L'insegnante di piano - Capitolo 2: Attraverso lo specchio

di
genere
orge

In fondo alla stanza, circondata dai cinque uomini che avevo visto entrare, c'era Patrizia. Le sue forme giunoniche erano violentemente scosse dai corpi degli invitati, che approfittavano delle sue grazie senza darle un attimo di tregua e le lasciavano a stento il tempo di tirare fiato. Portava una benda nera tirata sugli occhi e dalle smorfie disegnate sulla sua faccia si capiva bene quanto quella privazione le procurasse piacere: quando non era piena, la sua bocca era in continua metamorfosi e passava da sorrisi maliziosi a urla di dolore senza soluzione di continuità. Stringeva i denti fino a digrignarli e cominciava a muovere i fianchi e il bacino sempre più brutalmente, incitando chi era di turno a ficcarlo. "Fammi male" diceva a denti stretti "più forte....". Vidi il suo corpo vibrare di piacere e quando per l'ennesima volta scattò come una molla alle violenze subite compresi che la donna di fronte a me era ben diversa da quella che avevo immaginato nelle mie fantasie. La dolcezza che emanava quando le sue dita correvano veloci e leggere fra le note era svanita lasciando il posto ad un inaspettato sadismo e la sua espressione, appena riconoscibile sotto la sottile benda, era diversa da quella che avevo conosciuto in quei lunghi anni. Un brivido mi percorse la schiena e più eccitato che mai mi diressi verso il gruppetto a passi veloci.

Quando li raggiunsi per prendere parte due degli invitati la stavano scopando con una foga inaudita. Il più magro dei due era disteso su una superficie orizzontale rialzata, che riconobbi essere lo sgabello del pianoforte, e l'altro, un omone grosso e muscoloso con un uccello di dimensioni spropositate, si trovava in piedi alle spalle di Patrizia e la penetrava da dietro. Lei, per offrire al meglio il lato B al gigante che la teneva per i fianchi, si schiacciava con forza addosso al mingherlino premendo le enormi bocce sul suo petto, e lasciava il movimento ai due - che la colpivano proprio per bene, alternando botti morbidi e ritmici a sferzate violente - mentre per quanto poteva continuava ad offrirsi agli uomini restanti, aprendo la bocca e andando a tentoni con le mani, alla ricerca delle ombre che la circondavano.

In quel momento mi accorsi che ero di gran lunga il più dotato dei presenti e la cosa mi esaltò non poco. Neanche il cazzone del gigante poteva reggere il confronto con i venti e passa centimetri di carne che mi ritrovavo fra le gambe, e a vedere quanto lei godeva del dolore mi convinsi che se giocavo bene le mie carte avrei potuto farle perdere la testa.

Il ragazzo che si trovava di fronte a me la afferrò per i capelli e cacciò un urlo rauco e autoritario, che mi richiamò alla realtà. "Vieni qui!". disse tirandola a sé per i lunghi ricci, e dopo averle infilato il cazzo in gola si lasciò andare ai suoi famelici giochi di lingua e di bocca, fino a venire con un violento scossone. Patrizia inghiottì come fosse stato il piatto più prelibato e il giovane tolse lentamente l'arnese e si diresse verso un banchetto dove erano appoggiati asciugamani e acqua fresca. Decisi che era il mio momento e approfittai dell'apertura per farmi strada fino a lei.

Arrivai dove il mio compagno di avventura aveva appena goduto dell'orgasmo e mi posizionai in piedi alla fine dello sgabello, dove il magrolino teneva poggiata la testa. Il mio cazzo era ritto a pochi centimetri dal suo viso e potevo sentire sulla cappella il respiro della bocca che aveva stregato i miei sonni. Mi avvicinai ancora con fare convinto e poggiai l'asta sul suo viso, carezzando la pelle di giglio come a segnalarle che ero arrivato. Sentendolo strusciare sulla guancia dovette accorgersi delle dimensioni perchè fece giusto in tempo ad esclamare sorpresa "Mmm che bello..." prima di afferrarlo rapidamente con un guizzo della mano e infilarselo in bocca con avidità.

Non appena sentii l'umido della sua lingua sulla cappella mossi un lungo passo in avanti, spingendo il mio affare buoni dieci centimetri dentro di lei. Avevo la distinta sensazione di riempirla completamente e mano a mano che continuavo ad entrare sentivo la sua lingua giocare dolcemente con il sotto dell'asta. Lei faceva fatica a respirare ma non dava cenno di resa così continuai fino ad essere completamente dentro: non mi era mai capitato di trovare una donna che potesse prendermelo tutto in gola ed ero completamente rapito dall'inedita sensazione dei gemiti e delle urla che si infrangevano sulla cappella, trasformandosi in gorgoglii indistinti.

