Il mondo di Giulia

di
genere
dominazione

La donna aveva le mani legate dietro la schiena con la cintura di spugna dell'accappatoio, il viso affondato nel sottile cuscino. Stava urlando, ma le grida erano attutite, sebbene fossero terribili. Il maschio che aveva dietro la stava sodomizzando, trattenendola per le braccia unite dietro la schiena. Lui si muoveva ruotando il bacino, in modo da stare tutto dentro di lei, spingendosi in profondità nella sua pancia. Sudava, grondava acqua anzi, dato che si stava facendo quella femmina in quella maniera faticosa e violenta da più di un'ora. Era esausto, e sentiva il suo uccello bruciare, consumato dall'andirivieni dentro l'intestino di lei. Ma non poteva smettere, non ancora. Lo voleva lei. Lo pretendeva da lui, anzi, e si sarebbe ribellata con furore ora, se lui si fosse arreso. Andrea si fermò solo un istante, cercando una posizione più efficace per affondarle dentro ancora di più, se possibile, sperando di farle male in maniera definitiva, vincente.
-"Non smettere! Continua a fottermi!". Lui vide il volto della donna riflessa nel grande specchio sopra di loro, tipico delle stanze di motel: un misto di piacere, di odio, di paura, di lussuria, di disprezzo, di vergogna... C'era di tutto. Era il volto di una donna che era stata una schiava, e che ora, sebbene non sembrasse in quel preciso momento, era una padrona. Lui, come sempre trovò eccitante in modo perverso e incredibile tutti quei volti impressi su di lei, che le ruotavano negli occhi, e quando lei tornò a nascondersi nel cuscino, lui non glielo permise, afferrandola per i capelli e sollevandole la testa.
-"Guardati... Guarda chi diventi, cosa diventi, quando ti chiavo il culo". Lei scosse la testa, facendo danzare i suoi lunghi e bellissimi capelli neri, bagnati di sudore e saliva, di sperma, di umore vaginale.
-"No! Non dire così! Non voglio che mi guardi! Lasciami!". Era terrorizzata, e stava godendo. Questo era per Andrea il massimo del piacere possibile. Prese a montarla adesso, uscendole e rientrandole dentro tutto, nel suo culo ancora stretto, che lui si era preso solo da poco tempo. Quando pensava a quanto fosse stato facile farselo dare, quel bellissimo culo, ne restava ancora sbalordito. Durante una scopata l'aveva fatta girare, le aveva preso i fianchi e l'aveva fatta mettere a pecorina. Lei sembrava non averlo mai fatto così. Si aspettava una reazione di sgomento e di paura da una donna come Giulia. Invece lei si limitò ad abbassare la testa, facendosi penetrare in silenzio. Lui, che si prendeva sempre ciò che voleva dalle sue donne, con lei sapeva di non poterlo fare, almeno non come al solito. La scopò da dietro, con forza sì, ma senza nemmeno provare a incularla. Eiaculò sulla sua schiena, sul suo culo, infine. Lei restò immobile. Disse solo un debole 'grazie' quando Andrea la pulì, passandole l'asciugamano sugli schizzi di sperma che le colavano giù sui fianchi e sulle sue cosce lunghe.
-"Sono stato tentano di mettertelo nel culo, sai? E' bellissimo". Giulia, che adesso stava girata su un fianco in posizione fetale dandogli la schiena, rimase in silenzio. Dopo la solita mezz'ora che a lui serviva per rigenerarsi, il loro sesso ricominciò. Lui adesso voleva che fosse lei a scoparlo, non prima di averlo spompinato a lungo e a dovere. Giulia ci metteva tutta se stessa nel farlo, ma si capiva che non era un'esperta.
-"Non l'ho mai fatto, così come me lo chiedi tu" gli disse un giorno. Lui le insegnò allora cosa voleva che lei facesse al suo cazzo, ma non pretese mai da lei atteggiamenti che sapeva non essere nella sua natura. Lasciò che lei lo toccasse, con le mani e con la bocca, come lei voleva. Fu bellissimo vederla lentamente impossessarsi del suo membro, in modo semplice, a volte ingenuo. Giulia era come una selvaggia, una femmina di animale umano che era stata per un tempo lunghissimo solo, in un territorio alieno e sperduto, e che ora Andrea aveva trovato e riportato alla civiltà della lussuria e del sesso. Ad un cenno lei scattò a impalarsi sul cazzo di Andrea, ormai di nuovo pronto. Era stupendo vederla cavalcare con il palo di carne di Andrea che la bloccava, facendola alzare e abbassare, strisciare su di lui. La foga crescente che si impossessava di lei era uno spettacolo stupendo e terribile al tempo stesso e non finiva mai di sbalordire Andrea, nonostante il suo passato. Giulia diventava una sacerdotessa del sesso: sembrava di vedere una strega che compiva un rito magico, erotico, e l'orgasmo che la prendeva ne era il culmine. Ma quella volta, di colpo, si fermò, immobile su di lui, con dentro il suo uccello che stava per esploderle nel ventre. Scappò via da Andrea, il cui cazzo uscendo da lei sbatté come una frusta sulla sua pancia. C'era un tavolo, appoggiato al muro, sotto a uno specchio, il posto dove appoggiare borse e cellulari, le chiavi. Giulia spazzò via tutto con un braccio e ci si stese sopra a pancia in giù, con la testa rivolta verso il muro.
