La punizione
di
Micina
genere
bondage
[Questo terzo capitolo è il seguito de “L’Ostrica” e “Tacco 15”. Volevo fare una precisazione sul fatto che, nonostante possa vagamente sembrare un racconto a tema Dominazione, in questa storia i protagonisti subiscono volontariamente. Non ci sono menti deboli ne personalità da salvare. Buona lettura!]
Lo vorrei ancora….
Quelle labbra che appena mi sfiorano mi eccitano, le sue mani forti che mi strizzano i seni. Quelle dita…
Le sento mentre si intrufolano tra le labbra ancora bagnate, che entrano piano e poi scavano in profondita, toccando ogni punto della mia vagina. Scivolano su e giù facendosi strada tra i miei umori. La lingua che lecca il clitoride, lo massaggia, la saliva che cola, il risucchio.
Le mani sui fianchi che mi prendono e mi spostano, le cosce che si allargano, il cazzo che si bagna di me.
Con un unico colpo, lento, ma deciso, affonda tutta la sua asta. La cappella si fa strada dentro di me ed inizia a scoparmi senza ritegno.
Oh cazzo. Avevo bisogno di sentirmi piena, così. Gemo e mi contorco mentre le sue mani sui miei fianchi mi spingono verso di lui, accentuando ogni colpo. La camicia è già aperta e ad ogni spinta il seno sobbalza e i capezzoli diventano chiodi. Con le mani mi attacco al primo appiglio che capita, voglio sentirlo tutto sino in fondo.
I miei gemiti sono inequivocabili. Così, mezzo fuori e mezzo dentro l’abitacolo, mi prende e mi sbatte con colpi sempre più intensi e veloci.
Mi fa arrivare. Grido, grido di piacere, grido di soddisfazione, grido e godo. La testa gira, tutto è fuoco e nebbia.
Senza aspettare e senza chiedere il permesso, sfila il cazzo e mi gira a pecorina, appoggia la cappella sull’ano già pronto e mi infila tutto quel cazzo nel culo. Bastano pochi colpi, sento la cappella che si gonfia e gli schizzi che mi inondano, accompagnati dai sui gemiti.
Mi vergogno. Forse no. Mi sento appagata.
L’AUTODIFESA
Aprii gli occhi. Dalla finestra filtrava la flebile luce del mattino. La testa pulsava e i ricordi di ieri sera si confondevano con quelli del sogno ancora fresco. Mi rigirai nel letto cercando di mettere assieme i pezzi. Entrando man a mano nei ricordi i quadratini del puzzle s’incastrarono tra loro e un forte senso di colpa, partendo dalla bocca dello stomaco, s’impadronì di tutto il corpo. Mi venne da piangere e l’intera giornata divenne davvero difficile da affrontare, ogni pensiero mi riportava a quei momenti, a quegli orgasmi. Mi sentii profondamente sporca.
Nelle giornate seguenti il tempo passò lento e lo spazio vuoto, tutto accompagnato dal senso di colpa.
Nelle notti seguenti mi persi tra i suoi baci, il buio, quella mano attorno alla gola e il godimento di quel membro sconosciuto dentro di me. Mi toccai spesso con quei pensieri, crollando poi sfinita e lasciando finalmente libera la mente.
Mi scrisse un paio di messaggi e un e-mail a lavoro. Una sera sentii anche il doppio clacson del taxi riecheggiare in casa, ma ne risposi ai messaggi, ne salii sul taxi.
Dopo tre settimane anche le mie fantasie notturne si calmarono. Il ricordo di quella notte svanì lentamente, o per lo meno fu accantonato in un posticino del cervello dal quale non poteva tormentarmi.
Mi capitò ancora, sotto la doccia, di percepire le sue mani calde sul mio corpo e le gocce d’acqua sulle labbra ricordami i suoi baci. “Sparirà! Sparirà anche questa sensazione“ pensai.
LA RIBELLIONE
Sono le 18.50, ormai la giornata è finita. Mi metto a chiacchierare con la mia collega Sara e riordino un poco la scrivania.
Suona il citofono “Ma porc…”. Ci guardiamo con sguardo complice, della serie “Chiunque sia, se si dilunga, una delle due salva l’altra” (adoro la complicità sul lavoro).
La porta si apre e Lui compare.
Sprofondo.
La biro che ho tra le mani scivola sulla scrivania e le guance si infiammano. Non può essere.
Era già passato in settimana e io, vedendo l’appuntamento fissato, quella mattina andai volutamente a fare commissioni che di solito competono a Sara.
Non può essere.
“Ciao” deglutisco “Avevi un appuntamento?”. Fingo indifferenza e professionalità, ma ho voce e gambe che tremano.
