Giamaica di sangue - Cap 4 Danza di morte (2° parte)

di
genere
pulp

Il drago sulla mia pelle dormiva, mentre mi scaraventavano a calci fuori dalla camera di Alena. Nel corridoio il freddo mi colpì duro come un cazzo nel culo senza vasellina. Le lampade gialle lungo i muri tremolavano lugubri, proiettando ombre cupe lungo le pareti sporche e fatiscenti. Un tuono squassò l’aria. Prima di arrivare alle scale la luce si spensero del tutto, per non tornare più.
“Che cazzo è successo.” fece un bandito.
“Rob, Jim, andate giù a vedere la centralina.” ordinò Jasper.
I due scagnozzi si precipitarono, incespicando, giù per le scale.
“Noi proseguiamo. E attenti a queste due battone. Mi fido di una donna come di infilare l’uccello in un tritarifiuti. Figurarsi di due.” aggiunse.
“Forza cagne” ci strattonarono giù per le scale.
Il buio era quasi totale, nonostante fosse giorno ormai da diverse ore. L’unica fonte di luce erano i lampi che illuminavano i volti dei nostri aguzzini, che si accendevano tetri come zombi appena risvegliati. Dopo due rampe di scale girammo a destra. Una luce rossa tagliava il corridoio in due come una ferita. Riconobbi quella stanza. Era il luogo in cui mi ero svegliata sotto una pioggia si piscio puzzolente. Sembravano passati mesi. Il cerchio si chiude, pensai, ed entrammo.
Decine di candele vermiglie, sparpagliate a casaccio, mi dettero l’impressione di entrare in un cimitero al calar delle tenebre. E non ero così lontana dalla realtà. C’era ancora la sedia da dentista, su cui avevo passato i primi due giorni di prigionia, legata e sporca di escrementi. E davanti, c’era anche il tavolo ricoperto da oggetti strani e deformi, ma questa volta sapevo di cosa si trattava. Pinze, tenaglie, bisturi e divaricatori sporchi di sangue, e tutto l’equipaggiamento di un perfetto serial killer, erano lì, in bella mostra.
Poi c’era il resto della stanza, che non avevo visto la prima volta, perché mi dava le spalle.
Descrivere la scena che vidi è impresa folle, perché la realtà che mi si presentava davanti era come un mano che esce dalla tomba per artigliarti una gamba.
Una masnada di lestofanti e puttane di ogni razza e colore se ne stava appollaita, su sedie e poltrone, in ogni angolo della stanza, come un gruppo di avvoltoi pronti ad aggredire una carcassa. Chi vestito di tutto punto, chi con i pantaloni calati e chi completamente nudo, ma tutti, lanciati in un delirio di orge di sesso, alcol e droghe, battevano le mani a tempo di musica. E nel mezzo, Ilma, ricoperta di sostanze che non ci voleva molta fantasia ad indovinare. Ballava un improbabile walzer appiccicata, come la merda ad un pannolino, ad una giovane donna dalle curve appena accennate. La giovane donna che la stringeva a se era molto magra ed emaciata, e si muoveva con passo incerto su tacchi vertiginosi e calze a rete tenute su da un reggicalze di pizzo nero. Il seno, quasi invisibile, era coperto da un reggiseno abbinato. Sullo sfondo, in ginocchio, il collo chiuso in un cappio in fondo ad un bastone, stava Jamal, nudo come un verme, le palle gonfie e viola, il petto pieno di tagli e bruciature di sigarette, e il volto tumefatto. Dietro di lui, una donna bianca, con una mascherina sugli occhi, agghindata come in un film di fantascienza di serie B, lo frustava svogliata. La scena era così folle da sembrare quasi comica. Quando la donna ci vide il suo volto apatico si incendiò, mi passò davanti correndo, e corse ad abbracciare Jasper.
I nostri guardiani ci scaraventarono in terra, in un angolo buio. Un tuono rimbombò forte, e il drago si svegliò. Alena, prima di cadere, battè una musata sul muro che le ruppe il labbro inferiore, inondandole il mento di sangue. Indossava ancora il dildo viola, e quando la gente nella sala se ne accorse le battute oscene si sprecarono come spermatozoi nel culo. Io, invece, precipitai, inaspettatamente, su qualcosa di morbido, che mi disse “Ohi!”.
Cercai di rimettermi in piedi, contorcendomi come un pesce in una barca. Due mani delicate presero la testa. “Lucia?”
“Thomas”. Lo scrutai al buio come una civetta. Era smagrito fino all’osso e sporco come una concimaia, ma non sembrava avere nè lividi nè segni di percosse. Mi guardò con due occhi lucidi e sbalorditi, ma sani. “Thomas” bisbigliai “Stai bene?” lo toccai per accertarmi che fosse vero.
“Si, mai stato meglio.” Mi sorrise in modo sarcastico, ma amaro. “Non mi hanno fatto nulla” deglutì “Nulla di quello che hanno fatto a loro” indicò il centro della stanza dove Ilma e la giovane donna ballavano ancora. “E tu come stai?” mi scrutò addosso, e i suoi occhi indugiarono, pieni di compassione, sul mio corpo di apprendista puttana.
Mi sentii lurida come una fogna e mi vergognai come non mi è mai più successo in vita mia. “ Thomas, non ti preoccupare. È stata dura, ma mi hanno trattato bene. È una storia lunga e Jamal mi ha …” sentii che stavo per piangere.
“Buona, buona, Lucia, tranquilla, non ci pensare”.
“No, ormai, c’è poco da pensare, siamo finiti. Jamal…..”
