Il disperato bisogno di Elena - 3a parte

di
genere
dominazione

Il giorno appresso trovai in ufficio corde, pinzette, bende, vibratori di ogni tipo e forma. Mi spogliò, mi fece stendere a pancia sotto sulla sua scrivania, di lato. Mi legò i polsi e mi imbrigliò al tavolo. Fece lo stesso con le mie gambe, all'altezza di cosce e caviglie. Capii che non potevo scappare. Mi piazzò sotto la pancia un cuscino lungo e stretto, che mi alzò il culo verso l'alto. Mi bendò gli occhi. Fui lasciata in quella posizione per pochi ma interminabili minuti. Suonarono alla porta e come sentii il campanello intuii chi fosse: Anna mi salutò, facendomi rabbrividire di paura e di piacere. Si spogliarono, e in pochi secondi io fui loro. Anna mi cosparse tutta di gel lubrificante, mi massaggiò e palpò tutta, anche se si concentrò subito sulle mie tette e poi, inevitabilmente, sul mio culo, sulla mia figa, sul mio ano. Andrea mi mise in bocca l'uccello, scopandomi fino in gola, tenendomi per i capelli. Lei prese a schiaffeggiarmi il culo, lui mi passava il cazzo sul viso, chinandosi su di me a dirmi quanto fossi troia. Cercavo il suo cazzo, da riprendere in bocca, mentre sua sorella già stava facendomi venire, subito. Mi piantò nel culo un vibratore potentissimo, mentre col le dita mi entrava nella figa. A intervalli regolari si fermava per sculacciarmi. Presto non sentii più le natiche, ma avvertii che il piacere nella mia figa e del mio clitoride aumentava ad ogni ceffone. Mi spinse la faccia tra le chiappe, allungando la sua lingua tra le mie grandi labbra. Il fratello si godeva la scena facendosi spompinare. Anna mi estrasse il vibratore dal culo facendomi sussultare, mi spruzzò ancora altro gel tra lo spacco delle natiche e prese a infilarmi in culo e in figa le sue dita. Una, due, tre... Poi quattro... Ad un tratto capii ciò che voleva fare: stava cercando di infilarmi nella figa tutta la mano! Mi avrebbe sfondata, pensai terrorizzata. Fu perciò incredibile per me, quando mi ritrovai a desiderare di avere dentro tutto il braccio di Anna, fino nelle mie viscere. Millimetro dopo millimetro la mano di Anna mi entrò dentro. La mia figa si dilatò e lei mi fu dentro fino a metà del suo avanbraccio. Urlai di piacere e di paura. Prese a stantuffarmi, dapprima con lentezza, ma poi sempre più intensamente e violentemente. Andrea si godeva la scena, menandomi delle violente sberle sul culo, facendomi quello che più gli pareva. Palpava le tette alla sorella, incitandola a sfondarmi e a farmi impazzire di piacere. Anna, da autentica torturatrice, mi portava vicino all'orgasmo muovendosi furiosamente dentro di me, e poi, di colpo, si fermava, impedendomi di venire. Ogni volta arrivavo più vicina all'orgasmo, ma non lo raggiungevo mai. Prese poi ad aprire e chiudere le dita dentro di me, come se stesse sbriciolando un biscotto secco. Il piacere mi arrivò alla spina dorsale, lo sentii risalirmi lungo la schiena e arrivare al cervello, attraverso la nuca. Sentii rizzarmisi i capelli. Fu come un'esplosione, come se venissi colpita da un fulmine, fatto di piacere. Fui presa da convulsioni
