi dentro, sedendomi sopra di lui. Speravo che le coppie si fossero fermate, ma mi illudevo. Andrea mi prese e mi trascinò verso di lui in basso, baciandoni la bocca oscenamente. A quel punto tornò Fabrizio. Il dottore mi tenne ferma per attimo, giusto il tempo di permettere a Fabrizio di sfondarmi
nuovamente il culo, mentre in figa avevo l'uccello del mio padrone. Inculata e chiavata da due maschi forti e potenti, mi ritrovai anche la bernarda sgocciolante di Anna in faccia, che pretendeva di essere leccata e
fatta godere a dovere. Ero una schiava, una bambola di gomma umana, un semplice strumento di piacere sessuale nelle mani dei miei padroni; perché loro erano tutti miei padroni. Io sentivo di volerne accettare solo uno, il Dottore, e questo mi diede molta amarezza e mi impedì di perdermi in quel vortice di piacere, che comunque, ammetto, era incredibilmente piacevole. Ritrovai me stessa per ciò che ero: una donna, una femmina, dominata e passiva. Pensai al rotolo di banconote, alla bolletta da pagare, alla rata del mutuo, e assecondai tutte le voglie di loro signori. Fabrizio e Andrea si scambiarono di posto e continuarono ancora per un po' a fottermi. Anna si gustava la scena e, di tanto in tanto, mi estraeva dal culo o dalla figa uno degli uccelli, a suo piacimento, e gli dava una bella succhiata, risbattendomelo dentro poi con
convinzione. Dominava la scena, come una maestra fa i suoi allievi. A suo comando, i maschi smisero di sfondarmi e noi femmine ci mettemmo in ginocchio davanti a loro che in piedi sul letto, presero a farsi una sega. Noi attendevamo, sapendo bene cosa ci sarebbe arrivato in faccia di lì a poco. Prima venne Fabrizio, che però non schizzò in faccia e in bocca alla sua padrona, ma a me, la sua buona quantità di sperma. Anna non gli lasciò tregua e si avventò sul suo uccello spompinandolo, come se pretendesse che restasse ancora in erezione. Il ragazzo fu scosso da contrazioni violente e si lasciò cadere sul letto, ma Anna quasi non staccò la sua bocca da lui neanche in quel frangente. Lo voleva. Velocissima si infilzò salendoci sopra e iniziando a cavalcare il povero Fabrizio. Questo, evidentemente, era il prezzo che il giovane uomo doveva pagare alla sua matura padrona. O forse era, più semplicemente, il suo lavoro. Il dottore volle che fossi io a finire l'opera e così presi a menarglielo mentre gli facevo un profondissimo pompino. Mi sborrò in bocca una quantità di sperma incredibile, un fiotto dopo l'altro, di seme densissimo. Era troppo. Per quanto provassi a inghiottirlo non ci riuscii, e fui perciò costretta a espellerlo, spruzzandolo
fuori dalla bocca, sul letto. Loro proruppero in una risata e in commenti ironici e di compiacimento, per la per il risultato virile di Andrea.
- “Non preoccuparti, sapessi quante volte, con Andrea, mi è capitata la stessa cosa... - disse ridendo. Mi prese per mano e andammo insieme a farci la doccia. Volle lavarmi via la sborra dal viso.
- “E' speciale il seme di Andrea” – disse.
- “Sì, hai ragione. A me fa un delizioso effetto calmante” -
- E' vero! Anche a me! Chissà come mai... -
- “Se fossi la sua compagna lo sfinirei di pompini” – Ridemmo complici, mentre ci lavavamo insaponandoci a vicenda.
- “E' stato davvero bellissimo Elena: sei stata stupenda. Sei una grandissima vacca e al contempo una donna molto pulita” - Lo trovai un complimento assolutamente bello. Aveva ragione. Poi fu il turno di Fabrizio di lavarsi, ovviamente solo. Andrea stava sul letto, nudo, appoggiato alla spalliera, con le sue due donne intorno. Gli avevamo dato parecchio piacere quella sera. Anna iniziò a rivestirsi e così Fabrizio.