“Quel tizio pesto laggiù?” mi interruppe di nuovo “Lo so, ero presente. Se usciremo di qui ci vorrà molto tempo prima che riesca a togliermi dalla testa quello che gli hanno fatto”.
Lo guardai avvilita.
“Mi sembra di intuire che, in qualche modo, tra te e lui ci sia qualcosa. Non voglio indagare fino a che punto, e perché, tu sia legata a lui. Io sono rimasto in isolamento totale per tutto questo tempo. L’unica cosa che so è che tutto questo è colpa di quel maledetto figlio di puttana di mio padre. Ma credimi, il tuo amico moribondo laggiù è la nostra unica possibilità di fuga”.
Guardai Jamal “Allora siamo morti.”
“Ascoltami Lucia, se avessero fatto a me quello che hanno fatto a lui, sarei morto dieci volte. Non mi chiedere perché, io qui non ci capisco un cazzo, ma qualcosa mi dice che se abbiamo una possibilità, questa è lui”.
Scrutai la stanza, disperata, e fui come ipnotizzata dalla donna che, adesso, con la lingua stava scavando un cratere nella bocca di Jasper. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, tanto era assurda la sua natura. Non indossava, in pratica, niente che potesse chiamarsi vestito. Ma non era neanche nuda. Stivali neri e lucidi le coprivano le gambe fino a mezza coscia. Dalle zeppe, su cui camminava, si dipanavano strane lingue di fuoco. Al posto delle mutandine indossava una specie di placca nera che le copriva, appena, l’inguine, dal pube fino allo spacco del sedere. La placca non aveva nessun elastico che la sorreggeva, ma stava immobile anche mentre Juliet camminava. Pensai che l’unico modo, per stare li dove era, era che avesse una fascia adesiva. Il seno era coperto da due coppe di lattice, aderenti, forate al centro, da dove spuntavano, ben visibili, le aureole dei capezzoli grossi e duri, chiusi con anelli lucidi. Le due coppe, anch’esse nere, erano sorrette da delle fasce sottili ed elastiche, che risalivano sulle spalle scendendo ai lati della colonna vertebrale come due piccole pinne, e finivano, con un brillante ciascuna, sulle due fossette appena sopra la curva del sedere. Anche quelle pensai dovevano essere adesive. Ma la cosa assurda e insensata erano le decine di anelli dorati che le ricoprivano la schiena fino a formare come due ali d’angelo.
“Padrone e imperatore. Attendevo il tuo ritorno con ansia.” Esordì la donna.
Non potei fare a meno di sorridere sentendo quelle parole. Padrone e imperatore?! Ma questa era di fuori come una campana, pensai.
“Ti ho portato dei nuovi giocattoli, infima sgualdrina” rispose Jasper baciandola sulla mano.
La scena assumeva sempre più un tono farsesco.
“Grazie mio supremo. Non sono degna di cotale regalo, o illustrissimo. Sbrodolo tutta di umori per te.”
Il drago ghignò. Io esplosi in una risata. Tutte le teste si voltarono verso di me. Sguardi duri, mi fissarono. Occhi sbalorditi, mi squadrarono con ambigua compassione. Un vento gelido mi percorse le ossa dall’interno.
“Bene, bene, bene. Sentiamo cosa ha da ridere la zoccola bianca” Jasper mi sorrise con denti da alligatore.
Io cercai di rendermi invisibile, ma annaspavo nel terrore puro.
La donna bianca mi si avvicinò, mi strattonò per un braccio, con una forza inaspettata, e mi buttò in mezzo alla sala. Rimasi in terrà fissandomi i capezzoli sotto la seta. Cominciò a girarmi intorno come uno squalo. Camminava leggera e sicura su quelle zeppe alte, come ci fosse nata. Da vicino notai che la pelle della schiena, dove gli anelli erano infilzati, era torturata e lacerata in più punti. Quale che fosse lo scopo di quegli osceni piercing, doveva essere di un’aberrazione impensabile.
“Alzati cagna”.
Non osai disubbidirle.
“Ma che bella zoccola sei diventata”. Mi accarezzò con fare sbarazzino i seni e la schiena.
Il drago ringhiò lungo tutta la spina dorsale.
“Che insano vestitino. Non è il mio stile, ma ti dona molto” mi disse, scrutandomi come un oggetto in saldo.
“Ooooh, ma qui siamo sul modello geisha. Fai la zoccola orientale” Io non osai muovermi, mi batteva forte il cuore nel petto seminudo.
“Che bell’animale” con le dita seguì le forme del drago dipinto, dal seno, giù lungo la schiena. Sentii la sua mano insinuarsi tra le gambe come un viscido rettile. Il drago sputò fiamme. Io fui scossa da un brivido.
“Freme la troia, mio sovrano. Ha voglia. E la capisco” intanto continuava a girarmi intorno e ad accarezzarmi in maniera sempre più libidinosa. “Cosa potrà averle mai dato tuo fratello. Poverina.” mi guardò con una faccia triste e patetica, che esplose subito dopo in una risata acida e ripugnante “Ma ci pensiamo noi, vero mio Re? Si, ci penso io a te, adesso” Alzai la testa sgomenta e incrociammo i nostri occhi. Le sue pupille erano nere sabbie mobili, che mi risucchiarono dentro come in un vortice. Tentai con tutte le forze di distogliere lo sguardo, ma ero attratta inesorabilmente da quei due buchi neri, come un’astronave alla deriva.