-"Inculami". Andrea restò di sale un paio di secondi ma poi, essendo il maschio che era, corse da le e le puntò il suo uccello durissimo nello sfintere. Giulia si aggrappò al tavolo e si contrasse allo spasimo. Il cazzo non riusciva a entrare dentro di lei, perché il suo ano era stretto, lei era tesissima, non c'era stata alcuna preparazione ne lubrificazione. Lui allora, calmatosi giusto quel tanto che serviva per ragionare, iniziò le "normali procedure" che attuava quando aveva una donna da sodomizzare.
-No! Inculami e basta! Mettilo dentro!". La voce di Giulia arrivava da un posto dentro di lei, che doveva essere terribile, lui sapeva. Andrea si chinò su di lei e le sputò tutta la saliva che aveva in bocca sul buco del culo, ci puntò il suo cazzo e spinse. La cappella grossa e tozza alla fine trovò un punto critico e iniziò a lacerare lo sfintere di Giulia, entrandole dentro un millimetro dopo l'altro, finché sfondandolo entrò tutta. Giulia emise un grido acutissimo e lungo, alzando la testa e inarcandosi, come la sfinge. Andrea sapeva che doveva averle fatto un male tremendo e temette di essersi spinto troppo oltre questa volta. Con tutta la delicatezza di cui fu capace si tirò fuori da lei.
-"Rimettilo dentro! Subito! Inculami, inculami!". Per lui quelle parole furono come il crollo di un muro che stava dentro la sua mente. Ogni retaggio, ogni remora caddero ai piedi della sua e di Giulia perversione. Stavolta il suo uccello non trovò quasi resistenza, e con una serie di colpi di reni violentissimi le entrò tutto dentro. Il cazzo di Andrea non era solo grosso e lungo, manche durissimo. Giulia si ritrovò dentro un pezzo di legno che le premeva l'intestino con forza, scuotendole le viscere. Andrea notò che non gridava più: stava immobile, nella posizione da sfinge che aveva preso prima.La vedeva solo oscillare sotto i suoi colpi possenti, mentre la tratteneva per i fianchi. La prese per i capelli sulla nuca e le fece girare la faccia verso di lui. Quello che lo specchio a fianco gli fece vedere non poté mai più dimenticarlo: non era più Giulia la donna che aveva sotto, non la riconosceva quasi più. La bocca aperta, in un urlo muto, la lingua a punta che si muoveva sulle labbra, gli occhi riversi all'indietro, le palpebre che sembravano impazzite. e tutto il viso bagnato da un fiume di lacrime. Stava soffrendo terribilmente, e insieme stava godendo in maniera così intensa da essere in preda ad un estasi oscena e devastante. Andrea rimase paralizzato da quella vista, e sentì come un pugno ai suoi testicoli, prorompendo in un orgasmo violentissimo, incontrollabile. Scaricò dentro Giulia un mare di sperma, come non gli era mai capitato di fare. Appena l'ultimo fiotto di sborra lo abbandonò, fu preso da un tremore incontrollabile alle gambe, che lo fece uscire da Giulia di colpo, per andare a cercare il letto su cui cercare di calmarsi. Lei stava ancora immobile, con la schiena inarcata. Dopo qualche secondo, dalla pancia di lei si sentì come un cupo rantolo. Giulia si riprese nell'esatto istante in cui dal suo culo uscì uno spruzzo di sperma e aria che andò a imbrattare il muro a un paio di metri di distanza. Sconvolta da quella situazione corse in bagno e ci si chiuse dentro. Fece scorre tutta l'acqua che poté ma il rumore delle sue scoregge risuonò per un buon quarto d'ora in tutta la stanza. Andrea la lasciò tranquilla e la attese, approfittando per farsi una doccia e calmarsi. Mentre lasciava che l'acqua tiepida lo facesse tornare in sé, si ricordò come aveva conosciuto la donna che adesso stava oltre la porta di legno di quella stanza di motel.

