Mio figlio

di
genere
incesti

Mi ricordo che era stato nel maggio dell'anno scorso, un venerdì mattina, mi sembra. Stavo facendo le pulizie in salotto, il solito tran tran delle casalinghe.

Avevo smesso di studiare quando rimasi incinta di Davide. Avevo solo 17 anni, allora, e mi sposai subito con Mario, di tre anni più vecchio di me, padre del bambino. Lui si trovò subito un buon la-voro, ben retribuito, mentre io, portata a termine la gravidanza, cercai di fare qualche mestiere sal-tuario e di riprendere gli studi, ma non ebbi fortuna. Non ce la passavamo affatto male, in quanto a posizione economica, ma il risultato fu comunque che io cominciai la mia lunga carriera di casalin-ga a soli 20 anni.

Il maggio scorso, dicevo, mio figlio, che era rimasto a casa dall’università con la febbre, se ne stava beatamente seduto davanti alla televisione, a guardare la replica del Maurizio Costanzo Show. M'in-sospettii, perchè non era mai stato un programma di suo gradimento. Così cercai, approfittando del fatto di dover pulire il tappeto dietro la Tv, di capire da quello che dicevano il tema di quella punta-ta. Mi sembrò un argomento d'interesse per un ragazzo di quasi 18 anni: parlavano del rapporto tra il cinema italiano e la fiction tv. Però sapevo che a lui queste cose non interessavano proprio, così gli chiesi se per caso non ci fosse stato altro da vedere. Lui mi fece uno sguardo assente, spense la televisione e mi disse che sarebbe andato a letto, perchè si sentiva poco bene. In realtà era solo una scusa, perchè, proseguendo nella pulizia della casa, mi accorsi che mi seguiva ovunque, cercando di rimanere nascosto.

Ovunque andassi per casa, lui si metteva ad osservarmi. Pulivo il pavimento in cucina e lui era lì, nascosto dietro lo stipite della porta a guardarmi. Sgomberavo la tavola, mettendo i piatti in lavatri-ce e lui imperterrito.
Mi spostai nel bagno e lo vidi attraverso lo specchio. Poi, improvvisamente sparì. Non mi seguì nel-la pulizia dell'ingresso, nè in lavanderia, mentre mettevo i panni sporchi nella lavatrice. Ero molto confusa, non riuscivo a capire quello che stava accadendo. Così decisi di parlargli, per sapere se per caso avesse avuto qualche problema di cui si vergognasse parlare. Corsi in cucina a preparargli una bella tazza di camomilla e infine salii le scale, diretta alla sua camera.
Il letto era disfatto, ma lui non c'era. Appoggiai la tazza sul suo comodino e feci per uscire dalla stanza per cercarlo, quando sentii dei rumori provenire da dietro la porta del suo bagno privato. Su-bito mi avvicinai, cercando possibilmente di non fare rumore, e ci appoggiai l'orecchio. Davide sta-va mugolando delle cose quasi incomprensibili e le uniche parole che riuscii ad isolare furono: “mamma”, “sì” e “ancora”.
Colta da un'irresistibile curiosità, provai a sbirciare dal buco della serratura e, dato che la porta era chiusa a chiave, non mi fu difficile vedere la scena. Era in piedi davanti al grande specchio sulla pa-rete della vasca da bagno, con le mutande calate alle caviglie. Si stava masturbando! Si masturbava immaginando che fossi io a fargli certe cose. Mi alzai di scatto e indietreggiai, un po' sconvolta.
Passato un primo momento di smarrimento, mi ripresi. Era il mio “bambino”, ma dopotutto era normale che un ragazzo della sua età provasse delle pulsioni sessuali, anzi, fino a quel momento mi pareva strano che malgrado il nostro livello di confidenza, non mi avesse ancora parlato in tal senso di una qualche sua amica o compagna di università. Però, a quanto avevo letto su un libro di psico-logia, era anche normale che queste fossero rivolte alla propria madre. Anche mio marito mi rac-contò di aver avuto certi desideri nei confronti della sua.