Quando la donna si allontanò dirigendosi verso il centro della sala, sentii come se delle catene invisibili mi si spezzassero sui polsi. Lasciai andare un grande sospiro. La troia da fantascienza si fermò a pochi passi da dove, Ilma e l’altra giovane ragazza in autoreggenti, danzavano ancora attaccate in quel modo strambo. La ragazza in autoreggenti la guardò impaurita, mentre Ilma, invece, non dette alcun segno di vita e continuò a muoversi come in catalessi. Il volto della puttana spaziale si contrasse in uno sguardo di puro odio e, con una velocità incredibile, lasciò partire un calcio sul costato di Ilma. Mentre la povera fanciulla volava a terra, un piccolo cazzo rosso e pulsante le uscì dalla fica e rimase assurdamente attaccato al corpo della giovane ragazza in tacchi a spillo. Istintivamente mi chiusi le braccia al petto in un piccolo urlo di ribrezzo. Non era una ragazza, ora lo vedevo, era Greg. Oh Mio Dio. Sembrava davvero una donna, così conciato. Che cosa gli fosse successo, in quel momento, non osavo immaginarlo. Greg, rimase un attimo spaesato, in piedi in mezzo alla sala, poi, come se lo avessero colto a rubare la marmellata, corse piagnucolante a nascondersi tra le braccia di un uomo vestito di grigio e dall’aspetto inaspettatamente elegante.
“Tieni a bada la tua checca isteria, Doc, o la do in pasto a Orso, che se lo lavora di nuovo a puntino”.
Doc accarezzò Greg con ambigua dolcezza “Non ti preoccupare tesoruccio.”
Greg gli si rannicchiò tra le gambe con la faccia terrorizzata. “Tieni, non ci pensare.” Doc si sbottonò i pantaloni e liberò dalle mutande il cazzo moscio e nero. “Tieni piccolina. A te ci pensa DOC”. Greg ci si tuffò sopra, come un bimbo affamato sul biberon, e cominciò a ciucciare, ondeggiando con il corpo, con un ritmo catatonico. Mi portai una mano alla bocca in preda alla disperazione.
La donna di Jasper si avvicinò di nuovo ad Ilma che, in terra, mugolava stringendosi il fianco in preda a spasmi di dolore.
“Mi fa schifo anche toccarti, schifosa.” Le tirò un altro calcio che la fece urlare più di prima. “Toglietemi questa latrina dai piedi” urlò.
In fondo alla sala si alzò una figura scura come la notte più nera. Il tizio che avevo visto violentare Ilma, venne verso di noi. “Mia piccola regina…”
“Orso, portala via, e rinchiudila nel tuo scannatoio, che fa schifo solo a sentirla da come puzza di merda. Dovresti trattarla meglio la tua roba. Questa sta già morendo, non lo vedi? Le troie non le vendono ai grandi magazzini”.
Orso fece un inchino ossequioso, anche se dal suo sorriso ambiguo si capiva che non riconosceva quella donna come una vera autorità. Lei parve non accorgersene, e si voltò verso Jasper cercando un segno di approvazione.
“Che bella riunione di famiglia.” Jasper sedeva su una poltrona, accanto alla porta “Cara, schifosa mia sgualdrina. Mostrale cosa sa fare una vera donna come te” disse indicandomi.
Mentre Orso prendeva Ilma per i capelli e la trascinava, agonizzante, per la stanza, io, con le mani ancora alla bocca, sentii tutto l’alcol che avevo bevuto salirmi in gola. La troia spaziale mi prese per il mento. “Allora, cara zoccoletta, cosa ti ha insegnato Jamal?”
Non aveva alcun senso rispondere. Se dovevo morire non volevo regalarle anche la soddisfazione di sentire la voce del mio strazio.
“Mia giovane sacca di sperma,” mi fissò dritta negli occhi, di nuovo. “Lucia” mi disse.
Come faceva a sapere il mio nome? E poi quella voce…. Aveva un suono famigliare. La scrutai attentamente, ma quelle gambe, quelle assurde mutande e il petto, così oscenamente ostentato, non mi dicevano assolutamente niente.
“Sei solo merda di scimmia!” osservò la mia reazione, ma io non battei ciglio. “Adesso ti faccio vedere cosa sa fare una vera donna.”
Si avvicinò ad un paio di individui, che tutti nudi, si trastullavano il pene con noncuranza. Si chinò e ne prese uno in bocca fino ai testicoli. Con quel movimento vidi i brillanti, che ornavano la base delle fasce nere di lattice sulla sua schiena, tendersi. E di colpo compresi l’orrore. Erano bulloni. Quella sorta di esoscheletro di latex, che le saliva dal seno e le scendeva sulla schiena, era avvitato. Cazzo. Era fissato ad un paio di piercing. Vidi la pelle slabbrarsi al punto che mi sembrò si staccasse. La donna si alzò leccandosi le labbra in modo osceno e ripugnante. Prese il pene di entrambi gli uomini tra le mani e se li portò dietro, come cagnolini al guinzaglio, fino al centro della sala, a pochi passi da me. Piegò le ginocchia ed allargò le cosce, si prese con le mani la placca che le ricopriva entrambi gli orifizi, e cominciò a tirare. Non era colla quella che teneva la striscia nera attaccata alla pelle. A fatica se la sfilò da sotto l’inguine. Avrei visto una smorfia di vaga agonia sul suo volto, se l’avessi osservato, ma la mia attenzione era tutta fissata su due enormi falli di acciaio lucente che, attaccati alla placca di metallo, le si stavano sfilando dalla fica e dal culo. In confronto, il cazzo di Jamal sembrava quello di un gattino. E fu in quell’attimo che la sensazione di famigliarità di pochi attimi prima prese sostanza. Juliet. Quella era juliet. Immobile dove ero, sentii il pavimento incollarsi ai miei piedi scalzi. Se fosse esplosa una bomba, avrebbero trovato il mio corpo incenerito ancora lì, in piedi. Che le avevano fatto, in nome del demonio. Il mio disprezzo verso di lei si trasformò in pena. La guardai con compassione e tenerezza, mentre lei lasciava cadere il suo infernale dildo in terra. Pensai a come cercare di comunicarle che ero li, che non era sola, mentre lei prendeva i cazzi dei due banditi, di nuovo in mano, e se li portava alla bocca. Fui tentata di parlarle, dirle che poteva contare su di me, quando lei alzò la testa, i cazzi che si alternavano nel suo esofago come sonde, e mi guardò. La sua espressione mi atterrì: era pazza.