Aveva scelto quel locale per l’ampio parcheggio e per il fatto che fosse lungo la strada che doveva percorre andando verso Crema. Non fece caso al liceo che c’era lì a fianco, altrimenti non si sarebbe mai fermato. Seduto al banco, leggeva un giornale lasciato da qualcuno sulle pagine della cronaca cittadina, bevendo un bicchiere di acqua minerale gasata. L’anidride carbonica nell’acqua era l’unica concessione alla frivolezza che uno come lui si concedeva. Dieci anni passati nella “Folgore” in giro per Africa e Medio Oriente, lo avevano reso quasi insensibile al gusto per bevande e cibo, che riteneva fossero solo carburante per vivere, nient’altro. Era diventato un soldato per sfuggire ai suoi peccati. Tranne che in rarissime occasioni, a casa non fece ritorno mai. Quando entrambe i genitori ebbero quasi un esaurimento nervoso, non avendo notizie del figlio da alcuni mesi, venuto a sapere della cosa dal comando di Livorno e su espresso ordine del suo comandante di reggimento, che non sopportava più le loro continue telefonate, fece una telefonata lui, satellitare, da un punto imprecisato di un deserto dell’Africa occidentale, chiedendo alla madre se così poteva bastare. Congedato, adesso girava l’Italia facendo il consulente, nel settore sicurezza. Poco dopo l’una, un’orda di ragazzini urlanti sciamò come cavallette tra i tavoli riversandosi nel locale. Il suo body language li tenne lontani dal suo sgabello per un raggio di un paio di metri. Una donna ne approfittò chiedendogli silenziosamente asilo. Lui fece finta di non notarla, ma lei era alta, magra, con capelli lunghi nerissimi. Indossava una specie di poncho e teneva le braccia conserte, come se avesse freddo. La ragazza del bar la salutò chiamandola “Prof”. Sembrava seccata di essere lì, e a lui la cosa sembrò del tutto normale. Arrivò anche per lei un bicchiere d’acqua e lui la osservò bere: aveva delle bellissime mani, lunghe e affusolate, e non c'era alcun dubbio che fosse una bella donna, dai lineamenti elegantissimi. Aveva due occhi nerissimi, enormi, che lo stupirono per la luce che emanavano. Si immaginò che dentro ci ardessero delle braci, ci fosse della lava. Era come qualcosa, sul loro fondo stesse bruciando.
-“Non è mia abitudine disturbare, ma ci tengo a dirle che i suoi allievi sono davvero fortunati” disse lui, ripiegando il giornale. Stupita, neanche poi tanto, lei posò il bicchiere e si girò con aria un po’ scocciata.
-“Mah, non saprei… So che sfortunata sono io, ad avere loro come allievi”.
Aveva il tipico modo di fare spocchioso e distante delle donne di quelle parti, che quando rispondono sembra che facciano un favore all'interlocutore, e ad Andrea stette immediatamente sul cazzo. Riaprì il giornale. Per lui, che non bramava l'attenzione delle donne, il contatto finì in quel preciso istante. Passati alcuni secondi però, fu lei a parlare.
-“Comunque, perché sarebbero fortunati?” Andrea sorrise, senza girarsi a guardarla. Con calma ruotò sullo sgabello: la squadrò quindi da capo a piedi, e poi si fissò dritto nei suoi bellissimi occhi neri, serio.
-“Credo che lei sia un’ ottima insegnante. Severa, ma sicuramente brava”. Lei fece una piccola smorfia, forse di delusione.
-“Ah, ecco… E da cosa lo dedurrebbe?”
-“Istinto, e un po’ di esperienza. Sono stato allievo anch'io secoli fa, e lei mi ricorda una mia... insegnante”
-“Capisco... E cosa insegnava questa sua... "insegnante", se posso saperlo?”
"Lingue" Andrea lasciò che lei pensasse esattamente ciò che quel 'lingue' voleva sottintendere. E poi, appena lei manifestò deluso disgusto...
"Inglese. Lei era bravissima e severissima... anzi, devo dirle: proprio una stronza... Ed era severa e stronza proprio perché molto bella. Come lei”. Lei trasalì, spalancando ancora di più i suoi profondissimi occhi scuri.
-“Bisogna essere belle e stronze per essere severe, come dice lei? Non mi sembra una regola tanto assoluta...” Il suo viso avvampò, timido e superbo al tempo stesso.
-“No, ma aiuta. La bellezza di una donna, specie una professoressa, può rendere gli allievi molto... eccitabili diciamo, mi capisce? il classico sogno erotico adolescenziale. Quindi la severità compensa. La mia bella prof di inglese era uno dei miei sogni erotici, lo confesso, così come, sono sicuro, lo sia lei per i suoi allievi”. Sgranò gli occhi, incredula a quelle parole così semplici, chiare.
