Due mercoledi al mese: posseduta
di
DarkEnjoy
genere
dominazione
Posseduta... se uso questa parola è perché la sento perfettamente calzante al mio stato attuale: posseduta non solo sessualmente, ma nel senso specifico di “appartenere” consenzientemente a qualcun altro. E tutto questo sta accadendo da sei mesi. Ma non pensiate a qualche ennesima declinazione masochistica, era molto di più: ero io, in verità, a "possedermi" (caspita! sento già il vostro commento tra voi e voi, un po' ironico).
La prima volta che si affacciò nella mia vita questa frase “Due mercoledi al mese” capii subito che era qualcosa a me familiare, qualcosa di cui nessuno mi aveva mai parlato ma che io anelavo da tempo, senza saperlo ovviamente... quasi fosse impresso in me come una sorta di vocabolario intimo, personale.
Beh, le cose andarono così: conoscevo abbastanza bene un uomo (chiamiamolo Mark, per comodità), di cui, pur essendo molto più giovane, ne ero rimasta molto incuriosita: lo sentivo come uno strano ‘soggetto’, una persona apparentemente molto pacata ma che percepivo nettamente fredda, aggressiva e lacerantemente risoluta. Nello stesso momento, pur essendone incuriosita, ero anche conscia dell’impossibilità di veder alcun sviluppo possibile a questa mia curiosità: la situazione esterna non lo avrebbero permesso. E così mi sentivo 'sicura' e 'al riparo' da eventuali scosse: lo avevo incasellato, nella biblioteca della mia mente, nello scaffale "impossibile".
Era un mercoledi e mi chiese di uscire in uno di quegli accoglienti bar cittadini all’ora dell’aperitivo: il caldo del sud non lasciava scampo giusto fino a quell’ora: verso le 19 un vento si alzava prima timido e poi teso, dal mare. Seduta di fronte a lui, fu proprio una folata di vento che ci permise di iniziare a capirsi: la mia gonna si sollevò ed espose molto bene i miei slip. Per la menti contorte come le sue – questo era il mio retro-pensiero che ebbi vestendomi - non bisogna mai seguire le strade della logica comune: dunque nulla di appariscente, i veri uomini sanno guardare oltre e aspettare quanto basta. E così mi ritrovai seduta davanti a lui, con la gonna alzata e il mio spacco ben in vista: lui mi parlò fissando per molto tempo ostentatamente dentro le mie gambe e disse: “Visto che ti senti cosi tanto eccitata e nello stesso tempo siamo anche nell’impossibilità oggettiva, per molte ragioni (ragioni che io conoscevo benissimo, cioè: grande diversità di età, lavoro in comune, troppe amicizie in condivisione), di sperare in alcun sviluppo al nostro incontro, abbiamo solo una chance". Si fermò a parlare fissandomi quasta volta i capezzoli dei miei seni piccolissimi che tanto mi hanno fatto soffrire da giovane e, dopo quello che mi parve un'etrnità, riprese: "sì, una chance c'è, una di quelle in equilibrio tra il buio profondo del burrone e la noia insostenibile di una quotidianità già vista…” e sorridendo, aggiunse ”quegli equilibri che tanto ti piacciono. Dunque ti dicevo: ti do questo indirizzo, è di un infimo hotel ad 1 stella, della specie peggiore ed ogni due mercoledi alle 13, ti fai trovare dentro. Che cosa ti offro, ti starai domandando... Solo qualche ora di ‘sono quella che sono, sono quella che desidero’, cioè un ‘oasi temporale’ all’interno del quale molli tutto, mi capisci? Ti dico solo che per questa prima volta porterò del cibo, lo spargerò sul tuo corpo nudo (liquidi compresi) e lo mangerò e basta: null’altro. Ci vediamo tra tre giorni e 7 ore esatte, disse guardando l’orologio” e concluse “bonne soirée”.
E’ facile intuire che rimasi di stucco, sorpresa (ma veramente lo ero?) nel finire il mio cocktail di lim, lampone e gin ma soprattutto nel rivedermi il 'film'di quell’incontro scorrere dentro la mia mente: mi accorsi che ero molto sensibile sui capezzoli - molto, di già, pensai?
Ora sono passati già sei mesi da quei primi momenti e tutto nella mia vita si sta svolgendo nella più incredibile armonia e naturalità eccetto quelle ore di mercoledi: quindi lavoro, incontri di meditazione giapponese, amici e anche un fidanzatino, ecc…
Che cosa succede i 'quei mercoledi'?