violente, da spasmi, da contrazioni uterine, da doglie... Prima una cosa fisica, il mio corpo che si ribellava a quella continua tensione orgasmica, e poi cerebrale. Entrai in uno stato di trance, probabilmente dato dal fatto che il mio cervello semplicemente non poteva sopportare tutti quegli stimoli, tutto quel piacere. Mi resi conto solo dopo che non era vero ciò che pensavo di star provando, e cioè di non raggiungere il piacere supremo: lo avevo già raggiunto, e superato! Adesso stavo avendo un unico lunghissimo orgasmo, solo con piccole variazioni di intensità, date dal movimento della mano e del braccio di Anna. Sentii che parlarono di me, ma non capii cosa si dicevano. Anna, con molta cautela e comunque non fermandosi di farmi godere, millimetro dopo millimetro questa volta in senso opposto, mi uscì da dentro. Caddi in uno stato di
abbandono fisico e mentale, stesa a pancia sotto sulla grande scrivania. Sentii Andrea che mi puntava il suo uccello nel culo per farsi la sua chiavata, ma Anna lo scacciò da me, come farebbe una padrona con il cane che vuol fottersi la sua cagna in calore, gelosa di lui, del suo, del nostro piacere. Se lo portò sul divano e se lo scopò con una forza e una voracità incredibili, alternando pompini di bocca e di culo. Io guardavo la scena dapprima assente, ma poi avvilita e offesa, e gelosa di non poter partecipare alla loro chiavata. Capii poi che anche questo faceva parte della tortura. Li vidi venire e sborrare uno sull'altra, tra urla di piacere e lussuria. Stravolti, mi vennero a slegare, portandomi con loro sul divano. L'orgia sarebbe continuata ancora? Io lo volevo con tutta me stessa.
Passato un po' di tempo Anna tornò in comando e impose il suo volere a me e ad Andrea. Lui pareva esausto, ma la sorella non volle sentire ragioni: avremmo dovuto soddisfarla, perché lei voleva vincere sempre nella gara del piacere. Il suo maschio oggi non c'era e noi avremmo dovuto supplire a questa mancanza. Il come mi fu presto spiegato. Quello che Anna mi aveva praticato voleva che adesso glielo praticassimo a lei. Si stese a pancia in su e allargò le gambe: "Poco gel, io non ne ho bisogno molto". Pensai a tutti i cazzi che sicuramente si era presa, alle orge a cui aveva partecipato: anni e anni di sesso, di tutti i tipi, in tutti i modi. Si conservava bene certo, ma i suoi tessuti ne erano usciti esausti. Il suo buco del culo poi, pareva alquanto usato. Non aveva avuto figli però, e questo sicuramente aveva contribuito a ben
conservarla. Fu proprio sul suo ano frastagliato che volle che concentrassimo le nostre attenzioni, anzi, le mie. Un goccio di gel e pretese che iniziassi a infilarle dentro prima le dita e poi supposi, tutta la mano, ripagandola del servizio che mi aveva fatto lei. La mia mano entrò, e lei mi ordinò di fermarmi. "Adesso tu" intimò al fratello, fino a quel moneto spettatore passivo ma molto interessato alla scena. A lui fu riservata la figa. Altro goccio di gel e ricominciò il lavoro. Andrea aveva le mani grandi, e il suo lavoro quindi fu più paziente e delicato. Inoltre, il mio arto dentro ben oltre il mio polso nel suo culo, la occupava già abbondantemente. Alla fine anche lui entrò in lei. Pareva sollevato dal non dover usare ancora il suo membro, probabilmente dolorante e infiammato per la chiavata di poco prima.
- "Adesso muovetevi… cazzo dai... Pompatemi! Muovete le dita". Prendemmo a scovolarla con forza sempre più intensa. Sentivamo le nostre mani, divise solo da un sottile velo di carne. Dopo un poco Anna iniziò a venire, e poi ancora, e ancora.
-"Basta, basta! Fermatevi! Basta ho detto… cazzo! Mi scoppia il cuore!".
"Eh no, brutta troia: adesso ti ripago con la tua stessa moneta più gli interessi!" Pensai. Guardai
Andrea, che mi capì al volo: avremmo continuato a oltranza fino a farla scoppiare di piacere. Lui la bloccò con la mano libera, spingendola giù, io le posi le mie spalle tra le cosce impedendole di chiuderle.