“No” e si accomoda su una delle poltroncine all’ingresso.
Mi giro verso Sara con sguardo interrogativo, lei fa spallucce. Mi metto a sfogliare i primi fogli che mi vengono alle mani fingendo interesse, ma in realtà cerco di capire come uscire da questa situazione imbarazzante. Ho paura senta il rumore del mio cuore. Vorrei chiedergli cosa vuole, chi aspetta, ma non ce la faccio, sono bloccata!
Con fatica, molta, mi alzo e camminando lentamente vado in bagno e chiudo la porta a chiave. Mi ci sono voluti giorni, settimane, per riprendermi, ora non può arrivare così e far crollare in un secondo i miei equilibri. L’ansia si mischia al senso di nausea. Inizio a saltellare e a scrollare le braccia cercando di scaricare la tensione. Che faccio?
Espirando l’aria dalla bocca come se dovessi partorire. Faccio questo, per circa due minuti. Non può e non lo farà. Spalle in fuori, pancia in dentro e tanto coraggio.
Esco dal bagno e vado diretta e decisa verso Sara ”Ci pensi tu?” e senza aspettare risposta infilo la giacca, afferro la borsetta e mi avvio, con passo spedito, verso l’uscita.
Passo davanti alla sala d’attesa cercando di non guardarlo, la porta è davanti a me. MI sento vittoriosa ed immagino la sua espressione quando mi vedrà sparire con indifferenza.
Una mano afferra la maniglia e apre la porta, lui è lì e mi fa segno di uscire dandomi galantemente la precedenza.
La sensazione di gloria svanisce in un secondo.
Mi blocco, lo osservo per un secondo, poi mi fiondo fuori dall’ufficio dirigendomi dritta verso l’ascensore e premendo il pulsante di chiamata. Aspetto, aspetto, aspetto.
Percepisco il suo profumo e il suo calore, nonostante sia alle mie spalle e non ci sia contatto.
La porta si apre, salgo e lui anche. Pigio il tasto e mi appoggio alla parete della pulsantiera. Tengo lo sguardo fisso sul pavimento, ma la punta delle sue scarpe mi basta per riempire la testa d’immagini trascorse e di posti uditi.
Un passo si muove verso di me, un braccio si tende in avanti e un dito spinge su un tasto, l’ascensore si ferma, il mio cuore anche.
Alzo lo sguardo e subito incontro il suo, è severo. Si avvicina, la sua mano mi avvolge la gola, ho paura, non respiro.
Mi bacia.
In un secondo tutto si oscura, tengo gli occhi chiusi e mi nutro di quella bocca e di quel petto che mi comprime. La voglia di ribellione svanisce travolta dal suo odore inebriante.
La mano scivola lentamente dalla gola al seno, lo afferra, lo avvolge. Gemo.
I bottoni della camicetta si schiantano contro le pareti di acciaio dell’ascensore, la coppa del reggiseno si abbassa. Pelle a pelle. I suoi denti mordono le mie labbra, il collo, il capezzolo. Sussulto e lancio un piccolo grido.
Riprende a baciarmi quasi per zittirmi e le mani si spostano sulle mie natiche, mi stringe e mi attrae a sé, sento la sua enorme eccitazione. E ancora quelle mani che ora si muovono sotto la gonna, tra la fessura dei glutei e il mio sesso. Spingono contro i collant, sfregano, forzano, spostano le mutandine. Sono eccitata e bagnata.
D’un tratto il rumore delle calze strappate, proprio in mezzo alle cosce. Cerco di ribellarmi e lamentarmi tra la sua lingua e di risposta ricevo le sue dita che si insinuano in me facendomi perdere ogni controllo. Mi aggrappo alle sue spalle, quasi perdiamo l’equilibrio e finiamo sulla parete opposta. Lui appoggiato e io avvinghiata a lui. La sua bocca dentro la mia riempie la testa di colori. La stretta delle sue braccia, che mi avvolge, mi fa impazzire. Le sue mani sul culo mi fanno eccitare. Il movimento delle sue dita nella mia fica, che quasi mi sollevano, mi fa godere.
“Ti prego”
“Cosa?”
“Oh sì..ti prego” il mio corpo segue il ritmo dei suoi movimenti, sto per esplodere!
Le dita scivolano via.
Sono ancora ansimante, lo guardo cercando spiegazioni. Non dice nulla, mi stacca da sé, chiude la cerniera della giacca, lasciano sotto di essa i seni nudi, mi sistema la gonna e pigia il tasto dell’ascensore.
Ho voglia di insultarlo, di picchiarlo, mi sento di nuovo scossa ed umiliata, ma decido di non reagire. Andrò dritta verso la mia auto e addio!