Il magrolino e il gigante dovevano essersi accorti che si trovava in difficoltà e avevano smesso di martellarla, così afferrai i suoi ricci infuocati e cominciai a scoparle la faccia con colpi profondi e decisi. Era qualcosa di magnifico: la sensazione di completo avvolgimento e la visione di quel volto, che pur se paonazzo e schiumante sembrava chiederne di più, mi eccitarono a tal punto che sentii quasi subito la necessità di venire. Sfilai velocemente l'uccello e le esplosi in faccia una quantità di seme che non avevo mai visto prima, ricoprendole il viso di sperma caldo.

I due erano ancora dentro ma erano rimasti fermi nell'attesa e adesso la guardavano boccheggiare per riprendere fiato. Le ci volle sorprendentemente poco per recuperare e non appena tornò a respirare normalmente si portò in bocca quanto sperma poteva con un vorace giro di lingua, pulendosi con il braccio i rimasugli. Era visibilmente scossa. "Bravo ragazzo" mi disse ansimando "vieni qui...". Pronunciò quella richiesta con un fare da animale in calore che mi provocò una reazione immediata e il mio uccello si gonfiò e ricominciò a pulsare.

Mi avvicinai di nuovo e quando lei percepii i miei passi si sfilò con cautela dal magrolino, balzò in piedi barcollando e si avvicinò a tentoni fino a schiacciare il pesante seno sul mio petto. Essendo cieca voleva vedere con il corpo, e cominciò a strusciarmi addosso con movimenti felini. Le sue tettone scivolarono sul busto fino a raggiungere l'oggetto del desiderio, che riempì di baci e leccate e morsi e abbracciò con i seni in un bollente amplesso. Aiutandosi con le mani strinse i meloni attorno all'attrezzo e il mio pacco fu come inghiottito da quei soffici frutti. Dopo aver giocato un po' con l'arnese si rialzò tenendosi appiccicata e si girò appoggiando la schiena su di me, per poi cominciare una danza suadente. "Ti piace..?" mi sussurrò con un filo di voce, inclinando leggermente la testa. Per tutta risposta le presi in bocca il lobo dell'orecchio e scesi fino a succhiarle il collo come un vampiro. Il balletto dei sensi continuava e lei si alzava e si abbassava, sfregandosi il gingillo sulla schiena, e sul collo e sul bel culone. Sentivo che la mia vita sarebbe potuta finire in quel momento, e non me ne sarebbe importato, avevo raggiunto il mio Nirvana personale.

Terminato il ballo si staccò da me e mosse qualche passo incerto allungando la mano in direzione degli altri. L'omone la afferrò e la tirò a se con uno strattone e solo quando la vidi sbattere sul corpo tutto muscoli del gigante mi ripresi dallo stato onirico in cui mi aveva precipitato la Circe, ricordandomi che non eravamo soli. Gli altri dovevano aver visto tutta la scena ed erano parecchio arrapati perchè appena lei fu disponibile si fiondarono sul suo corpo come un branco di cani affamati sull'osso.

Quello che seguì è impossibile da descrivere a parole. In quel mucchio di corpi che si venne a formare c'era chi la torchiava e chi la strizzava, chi le sborrava addosso e chi le infilava dita e oggetti nei pochi pertugi che avanzavano dei suoi buchi, sempre pieni della nostra carne. Una tempesta di lingue correva sul suo corpo assaggiando ogni suo umore e bocche affamate possedevano ogni suo respiro in un intreccio umido di baci e morsi e risucchi e lei, ad ogni crudeltà e ad ogni violenza rispondeva con mugolii di piacere animale e incitazioni a fare di peggio, a fare di più. Dall'esterno doveva assomigliare all'immagine che ci hanno descritto delle bolge infernali, ma vivere dal'interno quell'unità di sensi e di spiriti andando oltre la morale comune era qualcosa di angelico, di quasi divino.

Il corpo unico che eravamo diventati continuò a dimenarsi per un'interminabile ora, e quando ormai tutto era finito e io mi stavo allontanando con gli altri, sentii le dita affusolate di Patrizia stringersi attorno al mio polso. Mi girai e la vidi senza benda, con le braccia tese a trattenere me e il gigante. Si portò l'indice alle labbra per farci segno di non fiatare e una volta usciti gli altri ragazzi scese con le mani sul nostro corpo fino a raggiungere i testicoli, avvicinò il viso al nostro orecchio e massaggiando dolcemente i gioielli di entrambi sussurrò con un filo di voce "Non ho finito con voi...".


S.
scritto il
2016-08-20
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