Un amore ci vuole per ricordarci che siamo anche fragili
di
IoDicoSì
genere
etero
Nicoletta aveva le infradito di plastica, le mani bagnate dopo averle lavate nel bagno dell'autogrill dove si aggirava lungo il serpentello delle pubblicità obbligatorie. Si vedevano le sue trecce castane sorpassare i buchi degli scaffali pieni e il suo riflesso nel banco frigo, squadrato, vestita di pantaloncini e maglietta bianca con sotto un costumino; di profilo si scorgeva il suo ventre piatto, la sua vita stretta e sottile, le braccia esili coperte di sottile peluria abbronzata, le gambe sottili e lunghe, il seno piccolo coperto dal bikini bianco.
Nicoletta raggiuge i suoi compagni di classe al bar, primi anni con la macchina e l'emozione di andare al mare da soli; quella piccola libertà che sembrava riempire il cuore di novità.
Mentre versava lo zucchero nel caffè, sentì una musica passare dalle casse alte del locale - un bacio ancora....
e poi per sempre - girò il cucchiaio nella tazzina - Ciao ciao bambina... un bacio ancora... e poi per sempre... - nei suoi occhi incantati...
A volte capita di correre così tanto dietro la vita che ci dimentichiamo di viverla.
C'era un uomo che passava i suoi giorni come la maggior parte delle persone: sposato, i figli, il cane, la spesa da fare, il buongiorno e l'educazione verso il salumiere sotto casa, l'ufficio e l'impresa da mantenere, la serietà e le sopracciglia crucce per il rimprovero... finché un giorno qualsiasi, uno qualunque, di agosto, si ritrovò a parlottare delle verità sull'oroscopo e gli instetti colorati nelle stanze, dei consigli dei genitori e delle mandorle tostate.
Luigi Maria, aveva 49 anni quando incontrò Nicoletta.
Quella mattina di giugno era soltanto andato a vedere i quadri di suo figlio al liceo; ma si mise una mano in tasca, vicino una porta, si sciolse il collo e gli cadde l'occhio su una figura minuta e snella.
Quel fantasmino in gonnellina e mutandine di cotone bianco gli fece chinare la testa, gli passava sotto il mento, quella testolina bruna che vezzeggiava d'innocenza e frivolezza gli fece sgranare gli occhi e la gola.
Nicoletta aveva diciotto anni, glielo disse proprio così, con leggerezza: ho diciotto anni adesso!
"No" la interruppe lui pizzicandole il naso quella volta "hai soltanto duecentosedici mesi" e si rimise la sigaretta in bocca.
"Che puoi fare che sei così piccola?" "Mi prendo la macchina" "e dove te ne vai?" "al mare, in pizzeria con gli amici" niente di più tenero e futile.
Luigi a volte voleva quasi piangere davanti a tutta quella tenerezza. Come quando la rivide al ristorante con i colleghi.
Lui stava fumando, ma ad un tavolo, sulla destra, un po' più lontano dal suo, sgranò di nuovo gli occhi cacciando fumo dal naso, sorpreso, nel vedere il suo adorabile fantasmino, tenero e pornografico, seduto ad un tavolo con i genitori.
Gli occhietti vispi di Nicoletta lo guardarono, come due nocciole, si morse il labbro, come se nulla potesse spezzare quell'incanto, come se già fosse stato scritto da qualche parte che potevano farlo.
Durante la loro unica estate, si facevano dei viaggetti fino al mare.
Luigi sceglieva la sua auto più bella, le cantava Ciao Ciao Bambina, come se non avesse più pesi sul cuore; perché la leggerezza è questa, non è frivolezza ma la consapevolezza di poter ancora sognare.
Durante la loro unica estate, Nicoletta gli baciava le labbra lentamente, sentendo il suo respiro sulle sue, l'alito leggero di chi ha chiuso gli occhi per lasciarsi andare.
Si lasciava prendere da dietro, si sdraiava sulle lenuzola fresche a pancia in giù e si lasciava entrare nella carne lentamente, non era la stessa cosa con i suoi amici come aveva sempre fatto; si sentiva stringere le mani, la fronte e la nuca sudare, un respiro pesante dietro la schiena di chi sta scopando senza trattenersi; un uomo alle spalle che vuole sentire il suo calore e la sua pelle, la sua carne calda dentro.