Facciamo il tratto che porta ai parcheggi assieme, senza parlare, cerco di accelerare o rallentare, ma lui rimane sempre affianco a me. Quando arriviamo alle auto, intravedo la mia e mi metto a frugare nella borsetta per trovare le chiavi, mi sento tirare per un braccio. Lo guardo. Apre la portiera della sua berlina e mi fa segno di salire. Salgo.
Io sono seria, lui ancora di più, nessuno parla e non capisco dove stiamo andando. L’istinto mi dice di aprire quella portiera e di lanciarmi giù dall’auto. Non lo faccio.
Dopo circa dieci minuti parcheggia. Scende e mi viene ad aprire. Scendo anch’io, mi porge il braccio, mi ci attacco. Facciamo una breve passeggiata a braccetto come due fidanzatini. D’istinto con l’altra mano cerco di tirare giù la gonna, l’aria fresca stuzzica la mia carne tra i collant strappati e i capezzoli turgidi sfregano contro il tessuto freddo e sottile della giacca, mi sento nuda.
Entriamo in un bar piuttosto affollato e il mio disagio non diminuisce. Ordina due Negroni e quando me lo porge gli faccio segno di no, ma insiste: “Bevi, ti servirà”. Bevo.
Continuiamo a non parlare, ma ora lui sembra più sereno, mi fissa “Sei molto bella”. Mi tremano le gambe.
Finiamo di bere velocemente e ritorniamo all’auto. Il viaggio è di nuovo abbastanza breve e questa volta riconosco la facciata di quel palazzo, anche se scendiamo ai parcheggi sotterranei e risaliamo a piedi, senza ascensore per fortuna.
Appena entrati nell’appartamento, mi prende per mano e saliamo subito le scale. Entriamo in una camera con il letto a baldacchino, forse la stessa in cui sono già stata. La luce è soffusa, tra il rosso e l’arancione. Si piazza davanti a me e con calma e dolcezza mi spoglia di ogni cosa. Sono nuda e lui mi fissa. Rimarrei per ore così.
Poi le sue mani sui fianchi. Mi dirige verso il letto, mi solleva e mi fa inginocchiare sul bordo.
“Resta così”. Non mi muovo, lui esce dalla stanza e io rimango lì immobile senza farmi troppe domande, forse è il cocktail, forse non ne ho voglia.
Ritorna con una bottiglia di Whisky che appoggia sul comodino “Se ne avrai bisogno, è qui”. In che senso?, mi chiedo.
Ora si sposta dietro me e afferra le mie braccia portandole verso la schiena. Inizia a legare i polsi e percepisco benissimo che questa volta è una corda, sento il pizzicore sulla pelle.
“Non voglio che mi bendi” lo dico decisa e convinta.
“Non lo farò”.
Ha finito di unire i polsi ed ora lega una corda attorno ad ogni gamba, sopra il ginocchio. Sento tirare e mi ritrovo a gambe aperte, sempre in ginocchio, su quel letto. Anche la corda che blocca i polsi si tende, sento le braccia protendere verso l’alto. Fa male “Ahi”, ma non smette. Mi appoggia la mano sulla schiena schiacciandola verso il basso. Lo assecondo, perché più mi abbasso più il dolore si attenuta. Tira ancora.
“Basta”.
“Shhh”.
Mi punto con le ginocchia, alzo il bacino e abbasso il più possibile le spalle in modo da trovare una posizione sopportabile. Lui si ferma e blocca la corda.
Ed è così che mi ritrovo a gambe aperte con il mio culo e il mio sesso completamente a sua disposizione.
Sento la sua presenza alle mie spalle e sento l’aria fresca accarezzare le mie parti intime. Ancora calda dall’ora prima, l’eccitazione arriva in fretta, nonostante lui non si stia muovendo. Sento solo il suo respiro che sembra affannoso.
E poi arriva. Uno schiaffo secco e deciso sulla mia natica fredda.
“Aaaahi”.
“Shhh”.
“Shhh un cazzo, fa male”.
E ancora un altro schiaffo forte sull’altra chiappa.
“Smettila, che fai?”.
E ancora. Sento il bruciore. Mi viene da piangere.
E ancora. Ora sono schiaffetti più leggeri, ma ripetuti.
“No, smettila mi fai male” cerco di liberarmi, di fare qualcosa, ma sono completamente bloccata.
E ancora.
Mi stava facendo male, non volevo quella situazione e non volevo nemmeno il Whisky per sopportare.
“Alex basta!!!” Sono decisa e rabbiosa.
Di risposta arriva un altro schiaffo, a mano piena, si appoggia totalmente sul mio sesso e mi fa sobbalzare in avanti. Sussulto ed esce un grido che grido non è. E’ strano, spiazzante.