-"Bastaaaaa! Fermatevi! Vi prego…". Iniziò a parlare in modo quasi incomprensibile, tra un urlo e l'altro. La portammo ad uno stato che poi capii essere anche il mio in altre occasioni. “Il piacere usato come una droga psichedelica”. Comunque, tutto quel lavoro non mancò di estenuare anche me ed Andrea. Mi ritrassi da lei con tutta la delicatezza di cui fui capace, ma non così fece suo fratello, che le estrasse la mano dalla figa con decisone e senza riguardo alcuno. Schizzi di umore vaginale ci bagnarono. Pensai l'avesse lacerata, per l'urlo che le uscì dalla gola, e invece non fu altro che l'ennesima sua goduta, forse la più intensa, benché dolorosa come un parto.
- Cazzo che bello! Cazzo, cazzo... Che goduta! - Lui lo sapeva, la conosceva bene... e le aveva regalato quell'ultimo intensissimo piacere. E pensare che io mi ero illusa di torturarla... Mi buttai sull'uccello di Andrea: non avrei accettato obiezioni. Presi a succhiarglielo con voracità. Anna mi raggiunse subito. Intuii che era arrivato il turno del "nostro" maschio, di "soffrire" un po'. Lei gli prese in bocca i coglioni e iniziò a succhiarli con forza, giocandoci con la lingua, io lo pompavo dalla punta al fondo con foga e stringendo le labbra sul suo uccello, più che potevo. Era chiaro che gli stavamo facendo male: a volte Anna succhiava troppo e a volte io, per la foga, gli facevo sentire i miei denti.
- “Zitto, non provare a ribellarti cazzo, adesso tocca a noi”- Gli intimò la sorella. Stanca, mi sottraevo un attimo con la bocca, ma non smettevo di lavoralo segandolo brutalmente. Anna mi sostituiva pronta, e così
andavo io a massaggiargli i coglioni, con forza. Era bello vederlo godere e soffrire. Tentò un paio di volte di fermarci ma noi lo respingemmo con fermezza. Capimmo che stava per godere. Anna sospese il pompino profondo e prese a leccarlo. Mi chiese con gli occhi di fare altrettanto e io ubbidii. Le nostre
lingue si incontravano sul suo cazzo durissimo, che pulsava alla ricerca delle nostre bocche, gole, e mani, ma invano. Volevamo farlo morire. Non perdevamo occasione per baciarci fra noi comunque, e questo lo eccitava ancora di più. Provò a prenderselo in mano per farsi una sega ma noi lo aggredimmo. Doveva
lasciarci fare quello che volevamo. Anna gli prese l'uccello con due dita, alla base, e gli leccò la cappella solo con la punta della lingua, appena sotto, dove le due parti si congiungono. Andrea fu scosso da brividi e tremò: i suoi testicoli volevano esplodere ma non potevano farlo. Anna lo tratteneva: gli aveva chiuso il canale spermatico con le dita e lui ora era come un vulcano che non poteva eruttare. Alla fine raggiunse l'orgasmo, dolorosamente: Anna allentò solo di poco la presa e dal taglio sul suo glande uscì una grossa goccia di sborra, bianca e densissima. Ci precipitammo entrambe a leccarla e io ebbi la meglio. Anna, offesa, allora imboccò il cazzo di suo fratello e lo pompò a fondo. Il cazzo, che era già venuto comunque, si andava lentamente ammosciando. Anna se ne accorse e velocissima si umettò il dito medio e con un
gesto gentile ma deciso lo infilò nel culo di Andrea, muovendolo circolarmente. Lui emise un gemito ma la lasciò fare. Il cazzo iniziò immediatamente a oscillare puntando nuovamente verso l'alto, tornando durissimo quasi subito. Dopo una manciata di affondi di bocca Andrea proruppe in un urlo e venne in
bocca a sua sorella. La vidi deglutire, invidiandola. Alla fine si sottrasse, leccandosi le labbra come una gatta. Mi gettai con la bocca sulla sua slinguandola a fondo, cercando il sapore di Andrea ancora nella sua
bocca. Lo trovai, e lei me lo lasciò gustare, per il suo piacere. Andai anche a cercare ancora qualche goccia alla sorgente, facendo scorrere le mie dita lungo il canale che dai coglioni porta al glande. Una bella goccia di sperma sul taglio e io la succhiai via con gusto. Ci tutti accasciammo esausti sul divano. Andai da Anna e la baciai, palpandole le belle tette.