I due uomini, le montarono sopra, e stringendo una manciata di anelli per mano, la alzarono di peso. Gli occhi di Juliet si rigirarono all’indietro. Sul volto, il dolore le incise delle rughe profonde, mentre le labbra si allargavano in un sorriso ampio e tirato. Altri uomini si avvicinarono spiritati. Avevano una corda in mano. Cominciarono a passarla dentro gli anelli. Vedevo i muscoli dei due aguzzini, che la tenevano alzata da terra, gonfiarsi. Un paio di anelli si staccarono, strappando la carne tesa e martoriata di Juliet, che urlò di dolore. Dei rivoli si sangue cominciarono a scenderle sui fianchi come merda di piccione. Poi gli uomini infilarono la corda in un gancio fissato al soffitto. Mentre la calavano ad un metro di altezza, il più grosso del gruppo prese le due cime della corda con una mano, e le strinse un fianco con le unghie dell’altra. Con un’agilità che mi dette i brividi spinse il cazzo dentro, e cominciò a scoparla. La folla di gente nella stanza esultò come ad una corrida, e cominciò a vociare a tempo. Juliet annaspava con le braccia in avanti, come in cerca di un appiglio, mentre il suo corpo torturato, ondeggiava paurosamente avanti e indietro. Ogni volta che il cazzo del bandito le arrivava in fondo alla fica, la pelle martoriata dagli anelli strideva e si allungava in un modo agghiacciante.
“E prendimi per bene, cane rognoso, ancora non hai imparato?” gli urlò Juliet, contorcendo il volto in spasmi di dolore.
L’uomo allungò la mano libera verso il collo di Juliet e lo strinse forte. La ragazza cominciò ad ansimare. Il volto cianotico, contratto dal dolore, sembrava, adesso, alternare momenti di intenso piacere.
Girando la testa, al limite di un esorcismo, puntò le iridi su di me. “Lucia, adesso mi riconosci?.” E iniziò a ridere.
Quelle parole mi riscossero come da un incantesimo. Non volevo fare quella fine. NO, meglio morire subito. Il mio sguardo corse per tutta la stanza, nella folle ricerca di una soluzione immediata. Una pistola, un coltello, una maniera qualsiasi per morire veloce. Vidi Thomas che guardava Juliet, con la bocca aperta e gli occhi spalancati; Jamal, come inebetito, fissare il vuoto; Greg, che pompava il dottore come in preda a catalessi, la bava che gli scendeva dalla bocca; Ilma, il viso contorto dal dolore, che massaggiava il cazzo di Orso come fosse un coniglietto. E vidi jasper, il Re pazzo che si alzò dalla sedia con fare annoiato.
“La solita vecchia storia della troia appesa. Vista e rivista. Qui ci vuole qualcosa per movimentare un po’ la festa” prese Alena per un braccio e, trascinandola, la scaraventò accanto a jamal. “Visto la tua dolce metà? Che pensieri carini ha per le sue amiche? E te che non hai mai voluto scopartela. Sei proprio il solito coglione.”
Si chinò all’orecchio di Jamal, ma disse ad alta voce “E invece guarda che troia. Te lo avevo detto che le donne sono tutte puttane. Come sua sorella. Ma tu nulla” vidi gli occhi di jamal aprirsi sgomenti, come gli occhi di un vampiro al sorgere del sole. “Mio caro fratellone, è possibile che non mi dai mai ascolto. Ho tentato di aiutarti, in tutti i modi, ma tu nulla. Guarda che fine hai fatto. Tutto per quella puttana di Samia”
lo sguardo di Jamal si fece d’improvviso limpido come se si fosse risvegliato da un incubo, e fissò il fratello con espressione attonita.
“Samia!” Jamal biascicò quel nome come la risposta ad una domanda che cominciava a formarsi nella sua mente “Samia?”
“Guarda quella vacca dove ti ha portato. Cristo, Jamal, andava tutto bene, fino a che non hai incontrato quella puttana da due soldi. Potevi avere tutte le troie del pianeta, ma tu no. Volevi quella. Non mi hai lasciato altra scelta. E, cazzo, non ti è servito neanche di lezione. A nulla”
Jamal strinse le palpebre in un modo inquietante e con la bocca impastata biascicò: “Jasper”.
“Mi fai pena fratellone. Tu e il tuo cuore d’oro. Non sei mai stato chi vuoi farci credere. E invece hai dovuto propinarci una cazzo di fottuta pantomima per vent’anni” disse rivolto al suo pubblico “The Slayer. Ma fammi il piacere.”
“Che cosa stai dicendo?” Jamal riuscì a pronunciare una frase tutta intera, attraverso le labbra gonfie e impastate di sangue.
Jasper gli battè le nocche sulla testa “Ma allora sei tonto forte. Sono stato io a far la spia. Fratellone”.