Ne arriva un altro, ancora più deciso, sempre sulla fica.
Le mie guance si arroventano, ma non di rabbia.
Ad ogni suo schiaffo è un misto tra dolore e godimento, sembra mi stia penetrando con quei colpi.
Ne arriva un altro e stavolta sento i miei umori schizzare, se ne accorge anche lui.
“Ti piace essere schiaffeggiata troietta?”
“Nooo” non mi può chiamare così.
Arriva l’ennesimo colpo e resto sofferente, ma non per il dolore. Ha ragione, sto godendo, ho il fiatone, sono irrequieta, voglio di più.
La sua mano mi accarezza le labbra, raccoglie i miei succhi. Aspetto che le sue dita mi penetrino.
Ma le sue dita umide salgano più su, si appoggiano sul mio buchino e iniziano a massaggiare. E ancora una schiaffo. E ancora quel massaggio. E ancora il mio grido che geme.
Sento qualcosa di fresco colare tra le natiche e la fica, saliva. E ancora un colpo. E il suo dito che entra, invadente e deciso nell’ano. E ancora uno schiaffo che mi squote.
La sensazione di doloro è scoparsa lasciando spazio solo alla desiderio.
Cerco di protendere il bacino verso di lui per assecondare i movimenti della sua mano, ma le corde tirano.
Fa male, fa bene.
“Ti prego”
“Cosa?”
“Ti prego”
Altra saliva mi cola addosso. Un altro dito entra dentro il mio buco. Un altro schiaffo fa l’amore con me.
Lui si muove con impertinenza, mi fruga, tocca ogni punto e i miei liquidi colano sul letto, sono talmente abbondati che ho paura sia pipì, mi vergogno e non capisco e non riesco a fermarmi.
Arriva un altro schiaffo, arriva un altro dito.
“Noo”
Arriva una mano a sfiorarmi il clitoride.
Non riesco più a trattenermi.
Non capisco dove e come sto venendo, ma scoppio. Mi dimeno tra corde e dita. Urlo. Mi disidrato. Ed esplodo in qualcosa di inspiegabile.
Sto ancora ansimando semi-incosciente quando sento il calore della sua cappella che sfrega viscida contro il mio sesso, vorrei andarle in contro e prenderla dentro di me, ma non ne ho la forza. Lo lascio fare. Lui continua a masturbarsi strisciando il cazzo su di me e dopo pochi minuti sento il suo liquido caldo schizzare potente sull’ano e sulla fica. E’ una senzazione impagabile.
Sono sua.
Mi slega lentamente e mi fa sedere sul letto, sono ancora sconvolta. Lui si china davanti a me. E’ a petto nudo ed è bellissimo.
Inizia a massaggiarmi gambe e ginocchia con decisione, ma dolcezza. Quel gesto mi riempie il cuore. Non riesco a trattenermi e mi butto su di lui abbracciandolo forte. Mi accoglie, mi stringe, piango con il viso nascosto tra il suo collo.
IL RITORNO
Rimaniamo così abbracciati per un tempo indefinito, ma arriva quel momento in cui lui mi stacca da se e ci alziamo.
Raccoglie la sua camicia e me la fa indossare, l’abbottona, prende la mia giacca e gli stivali e per mano ci dirigiamo verso il piano inferiore.
Mi porta in cucina per il sorso d’acqua e poi si china ad infilarmi gli stivali. Fino in ultimo avevo sperato mi volesse qui con lui, ancora.
“Io dovrei darmi una rinfrescata”.
Si afficina e mi sussurra all’orecchio “No, voglio che tu mi senta addosso fino a casa”. L’eccitazione mi riprende immediatamente. C’era una parte di me che lui non aveva soddisfatto e il mio corpo lo reclamava. In mezzo alle gambe sono ancora bagnata e non so più se è romba mia o sua o di entrambi.
Mi mette la giacchetta, lo guardo, mi guarda: “La gonna resta qui”.
Sulla porta mi abbraccia forte e mi bacia “Giù c’è il taxi che ti aspetta”. Faccio per uscire, ma mi trattiene per un braccio: “La prossima volta pensaci prima di non rispondere ai miei messaggi” lo dice sorridendo e mi lascia andare.
Prendo l’ascensore e attraverso l’androne del palazzo quasi correndo. Il tassista è già lì fuori che mi aspetta con la portiera aperta e il suo solito sorrisino malizioso. Ricambio imbarazzata.
Mi lancio dentro l’auto e mentre cerco una posizione sui sedili, mi rendo conto che probabilmente li sto sporcando con i miei umori.
Partiamo.