Lui le entrava lentamente nell'ano, lei stringeva le lenzuola per il bruciore e poi si rilassava quando lui raggiungeva la base del pene.
Poggiava le palle gonfie sulle labbra umide della ragazza, calde e tremanti, ricoperte di sottile peluria; a lei piaceva quella sensazione, si sentiva piena.
La prendeva da sotto, le stringeva le spalle e le scopava il culo pesantemente, mentre le parlava all'orecchio e le faceva piegare il collo; lei chiudeva gli occhi e si lasciava muovere.
"Sei adorabile, la tua schiena mi fai impazzire, ti fai prendere come una santa puttanella" e lei a quelle parole ansimava forte, le si bloccava il respiro per il piacere.
Quando poi si sentiva il peso di lui tutto sulla schiena, un respiro mozzato, il bacino stretto alle sue natiche scure e sode, chiudeva gli occhi e aspettava di sentire il calore che le piaceva tanto.
Arrivava puntuale, Lui le riempiva il retto a dovere, le sussurrava che l'amava e si scaricava; mentre lei godeva di quel calore.
Una sera in auto, fermi vicino ad una riviera, lei si sedette su di lui, scostando le mutandine, sollevando la gonna.
Bramava il suo corpo, si spinse il membro dentro fino alla base, dove poteva sentire sulla sua pelle sensibile i peli fulvi del pube.
Sentiva la carne dura attraversarle la piccola fessura, era umidiccia e calda, mentre lui le tirava la maglietta, con le gambe lunghe aperte, la schiena poggiata dietro, in preda al piacere.
Le accarezzava il culetto con una mano, gli piaceva sfiorarle l'ano, quel buchino stretto e fresco; lei glielo lasciava fare, lui lo massaggiava ed ogni tanto ci infilava un dito, mentre lei godeva a muoversi sul suo palo di carne.
Lentamente, pesantemente, poi sempre più veloce, si contorceva, muoveva le cosce per prendere più centimetri possibili; le diventava sempre il viso rosso, le sudava sempre la fronte quando faceva caldo "muoviti, godi ancora, tesoro mio" la incitava lui mentre giocava con il suo buchino dietro.
Lei si fermò tenendo tutto il cazzo dentro, sentendo un dito estraneo entrare nel suo lato B. Chiuse gli occhi e sospirò piano, tenendosi la gonna sollevata, mentre lui la squadrava.
"Sono venuta..." disse poggiando la fronte sulla spalla di lui.
Così l'abbracciò, la strinse, la spingeva soltanto muovendo il bacino, piccoli colpi dentro di lei soltanto per svuotarsi le palle gonfie.
Le riempì il suo dolce pertugio, rosso e caldo, tremante.
Verso la fine di luglio Nicoletta andò ad una festa, era ubriaca e il suo amante la venne a prendere.
Si fermarono in una campagna, lungo la strada, sotto i grilli e le cicale, il cielo trapuntato di stelle.
Lui era poggiato all'auto, lei si era accovacciata sull'erba, si era tolta le mutandine e si liberava bagnando i filetti verdi sotto di lei.
Lui la guardava, guardava il suo getto sottile scendere giù, a braccia incrociate; si avvicinò a lei con un fazzolettino e lei si sollevò con le ginocchia tremanti. L'uomo le asciugò le labbra bagnate, la pulì dolcemente, mentre lei teneva la gonna sollevata.
Mentre le strofinava il fazzolettino, iniziò ad insistere sul clitoride, ci giocava, mentre scappò un bacio, pesante, con la lingua.
Finì per far l'amore con lei, in piedi, su quel prato al buio.
Si sentiva il culetto di lei sbattere contro il bacino, i sospiri veloci, ma questa volta non le sarebbe venuto dentro.
Le venne in bocca, mentre lei era inginocchiata sul terreno, le teneva i capelli e le ripeteva che l'amava, che l'amava così tanto che non poteva proprio capire; così tanto che le guardava bene in bocca, sulla lingua e in gola come entrava il suo caldo e denso sperma.