Mi girai per uscire dalla stanza e lasciarlo solo, prima che mi scoprisse, in modo di non rovinare il nostro rapporto di fiducia reciproca, e mi trovai di fronte allo specchio del suo armadio.
Fu in quel momento che capii per quale motivo mio figlio mi stesse spiando, quel venerdì mattina. Mi trovai di fronte l'immagine di una donna di quasi 37 anni, bella, non con un fisico da fotomodel-la, ma comunque invidiabile, con la giusta quantità di carne al posto giusto e un seno generoso, con lunghi capelli corvini e scintillanti occhi verdi. Tutte cose che un ragazzo della sua età poteva sicu-ramenteapprezzare appieno, ma c'era dell'altro: indossavo una maglietta molto larga e scollata e un paio di pantaloncini molto corti e larghi anch'essi. Mi venne in mente che, molto probabilmente, piegandomi per fare le faccende domestiche, vestita in quel modo gli davo la possibilità di vedere delle cose che alimentavano la sua fantasia.

Corsi subito in camera mia per cambiarmi. Lo conoscevo e sapevo che anche lui era sconvolto da questo fatto: mi amava molto profondamente ed avevamo un ottimo rapporto. Si sentiva sicuramen-te “sporco” per i suoi pensieri e io non volevo assolutamente farlo sentire a disagio in mia presenza.
Dalla mia stanza lo sentii tirare lo sciacquone. Decisi di aspettare qualche momento, per dargli l'op-portunità di rimettersi in ordine, prima di andare a vedere come stava. Ma venni colta da forti dubbi. Ebbi la sensazione di aver dimenticato qualcosa... La tazza di camomilla sul comodino! Se lui aves-se trovato la tazza e io fossi entrata nella sua stanza dopo essermi cambiata, apparentemente senza un motivo, avrebbe intuito di essere stato scoperto.

Tornai in cucina, senza essermi cambiata, e mi misi a tirare fuori i piatti dalla lavastoviglie. Mio fi-glio arrivò dopo pochi minuti, con la tazza vuota e il viso rosso. Intuendo il suo stato di agitazione, gli sorrisi e gli dissi di avergli portato la camomilla per farlo stare meglio e, non avendolo trovato nel letto, di averla allora appoggiata sul comodino e di essere alla fine scesa a terminare di rassetta-re. Si tranquillizzò un po', ma non mi sembrò del tutto sereno.
Si sedette al tavolo e mi chiese cosa ci fosse da mangiare. Io guardai l'orologio e mi accorsi che era quasi la una. Mi battei una mano sulla fronte e mi scusai con lui: era sicuramente affamato e dentro di me sapevo anche il perché.
Aprii il frigo e mi piegai a cercare la carne nello scomparto in basso. Non ce n'era, ma continuai a cercare. Mi piegai di più e involontariamente spinsi il sedere verso l'alto, mettendo in mostra parte delle mie mutandine, dalle quali uscivano un po' di peli pubici. Sentii la sedia scricchiolare. Davide si portò dietro me e con la sua mano strusciò il retro dei miei pantaloncini.
Mi voltai di scatto e lo vidi correre via. Udii i suoi passi sulle scale e la porta della sua stanza che sbatteva. Mi si strinse il cuore e mi diedi della cretina per quello che gli avevo fatto. Ero combattuta tra l'idea di salire, a parlare un po' con lui, e quella di far finta che in fondo non fosse successo nulla di male. Ma, senza alcun dubbio, mio figlio si era accorto del fremito che mi aveva percorsa, al con-tatto della sua mano.