- “Dove andate?” -
- “A casa” – disse Anna.
- “Ma questa è la vostra stanza” -
- “No Elena: è la vostra” - Capii così che era Stato Andrea a organizzare la seratina... Ci rimasi male, perché fu l'ulteriore conferma a quanto avevo capito prima, mentre venivo sfondata da lui e dallo schiavo di sua
sorella. In un modo o in altro dovevo farmene una ragione, e così fu.
Anna e Fabrizio se ne andarono, e io rimasi sdraiata sul letto nuda, di fianco al mio padrone, in attesa di soddisfare qualsiasi altro suo desiderio. Lo guardai, provando invidia e ammirazione, così forte e sicuro.
Eppure, mi girai dall'altra parte, dandogli la schiena, offesa. La sua sborra iniziava a fare effetto, e sentii chiudersi i miei occhi.
Mi svegliai, forse toccata da lui, stufo di stare solo. L'enorme televisore LCD trasmetteva le immagini di un film porno, i cui protagonisti erano due giovani uomini dotatissimi, uno di colore, e una splendida ragazza dai capelli rossi che i due maschi si scopavano a turno e contemporaneamente con enorme compiacimento della femmina, o almeno così sembrava. Mi girai verso Andrea, con aria interrogativa, e lui mi rimandò il mio sguardo. Voleva che io guardassi ciò che prima era capitato a me. Fu inevitabile che mi sentissi una puttana, anzi no, peggio: una puttana sa, e quindi accetta e gestisce, almeno in parte, il proprio destino. Io no. Ero stata portata in un posto semplicemente per soddisfare i piaceri di alcune persone. Mi ero illusa che la ragione fosse un'altra. Non che non mi fosse stato bene: è probabile che, se me l'avesse chiesto, ci sarei
stata comunque. Era il non aver condiviso la scelta, essermi trovata in mezzo a due uomini non mi faceva di certo essere la donna più serena del mondo. Lo accettavo. Dovevo iniziare a capire un po' prima e un po' meglio come girava il mondo. Decisi di stare al gioco.
- “Bello, posso dirlo per esperienza ormai” -
- “Sì... Qualcosa non va?” -
- “No, niente. Pensavo solo che non mi aspettavo una serata così. Devo capire, rendermi conto, che cosa sono e cosa faccio. Tutto poi troverà senso” -
- Capisco... Offesa? -
- “Offesa no. Un po’ amareggiata, qualsiasi cosa i
miei orgasmi abbiano detto di diverso” -
Calò il silenzio tra noi. Il televisore rimandava le immagini e i suoni del coito a tre. Andai in bagno. Mi guardai allo specchio e mi ci ritrovai dentro triste. Ero un oggetto vivente, un robot sessuale in carne ed ossa. Tornai e andai a sedermi di fianco a lui sul letto.
- “Vuole che le faccia qualcosa Dottore?” - Mi guardò a lungo. Mi prese dolcemente e mi baciò,
semplicemente. Mi fece stendere di fianco a lui e dopo tanti baci e carezze si sdraiò sopra di me. Istintivamente allargai le gambe, per poterlo accogliere dentro di me. Appena lui fu pronto, di nuovo durissimo, alzai le cosce verso l'alto e lo guidai dentro di me con la mano. Mi penetrò tutta, subito, muovendosi dolcemente e a fondo, con calma, mentre continuavamo a baciarci. "Dio che bello..." pensai. Stavo facendo l'amore, non stavo chiavando. Dopo alcuni bellissimi minuti in quella posizione gli feci capire che lo volevo montare io. Mi infilzai con il suo uccello sedendomici sopra, usando lo stesso ritmo che aveva usato lui con me poco prima. Ero in estasi. E non perché godevo, ma perché stavo facendo l'amore, o almeno a me così pareva, con quello che avrei voluto fosse il mio uomo. Avvertii chiaramente che stava per venire, così mi preparai a spostarmi e a farlo godere con la bocca. Lui mi trattenne.