-“Ma, dico… Va bene essere diretti.... non le sembra di esagerare? Ma pensa un po'...”. Era sinceramente turbata da Andrea, e non sapeva decidersi cosa provare per lui.
-“Ho detto ciò che penso, una cosa che faccio abitualmente, mi creda. Le ho voluto comunicare chiaramente che la trovo molto bella e che penso, sospetto meglio, lei sia una donna molto interessante. Di me invece le ho detto che sono diretto e sincero. Forse troppo, a volte. Sa che ci sono persone che non arrivano a questo risultato se non in anni di relazione? Il mio può sembrare un modo un po’ rude di corteggiare una donna, ma non ci posso fare più niente ormai, non trova?”. Le guance di lei divennero rossissime e prese a muoversi un po’ troppo sul suo sgabello. Riccardo notò che indossava un bellissimo paio di stivali neri, da equitazione.
-“Li usa quelli, o le piace solo il modello?” disse, indicando gli stivali. Lei si guardò i piedi, mettendoci un po’ per capire la domanda.
-“Si, certo, non sono mica votata al martirio. Sono nuovi e devo farli adattare al mio piede...”. Era davvero una stronza indisponente, ma c’era qualcosa in lei che a lui piaceva molto.
-“Sa, siete strane voi, e non si può mai dire: per portare un paio di scarpe che vi piacciono sareste capaci anche di farvi amputare un dito, pur di poterle apparire sexy ed eleganti".
-“Non è il mio caso, le assicuro... Tutt'altro anzi”
-“Lei, forse, è l’eccezione che conferma la regola, e forse può anche permettersi di farlo. Altre donne no”
-“Cosa vuol dire, scusi?”. Voleva sentirselo dire.
-“Lei è alta quasi uno e ottanta, con quegli stivali che la alzano al massimo di due, tre centimetri; pesa tra i cinquantacinque e sessanta chili, vestita. Se fosse alta uno e cinquantacinque e ne pesasse sessanta forse starebbe anche lei a camminare su degli scomodissimi ma sensualissimi trampoli”. Lei scosse la testa.
-“Non credo proprio... Ma, senta un po’: lei fa questa radiografia ad ogni donna che incontra?”.
-“No. Non “ad ogni donna”.
-“Sarà...".
-“No. Non "sarà": è. Buongiorno”. Andrea si alzò e andò a pagare alla cassa, chiaramente stufo di quella spocchia. Lei rimase immobile, guardando il suo bicchier d’acqua.
-“Comunque non sa cosa insegno” disse, girandosi veloce. Andrea non la degnò di uno sguardo, prese il suo resto, salutò e uscì. Fuori, si mise dietro ad una colonna e tirò fuori dal portafoglio un biglietto da visita. Dopo un po' rientrò nel bar, e andò a parlare con uno dei ragazzi. Lei era china sul suo bicchiere, e aveva preso a leggere il giornale che aveva lasciato lui, scura in volto. Andrea le arrivò alle spalle, posando il suo biglietto da visita sul bancone, alla sua destra ma poi girò svelto alla sua sinistra. Lei prese il biglietto per leggerlo e si girò a destra, d'istinto, ma lui era già appoggiato sul banco dall'altra parte, come se fosse stato sempre lì. Quando finalmente lei lo ritrovò, la sua espressione parlò più di ogni spiegazione, data a voce.
-“Educazione fisica. “Professoressa”, non si offenda per carità, ma il titolo mi sembra un po’ eccessivo...”
-“Come ha fatto a capirlo?” Lei gli regalò uno dei più bei sorrisi che lui avesse mai visto dipingersi sul volto di una donna. Andrea fece un gesto con il dito, all’altezza della tempia, ad indicare un pensiero, una riflessione. Poi, puntò il dito verso il ragazzino a cui lo aveva chiesto.
-"Me l’ha detto lui”. Lei scoppiò a ridere, una bellissima risata, aperta e vera. 'Non credo sia facile veder ridere questa donna' pensò lui, 'quando succede però bisogna essere in zona, perché è uno spettacolo da non perdere'. Lei guardò il biglietto.
-“Ne faccia ciò che vuole” disse lui. Lei lo guardò, accennando un piccolissimo sorriso, ma poi abbassò lo sguardo. Era incredibilmente timida.
-“Mi chiamo Giulia” tese la mano, delicatissima. Andrea la prese tra le sue, enormi, fortissime, indurite, con tutta la delicatezza di cui fu capace.