Quanto piaceva a Luigi il corpo della sua ragazzina. Aveva il negativo del costume, i capelli sempre profumati di shampoo, la peluria sulle braccia, sul pube; quella sul pube forse era la sua preferita, sottili peli da leccare, da toccare, quando si impregnavano erano viscidi e scintillanti.
Le diceva che non esisteva un manuale per fare il genitore, quando lei si lamentava della madre, e che un giorno anche loro si sarebbero ricordati com'era essere giovani.
Lui non lo sapeva se anche i segni potevano essere primi o secondari, se gli ascendenti si incrociavano con le lune, se poteva dirle di crederci. Lui le diceva che l'amava, ascoltava i suoi discorsi scemi, non aveva pazienza, era impazzito, forse.
Ma,
Non poteva andare avanti così, era stato bello tutto quanto, tutto l'amore. Ma allora perché l'amore dev'essere unico e raro per essere definito tale?
Ascoltava soltanto le voci delle persone sotto casa, le auto, i rumori e le campane. Luigi lo sapeva che non poteva continuare, non poteva iniziare niente.
Quello che nasce nel cuore resta nel cuore. Non c'è poeta né scienziato capace di spiegare cos'è l'amore e cosa ci porta al suicidio.
I sentimenti non si sopprimono e neanche i ricordi; c'è una voce nella nostra cosiddetta "mente lucida" che ci spinge a fare delle scelte.
Luigi lo sapeva, ma anche la sua ragazzina, che quel giorno, tra quelle lenzuola, non doveva iniziare niente.
Non ci sono state lacrime, nessuno ha chiesto perché e cos'ha fatto, lo sapevano entrambi come sapevano che potevano vedersi fin dall'inzio per capire che sono anche loro fragili, innocenti, chiusi dentro a delle spalle.
L'amore a volte è bello perché finisce come un film, senza seguito. Lo pensavano: Io ti amo, amo tutte le storie che mi hai raccontato, le falene che abbiamo acchiappato, l'incoerenza e l'autodistruzione; amo i tuoi capelli, il tuo profumo e i passi che fai quando entri a casa. Avrei goduto di ogni cosa, ma non può essere reale. Dovrei tendere all'assurdo, ma non posso, perché ti amo.
Ciao ciao bambina, non ti voltare, non posso dirti: rimani ancor.
Vorrei trovare parole nuove ma piove piove sul nostro amor!
mail: eroticarol@yahoo.it
Nicoletta raggiuge i suoi compagni di classe al bar, primi anni con la macchina e l'emozione di andare al mare da soli; quella piccola libertà che sembrava riempire il cuore di novità.
Mentre versava lo zucchero nel caffè, sentì una musica passare dalle casse alte del locale - un bacio ancora....
e poi per sempre - girò il cucchiaio nella tazzina - Ciao ciao bambina... un bacio ancora... e poi per sempre... - nei suoi occhi incantati...
A volte capita di correre così tanto dietro la vita che ci dimentichiamo di viverla.
C'era un uomo che passava i suoi giorni come la maggior parte delle persone: sposato, i figli, il cane, la spesa da fare, il buongiorno e l'educazione verso il salumiere sotto casa, l'ufficio e l'impresa da mantenere, la serietà e le sopracciglia crucce per il rimprovero... finché un giorno qualsiasi, uno qualunque, di agosto, si ritrovò a parlottare delle verità sull'oroscopo e gli instetti colorati nelle stanze, dei consigli dei genitori e delle mandorle tostate.
Luigi Maria, aveva 49 anni quando incontrò Nicoletta.
Quella mattina di giugno era soltanto andato a vedere i quadri di suo figlio al liceo; ma si mise una mano in tasca, vicino una porta, si sciolse il collo e gli cadde l'occhio su una figura minuta e snella.
Quel fantasmino in gonnellina e mutandine di cotone bianco gli fece chinare la testa, gli passava sotto il mento, quella testolina bruna che vezzeggiava d'innocenza e frivolezza gli fece sgranare gli occhi e la gola.
Nicoletta aveva diciotto anni, glielo disse proprio così, con leggerezza: ho diciotto anni adesso!