- “Sei bravissima. Una meravigliosa pompinara e chiavatrice. Che peccato averti conosciuto solo ora... “-
- “Anche tu sei stupenda Elena, un talento naturale. Sì, è un vero peccato -
Andammo a fare la doccia insieme, io e lei. Ci lavammo e palpammo ovunque, come solo due donne sanno fare. Eravamo esauste ma ancora vogliose. I nostri capezzoli e il clitoride si gonfiarono immediatamente. Dopo poco arrivò anche Andrea, compiaciuto di trovarci in quell'atteggiamento lussurioso. Si unì a noi e lo accogliemmo volentieri, lavandolo e baciandolo. Quando ci si trovava nei pressi del suo uccello, istintivamente glielo menavamo, e lui si ritraeva dolorante. Prendendoci per le spalle ci fece inginocchiare davanti a lui: pensavo che volesse gli facessimo un altro pompino. Si prese in mano l'uccello e, con mio assoluto sgomento ci pisciò addosso. Non sul viso, ma sui seni, sul collo, sulle braccia. Il getto caldo della sua urina dapprima mi spaventò e disgustò, ma poi mi piacque da morire. Era un gesto di sottomissione assoluta, carico di significati intimi sia per chi riceveva addosso il liquido che per chi lo espelleva da sé. Guardai Andrea mentre lo faceva e provai un amore profondo e assoluto per lui. Mi resi conto che lui avrebbe potuto farmi pressoché qualsiasi cosa avesse voluto. Forse era troppo, forse ero la donna più stupida del mondo: ma mi piaceva, godevo tantissimo, lo ammiravo e rispettavo. Ero sua.
Anna si rivestì. La accompagnai alla porta salutandola affettuosamente. Mi passò un biglietto e mi sussurrò all’orecchio di chiamarla, dopo. Con un cenno le confermai che l’avrei fatto sicuramente. Sentivo per lei un’attrazione molto forte, simile per certi versi a quella che provavo per suo fratello. Mi posi la domanda se io fossi sempre stata bisessuale: non seppi rispondermi ma, nei fatti, era così. O forse ero semplicemente una donna molto carnale e incline al piacere, che Anna era così brava a darmi. Non seppi rispondermi in maniera convincente. Comunque, come la porta si chiuse alle sue spalle, lei mi mancò moltissimo.
Trovai Andrea seduto sul divano con l’aria esausta. L’avevamo spremuto a dovere, non c’era alcun dubbio. Eppure, da subito, mi stupii a ricordare che, nonostante tutto il sesso e il piacere di quella bellissima giornata, non mi aveva ancora scopata, e intendevo dire proprio con il suo uccello, dentro di me. Mi sedetti di fianco a lui con aria interrogativa, a gambe accavallate, come a dire: “Allora, cosa aspetti a chiavarmi?”. Lui sembrò intuire ciò che volevo perché se lo prese in mano e me lo mostrò.