Appoggio la testa e faccio un respoiro profondo. Mi sento stremata, chiudo gli occhi e mi lecco le labbra cercando un po’ del suo sapore. Ripercorro la serata, l’ascensore, le sberle potenti, il dolore, il piacere.
Lo vorrei ancora…
Quelle labbra che appena mi sfiorano mi eccitano, le sue mani forti che mi strizzano i seni. Quelle dita…
Le sento mentre si intrufolano tra le labbra ancora bagnate…
Lo vorrei ancora….
Quelle labbra che appena mi sfiorano mi eccitano, le sue mani forti che mi strizzano i seni. Quelle dita…
Le sento mentre si intrufolano tra le labbra ancora bagnate, che entrano piano e poi scavano in profondita, toccando ogni punto della mia vagina. Scivolano su e giù facendosi strada tra i miei umori. La lingua che lecca il clitoride, lo massaggia, la saliva che cola, il risucchio.
Le mani sui fianchi che mi prendono e mi spostano, le cosce che si allargano, il cazzo che si bagna di me.
Con un unico colpo, lento, ma deciso, affonda tutta la sua asta. La cappella si fa strada dentro di me ed inizia a scoparmi senza ritegno.
Oh cazzo. Avevo bisogno di sentirmi piena, così. Gemo e mi contorco mentre le sue mani sui miei fianchi mi spingono verso di lui, accentuando ogni colpo. La camicia è già aperta e ad ogni spinta il seno sobbalza e i capezzoli diventano chiodi. Con le mani mi attacco al primo appiglio che capita, voglio sentirlo tutto sino in fondo.
I miei gemiti sono inequivocabili. Così, mezzo fuori e mezzo dentro l’abitacolo, mi prende e mi sbatte con colpi sempre più intensi e veloci.
Mi fa arrivare. Grido, grido di piacere, grido di soddisfazione, grido e godo. La testa gira, tutto è fuoco e nebbia.
Senza aspettare e senza chiedere il permesso, sfila il cazzo e mi gira a pecorina, appoggia la cappella sull’ano già pronto e mi infila tutto quel cazzo nel culo. Bastano pochi colpi, sento la cappella che si gonfia e gli schizzi che mi inondano, accompagnati dai sui gemiti.
Mi vergogno. Forse no. Mi sento appagata.
L’AUTODIFESA
Aprii gli occhi. Dalla finestra filtrava la flebile luce del mattino. La testa pulsava e i ricordi di ieri sera si confondevano con quelli del sogno ancora fresco. Mi rigirai nel letto cercando di mettere assieme i pezzi. Entrando man a mano nei ricordi i quadratini del puzzle s’incastrarono tra loro e un forte senso di colpa, partendo dalla bocca dello stomaco, s’impadronì di tutto il corpo. Mi venne da piangere e l’intera giornata divenne davvero difficile da affrontare, ogni pensiero mi riportava a quei momenti, a quegli orgasmi. Mi sentii profondamente sporca.
Nelle giornate seguenti il tempo passò lento e lo spazio vuoto, tutto accompagnato dal senso di colpa.
Nelle notti seguenti mi persi tra i suoi baci, il buio, quella mano attorno alla gola e il godimento di quel membro sconosciuto dentro di me. Mi toccai spesso con quei pensieri, crollando poi sfinita e lasciando finalmente libera la mente.
Mi scrisse un paio di messaggi e un e-mail a lavoro. Una sera sentii anche il doppio clacson del taxi riecheggiare in casa, ma ne risposi ai messaggi, ne salii sul taxi.
Dopo tre settimane anche le mie fantasie notturne si calmarono. Il ricordo di quella notte svanì lentamente, o per lo meno fu accantonato in un posticino del cervello dal quale non poteva tormentarmi.
Mi capitò ancora, sotto la doccia, di percepire le sue mani calde sul mio corpo e le gocce d’acqua sulle labbra ricordami i suoi baci. “Sparirà! Sparirà anche questa sensazione“ pensai.
LA RIBELLIONE
Sono le 18.50, ormai la giornata è finita. Mi metto a chiacchierare con la mia collega Sara e riordino un poco la scrivania.
Suona il citofono “Ma porc…”. Ci guardiamo con sguardo complice, della serie “Chiunque sia, se si dilunga, una delle due salva l’altra” (adoro la complicità sul lavoro).
La porta si apre e Lui compare.
Sprofondo.
La biro che ho tra le mani scivola sulla scrivania e le guance si infiammano. Non può essere.
Era già passato in settimana e io, vedendo l’appuntamento fissato, quella mattina andai volutamente a fare commissioni che di solito competono a Sara.
Non può essere.
“Ciao” deglutisco “Avevi un appuntamento?”. Fingo indifferenza e professionalità, ma ho voce e gambe che tremano.
“No” e si accomoda su una delle poltroncine all’ingresso.
