La sottomissione di Chiara - 5

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CAPITOLO 5: L’abito

Erano passate diverse settimane dal loro soggiorno alla villa sul mare. Al loro ritorno, qualcosa nel rapporto fra Carlo e Chiara era cambiato. Era come se il loro rapporto fosse andato più in profondità.
Quel giorno era il compleanno di Carlo. Il pomeriggio lo avrebbe passato con Chiara. La sera invece sarebbe uscito a cena fuori con Elisabetta, la sua compagna, in un elegante ristorante del centro. I rapporti con le sue schiave non avevano mai alterato il suo equilibrio con Elisabetta. Viaggiavano su binari diversi. Ed Elisabetta non sapeva nulla della vita erotica parallela di Carlo.
Quel giorno, tuttavia, Carlo voleva passare tutto il tempo con Chiara. E non poterlo fare gli dava una frustrazione nuova, sconosciuta.
Avevano fissato di incontrarsi nel solito albergo, nel tardo pomeriggio. Chiara si presentò come lui le aveva ordinato: tacco 12; autoreggenti nere trasparenti con balza alta in pizzo; micro-perizoma in pizzo nero; e un tubino nero che rendesse possibile accedere ai suoi buchi semplicemente agendo con la punta di un dito. Quando entrò in camera, Chiara aveva una grande e leggera scatola nera avvolta da un grande fiocco viola. Non c’era alcuna marca. Carlo la baciò a lungo appena entrò. Lei schiacciò il suo giovane corpo contro quello del suo Padrone.
“Buon compleanno Signore” disse lei col suo tono della voce giovane, tenero e perverso. “Ho un regalo per lei” aggiunse dopo con una strana eccitazione nella voce. “Sono settimane che aspetto di darglielo”.
“Come facevi a sapere che è il mio compleanno?” chiese Carlo stupito.
“Me lo ha detto lei. Il primo giorno che ci siamo conosciuti. Fece una battuta dicendo che era nato lo stesso giorno del suo economista preferito. Allora sono andata a controllare”.
Carlo era sorpreso e divertito.
“Ho iniziato a pensarci dal primo giorno che sono diventata sua. Ci ho lavorato per mesi” disse Chiara, mentre Carlo scioglieva il grande fiocco viola per aprire la scatola. La voce di lei, eccitata e ridente, la faceva sembrare una ragazzina molto più giovane dei suoi ventiquattro anni. “Sono settimane che è pronto e che non sto nella pelle”.
Quando Carlo aprì la scatola non gli fu chiaro cosa contenesse. Sembrava una leggera sciarpa di seta nera. Ma la forma era troppo strana. Poi capì. Era un vestito. Un vestito da donna. Un vestito per Chiara.
“Lo ho disegnato e cucito io, Signore. Per lei. Cioè per me, ma per lei. Credo che nessun vestito che lei mi ha fatto indossare soddisfacesse esattamente i suoi gusti. Alcuni vestiti coprivano troppo il mio di dietro, altri troppo il davanti. Dopo averla conosciuta in questi mesi credo che questo vestito risponda perfettamente alle sue esigenze”
Chiara era radiosa.
Carlo la guardò fisso negli occhi. Era toccato. Chiara lo capì, nonostante lui mantenesse la sua corazza impenetrabile. Aveva imparato a leggere cosa avveniva sotto. Almeno in parte. “Posso indossarlo?” chiese lei.
“Certo. Indossalo ora.”
“Prima però devo andare in bagno e devo starci venti minuti” disse Chiara con un sorriso eccitato “devo fare una cosa che fa parte del regalo. Capirà quando la vede…”
Carlo era confuso, non riusciva a capire.
“Ok. Ti aspetto qui” disse prendendo il suo libro di economia e mettendosi a sedere sulla comoda poltroncina del salottino della suite.
In bagno chiara si spogliò ed estrasse dalla sua borsetta due fiale di vetro e la relativa pompetta che si era portata con sé. Si sdraiò nuda sul pavimento. Applicò la pompetta ai suoi capezzoli rosa che erano già naturalmente gonfi ed iniziò ad aspirare l’aria. Quando ebbe finito di aspirare, chiuse la pompetta e rimase immobile per venti minuti. Il vuoto d’aria faceva affluire il sangue ai capezzoli, gonfiandoli a dismisura e rendendoli incredibilmente sensibili. Dopo venti minuti riaprì la pompetta, estrasse l’aria e ripose le fiale. I suoi capezzoli erano diventati gonfi in modo osceno e bastava sfiorarli per provocarle una sensazione straziante di dolore e piacere insieme. Indossò il vestito che aveva fatto lei e lo fece pianissimo: anche solo un leggero sfioramento dei capezzoli la faceva sobbalzare.
Poi uscì dal bagno e si avvicinò a Carlo. Rimase in piedi, composta e sorridente, davanti al suo padrone. Poi si girò lentamente su sé stessa. Lui la guardò a lungo, in silenzio. Stava assistendo a un’opera d’arte. L’abito in sé, per il suo disegno, per i suoi materiali, per il suo taglio, per la qualità dei dettagli nascosti che Carlo aveva immediatamente notato, era di per sé un’opera d’arte. Ma il corpo di Chiara lo era ancora di più: giovane, leggero, perfettamente tonico e armonioso, le gambe sottili e affusolate, il culo piccolo, tondo e all’insù, la figa rosa e con dei peli biondi che occupavano naturalmente una striscia talmente sottile che non c’era bisogno di depilarli. Il corpo di Chiara era semplicemente perfetto. Tuttavia quell’abito e quel corpo, insieme, facevano un’altra opera d’arte molto più grande delle sue componenti. Erano in armonia perfetta. Ed entrambi appartenevano a lui. Entrambi sembravano nati per soddisfare le sue perversioni.