- Guarda, me lo avete ridotto uno straccio… e io insieme a lui -
- Oneri e onori, mio signore. Chi tanto vuol godere un po’ deve soffrire –
- Hai ragione, è proprio così, di solito. Il piacere e il dolore sono aspetti correlati –
- Sì, me ne sto rendendo conto ogni giorno di più – Lo abbracciai e andai ad accoccolarmi tra le sue braccia, facendo le fusa come una gatta. Ci baciammo a lungo. Mi scostai da lui e gli guardai il pene, ancora flaccido. Poi lo guardai negli occhi, supplicandolo di lasciarmelo prendere in bocca. Mi disse di sì senza parlare, e andai giù con la mia bocca. Lo lavorai con tutta la delicatezza di cui fui capace e dopo un poco gli venne ancora duro. Ne approfittai subito e gli montai sopra: lo volevo sentire tutto ben dentro di me. Ormai era un bisogno simile a una dipendenza. Intuii che stava diventando una droga; d'altronde, capivo che i meccanismi della cosa sono gli stessi: una sostanza o azione ti dà piacere, quindi benessere, e perciò la cerchi ancora, e ancora. Io volevo il cazzo, volevo godere… volevo Anna… volevo sesso, tanto sesso. Ma non solo mi resi conto. Lo scopai piano, guardandolo in viso, facendogli capire che lo adoravo, che mi piaceva da morire, con lo sguardo che solo una donna innamorata, mentre scopa, può avere: dolcissimo e al contempo lussurioso. Scesi con le dita a sgrillettarmi, tirandomi indietro un poco, permettendogli di guardarmi: sapevo che gli piaceva farlo, vedermi godere. Venni subito e violentemente, scossa da brividi ampissimi. Mi accasciai su di lui. Poi, mi sentii dirgli – Picchiami –
Non ero stata io a pronunciare quella parola, non poteva essere… Eppure era uscita dalla mia bocca.
– Ti prego, picchiami. Ho bisogno che tu mi faccia male. Ne ho bisogno. Te lo sto chiedendo io –
Lui mi guardò. Credo sapesse ciò che sentivo, inconsciamente. Una parte di me accusava l’altra di essere sporca, una troia, e peggio, una peccatrice. Era qualcosa di ancestrale. Scivolai via da lui e dal suo uccello dentro di me, e mi misi in piedi, davanti a lui, a testa bassa, pretendendo che lui facesse quanto deciso da me. Lui si alzò e venne al mio fianco. Mi baciò delicatamente, accarezzandomi i capelli, mettendo le sue dita tra loro. Ne rimasi delusa. Poi, la mano si strinse in una presa che mi fece piegare la testa all’indietro. Mi spinse giù e mi ritrovai in ginocchio, davanti al suo uccello ancora turgido. Lo usò come una clava e mi schiaffeggiò. Mi assestò uno schiaffo violentissimo in faccia, che mi colse completamente di sorpresa: non mi aspettavo così tanta forza e brutalità. La mano trovò tutta la superficie del lato del volto che colpì e potei sentire il mio occhio che quasi usciva dall’orbita. Caddi a terra carponi. Lui allora mi appoggiò un piede sul culo e spinse, facendomi sbattere la faccia e la pancia sul pavimento. Provai a fuggire. Mi riprese per una caviglia e mi trascinò indietro, come fossi una bambola gonfiabile piena solo d’aria. Mi sollevò letteralmente da terra, e mi ritrovai a testa in giù. Non avevo mai provato una forza simile su di me. Mentre ero in quella assurda posizione e arrancavo con le mani sul pavimento, mi assestò un violentissimo calcio nella schiena, il suo piede colpì le mie spalle con un suono simile a quello che si sente in una macelleria quando sbatte un pezzo di carne sul marmo. Mi appoggiò in terra, mi divaricò le gambe e mi strinse la mano sui peli del mio pube, strappandone via molti. Il dolore che provai mi arrivò al cervello, attraversandolo come una lama. Si soffiò via i miei peli ricci dalle dita.