- “Resta così, continua” -
- “Non prendo niente…” - Mi venne dentro. Non so descrivere quello che provai. Ero spaventata, felice, lusingata e incredula. Mentre lui fiottava il suo seme dentro di me venni anch'io, e non poteva che essere così. L'ultima volta che un maschio mi aveva sborrato dentro era stato quando io e il mio ex marito avevamo deciso di avere di avere il secondo figlio. Strinsi il mio utero sul suo uccello, come a spremere ogni goccia del suo sperma. Caddi su di lui. Mi accarezzò i capelli e mi tenne tra le sue braccia, mentre il suo cazzo si rilassava dentro di me, uscendo infine fuori. Mi accovacciai accanto a lui stringendo le gambe. Dopo, non fu difficile ammettere che una parte di me voleva essere fecondata. Forse è un istinto primordiale. Al nostro risveglio, notai che non avevo perso il suo sperma da dentro di me. Mi alzai, e non accadde niente. Dubitai che mi fosse venuto dentro. Forse si era svuotato tutto con la venuta di alcune ore prima… Mi riaccompagnò a casa, e lo salutai con la frase che avevo imparato a dirgli.
- “Vuole che torni lunedì dottore?” - . Mi prese tra le braccia e mi baciò con passione, toccandomi il culo e le tette.
- “Smettila di dire così” -
Capii che lo amavo profondamente, e che mi aveva preso l'anima, il corpo, la testa... Mi possedeva. Salita in casa e congedata la tata, i miei figli ancora addormentati, decisi di farmi un caffè. In piedi davanti ai fornelli, improvvisamente sentii uscire dalla mia vagina una quantità enorme di liquido. Il seme di Andrea si era staccato dalle pareti del mio utero e finalmente mi stava colando giù per le cosce. Corsi in bagno a lavarmi. Mentre mi sciacquavo fui colpita da un pensiero: avevo trattenuto dentro il seme dell'uomo che amavo, e il
suo sperma non aveva voluto abbandonare il mio corpo se non dopo aver adempiuto al suo biologico dovere. Era il segnale più chiaro ed evidente che ero caduta in amore per Andrea con tutta me stessa. Mi occupai dei miei figli, recuperando il mio senso materno. In quei giorni di sesso così intenso mi ero, per i miei standard, mi ero un po' allontanata. Compiti e compere sarebbe stato il tema del nostro week end. Il
piccolo mi sembrò più coccolone del solito, mentre la ragazza aveva per me una diffidente curiosità: voleva chiedermi cosa mi era successo, come andava col mio nuovo capo. Aveva senz'altro notato dei cambiamenti in me, ma era restia a farmi domande. Non eravamo amiche: lei era mia figlia e io sua madre, senza confidenze o discorsi "strani". Mi resi conto che non avevo più di fronte una bambina ma una giovanissima donna. La cosa, viste le recenti scoperte che avevo fatto su me stessa, mi terrorizzò per qualche istante perché mi somigliava moltissimo, sia fisicamente che caratterialmente. Immaginarla quindi
tra uomini che la usavano, così come stavano usando me, mi sconvolse. Fu forse per questa paura, e anche per il senso di pudore e vergogna che provavo, che accadde ciò che non era mai successo. Ad una serie di domande sul mio lavoro, che tendevano sempre più a spingersi verso la sfera personale, reagii con stizza. Lei a quel punto sfruttò l'occasione e affondò il dito nella piaga della mia vergogna, con una sarcastica battuta sul mio modo di vestire, decisamente diverso dal solito. Aveva ovviamente ragione. Ciononostante, lo schiaffo che le diedi la ferì profondamente. Non avrebbe dovuto succedere: scappò in camera sua piangendo. Volevo fermarla, chiederle scusa... Non ci riuscii. Capii che quello schiaffo non era per lei ma per me stessa. Volevo essere io quella punita, anche fisicamente, per ciò che avevo fatto. Andai ancora a confessarmi, e a dire ciò che avrei voluto che mi accadesse, per i peccati carnali che avevo commesso. Ancora una volta, il prete ascoltò in silenzio, annuendo. Ancora una volta si dimostrò comprensivo. Troppo. Mi scattò dentro qualcosa, un'intuizione.