-“Andrea". La guardò intensamente, facendole abbassare lo sguardo. Le lasciò la mano, al baciò sulla guancia, sorridendole, e se ne andò.
Nel tardo pomeriggio lei gli mandò un sms: 'Posso?' a cui lui rispose richiamandola. Quando parlò a lei tremava la voce.
-“Non ci giro attorno Andrea... sono rimasta colpita dai tuoi modi, non c’è dubbio”.
Lui fece finta di non sentire quelle parole e cambiò argomento, per farla rilassare.
-“Sai cosa mi lascia perplesso? Il modo di fare che avete. Intendo le donne delle tue parti”. Riprendendo un po’ di coraggio, Giulia ritrovò il suo tono altezzoso e superbo.
-“E cioè? Che modo avremmo?”.
-“Sembra che facciate un favore a rispondere con chi vuol parlare con voi. Fate sempre cadere dall’alto le vostre parole. C’è una sorta di altezzoso disincanto”.
-“Andrea, senti, non sono altezzosa... forse sono molto timida e reagisco un po’ freddamente con chi mi vuol broccolare in un bar... Anche perché, ti garantisco, non sono mica tutti come te, sai? Sarà che dalle nostre parti ci sono parecchi contadini, e i loro figli, che forse pensano di avere a che fare con le femmine delle loro cascine… Che poi comunque, li trovi tutti che si sposano con rumene, moldave, che rifilano delle fregature colossali, ai baldi rappresentanti della razza padana…”. Andrea rimase impressionato dalla precisione del concetto da lei espresso. La sua analisi non faceva una grinza, e diceva parecchio di lei e di ciò che pensava.
-“Mi capita raramente: non aggiungo altro a quello che hai appena detto. Però, secondo me, tu un pochino 'principessa', lo sei…”.
-“Smettila, ti prego...”. Continuava a ripetere il suo nome, lui notò. Era arrivato il momento di premere il tasto giusto.
-“Una bellissima principessa, secondo me...” La voce di Giulia tornò a tremare. Ad un uomo esperto ed intelligente, una donna da segnali chiari di essere presa da lui. Basta saperla ascoltare, osservarla... A volte annusarla (ma bisogna essere molto vicini per questo…).
-“Andiamo a cena?” lui propose.
-“Si” rispose lei subito.
-“Scegli tu il posto, vicino a te. Tanto sono distante da casa mia comunque”
-“Va bene. Otto e trenta? Ti mando l’indirizzo”
-“Ok, a dopo. Ciao”
Il fatto che si sarebbero incontrati direttamente al ristorante e non a casa sua, diceva alcune cose a Riccardo. Che lei aveva alcune paure, e che voleva riservatezza. Lo avrebbe scoperto di lì a poche ore.
Il ristorante era bello, appartato e pochissimo frequentato quella sera. Lei era conosciuta, ma non un amica. Era molto elegante nella sua camicia di pizzo bianca e jeans molto attillati. Portava delle meravigliose collane e anelli etnici. I suoi capelli neri e lunghi la facevano somigliare a una zingara. Quando parlava guardava il tavolo, il bicchiere, giocava con le posate, mai negli occhi. Quando ascoltava non li staccava mai da quelli di Riccardo, che invece al contrario la fissava dritto, non li staccava mai dai suoi, grandi, neri come due pozzi di petrolio, che brillavano dei riflessi di tutte le cose che c’erano intorno. Riccardo mentre parlava le prese la mano. Lei ebbe un brivido, aspettò un attimo, e poi la ritrasse guardandosi intorno imbarazzata. Il suo ghiaccio iniziava a rompersi.
-"Andrea, ti prego… Non sono abituata a queste cose”. Lui le toccò di nuovo la mano, provocandola piacevolmente.
-“Andiamo... Sono stanco”. Si alzarono e lui pagò, salutando cordialmente l’oste. Fuori il parcheggio era immerso nel buio e nella nebbia. Si baciarono molto intensamente, toccandosi, imparando reciprocamente a conoscere i loro corpi. Andrea si fermò di colpo.
-“Giulia, ti rendi conto dove siamo?” le chiese, trattenendola a se.
-“Beh, si… Nel parcheggio di un ristorante” rispose lei perplessa.
-“In mezzo alla tundra canadese... Se fossi un malintenzionato non avrei scelto posto migliore. Non devi mai stare qui con uno sconosciuto. Mai. A volte voi donne siete così ingenue…” Vide apparire il terrore negli occhi di Giulia.
-“Ma... Tu... Non sei uno sconosciuto" Si attaccò alla sua macchina iniziando a cercare le chiavi.