Li per lì Jamal rimase immobile gli occhi puntati sul fratello. “Tu”.
“Si, io, fratellone. L’ho fatto per il tuo bene, ma tu non hai capito un cazzo e alla fine hai peggiorato solo le cose. Con questa mania degli studi. Ma che palle. E tu qui a divertirti, ed io a fanculo. Questo è il mio posto. Qui è dove sono sempre dovuto stare. Adesso, finalmente eccomi qua. A divertirmi un pò anche io, come vedi”.
Jamal chiuse gli occhi “Jasper” sussurrò.
“Si fratellone?” sorrideva beato.
“Jasper”.
“Si fratellone sono qui” ammiccava alla folla nella sala.
“Tu non uscirai vivo da questa stanza”.
Jasper scoppiò in una fragorosa risata.
“Ti sei messo a fare il comico? The Slayer che fa il comico, questa si che è bella.” Tutti nella sala risero. “ Non si dica che anche io non so scherzare. Adesso la tua cara dolce Alena ti pianterà il suo bel cazzo di gomma nel culo. Ma per gioco!”.
Alena divenne paonazza e quasi svenne dal dolore.
Jasper le tirò un calcio sul petto “Su, su, su, grassa vacca. Fai il tuo dovere. O sgozzo il tuo fidanzatino qui davanti a te, come un teeeenero capretto”.
Jamal fece per alzarsi, ma ricadde in ginocchio, il viso dolorante.
“Oh poverino, non ti senti bene? Hai bisogno di un tè, una tisana” gli dette uno schiaffo. Poi rivolto al tizio che lo teneva al guinzaglio “ Jinco, spingi questo stronzo in terra, e fagli alzare il culo”.
Jinco, tirò il bastone. Jamal non si mosse. Gli rifilò un calcio. Jamal non si mosse. Infine, prese la pistola che teneva in mano “Chinati, o ti faccio saltare la testa”.
Jamal alzò la testa. “Tu sarai il primo”. Jinco rise e alzò la rivoltella per colpirlo.
“Basta, Basta” disse Jasper. Poi rivolto a un paio di banditi li vicino “Mettetelo in posizione di partenza, e preparategli il culo a forza di calci, se necessario”. Ghignava felice.
Quando i tizzi lo presero per le gambe e lo misero a trequarti, Jamal, mi guardò. Spalancò le labbra e le mosse senza pronunciare suono. “DIVERSIVO”.
Io ero paralizzata, Cazzo, diversivo? Ero praticamente nuda, ubriaca, senza un’arma, la pelle arsa dal freddo, e una voglia matta di farmela addosso. Mi guardai intorno, che cazzo potevo fare? Mi prese il panico. Guardai Thomas e vidi anche le sue labbra muoversi. “DANZA” Anche lui doveva aver visto Jamal.
Chiusi gli occhi ed inspirai profondamente. Tutti i giorni di prigionia, tutte le torture subite, la sete di alcol che mi divorava la gola, tutte le botte, e ogni centimetro di cazzo che Jamal mi aveva fatto assaggiare, con gioia e con dolore, fino a rendermene schiava; tutto questo, non era che la preparazione a quel momento. Solo un lungo provino prima della mia esibizione. Adesso ero lì, sola, sul palcoscenico.
“Il sipario si alza. Comincia lo spettacolo.”
Guardai gli spettatori, immobile, come una puttana di fronte al suo primo cliente. Tutti erano schierati di fronte a me, come vampiri pronti a divorarmi, e cominciai a ballare. Galleggiando come un cadavere gonfio di gas, danzavo. Ad ogni mio movimento gli occhi dei presenti mi scopavano la bocca, mi divoravano le mammelle, mi sventravano la fica, e succhiavano ogni centimetro di carne morta che ricopriva le mie ossa. Ed io danzavo, con il culo, fradicio di sudore, che ammiccava come una banderuola al vento. Non avevo mai ballato in vita mia, eppure mi muovevo, e lo facevo bene. Ogni mio passo era scandito dal suono dei mille ninnoli che, come catene, ricoprivamo le mie vesti di schiava. Sentivo la gonna scivolarmi come un sudario sulle gambe esposte ai loro sguardi avidi, e i piedi nudi calpestare il pavimento laido e freddo come una tomba. Sentivo i seni, così maturi da cominciare a marcire, schiaffeggiare l’aria in un invito osceno. Mi dimenavo, con frenesia crescente, al ritmo del mio cuore terrorizzato, che colpiva il mio petto come un tamburo in mezzo alla giungla. Con movimenti, sempre più audaci e provocatori, mi accarezzavo in mezzo alle gambe, alzando la gonna, e liberando la mia vagina come una condannata a morte in un’arena piena di iene affamate. Sempre più spesso vedevo mani, sudice e corrotte, sfiorarsi labbra libidinose, scendere, con noncuranza, a trastullarsi la punta di membri duri come pugni nello stomaco. Volteggiavo leggera e morbida, come una vestale pronta al supplizio, e mettevo in bella evidenza il mio ano, largo e violaceo, pronto ad aprirsi al martirio. E mentre danzavo, il drago sulla mia schiena, in attesa, scrutava ogni ombra della stanza, fiammeggiando al ritmo dei miei muscoli indecenti. Più il tempo passava, più vedevo i volti di quei lebbrosi vampiri trasfigurare. Stavo rubando tempo alla morte, Jasper lo sapeva, e non la smetteva di ridacchiare in preda ad un’estasi demente. Cosa potevo fare, ancora? Jamal era steso a terra; Alena era accanto a lui, il fallo viola a penzoloni, pronta a subire il dolore