- “Devo, voglio essere punita padre, severamente, fisicamente. Ne sento la necessità. Voglio espiare le mie colpe e non mi basta ciò che mi dice lei. Sento che è giusto che io debba essere umiliata per i peccati e le oscenità, che mi vengono imposte certo, ma dalle quali non faccio niente per sottrarmi, che in realtà mi piacciono, mi eccitano moltissimo, facendomi peccare ancora” –
Se avesse potuto, l'anziano padre si sarebbe menato l'uccello incartapecorito lì nel confessionale. Si muoveva e stringeva le gambe, evidentemente eccitato dalle mie parole. In parte ciò che asserivo era vero: volevo espiare quella che sentivo come una colpa. Volevo però anche verificare un dubbio che mi era balenato nella mente. Con quanto era accaduto venerdì sera, le volte che le mie confessioni, i miei pensieri più reconditi si erano tramutati in fatti reali, poco dopo, erano due. Volevo verificare se "non c'era
il due senza il tre". Il lunedì arrivai come al solito in ufficio per prima. Avevo ancora già voglia di lui. Ormai il mio ritmo biologico chiedeva anzi, imponeva orgasmi ripetuti a cadenza giornaliera. Lui arrivò poco prima
delle dieci, mi salutò e andò in bagno. Ne uscì completamente nudo. Ero seduta sul divano e lo stavo aspettando. Mi arrivò davanti, imponendomi di fargli immediatamente un pompino.
- “No. Per tutto quello che mi hai fatto, adesso tu lecchi me!” - Mi sdraiai a schiena sotto e allargai gambe e grandi labbra. Lui mi guardò, a metà tra il sorpreso e il divertito, e non se lo fece ripetere: affondò la faccia nella mia figa e iniziò a lavorarmi il grilletto con la lingua, con forza. Mi infilò dentro anulare e medio, alla stessa maniera di sua sorella, la suonatrice di nacchere. Mi prese un calore e un godimento intensissimo. Vedevo le mie gambe e i miei piedi ancora calzati nei sandali oscillare sotto la spinta della testa e della mano di Andrea. Sentii arrivare la goduta che aspettavo ormai da due giorni, e la agevolai respirando profondamente, sbuffando e ansimando. Venni benissimo, lasciandomi andare ad un grido liberatorio. Andrea prontamente non lasciò che il mio orgasmo di clitoride finisse e si precipitò a fottermi, scatenando di lì a poco un altro mio orgasmo, questa volta interno, diverso, sebbene altrettanto violento. Lo baciai con la lingua, oscenamente.
- “Sei una troia Elena” -
- “Sì. E' così. Mi piace il cazzo... Il tuo cazzo Andrea” -
- “Non è vero... Ti piace il cazzo e basta! Ammettilo” – A quell'insulto, falso solo in parte, reagii cercando di svincolarmi da lui e dal suo uccello dentro di me, offesa. Mi trattenne, continuando a pomparmi dentro
l'uccello. Visto poi che mi arrendevo, mi sollevò ancora di più le gambe, mi punto il pene sull'ano e con decisione mi entrò nel culo, dal davanti.
- “Visto che ho ragione? Godi troia, godi” - Lo tirò fuori e me lo infilò in figa per qualche colpo, poi me lo rimise nel culo, poi di nuovo in figa... ancora e ancora. Cercavo di non godere e di sembrare sofferente e
umiliata, ma ero solo umiliata, e nient’affatto soffrente. Lui lo sapeva benissimo. Stavo con la faccia voltata, ad occhi chiusi, con una mano sulla bocca, per non fargli vedere e sentire quanto quel dentro e fuori dai miei buchi mi piacesse.
- “Sto per godere troia” - Trò fuori il suo uccello da dentro di me, mi prese la mano e si fece fare una sega, standomi sopra. Mi spruzzò sperma ovunque, sul viso, sui capelli, sulle tette, sulla pancia.