L’abito era attaccato al collo da un sottilissimo filo di seta nera, quasi invisibile. Da questo filo partivano due strisce di un materiale ultraleggero e semitrasparente, di colore nero, che le si poggiava delicatamente sui capezzoli e le lasciava scoperte le rotondità interne e laterali del seno. I capezzoli erano enormi, straordinariamente gonfi ed evidentemente molto sensibili. Carlo capì cosa Chiara aveva fatto in bagno. Faceva parte della decorazione. Erano un modo per dirgli: questo abito e il mio corpo sono un oggetto per il tuo piacere. Lui era esaltato e sorpreso di tanta creatività e iniziativa.
Il taglio dell’abito era talmente perfetto che questo sembrava vivo sul corpo di Chiara. Le lasciava completamente nude le spalle, la schiena, i fianchi e, al di là di quelle due leggere strisce semitrasparenti che si poggiavano sui capezzoli gonfi, il petto. Le due strisce semitrasparenti si riunivano con un drappeggio circa un centimetro al di sotto la linea del sottile pelo biondo della sua fighetta. Questo, emergendo al di sopra del drappeggio, creava un netto contrasto col nero del vestito. La parte inferiore del vestito, di un materiale leggero ma meno delle due strisce che le ricoprivano i seni, era nera non trasparente e tutt’altro che corta: arrivava fino a poco sopra le ginocchia. Ma sul retro l’attacco era estremamente basso, lasciando ben in vista l’inizio della fessura nuda del culetto. Quell’abito era un miscuglio di rigore, perversione, stile, eleganza, originalità: invece di essere sensuale in modo banale accorciando la lunghezza della parte inferiore verso l’inguine, lo era in modo scandaloso abbassando l’attaccatura, ma allo stesso tempo avendo una lunghezza quasi classica.
Carlo non riusciva a staccare gli occhi dal corpo di Chiara. Rimase così a lungo, come incantato. Quasi stordito da tanta bellezza. Lei rimase immobile come una statua viva. Il fatto che la sua creazione stesse incantando Carlo a tal punto la mandava quasi in estasi. La sua fighetta era un lago e i suoi umori cominciavano a colarle lungo le cosce. Aveva un bisogno impellente di soddisfarlo, di bere la sua urina, il suo sperma, di essere sodomizzata da lui, penetrata in gola e nella fighetta. Ma rimaneva immobile. L’anticipazione del piacere era talmente estrema che quasi le provocava dolore.
Il tempo passava. Carlo rimaneva immobile a guardare Chiara senza dire una parola. Il fatto che dopo poco sarebbe dovuto partire per andare a cena fuori con Elisabetta non lo preoccupava più. Aveva deciso di non andare. Prese il suo cellulare e inviò un messaggio a Elisabetta: “Stasera non posso. Ti spiegherò fra qualche giorno”. Quindi spense lo smart phone.
Si alzò in piedi, continuando a guardare il vestito di Chiara con bramosia. La girò in modo da prenderla da dietro. Il corpo di lei era talmente sottile e leggero che poteva girarla nelle sue mani come fosse un giocattolo. Dopodiché la sodomizzò direttamente, brutalmente, in profondità, senza toglierle l’abito di dosso. Mentre lo faceva le sfiorava i capezzoli gonfi e ipersensibili. Chiara urlava di paicere. Urlava come non aveva mai urlato prima. Per la prima volta ebbe un orgasmo mentre veniva sodomizzata.
Prima di venire, Carlo la prese per i capelli, le ficcò il cazzo direttamente in gola e le sborrò dentro. Chiara bevve il suo sperma con avidità e rimase in ginocchio, col pene di lui in bocca che faceva fatica a perdere l’erezione. Sapeva che Carlo l’avrebbe tenuta in quella posizione finché non avesse finito di urinarle in bocca, e anche dopo. Così fece.
“Ora puliscilo”.
Non c’era bisogno che Carlo glielo dicesse, ma lei sapeva che a lui piaceva dirglielo. Chiara lo leccò delicatamente, lavandolo con la lingua e con molta saliva.
Quando Carlo fu soddisfatto, la sollevò prendendola delicatamente per le spalle. La guardò dritto negli occhi sfiorandole la fronte e poi passando con le dita lentamente dietro l’orecchio, senza distogliere lo sguardo dalle pupille di lei.
“Fai la doccia. Andiamo via di qui”
“Andiamo dove, Signore?”
Carlo aveva già preso il cellulare e inviato una chiamata.
“Ciao Andrea, sono Carlo. Prepara la barca per stanotte. Saremo lì fra circa tre ore”.
“Barca?” disse Chiara stupita. “Ma… Signore… io non ho nulla con me”
“Non ti serve quasi nulla. Quello che ti serve lo compreremo. Non abbiamo mai fatto shopping insieme, giusto?” le disse con una voce scherzosa.
Chiara era sbalordita ed eccitata. Le passavano per la testa tutti gli impegni che avrebbe dovuto annullare, ma non le importava. Non sapeva nemmeno quanto tempo sarebbero stati fuori. Ma era talmente eccitata che la sua figa era un lago e i suoi liquidi le calavano abbondantemente lungo le cosce.
scritto il
2017-08-07
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