Bussai alla sua porta con il cuore in gola, ma non ottenni alcuna risposta, così decisi di entrare senza il suo permesso. Ancora una volta la camera era vuota e la porta del bagno chiusa a chiave. Ma non si stava masturbando: lo udii chiaramente piangere. Mi sedetti sul suo letto e attesi che si calmasse, per potergli parlare da madre a figlio. Abbassando gli occhi sul pavimento vidi qualcosa spuntare da sotto il materasso.
Mi trovai tra le mani una rivista pornografica. Non una qualsiasi... Una che parlava proprio di rap-porti sessuali tra genitori e figli. Ovviamente sapevo che le persone fotografate non erano assoluta-mente parenti tra loro, ma nelle fantasie erotiche dei ragazzi ci sta anche questa “sospensione dell’incredulità”. In una pagina trovai un foglio di quaderno, sul quale Davide aveva scritto che la sua prima volta avrebbe dovuto essere assolutamente con me! Scriveva che aveva paura del sesso, anche se all’università quasi tutti i suoi compagni ne parlavano di una cosa bellissima. Aveva giura-to a se stesso che, se non l'avesse fatto con una persona con cui avesse un buon rapporto e di cui si fidasse ciecamente, non avrebbe mai fatto sesso in vita sua.
Misi via tutto e rimasi un paio di minuti a pensare. Di sicuro era una cosa sbagliata, ma in fondo non avremmo fatto del male a nessuno. Avrei aiutato mio figlio a superare le sue paure e tutto sommato la cosa mi stava anche eccitando non poco. In fin dei conti, si sarebbe trattato solamente di un pomeriggio di educazione sessuale, per poter dare a Davide la possibilità di superare questi suoi timori e trovarsi una ragazza con cui condividere la sua vita... Magari quel modo non era il più “idoneo” allo scopo, ma se si poteva fare rendendolo felice perchè no? Bastava solamente fargli promettere di non dirlo a nessuno, assolutamente, e di fargli capire che quella sarebbe stata l'unica volta in tutta la sua vita.