-“Cosa sai di me Giulia, intendo veramente… Chi sono? Stai iniziando a realizzare che, in fondo, potrei averti raccontato un sacco di cazzate, solo per arrivare a questo punto e dove siamo ora” Lui realizzò che la lezione che le stava impartendo si stava trasformando in qualcosa di diverso, e si fermò.
-“Giulia stai tranquilla! Guarda... Mi allontano... Se vuoi torno nel ristorante. Calmati. Volevo solo farti capire che non devi fare mai quello che hai appena fatto con me, con un altro. Non devi mai restare sola con un uomo che non conosci ”. Fu come se quelle parole l’avessero svuotata. Qualcosa si era abbattuto su tutto il suo corpo. Andrea corse a prenderla tra le braccia.
-“Sta tranquilla. Sei al sicuro con me. Sei troppo delicata… Non potrei permettere che ti venisse fatto del male quando sei con me”. Giulia adesso era come una bambina in braccio al suo papà. Si beava della sicurezza che il fisico possente di quell'uomo le garantiva, capendo istintivamente che le sue parole erano sincere.
-“Adesso vai. Baciami bene, ancora una volta, e poi va a casa. Riposati, che se no domani i tuoi studenti si faranno le paranoie su dove e con chi sei stata”. Giulia sembrò rinfrancata ma anche un po’ delusa da quelle parole.
-“Grazie Andrea. Di tutto”
-“Ci sentiamo domani. Fa attenzione adesso. Ciao”.
Giulia si innamorò di lui probabilmente subito, ma fu solo l’indomani che prese piena coscienza della potenza di quel sentimento, che la prendeva tutta, in ogni sua parte.
Andrea era abile nel far innamorare le donne. Aveva imparato ad usare il proprio corpo e il naturale istinto di protezione che possedeva verso di loro, in lui fortissimo. Era un uomo molto bello, alto e forte. Gli anni passati nell’ Esercito lo avevano temprato, dandogli disciplina e coraggio. Ci si sentiva protetti con lui, e le donne adoravano questa sensazione. Era anche istruito e sapeva ascoltare, ma soltanto se ne valeva la pena. Come molti uomini consci della propria intelligenza, disprezzava chiaramente chi gli facesse perdere tempo dicendo cazzate.
Da cacciatore esperto, sapeva che era arrivato il momento dell’attesa. Adesso, la preda, spinta dalla fame, si sarebbe avvicinata sempre di più e sarebbe passata esattamente per il sentiero che lui aveva predisposto per lei. Pazienza. Si trattava di avere pazienza, la prima virtù del cacciatore.
Giulia messaggiava e telefonava sempre più intensamente. La quantità dei contatti aumentava proporzionalmente all’opposizione ad incontrarsi di nuovo che lui le opponeva, sentendo crescere in lei la voglia, l’impazienza di trovarsi ancora tra le sue braccia. Quando la sentì quasi sul punto di esplodere, acconsentì a vederla, ma solo alle sue condizioni.
-“C’è un motel venendo verso Milano, da dove stai tu. Ci incontriamo lì”.
Lei disse di sì senza la minima obiezione e esitazione.
Giulia lo stava aspettando in un parcheggio di fronte al motel e lo aveva avvertito di essere già lì da qualche minuto con un sms. Andrea non fu stupito di non trovare in lei il modo di fare solito delle belle quarantenni, basato su ritardi e richieste continue di conferma. Lei sembrava essere più uomo di lui, da un certo punto di vista. Sue le richieste, sue le domande, sua perfino la puntualità. Si affiancò alla sua macchina e scese a salutarla, aprendo lo sportello. Il suo abbigliamento era assolutamente sobrio, notò. Saliti in macchina entrarono; lui dovette chiederle di consegnargli un documento, e così scoprì che Giulia non era mai stata in una situazione simile. Chiese una stanza con vasca idromassaggio "molto grande", specificò. Era il must dei motel più moderni. A lui poco interessava il massaggio, ma adorava invece rilassarsi per ore nell'acqua tiepida, se non calda, forse perché per anni quel comfort gli era mancato del tutto. Aveva inoltre scoperto che c'era una sorta di momentanea protezione che l'acqua ricca di sapone e schiuma offriva alle donne che lui voleva sedurre. Diede inizio al rito.
