Le turpi voglie della vicina

di
genere
orge

La terrazza era incastonata tra le ali della costruzione, al centro della masseria. Era protetta su tre lati dalle ali del fabbricato, mentre sul fronte c'era una balaustra ricoperta da cotto con sopra vasi di terraglia con vari fiori, la difendeva dalla visuale dabbasso. La casa era proprietà di mia moglie ma, la terrazza la dovevamo condividere con la vicina che occupava il lato sinistro della casa. La terrazza era stato terreno di continui scontri verbali durissimi, e spesso si sfiorava la possibilità di venire alle mani. Io che ero nuovo del posto, e magari più propenso ad ammorbidire la diatriba, mi trovai nel tempo coinvolto e spessissimo oggetto degli attacchi della vicina di nome Imma, che mi preferiva a mia moglie perché lei, mia moglie, non si faceva pregare due volte per tirare botte da orbi, e lei lo sapeva. Per contrastare la sua velleità avevo preso l’abitudine di soggiornare in terrazza, dove avevo posizionato una comoda sedia sdraio con un basso tavolinetto. Ci passavo i pomeriggi del dopo lavoro, oppure le serate calde della primavera . da quella posizione subivo i suoi aforismi, spesso ignorandola, ma comunque la tenevo d’occhio. La puttana si era accorta del gioco psicologico, rispondeva con cambi di strategia. Da poco notavo che nello sbrigare le faccende di casa, quando si trovava nella zona del balcone che dà sulla terrazza, non si curava affatto di coprirsi bene le gambe abbassandosi oppure nel salire sul basso scaletto mentre puliva le tapparelle. Io sfacciato le osservavo a viso aperto, anche perché ella non osava in presenza di mia moglie. Quel pomeriggio, stravaccato sulla sedia con pantaloncini corti ed una maglietta bianca, la osservavo attentamente; ella cantava stornelli con doppi sensi, sottolineando che io e mia moglie ancora non avevamo avuto figli ( per nostra scelta credetemi!). Mi sentii piccato nell’orgoglio, la troia sapeva dove andare a solleticare. Quel pomeriggio, non ressi oltre, mi alzai, e raggiunsi il suo balcone, redarguendola pesantemente, facendole leva con l’argomento “marito” ( il suo era sceso una sera per comperare le sigarette, e da tre anni ormai che non ha fatto ritorna da lei, preferì cambiare aria e città, abbandonandola) il battibecco prese una brutta piega, i toni salirono arrivando alle mani sull’uscio del balcone; le dovetti afferrare entrambe le mani, onde evitare che mi artigliasse il viso con quelle unghie affilate che si ritrovava. La tenevo a distanza di sicurezza, ma ci strattonavamo in modo violento, finché cademmo al suolo: io le finii addosso senza lasciare la presa ma, ero adagiato perfettamente tra le sue cosce aperte, con la gonna arrotolata alla vita. Il peso del mio corpo mi aiutava parecchio, date che ella pareva un’ossessa, sbraitava parole offensive. La cosa più cattiva, l’unica che mi venisse, e che più potesse offendere il suo orgoglio, mi sembrò quella di sfoggiare tutta la potenza del cazzo giovane e vigoroso del ventiquattrenne qual io ero. Facilitato dal contatto delle mie gambe nude contro le sue cosce scoperte, lisce come seta, dal fatto che il pene già premeva contro la sua fica protetta solo dal sottile velo delle mutande, ebbi la più turpe erezione che potessi ricordare; la cappella del cazzo premeva come un ariete da guerra contro il suo pube. Sentivo l’osso del bacino contro l’asta ritta, mi abbassai quel tanto che la punta centrò il vuoto della fica, quindi spinsi contro con rabbia e cattiveria contro le mutande che facevano da barriera. Più lei mi inveiva contro, più io spingevo con bramosia. Non osavo mollare la presa di una delle sue mani per poterle infilare dentro il cazzo, perciò continuai apostrofandola zoccola e puttana vecchia. Cedette, quasi di botto. Proruppe in lacrime, prima singhiozzando piano, poi sempre più forte, mollò la tensione delle braccia e si rilassò. Ne approfittai per divincolare una mano: non mosse dito; inforcai con la destra la mazza, divaricai con la punta le mutande su di un lato, e v’infilai dentro il cazzo. Scivolò dentro senza alcuna costrizione, come un coltello caldo nel panetto di burro. Ella faceva di tutto per non mostrare godimento ma, la sua fica parlava per lei. Spingevo ed avevo per obiettivo il fatto che ella non dovesse provare piacere da quella copula. Mi concentrai per non impiegare molto tempo ad arrivare all’orgasmo, pensando a come scopava la mia bellissima ed amata moglie. Vi riuscii. Venni schizzandole addosso tutto il liquido che usciva dalla mia canna. Comunque a prescindere il suo piacere l’aveva avuto anche ella. Ci alzammo ed ognuno si pulì per conto suo, io mi sedetti sulla solita sedia sdraio, pieno di orgoglio e tronfio della vendetta conseguita.