più grande della sua vita; Juliet, mi guardava con occhi di odio folle e sconcertante, mentre subiva un supplizio senza perdono. La musica sondava l’aria come un serpente in attesa della sua preda, mentre una danza di morte mi spingeva verso quel momento in cui la scure si sarebbe posata sul mio collo, inesorabile. D’un tratto pestai qualcosa di tagliente. Sentii nettamente la pelle aprirsi, come burro, sotto la pianta nuda del mio piede destro, urlai e caddi a terra. Uno scoppio di risate scosse la stanza come un terremoto. E un tuono lo seguì cupo e tenebroso. Alzai la testa e mi ritrovai davanti al naso un enorme cazzo nero. Incrociai gli occhi scuri del suo proprietario. Vi lessi solo una cosa: che era giunto il momento in cui tutti mi avrebbero scopato, come un’ape regina nel momento della sua fecondazione, fino ad ammazzarmi. Solo che io non ero una regina. In quel momento ebbi un’idea. Gli presi il cazzo in bocca e, spingendolo oltre le mie tonsille, lo ciucciai come una caramella, facendomelo scivolare fuori, tra i denti stretti. Puzzava di piscio. Il bandito fu così sorpreso ed estasiato che non ebbe il tempo prendere l’iniziativa. Mi buttai subito sul secondo cazzo, pronto, lì accanto, e spinsi a forza dentro la gola anche quello. Puzzava più del primo, e sentivo granelli si sudicio fetore violentarmi la lingua. Acidi succhi gastrici mi tornarono in gola. Ma passai al terzo e al quarto. E così via. Più mi muovevo tra la gente, più vedevo espandersi le risate e l’euforia. Mi dimenavo, ciucciando, posseduta da un incantesimo voodoo, ripulendo i loro cazzi dalle schifezze che vi dimoravano sopra chissà da quanti giorni, e cercando con tutte le mie forze di non vomitare. In quel giro osceno, stringendo testicoli e graffiando culi, mi ritrovai di fronte Orso. Mi bloccai di colpo. Il suo cazzo immenso mi galleggiava a pochi centimetri, stretto tra le dita piccole e fragili di Ilma. Lui rideva. Se lo prese tra le mani e me lo porse come un dono nuziale. Allungai le mani tremanti, ma rimasi immobile. Incrociai gli occhi di Ilma. Due occhioni azzurri, in mezzo ad un viso trasfigurato dall’eroina e da chissà quali sostanze, mi fissavano senza vedermi. La pelle era di un viola scuro quasi trasparente, i capelli un tempo biondi, ora, le ricadevano secchi e atrofizzati sulle spalle nude e contorte. I seni le scivolavano avvizziti sul corpo, come pere marce, e le costole le spuntavano in fuori come radici morte. Tutto il corpo era ricoperto da graffi e cicatrici anche profonde, incrostate di sporco e liquami indecifrabili. E puzzava. Puzzava come un cadavere in decomposizione. Aveva ragione Juliet, probabilmente era anche malata. Un taglio sul braccio destro era giallo e verde, e la pelle intorno sembrava come morta. Setticemia o tetano. Per un attimo la rividi piena e fresca, gli occhi vivi, la pelle arrossata dal sole, nelle lunghe notti, a parlare e ridere, insieme. Così bella e di fragile dolcezza. E ripensai a quegli ingenui sentimenti che mi avevano fatto pensare, per la prima volta, di essere bisessuale. Cosa che poi si era rivelata più che vera.
Il drago, dimenò la coda sulla mia coscia in un sussulto di compassione. Presi Ilma per mano e la tirai via dal mostro. Lei si alzò come fosse stata fatta d’aria. La abbracciai e cominciammo a ballare. O meglio, io ballavo, lei era un cadavere senz’anima che seguiva il mio tempo. Mentre giravamo sentivo il cuore battermi forte. Fissavo quel blu un tempo vivo delle sue pupille. La strinsi forte. Il drago ruggì.
“Lucia, sei tu Lucia” mi fissò sveglia.
“Ilma, cazzo, Ilma” mi sembrava impossibile. La strinsi forte “Ilma, dobbiamo andarcene. Ho un piano”.
Lei mi accarezzò dolcemente la guancia “Non posso venire con te”.
“Ilma, possiamo tug…” mi fece cenno di stare zitta. Poi, con una dolcezza infinita, chiuse gli occhi e accostò le sue labbra alle mie. Sentii le croste di sudicio sulla pelle arida sfiorarmi. Dischiuse la bocca e un fetore di morte mi trapassò la gola. Sembrava un incubo, ma quando le nostre lingue si incontrarono sentii la sua anima baciare la mia. Dopo lunghi secondi si staccò, così, surreale come si era avvicinata.
Poi, il suono della sua voce. “Sono incinta. Un piccolo mostro sta crescendo dentro di me. E quando sarà grande, mi scoperà, come hanno fatto i suoi padri prima di lui, e sarò la sua puttana, e la puttana di suo figlio”.
Il drago si contorse sul mio seno. Il cuore mi gelò nel petto. Tentai di controbattere, ma cosa potevo dire di fronte a tutto quello? Cosa poteva fare, di fronte a quell’incubo?”
“Voglio solo che mi faccia un favore. Non dire mai a nessuno cosa sono diventata” e così dicendo si allontanò dal mio abbraccio e corse, ballando da sola, fino al tavolo.
“Ti voglio bene Lucia.” prese un bisturi e si tagliò la gola, da parte a parte.