- “Menalo, dai... brava, prendi i fiotti addosso” - Quindi, finito di versarmi addosso il succo dei suoi coglioni, si accasciò sul divano, esausto. Passò qualche minuto prima che la situazione mi consentisse di fargli l'unica domanda che potevo:
- “Perché mi hai trattato in questo modo? Puoi fare quello che vuoi, come e quando lo vuoi con me. Che bisogno hai di umiliarmi così? -
- “Penso che tu lo volessi Elena, che tu goda anche di questo” - Era vero. Volevo essere umiliata. Il mio dubbio pertanto trovò conferma: era il prete che gli indicava la via da prendere di volta in volta confessione dopo confessione. Prima la mia disperazione di donna sola, poi i due maschi, ora l'umiliazione... Tre indizi che facevano praticamente una prova. Mi indignai per il sacrilegio, volevo svergognare lui e il suo complice, con rabbia. Poi ritrovai la calma, e con essa l'idea che, non volendo (e potendo) rinunciare al dottore e a tutto quello che ne derivava, era intelligente e logico che infine io avessi: li avrei gestiti entrambi, a mio piacimento. Mi sarei trasformata da schiava in padrona, almeno per qualche istante, momento, minuto, ora. Avrei trovato il mio appagamento, non solo erotico ed economico, ma mentale. Avrei avuto il
controllo. Provai un senso di calma gioia, di razionale euforia. Fu uno dei momenti più belli e intensi della mia vita: assaggiai il potere, la forza della ragione, dell'intelligenza: un momento rarissimo e bellissimo, che penso poche persone in vita loro abbiano la possibilità di assaporare. Fu così che mi andai a confessare di nuovo, ancora anzi, ora più di prima. Indossai uno dei miei vestiti succinti e i miei sandali a tacco alto. I miei passi echeggiarono nella chiesa, annunciando il mio arrivo. Il vecchio prete, che evidentemente se ne intendeva, si sporse per vedere chi stava arrivando: fu molto compiaciuto nel vedermi, ne fui certa. Già pregustava il racconto, e poi fatto, da me, in ginocchio... Potevo anche capire la sua eccitazione. Capire sì, ma perdonare no. Iniziai il racconto delle mie oscenità, vedendolo e sentendolo torcersi nella sua tonaca. Quasi sentii il dolore che stava provando, la sua frustrazione. "Ascolta e impara bene, porco con la tonaca, essere sacrilego, falsario di sentimenti, di speranze. Impazzisci di lussuria, che altro per te non può essere che memoria, sofferenza. Fatti scoppiare il cuore dal desiderio, guardando le mie cosce, la scollatura dei miei seni. Tanto più di quello non puoi fare. E poi riferisci tutto al tuo padrone, che è anche il mio certo, ma che ora capisco, è più il tuo. Prima o poi troverò il modo di punirti per il tuo peccato. Ora mi accontento che il tuo padrone punisca me, ma solo come voglio e desidero io".
Gli confessai la mia voglia di dolore, misto a piacere in verità. Lo portai sul terreno della carne e del sangue, del patimento, dell'umore di vagina e delle doglie da parto che poi portavano
all'orgasmo. Poteva capire che sesso e dolore, che patimento ed estasi erano un tutt'uno? Poco mancò che
ci impazzì: la sua mente di uomo malvagio e sporco, camuffato da sant'uomo per convenienza, non sopportò tutta quella lussuria, quel marasma di sacro e profano. La Vergine madre, la Maddalena, Giovanna d' Arco, le estasi del Caravaggio e di Michelangelo, le possessioni demoniache che altro non erano che
estasi erotiche... Fu troppo per lui. Scappò via dal confessionale tenendosi le sottane, pronunciando frasi su Satana e i santi tutti. Risi di lui e di quanti come lui avevano creduto di potermi condizionare. Mi diedi della stupida, della sciocca: solo ora capivo ciò che ero. Sapevo comunque che la parte del messaggio essenziale gli era arrivata: volevo essere punita fisicamente per i miei peccati. Volevo però che ciò accadesse alle mie condizioni, e cioè che sì, di dolore si sarebbe trattato, ma anche di piacere. E tanto.
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