Mi alzai dal letto e, dopo aver preso un paio di respiri profondi, bussai alla porta del bagno. Lui mi gridò di andare via, di lasciarlo solo, e gli dissi che dovevamo parlare. Prima gentilmente, poi, dopo vari dinieghi da parte sua, glielo imposi con un ordine perentorio.
Lui aprì la porta e uscì a testa bassa, rosso come un peperone. Fece per aprir bocca per darmi delle motivazioni sul suo gesto, ma io lo misi subito a tacere appoggiandogli l'indice sulle labbra. Gli sor-risi e molto tranquillamente gli dissi che avevo capito benissimo. Lo accompagnai lentamente verso il letto e lo feci sedere. Diventò pallido, quando iniziai a slacciargli la cordicella dei pantaloncini della tuta.
Non glieli sfilai subito, ma mi limitai ad allentarli solamente. Poi mi sedetti accanto a lui e comin-ciai ad accarezzargli una gamba, partendo dal ginocchio e risalendo verso l'interno delle sue cosce. Mi ero anche sapientemente piegata, in modo che potesse vedere il mio reggiseno di pizzo bianco, attraverso la scollatura della maglietta. Notai il rigonfiamento nei suoi pantaloni e per un istante ri-masi quasi allibita: non immaginavo che potesse essere così dotato. L’aveva quasi più grosso di quello di mio marito! Quella vista e il pensiero di poterci armeggiare mi fecero perdere d'occhio il senso di quella faccenda. Mi ricordai solamente di fargli promettere di non dire ad anima viva quel-lo che sarebbe successo quel pomeriggio, su quel letto. Non riuscì a rispondermi, perché aveva la salivazione azzerata dalla situazione, e cercò di deglutire, con fatica.
Decisi di dargli una mano a riprendere l'umidità delle sue fauci. Mi avvicinai a lui, prima leccando-gli le labbra, screpolate e sigillate, e poi scardinando con la lingua il suo intimorito sbarramento, fa-cendomi largo e baciandolo con passione. Sicuramente non era il suo primo bacio, perchè, dopo un attimo di smarrimento, cominciò a mulinare con grande maestria la sua lingua sulla mia, sui denti e sul palato. Mi bagnai vergognosamente! Le mie cosce cominciarono a grondare umori sul suo letto.
Gli misi la mano sul sesso, sempre da sopra i pantaloni, e ricominciai ad accarezzarlo. Lui si volto in modo da rendermi molto più comoda l'operazione e, continuando a baciarmi, timidamente, mi mise una mano sotto la maglietta, a cercare il contatto con il mio seno.
Cercò di infilarsi, ma il reggiseno era molto stretto e mi stava facendo male. Lo fermai, mi alzai in piedi e mi sfilai la maglietta. Gli feci cenno di mettersi in piedi di fronte a me e di slacciarmelo ab-bracciandomi. Eravamo quasi alti uguali e io sentii la sua erezione spingermi contro il pube, facen-domi tremare le gambe dal piacere. Non ci riuscì subito, in effetti ci vuole esperienza per queste co-se, ma lo lasciai fare per un po', perchè, quando si sporgeva dalla mia spalla, per controllare quello che stava facendo, il suo respiro, caldo e affannato, dietro al mio orecchio, mi eccitava parecchio.
Ma non resistetti a lungo: lo volevo!
Portandomi le braccia dietro la schiena, gli afferrai le mani e lo guidai nei giusti movimenti, finchè il reggiseno cadde sul pavimento. Gli sfilai la maglietta di Marilyn Manson, dono di suo padre, la quale mi aveva sempre fatto paura, e appoggiai il mio seno nudo contro il suo petto. Lui chiuse gli occhi e spinse il suo pube contro il mio. Capii che stava per venire, ma non era ancora il momento.
Mi separai da lui e, stando attenta a non stimolarlo eccessivamente, lo liberai dall'oppressione dei pantaloni. Vidi che la sua erezione era talmente potente da tenere separato l'elastico delle mutande dal pube. Rimasi piacevolmente sorpresa. Infilai le dita nello spazio creatosi e, tirando il più possi-bile l'elastico, gli feci saltare alla luce il pene. Me lo trovai davanti agli occhi, grosso, turgido e lu-cido. La pelle era tirata al massimo e conteneva a fatica l'enorme cappella rossa. Una goccia di li-quido seminale faceva capolino dal piccolo taglio, mentre un'altra stava già scendendo lungo l'asta, a morire tra i radi peli attorno ai testicoli.
Mi venne un irrefrenabile desiderio di morderglielo, lì, al momento. Ma mi ricordai di quello che aveva scritto, delle sue paure, della fiducia che riponeva in me, al punto di promettere a se stesso di non fare sesso con nessuna, se non con sua madre per prima!
Lo feci sedere sul letto e gli sfilai calzini, pantaloni e mutande, gettando il tutto sul pavimento. Lui prese un po' di coraggio – poverino, potevo quasi vedere il suo cuoricino spaventato battere nel pet-to – e mi disse che non ce la faceva più, che stava per venire. Io gli suggerii di trovare una posizione nella quale il suo pene fosse stato libero da qualsiasi pressione e stimolazione. Gli dissi che non c'e-ra alcuna fretta e che non doveva preoccuparsi se fosse venuto troppo presto. Lo avrei pulito e lo avrei aiutato a stimolarlo per farlo ricominciare. In fondo era solamente questo, quello di cui aveva bisogno: tranquillità totale, prima di rendersi conto quali fossero effettivamente le sue potenzialità sessuali.
Si alzò in piedi, a pene eretto, mentre io finivo di spogliarmi. Ci mettemmo di fronte allo specchio dell'armadio, lui alle mie spalle, e sentii la sua cappella appoggiata alle mie chiappe. Gli consigliai di staccarsi e di evitare qualsiasi contatto che avrebbe potuto eccitarlo ulteriormente. Gli dissi di continuare pure quello che stava facendo prima, in cucina. Mi chinai in avanti, come se stessi anco-ra cercando la carne nel frigorifero. Lui mosse la mano verso di me. Questa volta la visione non era coperta dai pantaloncini e dalle mutandine. Davide aveva tutto lì, ben disponibile. Tentennò un po' e decisi di dargli una mano.
Spostandomi un po' indietro, premetti il sedere sulla sua mano. Lui si spostò un momento intimori-to, ma subito tornò sui suoi passi. Ruotai leggermente il corpo e lo guardai. Appoggiò il suo dito sul mio buco del culo e lo sentii muoversi avanti. Notai che il suo imbarazzo si stava trasformando in eccitazione e questo contribuì a bagnarmi ancora di più. Sempre muovendosi avanti raggiunse le labbra umide della mia fica. Si fermò, a due millimetri dal clitoride, e non resistetti più. Mi costrin-se ad afferrargli il polso e guidargli la mano verso le grandi labbra. Spinse, allora, il suo dito dentro il buco umido della mia passera – come probabilmente aveva visto in una foto, sulle sue riviste – e mi fece mugolare dal piacere.