Il drago mi scavò nei fianchi, dal dolore. L’urlo della mia disperazione sovrastò la sala, mentre il sangue schizzava via dalla gola di Ilma, portandosi dietro la sua triste vita.
Tutti erano come paralizzati, mentre fissavano attoniti, il suo cadavere scivolare a terra, in un lago di sangue. E in quel momento, Jamal, disteso a terra, le palle gonfie come tumori, le gambe e le braccia spezzate dalle botte, guizzò in avanti, come un lupo affamato, allungò gli artigli e strappò la carotide al suo carceriere. Fu un attimo. Questi lasciò andare bastone e pistola, gorgogliando. Jamal la strinse al volo, prese la mira e premette il grilletto. Lo sparo tagliò l’aria come un bisturi. Il volto di Jasper passò dalla gioia alla perplessità; si toccò il petto e quando vide la mano insanguinata, passò al terrore, poi crollò a terra, morto.
E fu l’inferno.
Io mi gettai sul pavimento, mentre una pioggia di proiettili riempì la stanza come uno stormo impazzito. Jamal aveva ancora dei fedelissimi, che avevano solo apsettato il momento propizio. Nel trambusto che ne scaturì c’erano uomini che sparavano, donne che si lanciavano con coltelli affilati, e disperati senz’anima che cercavano una via di fuga. Una candela cadde sul divano dove, come se nulla fosse, Greg stava ancora ciucciando il cazzo del dottore, ma non si era accorto un proiettile lo aveva centrato in un occhio. Il divano, unto e sporco di chissà quali schifezze, prese fuoco come carta di giornale. Le fiamme si attaccarono sulle calze di Greg come sanguisughe. In pochi attimi fu ricoperto dalle fiamme. Quando si stacco dal quel cazzo morto, urlando in un atroce delirio, fu centrato anche lui da una scarica di revolverate. Nel panico, cominciai a strisciare verso la porta, e passai sotto Juliet proprio un attimo prima che la morte raggiungesse anche l’uomo che la stava seviziando. Juliet, appesa come carne al macello, urlando tutta la sua disperazione per la morte del suo amato Jasper, si schiantò a terra impotente. Feci per alzarmi, ma scivolai nel sangue di ilma. Mentre sgusciavo in quella pozza rossa sentii un dolore lancinante alla gamba. Juliet mi aveva piantato un coltello nel polpaccio. Il drago sulla mia schiena si irrigidì. Col mio tallone nudo Le sparai un calcio dritto in bocca, così forte, che sentii i sui denti rompersi e ferirmi il piede.
“Puttana” gracchio direttamente dall’inferno, la bocca rossa come una vagina ustionata. Mi infilò una mano nella fica, per tirarsi su, e mi si lanciò al collo con l’altro braccio alzato. Con una mano le bloccai il polso. Il coltello si fermò a pochi centimetri dalla mia gola, mentre con l’altra l’agguantai per gli anelli inchiodati alla schiena. Gli occhi mi si annebbiarono dalle lacrime di dolore, Juliet mi stava scarnificando le labbra della vagina fino a scavarmi l’utero. La sua faccia, a pochi centimetri dalla mia, era una maschera di sangue e odio. Lentamente il coltello mi stava affondando nel collo. Stavo per morire. Allungai una mano dietro la schiena di Juliet, in preda alla disperazione, e trovai uno dei diamanti che teneva la fascia di plastica fissata alla sua schiena. Tirai con tutte le mie forze. Sentii la pelle sbranarsi e mi fece orrore, ma Juliet, urlando nel delirio del dolore lasciò andare il coltello e si inarcò all’indietro come un verme in agonia. Il drago mi artigliò il culo con furore e scalciò con tutta la sua forza. Io colpii Juliet, di nuovo, con il tallone, in pieno mento. Vidi il suo collo piegarsi in modo innaturale e la sua testa accasciarsi a terra. Avevo ucciso Juliet. Cazzo, avevo ucciso Juliet. Ero sotto shock, e non mi accorsi dell’ombra che mi sovrastò da dietro, e mi prese per il collo.
“Grazie, finalmente qualcuno è riuscito far star zitta quella maledetta troia.” Stringeva e stringeva, ma era più forte di me, e tutte le mie energie si erano bruciate nella lotta con Juliet. Sentii l’ossigeno abbandonare il cervello e proprio quando stavo per svenire, un’onda di sangue mi sgorgò sul corpo sofferente, inzuppandomi completamente il vestito. L’ombra cadde all’indietro con un pesante tonfo. A pochi passi da me, Thomas mi fissava sbalordito, con il fucile ancora alzato.
Mi corse incontro. “Tutto bene, ce la fai ad alzarti?”
Feci cenno di si con la testa, e mentre cercavo di mettermi in piedi, vidi il cadavere di Orso, disteso, con due buchi di culo aggiuntivi, uno in faccia e uno in mezzo alle gambe. Scivolai sul sangue. Le gambe non mi reggevano.
Poi mi sentii tirare su come se stessi per spiccare il volo. “E’ l’ora di togliere le tende, dolcezza”.
“Jamal”.
Jamal, Thomas, Alena, ed io uscimmo dalla stanza veloci come una cureggia dal culo.
Dietro di noi, lasciavamo una scia di cadaveri e sangue ancora in evoluzione, mentre le fiamme, che avevano attaccato già i mobili e le tende, divampavano furibonde.
“Non di là. Jasper avrà disseminato l’edificio dei suoi uomini” ci dirigemmo dalla parte opposta delle scale, verso la stanza in fondo al corridoio. Jamal si chiuse la porta alle spalle.