Ve ne racconto solo 3 di questi pomeriggi. Il primo che ci tengo a raccontarvi è stato il più scarno ma non per questo meno insolito, eccitante e conturbante. Mi chiese di sdraiarmi e mi avvolse interamente in un manto di olio essenziale ed iniziò a massaggiarmi: ogni 15 minuti si fermava e mi chiedeva di descrivergli, sottovoce, quello che provavo. Arrivò sera, non mi accorsi di nulla: avevo l'eccitazione a fior di pelle ma nessuno mi aveva aiutato a farla esplodere. Andai a casa e mi misi a strusciarmi sulla coperta del letto e toccarmi in modo spasmodico pur di venire nel più breve tempo possibile. Sentii il suono dell'sms e c'era scritto: chi ti ha dato il permesso?
Un'altro ricordo travolgente fu senz’altro quando in camera il mio uomo apri un pacco, tirò fuori qualcosa che assomigliava ad un attrezzo ginnico e che poi invece si rivelò essere una specie di giogo per i piedi. Quando mi sistemai a testa in giù, nuda, ero impaurita ma anche incredibilmente felice e curiosa: mi stavo divertendo un sacco! Seguì una serie di carezze infinite, estenuanti, che non arrivrono mai a termine ed improvvisamente sentii due sensazioni contemporanee: un liquido caldo scorrere a fiotti giu per il mio corpo e poi un pene, che percepii come enorme. penetrarmi dall’alto… rimasi senza respiro. Avrei voluto che il tempo si fermasse, non volevo nè avere orgasmi nè che quel gioco finisse: avrei voluto solo fermare il tempo e rimanere semplicemente così, riempita.
Il secondo ricordo, invece, che mi rende ancora dopo tanto tempo inquieta è questo: appena arrivato in camera, io nel frattempo mi ero spogliata ed ero seduta alla finestra protesa verso un bellissimo albero presente nel cortile, si pose davanti a me, si tolse la giacca, abbassò la luce... solo dopo un po' mi chiese sussurrando: "chiudi gli occhi, concentrati sull'occhio che ti apparirà nel buio della tua mente, vacci dentro, sempre di più" Iniziò un lungo periodo in cui mi persi (o mi ritrovai?) in quest'occhio che si ingrandiva sempre di più, quasi ad inghiottirmi. Che cosa provavo? Che cosa stava succedendo? Nulla di particolare, ero dentro di me; per un bel po' di tempo ero sprofondata nell'interiorità più profonda della mia anima. Aprii gli occhi e mi accorsi di due cose: ero sola, lui se ne era andato e fuori inziava a fare buio. Sul tavolo tre pistacchi ed un bicchiere di ananas con un bigliettino "è per te". Fu come un fiore appoggiato delicatamente su un ripiano, il mio.
In verità ho anche un altro due ricordo.... ma è talmente sconvolgente che mi vergogno a raccontarlo: mi diede appuntamento in un hotel di lusso che aveva una camera con giardino privato: ero nuda e sdraita e.... si tratta di un qualcosa che aveva introdotto nella mia vagina ma qualcosa che non aveva preso le solite 'vie' davanti o dietro, bensì un’altra via, molto più sottile… scusatemi, non ce la faccio: me vergogno troppo sia di cosa mi aveva fatto e sia dello sconvolgente climax che provai tremando per molto tempo.
PS.
Il primo incontro (all’aperitivo intendo), terminò con queste sue parole: “amo i messaggi scritti, stasera ti mando un sms con scritto 'cielo'. Se tu vuoi andare avanti con il nostro progetto, scrivimi un messaggio con la parola ‘buio’. Stupiscimi!”, concluse.
Così feci, naturalmente e scrissi semplicemente: “buio” ma aggiunsi due sillabe, FS; quindi il mio messaggio in Whatsapp, fu: ‘buio FS’. Ad oggi non mi ha ancora chiesto cosa significasse FS … attendo paziente.
Sì, so che questi miei ricordi non susciteranno certo, al giorno d’oggi, particolare scalpore o scandalo ed io anche mi sento, come dire, tranquilla, serena. Ormai tutto è permesso e lecito, siamo quasi assuefatti a "qualsiasi novità" e non ci stupiamo più! Ma quello che non era scontato, invece, è questo: l’avere due “oasi” al mese in cui potevo essere io, mi dava un vantaggio su tutto e tutti, e mi sembrava che si prendesse cura di me una specie di serenità realizzativa, una specie di euforia costante come l’avrebbe definita il grande maestro Duchamp. E mi permise, senza dover dare alcuna rassicurazione o pegno o impegno, di provare il mio rapporto con il piacere: posso dire che nei suoi modi vedevo un'offerta di attenzione che mai avevo ricevuto, persa com'ero nelle banalità della quotidianeità e nelle mie reazioni così omologate e tristi in fin dei conti, nei miei continui e snervanti dialoghi interni in cui, anche se facevo finta che non fosse così, il mio io controllava perfettamente tutte le parti delle mie giornate togliendo ogni possibile vero stupore, gioia, sorpresa. Quell'uomo non mi aveva promesso nulla ma in verità stavo portandomi un dono preziosissimo: il vivere "qui e adesso" a contatto con la mia parte più selvaggia e scura. Grazie.
