Sculacciato per essermi masturbato

di
genere
masturbazione


Mi chiamo Gabriele,mi ricordo che quando avevo 12 anni, un pomeriggio di fine maggio an-dai in camera mia per farmi una sega, dopo che mia mamma era uscita per andare dalla sar-ta. Quando mi facevo le seghe mi distendevo sul letto in camera mia, con la porta chiusa, ma non a chiave in quanto mia madre aveva levato le chiavi dalle serrature di tutta la casa, bagno compreso e ciò per due motivi: primo, perché non potessi scappare a rinchiudermi da qualche parte quando mi doveva picchiare ( e ciò accadeva in media una volta alla settimana); secondo, perché temeva che potessi masturbarmi, e per questo entrava spesso a sorpresa in camera mia per controllare cosa stessi facendo. Anche quando andavo in bagno, spesso mia mamma entrava per vedere che non facessi quelle che lei chiamava “le porcherie”. Mia mamma, infatti, era una cattolica fanatica e considerava la masturbazione un peccato mortale. Mi aveva spiegato tutto, in merito, quando avevo undici anni e mi aveva proibito severamente di toccarmi “il pisellino”, come lo chiamavamo tra noi (Io, con i miei amici, lo chiamavo “cazzo”, e se mia mamma l’avesse saputo mi avrebbe fatto nero di botte). Quel pomeriggio, dunque, mi distesi sul letto con i pantaloncini corti abbassati alle caviglie e le mutande calate all’altezza delle ginocchia e, dopo aver pensato per un attimo ad una mia compagna di scuola, che portava sempre delle gonne piuttosto corte e le calzette bianche alle caviglie, ebbi una erezione immediata e cominciai a masturbarmi. Dopo circa un minuto, pensando alle gambe nude della mia compagna, fui invaso dal piacere e venni sul fazzoletto che avevo nella mia mano destra. In quell’istante mia madre entro’ in camera mia e appena mi vide lanciò un urlo di rabbia e orrore : ero sul letto, con la mano sinistra sul pisellino, avvolto in un fazzoletto impregnato del mio sperma. Mia mamma mi si avvicinò e mi diede uno schiaffo in piena faccia; cominciò a gridare che ero un maiale e che le avrei prese di santa ragione. Mi afferrò per un orecchio, mi fece mettere a pancia in giù sul letto ed incominciò a sculacciarmi forte con la mano. Imploravo perdono a mia madre, ma lei continuava a dire “ Te lo faccio nero questo sedere, ti insegno io a comportarti da maiale”. Poi mi fece mettere in piedi di fronte a lei, con il cazzo ancora bagnato; istintivamente mi coprii con le mani, ma mia madre mi diede un altro ceffone sulla guancia, intimandomi di rimanere con le mani incrociate dietro la testa mentre andava a prendere la cintura dei pantaloni. Appena seppi che sarebbe andata a prendere la cinta, mi salirono le lacrime agli occhi ed iniziai a piangere. Mia madre tornò con la cintura e, vedendomi piangere, mi assestò un terzo ceffone che mi fece vedere le stelle. Poi mi afferrò di nuovo per un orecchio urlandomi: “Piangi, eh? Tu hai fatto piangere Gesù e adesso io faccio piangere te” e mi fece nuovamente distendere sul letto, gridandomi “ Maiale, te la insegno io l’ educazione, ti tocchi il pisellino eh… adesso te ne do tante che per un po’ te le ricordi, ti faccio nero” e cosi dicendo cominciò a picchiarmi di santa ragione con la cinghia, sul sedere e sulle gambe, mentre piangevo a dirotto e imploravo inutilmente perdono. Dopo una battitura che mi sembrò durare un’eternità, mia madre mi disse: ”Vai a metterti in ginocchio nell’angolo con le mani dietro la testa, veloce!” e fece partire un altro ceffone. Singhiozzando, arrancai per la stanza con i pantaloncini e le mutande alle caviglie e andai a mettermi in ginocchio nell’angolo, come tanta volte avevo già fatto. Rimasi in ginocchio, tirando su con il naso, per circa mezz’ora, con il sedere e le gambe che bruciavano tantissimo. Poi mia madre venne a dirmi di andarmi a lavare, di mettermi il pi-giama e di filare a dormire: quella sera niente cena. Prima di mettermi a letto, mi guardai il sedere nello specchio dell’armadio: era tutto un misto di sfumature violacee. Le gambe erano attraversate da strisce rosso scuro e bluastre. Il giorno dopo, per andare a scuola senza far vedere i segni delle botte ottenni da mia madre il permesso eccezionale di mettermi i pantaloni lunghi (da metà aprile a metà ottobre mi faceva sempre portare i pan-taloni corti, cosa che mi procurava molte prese in giro da parte dei miei compagni). Tre gior-ni dopo, però, avevo l’ultima lezione di ginnastica dell’anno, e per ginnastica era obbligatorio l’uso dei pantaloncini corti. In tre giorni, i lividi più scuri erano sfumati, ma sulle gambe i segni delle cinghiate erano ancora evidenti. Inutilmente pregai mia mamma di farmi saltare quella lezione: feci la mia comparsa in palestra con le gambe a strisce, provocando l’ilarità generale. Era un’umiliazione che faceva parte della punizione. Passato il primo momento di ilarità, I miei compagni mi chiesero per quale motivo le avessi prese (ovviamente non dissi il vero motivo) e mi consolarono: anche nelle loro famiglie, in quanto a punizioni corporali non si scherzava di certo e sapevano bene cosa significava prendersi un fracco di botte.


scritto il
2010-11-07
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