Adesso avevo paura. Mi fece paura il suo viso pallidissimo, i suoi occhi diventati improvvisamente vuoti. Era come un meccanismo. Non c’era furore o rabbia in lui: solo una brutale determinazione a farmi male. Fui presa dal panico più assoluto. Gridai. Il pugno nello stomaco mi sconvolse, perché penso che una donna non se lo aspetti mai. Non avevo mai provato quel dolore devastante, che ti toglie il respiro, ti paralizza e ti fa ripiegare su te stessa. Divenni muta. Mi prese per i polsi, mi rimise dritta e facendomi girare di schiena mi colpì con un pugno all’altezza dei fianchi, vicino alla spina dorsale. Vidi letteralmente le stelle e poi tutto si spense. Mi aveva colpito in un punto preciso, conosciuto a lui e a quelli come lui, un nervo particolare, o qualcosa di simile. Caddi a terra, ma lui subito mi prese per i capelli e mi fece rialzare. Mi colpì con un altro violentissimo schiaffo in faccia. Volai sul divano, e mi raggomitolai su me stessa, in posizione fetale. Non so dove trovai la forza: gridai.
- Basta, basta! Ti prego! Basta! - Tremavo di terrore, perché ora avevo capito chiaramente che quell’uomo, quell’essere, poteva uccidermi come e quando voleva, se lo avesse voluto, e questo fu devastante, sconvolgente in modo assoluto, per una donna, un essere umano normale come me. E’ una cosa che, se provata, trascende ogni considerazione precedente. Non sei più in possesso di te: sei di un altro. Questo andò ben aldilà della mia capacità comprensione. L’unica cosa che potei fare fu cercare di tornare nel ventre di mai madre. Assunsi istintivamente la forma fetale. Lui si avvicinò. Mi aspettavo il prossimo pugno, lo schiaffo, lo strappo di peli o capelli… Aspettavo, non potevo fare altro. Ma non avvenne niente. Lentamente aprii gli occhi e sollevai la testa: lui era lì, davanti a me. Era tornato il “mio” Andrea, l’uomo che amavo, che avevo imparato a rispettare, con il quale mi sentivo protetta, e che ora avrei temuto più di qualsiasi altra cosa al mondo. Mi buttai ai suoi piedi stringendogli le gambe, e scoppiai a piangere. Lui non fece niente. Il suo dominio assoluto era sceso su di me e mi avvolse come un mantello caldo.
Come una cagna, terrorizzata dal suo padrone, pisciai sul pavimento. Tremavo di freddo, di paura, di vergogna. Per prevenire la sua possibile ira mi stesi di schiena, portandomi le mani alle tette, offrendogliele. Allargai e alzai le gambe, piegandole, indicandogli così che poteva fottermi come voleva, che ero di sua proprietà, la sua schiava. Si chinò su di me, toccandomi e accarezzandomi, proprio come se io fossi un animale, impazzito di terrore. Emisi un specie di guaito, felice e scodinzolante per la carezza generosa del padrone. Ero tornata indietro nel tempo, a prima ancora della mia nascita, a qualcosa di ancor più ancestrale. Mi fece alzare da terra, mettendomi in piedi. Si muoveva lentamente, sapendo che ero ancora in pieno nel terrore che mi colpisse di nuovo. Mi accompagnò in bagno. Aprì l’acqua della doccia e mi ci mise sotto. D’un tratto fui assalita da una serie di dolori in tutto il corpo, l’adrenalina non faceva più sentire il suo effetto anestetizzante. Mi accasciai a terra seduta con le gambe raccolte, appoggiata al muro, il getto di acqua calda che mi colpiva. Avevo avuto ciò che volevo. Adesso sapevo cosa significasse essere una donna. Che per quanto emancipata, indipendente, libera, se incontrerà sulla sua strada un uomo come Andrea, per compagno o padrone, ne divenni consapevole, sarà sempre e comunque una “femmina”. Mi sentii in colpa per avere a volte malgiudicato le donne che avevano subito, e subivano violenza. Avevo pensato che in fondo, se proprio l’avessero voluto, si sarebbero potute ribellare al loro violentatore, usando tutta la loro forza, la loro determinazione. Adesso sapevo che non avrei potuto sbagliarmi di più. “Se incontri un uomo come questo, hai due alternative: o apri le gambe o muori”. E non è così facile decidere di morire, perché va contro la natura umana, l’istinto di sopravvivenza. I dolori si fecero più intensi e nel rialzarmi me ne lamentai. Andrea arrivò subito.