Nei giorni che seguirono, qualcosa era cambiato e si capiva dall’atteggiamento ch’ella teneva. Non rompeva più di tanto. Un altro pomeriggio a godermi il sole in terrazza seminudo, col beverone ghiacciato sul tavolino basso in vimini, rivista aperta e la più assoluta tranquillità chi mi potessi attendere. Ohe!  Non comincia di nuovo la cantilena? Cazzo, e di nuovo cazzo! Non è possibile, mi ripetevo! Raggiunsi il suo balcone aperto chiamandola ed ella rispose dall’interno, cominciò così di nuovo la solita solfa, ma stavolta ero più determinato, entrai e mi diressi verso do lei che, che sembrò attendermi nel solito vestito scuro liso e rattrappito. Arrivai di fronte a lei pronto per allungarle le mani addosso, qualcosa mi colpì alla nuca persi i sensi, e fu buio totale tutt’intorno a me.
Ripresi coscienza quanto tempo dopo non lo saprei dire ma, mi trovavo in un ambiente che somigliava moltissimo alla mia cantina, il dolore alla testa era lancinante. Mi trovavo completamente nudo, legate mani e piedi con funi grezze che fissate a due pilastri adiacenti, al centro della cantina, mi tenevano aperte le braccia e le gambe. Cazzo ero prigioniero ma, di chi? Un calcio nel culo mi fece male e sobbalzai, riprendendo piena coscienza. Non stavo sognando né era un brutto incubo. La figura scura in viso di Lina mi si parò davanti. Mi sputò addosso, tirandomi un ceffone. Fece il giro intorno a me, con aria sogghignante, poi mi si fermò padrona assoluta davanti, tese la mano destra afferrando i miei genitali, scappellò il pene, scuotendolo violentemente, nel contempo lei sogghignava, un filo do bava le scendeva sul lato della bocca, da dietro improvvisamente un dito mi fu spinto nel culo; urlai per il dolore contemporaneo ai genitali ed al sedere. Dietro una figura con la testa coperta da una sorta do burka, aveva la parte inferiore completamente svestita: era una femmina, alquanto matura direi, con segni di varici appena visibili; al pube una folta peluria nera copriva la fica. Erano in due!  La puttana di fronte, Lina, si adoperava per farmi venire l’erezione, infatti, aveva sollevata e fatta cadere in terra la sua veste logora, e con due dita dilatava le labbrone della fica rossa nella cornice di peli nerissimi, l’altra, la sconosciuta, mi insultava, e mi leccava le chiappe, quindi si mosse diretta verso una sedia dove c’era una pera da clistere della capienza di almeno un litro, con una canna almeno dodici centimetri, larga più di un dito medio, l’afferrò e diretta dietro di me, l’infilò nel culo senza preamboli, con una crudeltà da aguzzina, pompò dentro il liquido caldo, davanti il cazzo mi si era ormai eretto, Lina lo menava in tutta la sua lunghezza. La sconosciuta si affiancò a Lina, lasciandomi nel culo la pera inserita con la pera sospesa; si abbassò e con la bocca spalancata ingollò il mio cazzo per buona parte, contemporaneamente masturbava Lina con due dita nella fica. Le due troie se la spassavano ai miei danni. Come avrei voluto afflosciare il cazzo, come avrei voluto non raggiungere l’orgasmo per non dare loro la sborra che le puttane certamente anelavano! Non potevo fare altro che subire l’umiliazione che mi infliggevano. La sconosciuta conosceva bene l’arte del sesso, infatti, mentre pompava, lo tirava fuori dalla capace bocca e con schiaffi violenti sul cazzo, me lo intorpidiva! Ripeté innumerevoli volte il gesto, il cazzo mi sembrò inturgidirsi all’inverosimile, era fasciato da vistose innervature intorno come se fosse ricoperto da ramificazioni dell’edera. La sconosciuta, prese dalla borsetta un flaconcino, lo aprì, ne versò poche gocce su uno straccio, con quello ne intrise tutto il glande e l’asta fino ai coglioni. Lì lì non avvertii niente, poi un torpore diffuso sembrò atrofizzare i nervi del cazzo; lo osservai stupito, era divenuto rosso infiammato, la parte terminale si ingrossava assumendo la forma tipica della clava, la cappella era deformata e di dimensioni equine direi e di un rosso intensissimo. Lei lo lavò con dell’acqua e una soluzione ivi disciolta. Ciò non cambiò lo stato in cui versava il mio sesso.  