La prima volta che si affacciò nella mia vita questa frase “Due mercoledi al mese” capii subito che era qualcosa a me familiare, qualcosa di cui nessuno mi aveva mai parlato ma che io anelavo da tempo, senza saperlo ovviamente... quasi fosse impresso in me come una sorta di vocabolario intimo, personale.
Beh, le cose andarono così: conoscevo abbastanza bene un uomo (chiamiamolo Mark, per comodità), di cui, pur essendo molto più giovane, ne ero rimasta molto incuriosita: lo sentivo come uno strano ‘soggetto’, una persona apparentemente molto pacata ma che percepivo nettamente fredda, aggressiva e lacerantemente risoluta. Nello stesso momento, pur essendone incuriosita, ero anche conscia dell’impossibilità di veder alcun sviluppo possibile a questa mia curiosità: la situazione esterna non lo avrebbero permesso. E così mi sentivo 'sicura' e 'al riparo' da eventuali scosse: lo avevo incasellato, nella biblioteca della mia mente, nello scaffale "impossibile".
Era un mercoledi e mi chiese di uscire in uno di quegli accoglienti bar cittadini all’ora dell’aperitivo: il caldo del sud non lasciava scampo giusto fino a quell’ora: verso le 19 un vento si alzava prima timido e poi teso, dal mare. Seduta di fronte a lui, fu proprio una folata di vento che ci permise di iniziare a capirsi: la mia gonna si sollevò ed espose molto bene i miei slip. Per la menti contorte come le sue – questo era il mio retro-pensiero che ebbi vestendomi - non bisogna mai seguire le strade della logica comune: dunque nulla di appariscente, i veri uomini sanno guardare oltre e aspettare quanto basta. E così mi ritrovai seduta davanti a lui, con la gonna alzata e il mio spacco ben in vista: lui mi parlò fissando per molto tempo ostentatamente dentro le mie gambe e disse: “Visto che ti senti cosi tanto eccitata e nello stesso tempo siamo anche nell’impossibilità oggettiva, per molte ragioni (ragioni che io conoscevo benissimo, cioè: grande diversità di età, lavoro in comune, troppe amicizie in condivisione), di sperare in alcun sviluppo al nostro incontro, abbiamo solo una chance". Si fermò a parlare fissandomi quasta volta i capezzoli dei miei seni piccolissimi che tanto mi hanno fatto soffrire da giovane e, dopo quello che mi parve un'etrnità, riprese: "sì, una chance c'è, una di quelle in equilibrio tra il buio profondo del burrone e la noia insostenibile di una quotidianità già vista…” e sorridendo, aggiunse ”quegli equilibri che tanto ti piacciono. Dunque ti dicevo: ti do questo indirizzo, è di un infimo hotel ad 1 stella, della specie peggiore ed ogni due mercoledi alle 13, ti fai trovare dentro. Che cosa ti offro, ti starai domandando... Solo qualche ora di ‘sono quella che sono, sono quella che desidero’, cioè un ‘oasi temporale’ all’interno del quale molli tutto, mi capisci? Ti dico solo che per questa prima volta porterò del cibo, lo spargerò sul tuo corpo nudo (liquidi compresi) e lo mangerò e basta: null’altro. Ci vediamo tra tre giorni e 7 ore esatte, disse guardando l’orologio” e concluse “bonne soirée”.
E’ facile intuire che rimasi di stucco, sorpresa (ma veramente lo ero?) nel finire il mio cocktail di lim, lampone e gin ma soprattutto nel rivedermi il 'film'di quell’incontro scorrere dentro la mia mente: mi accorsi che ero molto sensibile sui capezzoli - molto, di già, pensai?
Ora sono passati già sei mesi da quei primi momenti e tutto nella mia vita si sta svolgendo nella più incredibile armonia e naturalità eccetto quelle ore di mercoledi: quindi lavoro, incontri di meditazione giapponese, amici e anche un fidanzatino, ecc…
Che cosa succede i 'quei mercoledi'?
Ve ne racconto solo 3 di questi pomeriggi. Il primo che ci tengo a raccontarvi è stato il più scarno ma non per questo meno insolito, eccitante e conturbante. Mi chiese di sdraiarmi e mi avvolse interamente in un manto di olio essenziale ed iniziò a massaggiarmi: ogni 15 minuti si fermava e mi chiedeva di descrivergli, sottovoce, quello che provavo. Arrivò sera, non mi accorsi di nulla: avevo l'eccitazione a fior di pelle ma nessuno mi aveva aiutato a farla esplodere. Andai a casa e mi misi a strusciarmi sulla coperta del letto e toccarmi in modo spasmodico pur di venire nel più breve tempo possibile. Sentii il suono dell'sms e c'era scritto: chi ti ha dato il permesso?