– Ti prego, lasciami sola Andrea –
Mi guardai allo specchio. Avevo il volto rosso e gonfio. Notai che, con ogni probabilità, mi sarebbero venuti degli ematomi intorno agli occhi. Sarei stata impresentabile per un pezzo, pensai. Realizzai in quel momento che non avrei saputo che spiegazione dare di questo ai miei figli, ai conoscenti, a tutti. Guardai il mio corpo: ero piena di grosse macchie rosse. La lezione che avevo preso mi sarebbe costata cara, per giorni e giorni. Piansi, in silenzio. Poi, faticosamente, cercai di tornare verso il divano. Trovai Andrea che puliva via con uno straccio la mia urina da per terra. Mi vergognai da morirne di quell’atto così umiliante. Volevo occuparmi io di quel compito, che era il mio, ma me ne mancarono le forze. Andrea mi prese al volo e mi fece stendere sul divano. Mi portò dell’acqua e mi coprì. Lo guardavo, mentre puliva il pavimento, in ginocchio: una scena bellissima e ridicola, trovai. Anche lui mi guardò per qualche secondo. Si alzò e prese il cellulare andando nell’altra stanza. Lo sentii parlare ma non capii con chi. Tornò da me e si sedette, accarezzandomi i capelli. Si rivestì. Dopo un po’ suonarono alla porta. Andò ad aprire e sentii qualcuno che entrava. Pensai istintivamente che fosse Anna. Lui tornò da me e mi annunciò che era arrivato un medico per visitarmi e curarmi, prima di riportarmi a casa. Ne fui sorpresa, e siccome ero completamente nuda sotto il suo impermeabile feci per alzarmi. Non riuscii neanche a muovermi tanto era il dolore che provavo in tutto il corpo.
Il medico entrò nella stanza. Non mi salutò, ne mi parlò. Tirò via da me l’impermeabile e mi guardò da capo a piedi, toccandomi, premendo in vari punti del mio corpo. Poi si alzò e mi chiese se ero allergica a qualche medicinale. Negai. Lo vidi preparare una siringa.
– E’ un antidolorifico, non si preoccupi signora. Si sentirà subito meglio – Mi fece l’iniezione, continuando a controllò i miei arti, le mie costole. Mi toccò più di una volte le tette, notai, guardandomi in faccia mentre lo faceva.
– Niente di rotto, solo contusioni ed ematomi. Adesso le prescrivo una pomata speciale e una serie di iniezioni come quella che le ho appena fatto, per tre giorni –
– Signora, Andrea è un mio amico e mi ha detto ciò che è successo. Devo chiederglielo comunque. Era consenziente? Intende denunciarlo? – Resati in silenzio per alcuni secondi.
- Ha fatto quello che io gli chiesto di fare. Niente più, niente di meno. Quindi lui non ha colpa Dottore –
- Va bene. Allora è tutto. Non si preoccupi: il dolore le passerà presto. Auguri signora, e se avesse bisogno di me non esiti a chiamarmi – Se ne andò.
Andrea lo ringraziò e non lo accompagnò alla porta. Si sedette subito con me. Prese il tubetto di pomata che aveva lasciato il medico e me la spalmò praticamente ovunque, perché era su tutto il mio corpo che ne serviva l’effetto. Il calmante della siringa entrò in circolo. Mi addormentai. Il leggero massaggio di Andrea mi stava eccitando piacevolmente.
scritto il
2015-12-08
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