Lina si girò chinandosi in avanti, la sconosciuta le inforcò dentro il cazzo divenuto una mostruosità. Con molte difficoltà riuscirono a farlo entrare. Lina sculettava e spingeva avanti ed indietro, facendosi scorrere dentro la bestia, urlava laida la zoccola; la sconosciuta osservava estasiata la scena, felice come una pasqua che la sua mistura desse i risultati sperati! Era una fattucchiera! Si chinò a sua volta davanti a Lina dandole il culo, e per quello che potevo vedere Lina la stava leccando il buco del culo e la fica. Io veramente vivevo un incubo, poiché in tutto questo fare sesso, non avevo percezione né sensibilità, come se il cazzo enorme fosse un’appendice esterna del mio corpo, sì una protesi insomma! Non avrei mai avuto l’orgasmo in quelle condizioni, ormai da ore si sollazzavano col mio corpo. Quando Lina evidentemente sazia si distaccò sfilandosi il pene abnorme dal corpo, un fiotto di liquido schizzò dalla fica riversandosi al suolo e lungo le cosce, il pene mi pendeva oscillandomi fra le gambe gocciolando, con la punta sformata.  La sconosciuta tecnicamente non aveva goduto, perciò le due si diedero da fare: una cassapanca al centro della cantina fu coperta da una vecchia coperta, la sconosciuta si era allontanata, tornò tenendo al laccio un caprone enorme dalle corna davvero notevoli, di un bruno chiaro, lei si avvicinò a me, con l’alta mano sparse sul pene quello che poi si rivelò del sale, il caprone leccò goloso! Ero inorridito e spaventato, il pene sempre ingrossato pendeva ed oscillava ignaro di tanto obbrobrio. Le due si diressero verso la cassapanca tirandosi dietro l’animale, con una verga descrissero tutt’intorno ad un cerchio con centro una stella pentacolare, al centro della quale era la cassapanca. La sconosciuta vi si distese di schiena, allargando le cosce, il caprone la montò aiutato da Lina che gli trastullava il pene per farlo fuoriuscire, la bestia leccava il sale distribuito sul corpo della sconosciuta. Lina era riuscita a farlo eccitare. Guidò il sesso con la mano nella fica aperta della fattucchiera, il caprone si spinse più volte dentro poi si distaccò dall’amplesso infernale, nel frattempo la fattucchiera profferiva parole strane ed incomprensibili. Una cosa potei capire un tutta quella assurda vicenda, ella aveva goduto di quei pochi istanti in cui il caprone l’aveva posseduta! Certamente quello doveva essere un rito già altre volte officiato ma, quale era il destino riservatomi, cosa mi aspettava? Forse mi avrebbero ucciso e gettato in qualche pozzo nelle campagne.
Non lo fecero. Se ho potuto narrare questa vicenda, è evidente. Io non denunciai Lina per il sequestro e gli abusi sessuali subiti, lei non mi denunciò per la violenza carnale che le feci. Chi fosse la sconosciuta tutt’ora lo ignoro e non mi interessa scoprirlo, mi piace il mistero. Mi sono unito a loro, nei riti strani ed esoterici sessuali, io non sono credulone ma una cerchia così strana dove la trovo, per passare ore di curiosità e stranezze? Lady xxx così la chiamammo in seguito, si accoppiava e credo continui a farlo con gli animali ma, sempre in un contesto mistico. L’essenza che ungendo il cazzo lo fa smisurato e lo priva della sensibilità potrebbe fruttare fior di quattrini ma, la composizione è sua e la custodisce gelosamente, dice, che la formula non è di questo mondo.
scritto il
2010-12-08
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