Improvvisamente tolse la mano, si afferrò il pene e, con due movimenti rapidi della mano, si abban-donò eiaculando sul pavimento. Notai subito il suo sguardo dispiaciuto, che sembrava chiedermi scusa, ma io gli risposi con un largo sorriso e gli scompigliai i capelli. Lo aiutai ad alzarsi e lo ac-compagnai al bagno, vicino alla vasca. Aprii l'acqua tiepida, glielo insaponai e glielo lavai. Mentre glielo stavo asciugando, alzai gli occhi e vidi che era più tranquillo, ma comunque dispiaciuto. Mi disse che mi aveva deluso e che non lo meritavo. Che poche madri avrebbero fatto quello che stava facendo lei per i propri figli, anzi, forse nessuna. Mi disse che ero la mamma più buona del mondo e che lui si sentiva fortunato ad essere mio figlio. Mi sciolse il cuore e gli sorrisi.
Gettai l'asciugamano in un angolo e glielo accarezzai con le mani. Nonostante fosse rilassato era pur sempre un enorme “serpente di carne” ed era appetibile per qualunque ragazza. Mi sentii soddi-sfatta di aver fatto un ragazzo così bello, così dolce e così dotato.
All'improvviso captai delle lievi reazioni alle mie carezze. Capii che c'era la possibilità di rianimar-lo, così intensificai i movimenti delle mani. A poco a poco cominciò a gonfiarsi, lentamente. Allora lo afferrai e cominciai a masturbarlo. Nel frattempo, Davide si era appoggiato al lavandino; mi sta-va fissando, dall'alto al basso, con il volto percorso da scariche di eccitazione.
In meno di un minuto il suo pene raggiunse una discreta rigidità, non come quella precedente, ma sufficiente per fare varie cose. La sua cappella si stava arrossando di nuovo e la pelle si stava tiran-do allo stremo. Mi alzai un poco e me lo appoggiai sul petto, avvolgendolo con le mie tette e co-minciando a fargli una bella spagnola. La rigidità aumentò subito. Me lo strofinai un po' sulla fac-cia, sul collo, vicino alla bocca, donandogli sporadici colpi di lingua sulla punta e sul fusto. Lo sen-tivo vibrare di piacere tra le mie dita.
A tradimento, mio figlio mi afferrò i capelli e mi tirò la testa con voluttà verso di sè. Capii subito le sue intenzioni. Tirai fuori del tutto la lingua e, partendo dai testicoli, risalii lungo la verga fino alla punta, su e giù tre o quattro volte, prima di aprire la bocca e fargli sentire la mia ugola sulla cappel-la. Iniziai a succhiare avidamente, scendendo e risalendo quell'enorme pene che mi riempiva com-pletamente la bocca.
Mi fermai, prima che potesse essere troppo tardi. Mi alzai e lo feci subito inginocchiare di fronte a me, dicendogli di darmi piacere, aiutandosi con le dita e con la lingua. Ma non dimenticai il motivo per il quale lo stavamo facendo: la sua educazione sessuale. Gli spiegai passo passo tutto quello che doveva fare, parole, gesti e movimenti, per dare piacere ad una donna.
Cominciò a stuzzicarmi l'ano con le dita, come gli avevo suggerito, mentre con la lingua lavorava alacremente sul clitoride. Era molto bravo e la mia eccitazione crebbe ulteriormente al pensiero che la persona che mi stava dando tutto quel piacere fosse mio figlio. Ebbi un orgasmo.
Lo feci alzare e cominciai a leccargli le labbra umide dei miei umori, poi lo afferrai per il pene e lo trascinai verso il letto. Non ne potevo più: lo volevo assolutamente dentro di me.
Mi sdraiai sul materasso e lo invitai a salirmi a cavalcioni sulla pancia. Lui tentennò intimorito. Ca-pii che era quella la parte che lo spaventava di più. Gli sorrisi nuovamente e gli dissi che non c'era assolutamente da avere paura. Non gli mentii dicendo che sicuramente non avrebbe provato alcun male fisico, ma gli feci capire che un eventuale dolore sarebbe stato subito sostituito da un immenso godimento. Si sdraiò accanto a me, teso, e io, sempre accarezzandolo e cercando di farlo sentire al sicuro tra le braccia della sua mamma, ripresi a masturbarlo, dolcemente, dicendogli di leccarmi e morsicarmi i capezzoli turgidi che aveva davanti al naso.
Lo fece e mi riportò l'eccitazione a 1000! Lo feci appoggiare sulla schiena e fui io a salirgli sopra. Glielo afferrai e molto delicatamente lo guidai fino alle grandi labbra, che ancora grondavano di piacere. Sentivo il suo pene, caldo e durissimo, pulsare tra le mie dita. Gli dissi di rilassarsi, ma di non chiudere gli occhi: doveva vedere quello che sarebbe accaduto.
Lo feci entrare lentamente, prima la punta, poi tutta la cappella. Era veramente grosso ed io non ero abituata. Confesso che un po' faceva male anche a me. A metà del tragitto strizzò un po' gli occhi, probabilmente la cappella gli era uscita completamente dalla pelle. Lo rassicurai, ma non mi fermai. Continuai fino ad appoggiargli le chiappe sui testicoli. Dopodichè iniziai a muovermi ritmicamente, su e giù e in senso rotatorio. Lo sentivo tutto dentro di me e mi sfondava! Nella concitazione e nella lubrificazione dei vari umori, Davide scivolò fuori. Feci per riprenderglielo, ma lui mi fermò e mi disse che avrebbe voluto stare lui sopra, così non si sarebbe più corso questo rischio. Assecondai i suoi desideri e mi sdraiai sul letto, impaziente di averlo ancora dentro di me. Mi accontentò subito. Entrò con una foga tale che mi fece male, ma l'urlo che mi uscì dalla bocca era di estremo piacere, non di dolore. Cominciò a pompare selvaggiamente, avanti e indietro. Le nostre pance sbatacchia-vano l'una contro l'altra e sentii le sue dita affondarmi nella schiena, mentre mi cavalcava.