Io scivolai a terra, sgusciando sui piedi nudi, unti di sangue appiccicoso. Jamal si appoggiò alla porta con Alena, e Thomas rimase in piedi con il fucile ancora in mano. E in quel momento ci guardammo. Jamal era come uno zombi nudo uscito dalla tomba per vendicasi; Alena, si tolse il cazzo finto e lo lanciò con disprezzo sul muro; io ero, completamente ricoperta di sangue, sembravo una vampira dopo un’orgia.
“Sembrate mostri usciti dagli inferi” ci disse Tjomas accennando un sorriso.
“E’ giunto il momento di darci una rinfrescata” Jamal indicò la finestra.
Thomas spalancò le persiane. La pioggia gelida ci sferzò come una frusta. Si affacciò. “Tu sei fuori di testa amico”.
“E’ l’unica via d’uscita, bamboccio. O preferisci uscire dalla porta principale?” disse Jamal.
Gli spari si facevano sempre più vicini attraverso la porta chiusa.
“Fanculo” Thomas, lanciò il fucile, salì sul cornicione e si lanciò.
“Cristo” esclamai. Poi guardai Jamal.
“Prima le signore e i bambini” disse guardando prima Alena e poi me.
Mi affacciai alla finestra. Uno strapiombo di venti metri mi separava dalle onde in tempesta.
“Forza principessa, non abbiamo tutto il giorno”. Jamal mi guardò duro, mentre Alena, avvinghiata a lui, mi lanciò uno sguardo d’intesa e increspò le labbra in un sorriso dolce.
Ricambiai il mezzo sorriso, salii sul cornicione, e mi alzai in piedi. Il vento mi ghiacciava il sangue che mi vestiva come satana in persona. Allargai le braccia.
Il drago spiegò le ali e si lanciò in volo.

(FINE)

Postfazine

Raggiungere un posto di polizia sicuro, per Thomas e per me, non fu impresa facile, ma questa è un’altra storia. I giornali di tutto il mondo avevano dato molto risalto al nostro rapimento, e ancora di più ne dettero quando ci ritrovarono. Per settimane rimanemmo in ospedale, con la stampa asserragliata giù in strada. La fortezza in cui eravamo prigionieri, che si trovava su una piccola isola a qualche centinaio d metri dalla costa, bruciò quasi completamente. Il riconoscimento delle decine di cadaveri che vi erano seppelliti fu arduo e in alcuni casi impossibile. I corpi di Ilma e Gregory furono riportati nelle rispettive patrie. Il cadavere di Juliet, invece, non fu mai ritrovato. Meglio così, sarebbe stato difficile non riconoscere le torture subite, che il suo corpo martoriato dai piercing e chissà cos’altro aveva subito. Come avevo promesso alla povera Ilma, ne io ne Thomas raccontammo la sua triste fine, e così facemmo anche per il povero Gregory e la folle Juliet. In pratica ci accordammo su una verità fittizia in cui Jamal, Alena, e soprattutto il mio training di giovane puttana, non figurassero per nulla. Per questo e per le due fucilate ad Orso, sarò sempre legata a Thomas da un affetto indissolubile.
Ormai sono passati anni da quei tragici eventi, e non è stato per nulla facile superare tutti i traumi e le dipendenze che si erano annidate nel profondo della mia anima seviziata, ma adesso sono serena. Sono moglie di un uomo straordinario, che ha saputo capirmi e superare anche certe piccole manie che, purtroppo non sono riuscita ad abbandonare del tutto. E, soprattutto, sono madre due splendidi bambini, che sono la mia gioia più grande. Sento ancora Thomas, regolarmente. Certi legami non possono sciogliersi. A pochi giorni dal nostro ritrovamento, il cadavere di suo padre fu scoperto in un fosso. Da allora, Thomas ha passato la sua vita a cercare di pareggiare i conti con il male che suo padre aveva fatto in vita sua. Attualmente lavora per una organizzazione umanitaria in India. Tengo una foto di lui, abbracciato alla sua ragazza incinta, sulla mia scrivania al lavoro.
L’ultimo ricordo che ho di Jamal ed Alena è la loro immagine riflessa negli specchietti di un autobus mentre, mano nella mano, ci salutarono con un sorriso sincero. Ho avuto per anni sentimenti contrastanti nei loro riguardi, ma adesso, che ho fatto pace con i miei incubi, capisco che la vita è dura per tutti e che il passato si può distruggere solo migliorando il presente. A modo loro, Jamal e Alena, mi avevano tenuta in vita e poi aiutata a fuggire, anche se dalla loro stessa prigione. Mi piace immaginare, che siano riusciti a scappare in un paese lontano, e che abbiano avuto la possibilità di costruirsi una nova vita insieme. Anzi ne sono convinta.
Spesso ho cercato di dare un senso a tutto quello che mi è successo. Non ho trovato grosse risposte. Purtroppo certe cose, per quanto folli e terrificanti, accadono, e devi solo tener duro, sperando di veder sorgere di nuovo il sole, giorno dopo giorno. Ma una cosa credo di averla compresa: che la distanza che separa il bene dal male è una linea molto più sottile di quanto voi crediate.

P.S.: qualsiasi evento e persona, descritta finora, è frutto della mia immaginazione. Ed è, per me, importante precisare che sono contraria ad ogni tipo di violenza, perpetrata verso ogni forma di vita, e soprattutto verso bambini, donne e animali.
Con questo vi saluto e……. un grande bacio a chi ha avuto la pazienza di seguirmi in questo piccolo viaggio.

Kiss
di
scritto il
2010-10-05
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