Un'altro ricordo travolgente fu senz’altro quando in camera il mio uomo apri un pacco, tirò fuori qualcosa che assomigliava ad un attrezzo ginnico e che poi invece si rivelò essere una specie di giogo per i piedi. Quando mi sistemai a testa in giù, nuda, ero impaurita ma anche incredibilmente felice e curiosa: mi stavo divertendo un sacco! Seguì una serie di carezze infinite, estenuanti, che non arrivrono mai a termine ed improvvisamente sentii due sensazioni contemporanee: un liquido caldo scorrere a fiotti giu per il mio corpo e poi un pene, che percepii come enorme. penetrarmi dall’alto… rimasi senza respiro. Avrei voluto che il tempo si fermasse, non volevo nè avere orgasmi nè che quel gioco finisse: avrei voluto solo fermare il tempo e rimanere semplicemente così, riempita.
Il secondo ricordo, invece, che mi rende ancora dopo tanto tempo inquieta è questo: appena arrivato in camera, io nel frattempo mi ero spogliata ed ero seduta alla finestra protesa verso un bellissimo albero presente nel cortile, si pose davanti a me, si tolse la giacca, abbassò la luce... solo dopo un po' mi chiese sussurrando: "chiudi gli occhi, concentrati sull'occhio che ti apparirà nel buio della tua mente, vacci dentro, sempre di più" Iniziò un lungo periodo in cui mi persi (o mi ritrovai?) in quest'occhio che si ingrandiva sempre di più, quasi ad inghiottirmi. Che cosa provavo? Che cosa stava succedendo? Nulla di particolare, ero dentro di me; per un bel po' di tempo ero sprofondata nell'interiorità più profonda della mia anima. Aprii gli occhi e mi accorsi di due cose: ero sola, lui se ne era andato e fuori inziava a fare buio. Sul tavolo tre pistacchi ed un bicchiere di ananas con un bigliettino "è per te". Fu come un fiore appoggiato delicatamente su un ripiano, il mio.
In verità ho anche un altro due ricordo.... ma è talmente sconvolgente che mi vergogno a raccontarlo: mi diede appuntamento in un hotel di lusso che aveva una camera con giardino privato: ero nuda e sdraita e.... si tratta di un qualcosa che aveva introdotto nella mia vagina ma qualcosa che non aveva preso le solite 'vie' davanti o dietro, bensì un’altra via, molto più sottile… scusatemi, non ce la faccio: me vergogno troppo sia di cosa mi aveva fatto e sia dello sconvolgente climax che provai tremando per molto tempo.
PS.
Il primo incontro (all’aperitivo intendo), terminò con queste sue parole: “amo i messaggi scritti, stasera ti mando un sms con scritto 'cielo'. Se tu vuoi andare avanti con il nostro progetto, scrivimi un messaggio con la parola ‘buio’. Stupiscimi!”, concluse.
Così feci, naturalmente e scrissi semplicemente: “buio” ma aggiunsi due sillabe, FS; quindi il mio messaggio in Whatsapp, fu: ‘buio FS’. Ad oggi non mi ha ancora chiesto cosa significasse FS … attendo paziente.
Sì, so che questi miei ricordi non susciteranno certo, al giorno d’oggi, particolare scalpore o scandalo ed io anche mi sento, come dire, tranquilla, serena. Ormai tutto è permesso e lecito, siamo quasi assuefatti a "qualsiasi novità" e non ci stupiamo più! Ma quello che non era scontato, invece, è questo: l’avere due “oasi” al mese in cui potevo essere io, mi dava un vantaggio su tutto e tutti, e mi sembrava che si prendesse cura di me una specie di serenità realizzativa, una specie di euforia costante come l’avrebbe definita il grande maestro Duchamp. E mi permise, senza dover dare alcuna rassicurazione o pegno o impegno, di provare il mio rapporto con il piacere: posso dire che nei suoi modi vedevo un'offerta di attenzione che mai avevo ricevuto, persa com'ero nelle banalità della quotidianeità e nelle mie reazioni così omologate e tristi in fin dei conti, nei miei continui e snervanti dialoghi interni in cui, anche se facevo finta che non fosse così, il mio io controllava perfettamente tutte le parti delle mie giornate togliendo ogni possibile vero stupore, gioia, sorpresa. Quell'uomo non mi aveva promesso nulla ma in verità stavo portandomi un dono preziosissimo: il vivere "qui e adesso" a contatto con la mia parte più selvaggia e scura. Grazie.
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