Mi giro verso Sara con sguardo interrogativo, lei fa spallucce. Mi metto a sfogliare i primi fogli che mi vengono alle mani fingendo interesse, ma in realtà cerco di capire come uscire da questa situazione imbarazzante. Ho paura senta il rumore del mio cuore. Vorrei chiedergli cosa vuole, chi aspetta, ma non ce la faccio, sono bloccata!
Con fatica, molta, mi alzo e camminando lentamente vado in bagno e chiudo la porta a chiave. Mi ci sono voluti giorni, settimane, per riprendermi, ora non può arrivare così e far crollare in un secondo i miei equilibri. L’ansia si mischia al senso di nausea. Inizio a saltellare e a scrollare le braccia cercando di scaricare la tensione. Che faccio?
Espirando l’aria dalla bocca come se dovessi partorire. Faccio questo, per circa due minuti. Non può e non lo farà. Spalle in fuori, pancia in dentro e tanto coraggio.
Esco dal bagno e vado diretta e decisa verso Sara ”Ci pensi tu?” e senza aspettare risposta infilo la giacca, afferro la borsetta e mi avvio, con passo spedito, verso l’uscita.
Passo davanti alla sala d’attesa cercando di non guardarlo, la porta è davanti a me. MI sento vittoriosa ed immagino la sua espressione quando mi vedrà sparire con indifferenza.
Una mano afferra la maniglia e apre la porta, lui è lì e mi fa segno di uscire dandomi galantemente la precedenza.
La sensazione di gloria svanisce in un secondo.
Mi blocco, lo osservo per un secondo, poi mi fiondo fuori dall’ufficio dirigendomi dritta verso l’ascensore e premendo il pulsante di chiamata. Aspetto, aspetto, aspetto.
Percepisco il suo profumo e il suo calore, nonostante sia alle mie spalle e non ci sia contatto.
La porta si apre, salgo e lui anche. Pigio il tasto e mi appoggio alla parete della pulsantiera. Tengo lo sguardo fisso sul pavimento, ma la punta delle sue scarpe mi basta per riempire la testa d’immagini trascorse e di posti uditi.
Un passo si muove verso di me, un braccio si tende in avanti e un dito spinge su un tasto, l’ascensore si ferma, il mio cuore anche.
Alzo lo sguardo e subito incontro il suo, è severo. Si avvicina, la sua mano mi avvolge la gola, ho paura, non respiro.
Mi bacia.
In un secondo tutto si oscura, tengo gli occhi chiusi e mi nutro di quella bocca e di quel petto che mi comprime. La voglia di ribellione svanisce travolta dal suo odore inebriante.
La mano scivola lentamente dalla gola al seno, lo afferra, lo avvolge. Gemo.
I bottoni della camicetta si schiantano contro le pareti di acciaio dell’ascensore, la coppa del reggiseno si abbassa. Pelle a pelle. I suoi denti mordono le mie labbra, il collo, il capezzolo. Sussulto e lancio un piccolo grido.
Riprende a baciarmi quasi per zittirmi e le mani si spostano sulle mie natiche, mi stringe e mi attrae a sé, sento la sua enorme eccitazione. E ancora quelle mani che ora si muovono sotto la gonna, tra la fessura dei glutei e il mio sesso. Spingono contro i collant, sfregano, forzano, spostano le mutandine. Sono eccitata e bagnata.
D’un tratto il rumore delle calze strappate, proprio in mezzo alle cosce. Cerco di ribellarmi e lamentarmi tra la sua lingua e di risposta ricevo le sue dita che si insinuano in me facendomi perdere ogni controllo. Mi aggrappo alle sue spalle, quasi perdiamo l’equilibrio e finiamo sulla parete opposta. Lui appoggiato e io avvinghiata a lui. La sua bocca dentro la mia riempie la testa di colori. La stretta delle sue braccia, che mi avvolge, mi fa impazzire. Le sue mani sul culo mi fanno eccitare. Il movimento delle sue dita nella mia fica, che quasi mi sollevano, mi fa godere.
“Ti prego”
“Cosa?”
“Oh sì..ti prego” il mio corpo segue il ritmo dei suoi movimenti, sto per esplodere!
Le dita scivolano via.
Sono ancora ansimante, lo guardo cercando spiegazioni. Non dice nulla, mi stacca da sé, chiude la cerniera della giacca, lasciano sotto di essa i seni nudi, mi sistema la gonna e pigia il tasto dell’ascensore.
Ho voglia di insultarlo, di picchiarlo, mi sento di nuovo scossa ed umiliata, ma decido di non reagire. Andrò dritta verso la mia auto e addio!