Quando mi resi conto che stava arrivando al limite gli dissi di uscire, perchè sarebbe stato sconve-niente eiacularmi dentro, così, senza precauzioni, dato che non prendevo la pillola. Appena lo tirò fuori, lo ribaltai sul letto e glielo presi in bocca, succhiando voracemente. Dopo meno di un minuto mi afferrò delicatamente per i lati della testa e cercò di scostarmi, dicendomi che stava per venire, ma io gli tolsi le mani, lasciandogli intendere di non preoccuparsi. Alla fine si lasciò andare. Il suo violento e bollente getto di sperma mi inondò la bocca, facendomi quasi soffocare; ne fece vera-mente tanta, ma io non ne sprecai neppure una goccia ed ingoiai tutto.

Rimanemmo per qualche minuto, completamente nudi, sdraiati sul suo letto a fissare il soffitto. Do-po un po', mio figlio allungò una mano verso la mia passera, ma io lo fermai, ricordandogli che la sua unica occasione nella vita di fare sesso con sua madre l'aveva già avuta. Lui mi sorrise, eviden-temente più sicuro di sé, e mi disse che gli avevo fatto promettere di non dire a nessuno di quello che sarebbe successo quel “pomeriggio”. Poi, continuando a sorridere, mi fece vedere il suo orolo-gio, altro dono del padre. Erano le due e mezza! Quella “faccia di tolla” aveva ragione: il pomerig-gio sarebbe finito solo verso le sei!
Tirò fuori la sua rivista da sotto il materasso e mi chiese di fargli tutto quello che si vedeva nelle fo-to, dalla prima all'ultima pagina. Lo accontentai più che volentieri. Quel “pomeriggio” finì alle nove e mezza, circa una mezz'oretta prima che mio marito tornasse dalla sua riunione di lavoro, giusto il tempo di mettere tutto in ordine e mettere a lavare lenzuola e panni sporchi di umori.

Da quella volta, io e Davide l'abbiamo fatto tutte le volte che suo padre era via per lavoro. In realtà fui io a non mantenere la promessa di farglielo fare una volta nella sua vita... E devo ammettere che la cosa non mi dispiacque affatto! Ovviamente, per essere le mamme più buone del mondo e far sentire i propri figli fortunati, bisogna saper fare dei “sacrifici”!
scritto il
2016-01-18
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