"No" la interruppe lui pizzicandole il naso quella volta "hai soltanto duecentosedici mesi" e si rimise la sigaretta in bocca.
"Che puoi fare che sei così piccola?" "Mi prendo la macchina" "e dove te ne vai?" "al mare, in pizzeria con gli amici" niente di più tenero e futile.
Luigi a volte voleva quasi piangere davanti a tutta quella tenerezza. Come quando la rivide al ristorante con i colleghi.
Lui stava fumando, ma ad un tavolo, sulla destra, un po' più lontano dal suo, sgranò di nuovo gli occhi cacciando fumo dal naso, sorpreso, nel vedere il suo adorabile fantasmino, tenero e pornografico, seduto ad un tavolo con i genitori.
Gli occhietti vispi di Nicoletta lo guardarono, come due nocciole, si morse il labbro, come se nulla potesse spezzare quell'incanto, come se già fosse stato scritto da qualche parte che potevano farlo.
Durante la loro unica estate, si facevano dei viaggetti fino al mare.
Luigi sceglieva la sua auto più bella, le cantava Ciao Ciao Bambina, come se non avesse più pesi sul cuore; perché la leggerezza è questa, non è frivolezza ma la consapevolezza di poter ancora sognare.
Durante la loro unica estate, Nicoletta gli baciava le labbra lentamente, sentendo il suo respiro sulle sue, l'alito leggero di chi ha chiuso gli occhi per lasciarsi andare.
Si lasciava prendere da dietro, si sdraiava sulle lenuzola fresche a pancia in giù e si lasciava entrare nella carne lentamente, non era la stessa cosa con i suoi amici come aveva sempre fatto; si sentiva stringere le mani, la fronte e la nuca sudare, un respiro pesante dietro la schiena di chi sta scopando senza trattenersi; un uomo alle spalle che vuole sentire il suo calore e la sua pelle, la sua carne calda dentro.
Lui le entrava lentamente nell'ano, lei stringeva le lenzuola per il bruciore e poi si rilassava quando lui raggiungeva la base del pene.
Poggiava le palle gonfie sulle labbra umide della ragazza, calde e tremanti, ricoperte di sottile peluria; a lei piaceva quella sensazione, si sentiva piena.
La prendeva da sotto, le stringeva le spalle e le scopava il culo pesantemente, mentre le parlava all'orecchio e le faceva piegare il collo; lei chiudeva gli occhi e si lasciava muovere.
"Sei adorabile, la tua schiena mi fai impazzire, ti fai prendere come una santa puttanella" e lei a quelle parole ansimava forte, le si bloccava il respiro per il piacere.
Quando poi si sentiva il peso di lui tutto sulla schiena, un respiro mozzato, il bacino stretto alle sue natiche scure e sode, chiudeva gli occhi e aspettava di sentire il calore che le piaceva tanto.
Arrivava puntuale, Lui le riempiva il retto a dovere, le sussurrava che l'amava e si scaricava; mentre lei godeva di quel calore.
Una sera in auto, fermi vicino ad una riviera, lei si sedette su di lui, scostando le mutandine, sollevando la gonna.
Bramava il suo corpo, si spinse il membro dentro fino alla base, dove poteva sentire sulla sua pelle sensibile i peli fulvi del pube.
Sentiva la carne dura attraversarle la piccola fessura, era umidiccia e calda, mentre lui le tirava la maglietta, con le gambe lunghe aperte, la schiena poggiata dietro, in preda al piacere.
Le accarezzava il culetto con una mano, gli piaceva sfiorarle l'ano, quel buchino stretto e fresco; lei glielo lasciava fare, lui lo massaggiava ed ogni tanto ci infilava un dito, mentre lei godeva a muoversi sul suo palo di carne.
Lentamente, pesantemente, poi sempre più veloce, si contorceva, muoveva le cosce per prendere più centimetri possibili; le diventava sempre il viso rosso, le sudava sempre la fronte quando faceva caldo "muoviti, godi ancora, tesoro mio" la incitava lui mentre giocava con il suo buchino dietro.