Facciamo il tratto che porta ai parcheggi assieme, senza parlare, cerco di accelerare o rallentare, ma lui rimane sempre affianco a me. Quando arriviamo alle auto, intravedo la mia e mi metto a frugare nella borsetta per trovare le chiavi, mi sento tirare per un braccio. Lo guardo. Apre la portiera della sua berlina e mi fa segno di salire. Salgo.
Io sono seria, lui ancora di più, nessuno parla e non capisco dove stiamo andando. L’istinto mi dice di aprire quella portiera e di lanciarmi giù dall’auto. Non lo faccio.
Dopo circa dieci minuti parcheggia. Scende e mi viene ad aprire. Scendo anch’io, mi porge il braccio, mi ci attacco. Facciamo una breve passeggiata a braccetto come due fidanzatini. D’istinto con l’altra mano cerco di tirare giù la gonna, l’aria fresca stuzzica la mia carne tra i collant strappati e i capezzoli turgidi sfregano contro il tessuto freddo e sottile della giacca, mi sento nuda.
Entriamo in un bar piuttosto affollato e il mio disagio non diminuisce. Ordina due Negroni e quando me lo porge gli faccio segno di no, ma insiste: “Bevi, ti servirà”. Bevo.
Continuiamo a non parlare, ma ora lui sembra più sereno, mi fissa “Sei molto bella”. Mi tremano le gambe.
Finiamo di bere velocemente e ritorniamo all’auto. Il viaggio è di nuovo abbastanza breve e questa volta riconosco la facciata di quel palazzo, anche se scendiamo ai parcheggi sotterranei e risaliamo a piedi, senza ascensore per fortuna.
Appena entrati nell’appartamento, mi prende per mano e saliamo subito le scale. Entriamo in una camera con il letto a baldacchino, forse la stessa in cui sono già stata. La luce è soffusa, tra il rosso e l’arancione. Si piazza davanti a me e con calma e dolcezza mi spoglia di ogni cosa. Sono nuda e lui mi fissa. Rimarrei per ore così.
Poi le sue mani sui fianchi. Mi dirige verso il letto, mi solleva e mi fa inginocchiare sul bordo.
“Resta così”. Non mi muovo, lui esce dalla stanza e io rimango lì immobile senza farmi troppe domande, forse è il cocktail, forse non ne ho voglia.
Ritorna con una bottiglia di Whisky che appoggia sul comodino “Se ne avrai bisogno, è qui”. In che senso?, mi chiedo.
Ora si sposta dietro me e afferra le mie braccia portandole verso la schiena. Inizia a legare i polsi e percepisco benissimo che questa volta è una corda, sento il pizzicore sulla pelle.
“Non voglio che mi bendi” lo dico decisa e convinta.
“Non lo farò”.
Ha finito di unire i polsi ed ora lega una corda attorno ad ogni gamba, sopra il ginocchio. Sento tirare e mi ritrovo a gambe aperte, sempre in ginocchio, su quel letto. Anche la corda che blocca i polsi si tende, sento le braccia protendere verso l’alto. Fa male “Ahi”, ma non smette. Mi appoggia la mano sulla schiena schiacciandola verso il basso. Lo assecondo, perché più mi abbasso più il dolore si attenuta. Tira ancora.
“Basta”.
“Shhh”.
Mi punto con le ginocchia, alzo il bacino e abbasso il più possibile le spalle in modo da trovare una posizione sopportabile. Lui si ferma e blocca la corda.
Ed è così che mi ritrovo a gambe aperte con il mio culo e il mio sesso completamente a sua disposizione.
Sento la sua presenza alle mie spalle e sento l’aria fresca accarezzare le mie parti intime. Ancora calda dall’ora prima, l’eccitazione arriva in fretta, nonostante lui non si stia muovendo. Sento solo il suo respiro che sembra affannoso.
E poi arriva. Uno schiaffo secco e deciso sulla mia natica fredda.
“Aaaahi”.
“Shhh”.
“Shhh un cazzo, fa male”.
E ancora un altro schiaffo forte sull’altra chiappa.
“Smettila, che fai?”.
E ancora. Sento il bruciore. Mi viene da piangere.
E ancora. Ora sono schiaffetti più leggeri, ma ripetuti.
“No, smettila mi fai male” cerco di liberarmi, di fare qualcosa, ma sono completamente bloccata.
E ancora.
Mi stava facendo male, non volevo quella situazione e non volevo nemmeno il Whisky per sopportare.
“Alex basta!!!” Sono decisa e rabbiosa.
Di risposta arriva un altro schiaffo, a mano piena, si appoggia totalmente sul mio sesso e mi fa sobbalzare in avanti. Sussulto ed esce un grido che grido non è. E’ strano, spiazzante.