Era un uomo privo di timore per quasi tutto, men ché meno per quello di farsi vedere nudo, da chiunque. Fece scorre l'acqua nella grande vasca e si spogliò restando completamente nudo. Giulia era seduta sul letto e osservava tutta quella relativa novità. Era logicamente imbarazzatissima e parlava di cose inutili. Lui le lasciò fare tutto ciò che voleva, quasi disinteressandosi di lei, rimanendo lontano, anche se la stanza non era poi così grande. Era solo questione di tempo e di avere pazienza, come sempre. Disteso nella vasca, coperto d'acqua, Giulia si avvicinò
cercando di restare indifferente alla sua nudità. Lui sorrise tra sé: non le aveva dato praticamente scelta. Giulia emise un sospiratissimo "E va beh..." e andò in bagno. Ne uscì avvolta da un accappatoio bianco e lui la trovò sexy e bellissima. Rimase a braccia conserte ai bordi della vasca per qualche istante, sentendo l'acqua con la punta del piede. Poi si sedette e fece lo stesso con la mano. Andrea osservava quel solito rituale, cogliendone sempre delle piccole differenze, delle sfumature personali. Poi lei si alzò e gli sorrise.
-"Girati e chiudi gli occhi" Prima di lasciar cadere l'accappatoio spugna ed entrare nella vasca con lui nell'acqua caldissima, piena di schiuma, andandosi rigorosamente a mettere opposta a dove si trovava lui. 'Ci mancherebbe' pensò Andrea. Era il rituale. C'erano dei passaggi da rispettare con donne come lei. Bastava saper aspettare che l'acqua e la natura facessero il loro corso. Come per una diga, che inevitabilmente prima o poi crollerà, dipende solo da dove e da come si è stati capaci di trovare la crepa, la prima fessura nella struttura, nella mente o nel corpo. Si avvicinarono e si lavarono reciprocamente. Adesso non c'era più paura in Giulia, ma solo voglia. Dopo che le loro mani furono andate ovunque, Andrea si sedette sul bordo e pose il suo uccello di fronte al viso d Giulia, accarezzandole il volto e i capelli. Le chiedeva di darle tutto il piacere di cui lei era capace ora, esplicitamente. Notò che il suo non era imbarazzo. Lei era terrorizzata dalla vista del suo pene eretto e pronto, che le si stagliava a pochi centimetri dalla sua bocca. Le prese una mano e se la mise sul membro, facendosi fare una sega, accompagnando il suo movimento, ma poi le impose che anche la sua bocca facesse la sua parte.
C'era qualcosa che non andava. Era una donna bella e intelligente, si era sposata giovanissima e subito divorziata, gli aveva detto, ma si comportava come una ragazzina che non aveva mai fatto sesso, che però desiderava fortissimamente farlo, pur avendone una folle paura. Il piacere e il desiderio adesso erano forti in lui, troppo. Seppur preso da dubbi, ora non c'era più spazio in lui per niente che non fosse possederla. La portò nel letto e la baciò tutta, ancora bagnata e rabbrividente. Ritrovò la sua bocca, facendo così che i loro sessi si incontrassero. Il suo cazzo adesso cercava la sua naturale dimora dentro di lei, infine trovandola. Fu come se un tuono scuotesse la stanza. Giulia gridò di dolore e di piacere, come fa una vergine che viene deflorata. Era deliziosamente stretta, e il cazzo di Andrea era avviluppato dalla carne calda e umida ora di lei. Si stavano abbracciando con una tale forza che sembrava lottassero. E mentre Andrea la scopava si rese conto che proprio di quello si stava trattando: era una lotta, o meglio, c'era una parte di lei che stava lottando contro di lui selvaggiamente.
Gli aveva piantato le unghie nella schiena. Si tirò su per guardarla: Giulia era come posseduta da un demone crudele, che la faceva soffrire e godere allo stesso tempo. Il suo bellissimo volto, dolce e delicato, racchiuso tra i suoi capelli nerissimi, che bagnati le si attaccavano alla pelle, era in preda a una metamorfosi velocissima di lussuria, sofferenza, paura, odio, amore...
La sua furia aumentò. Iniziò a percuotere Andrea sulle spalle, come se volesse mandarlo via da dentro di lei, come se non lo volesse più nel suo corpo. Lui oramai, non più in grado di controllare quella sua sorta di schizzofrenia, provò a divincolarsi da lei, scoprendo però con stupore assoluto che non poteva. Le gambe di lei, fortissime, lo trattenevano, non gli permettevano di uscirle da dentro di lei, che si era avvinta a lui in una sorta di presa da lotta libera, potentissima. Lui le era dentro tutto, fino in fondo, durissimo, e stava godendo. Godeva di quella pazzia, ma cominciò anche ad averne paura. La frenesia di Giulia adesso era assolutamente fuori controllo. Andrea pensò, con pragmatismo militare, che iniziava a correre dei rischi, seri. Valutò che i suoi occhi, prima di tutto, erano in pericolo. Lei aveva unghie lunghe e durissime, degli autentici artigli.