Lei si fermò tenendo tutto il cazzo dentro, sentendo un dito estraneo entrare nel suo lato B. Chiuse gli occhi e sospirò piano, tenendosi la gonna sollevata, mentre lui la squadrava.
"Sono venuta..." disse poggiando la fronte sulla spalla di lui.
Così l'abbracciò, la strinse, la spingeva soltanto muovendo il bacino, piccoli colpi dentro di lei soltanto per svuotarsi le palle gonfie.
Le riempì il suo dolce pertugio, rosso e caldo, tremante.
Verso la fine di luglio Nicoletta andò ad una festa, era ubriaca e il suo amante la venne a prendere.
Si fermarono in una campagna, lungo la strada, sotto i grilli e le cicale, il cielo trapuntato di stelle.
Lui era poggiato all'auto, lei si era accovacciata sull'erba, si era tolta le mutandine e si liberava bagnando i filetti verdi sotto di lei.
Lui la guardava, guardava il suo getto sottile scendere giù, a braccia incrociate; si avvicinò a lei con un fazzolettino e lei si sollevò con le ginocchia tremanti. L'uomo le asciugò le labbra bagnate, la pulì dolcemente, mentre lei teneva la gonna sollevata.
Mentre le strofinava il fazzolettino, iniziò ad insistere sul clitoride, ci giocava, mentre scappò un bacio, pesante, con la lingua.
Finì per far l'amore con lei, in piedi, su quel prato al buio.
Si sentiva il culetto di lei sbattere contro il bacino, i sospiri veloci, ma questa volta non le sarebbe venuto dentro.
Le venne in bocca, mentre lei era inginocchiata sul terreno, le teneva i capelli e le ripeteva che l'amava, che l'amava così tanto che non poteva proprio capire; così tanto che le guardava bene in bocca, sulla lingua e in gola come entrava il suo caldo e denso sperma.
Quanto piaceva a Luigi il corpo della sua ragazzina. Aveva il negativo del costume, i capelli sempre profumati di shampoo, la peluria sulle braccia, sul pube; quella sul pube forse era la sua preferita, sottili peli da leccare, da toccare, quando si impregnavano erano viscidi e scintillanti.
Le diceva che non esisteva un manuale per fare il genitore, quando lei si lamentava della madre, e che un giorno anche loro si sarebbero ricordati com'era essere giovani.
Lui non lo sapeva se anche i segni potevano essere primi o secondari, se gli ascendenti si incrociavano con le lune, se poteva dirle di crederci. Lui le diceva che l'amava, ascoltava i suoi discorsi scemi, non aveva pazienza, era impazzito, forse.
Ma,
Non poteva andare avanti così, era stato bello tutto quanto, tutto l'amore. Ma allora perché l'amore dev'essere unico e raro per essere definito tale?
Ascoltava soltanto le voci delle persone sotto casa, le auto, i rumori e le campane. Luigi lo sapeva che non poteva continuare, non poteva iniziare niente.
Quello che nasce nel cuore resta nel cuore. Non c'è poeta né scienziato capace di spiegare cos'è l'amore e cosa ci porta al suicidio.
I sentimenti non si sopprimono e neanche i ricordi; c'è una voce nella nostra cosiddetta "mente lucida" che ci spinge a fare delle scelte.
Luigi lo sapeva, ma anche la sua ragazzina, che quel giorno, tra quelle lenzuola, non doveva iniziare niente.
Non ci sono state lacrime, nessuno ha chiesto perché e cos'ha fatto, lo sapevano entrambi come sapevano che potevano vedersi fin dall'inzio per capire che sono anche loro fragili, innocenti, chiusi dentro a delle spalle.
L'amore a volte è bello perché finisce come un film, senza seguito. Lo pensavano: Io ti amo, amo tutte le storie che mi hai raccontato, le falene che abbiamo acchiappato, l'incoerenza e l'autodistruzione; amo i tuoi capelli, il tuo profumo e i passi che fai quando entri a casa. Avrei goduto di ogni cosa, ma non può essere reale. Dovrei tendere all'assurdo, ma non posso, perché ti amo.
Ciao ciao bambina, non ti voltare, non posso dirti: rimani ancor.
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