Fare paura ad uno uomo come Andrea è una cosa che può tramutarsi in una situazione molto pericolosa: tutti abbiamo paura, e la vinciamo con il coraggio innato in noi, che a volte è poco e a volte molto, ma che si può sviluppare. Dieci anni nei reparti operativi dell' esercito avevano dato ad Andrea disciplina, addestramento, senso tattico, e sviluppato decisione e coraggio. Questo faceva la differenza tra lui e un uomo solo puramente brutalmente e forte. Quindi decise di fermarla. 'Sono sopra di lei e peso quasi il doppio, quindi sto qui, le prendo il collo con una mano, le stringo la carotide per dieci, dodici secondi (con un uomo ne servivano meno, le donne però hanno un sistema cardiovascolare più efficiente), e la faccio svenire. Mi proteggo gli occhi affondando la testa nel cuscino". Ad Andrea occorse meno di un secondo per pensare tutto questo. Stava per farlo quando Giulia ebbe un orgasmo violentissimo. Anche Andrea venne subito qualche istante dopo di lei, quasi con un senso di liberazione, non sapendo mai se era stato il suo cambio di umore a scatenare quello di lei. Le gambe allentarono la presa e lui poté uscirgli dal ventre. Il suo sperma straripò da lei che ne sembrò piacevolmente disgustata. Cercò il lenzuolo per coprirsi, girandosi di lato in posizione fetale. Lui lasciò che fosse lei a cercarlo. Voleva che si spiegasse, ma non voleva forzarla a parlare. Era stato bello e sconvolgente ciò che era successo, ma anche terribile. Un'esperienza che Andrea non sapeva se fosse il caso di ripetere, a meno di ricevere un' esauriente spiegazione. Passò quasi mezz'ora.
-"Avevo nove anni, quando entrando in bagno andai a sbattere contro il corpo di mia madre suicida, che si era impiccata nel bagno di casa. Mio padre fuggi via e non l'ho più rivisto. Io e mia sorella siamo state affidate a dei miei zii. Non so perché, ma mia zia accusava me e mia sorella di aver fatto morire mia mamma. Lei odiava soprattutto me, accusandomi di essere una strega. Scoprii solo da maggiorenne che io e mia sorella eravamo state adottate. Ci furono problemi legali con mia zia, perché i miei insegnanti la denunciarono per maltrattamenti. A diciotto
anni e un giorno sposai l'avvocato che mi tutelava, così me ne potei andare di casa. Lui è molto ricco, di quindici anni più anziano di me. Lo aveva fatto per salvarmi diceva, ma dopo qualche giorno che stavo in casa sua scoprii che c'era anche dell'altro, perché la notte veniva nel mio letto e facevamo sesso. Ero sua moglie, diceva, e cominciava comunque a piacere anche a me.
Un giorno rientrando dall'università, scoprii che gli piacevano anche altre ragazze giovani, perché lo trovai che si stava scopando la mia migliore amica. Non successe granché: a me non è
che la cosa diede poi così fastidio perché non lo amavo, capii. Mi sistemò in un suo appartamento, mi pagava tutto. Disse che non era il caso di far carte per la separazione, che non serviva. Io mi fidai e presi a fare la mia vita. Dopo un po' venne a stare da me una mia compagna di università, che una sera invitò a cena un paio di ragazzi. Il mio ex marito ogni tanto capitava "casualmente" da me, provando a venirmi ancora insieme. Io rifiutavo amichevolmente ma lui insisteva. Quella sera stavo tornando a casa con la spesa per la cena, e avevo parcheggiato giù nei box. Lui arriva con me, parcheggia, scende, mi prende le borse tutto felice, chiedendomi che cosa avrei preparato per cena. Io gli ho detto che stasera non poteva fermarsi perché io e
la mia amica aspettavamo due ragazzi". Giulia si fermò di raccontare e andò alla finestra. Poi riprese il racconto.
-"Mi ha massacrato, letteralmente. Di botte. Poi, mi ha violentato, lì nei box, sul cofano della mia macchina. Poi, quando ha finito i suoi comodi, ha ricominciato a picchiarmi, ancora. Mi ha lasciato per terra, quasi in fin di vita, in quel parcheggio sotterraneo. Mi hanno trovato dei vicini, in un lago di sangue. Ho fatto tre mesi di ospedale. L'ho denunciato ovviamente, ma poi ho dovuto ritirare la denuncia, perché ero sua moglie, comunque, e lo stavo tradendo, lui diceva. Mi ha rovinato, economicamente e moralmente. Non ho più avuto una relazione con un uomo, seria. Non ho più avuto un orgasmo. Fino a prima.
scritto il
2015-12-05
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