Ne arriva un altro, ancora più deciso, sempre sulla fica.
Le mie guance si arroventano, ma non di rabbia.
Ad ogni suo schiaffo è un misto tra dolore e godimento, sembra mi stia penetrando con quei colpi.
Ne arriva un altro e stavolta sento i miei umori schizzare, se ne accorge anche lui.
“Ti piace essere schiaffeggiata troietta?”
“Nooo” non mi può chiamare così.
Arriva l’ennesimo colpo e resto sofferente, ma non per il dolore. Ha ragione, sto godendo, ho il fiatone, sono irrequieta, voglio di più.
La sua mano mi accarezza le labbra, raccoglie i miei succhi. Aspetto che le sue dita mi penetrino.
Ma le sue dita umide salgano più su, si appoggiano sul mio buchino e iniziano a massaggiare. E ancora una schiaffo. E ancora quel massaggio. E ancora il mio grido che geme.
Sento qualcosa di fresco colare tra le natiche e la fica, saliva. E ancora un colpo. E il suo dito che entra, invadente e deciso nell’ano. E ancora uno schiaffo che mi squote.
La sensazione di doloro è scoparsa lasciando spazio solo alla desiderio.
Cerco di protendere il bacino verso di lui per assecondare i movimenti della sua mano, ma le corde tirano.
Fa male, fa bene.
“Ti prego”
“Cosa?”
“Ti prego”
Altra saliva mi cola addosso. Un altro dito entra dentro il mio buco. Un altro schiaffo fa l’amore con me.
Lui si muove con impertinenza, mi fruga, tocca ogni punto e i miei liquidi colano sul letto, sono talmente abbondati che ho paura sia pipì, mi vergogno e non capisco e non riesco a fermarmi.
Arriva un altro schiaffo, arriva un altro dito.
“Noo”
Arriva una mano a sfiorarmi il clitoride.
Non riesco più a trattenermi.
Non capisco dove e come sto venendo, ma scoppio. Mi dimeno tra corde e dita. Urlo. Mi disidrato. Ed esplodo in qualcosa di inspiegabile.
Sto ancora ansimando semi-incosciente quando sento il calore della sua cappella che sfrega viscida contro il mio sesso, vorrei andarle in contro e prenderla dentro di me, ma non ne ho la forza. Lo lascio fare. Lui continua a masturbarsi strisciando il cazzo su di me e dopo pochi minuti sento il suo liquido caldo schizzare potente sull’ano e sulla fica. E’ una senzazione impagabile.
Sono sua.
Mi slega lentamente e mi fa sedere sul letto, sono ancora sconvolta. Lui si china davanti a me. E’ a petto nudo ed è bellissimo.
Inizia a massaggiarmi gambe e ginocchia con decisione, ma dolcezza. Quel gesto mi riempie il cuore. Non riesco a trattenermi e mi butto su di lui abbracciandolo forte. Mi accoglie, mi stringe, piango con il viso nascosto tra il suo collo.
IL RITORNO
Rimaniamo così abbracciati per un tempo indefinito, ma arriva quel momento in cui lui mi stacca da se e ci alziamo.
Raccoglie la sua camicia e me la fa indossare, l’abbottona, prende la mia giacca e gli stivali e per mano ci dirigiamo verso il piano inferiore.
Mi porta in cucina per il sorso d’acqua e poi si china ad infilarmi gli stivali. Fino in ultimo avevo sperato mi volesse qui con lui, ancora.
“Io dovrei darmi una rinfrescata”.
Si afficina e mi sussurra all’orecchio “No, voglio che tu mi senta addosso fino a casa”. L’eccitazione mi riprende immediatamente. C’era una parte di me che lui non aveva soddisfatto e il mio corpo lo reclamava. In mezzo alle gambe sono ancora bagnata e non so più se è romba mia o sua o di entrambi.
Mi mette la giacchetta, lo guardo, mi guarda: “La gonna resta qui”.
Sulla porta mi abbraccia forte e mi bacia “Giù c’è il taxi che ti aspetta”. Faccio per uscire, ma mi trattiene per un braccio: “La prossima volta pensaci prima di non rispondere ai miei messaggi” lo dice sorridendo e mi lascia andare.
Prendo l’ascensore e attraverso l’androne del palazzo quasi correndo. Il tassista è già lì fuori che mi aspetta con la portiera aperta e il suo solito sorrisino malizioso. Ricambio imbarazzata.
Mi lancio dentro l’auto e mentre cerco una posizione sui sedili, mi rendo conto che probabilmente li sto sporcando con i miei umori.
Partiamo.
Appoggio la testa e faccio un respoiro profondo. Mi sento stremata, chiudo gli occhi e mi lecco le labbra cercando un po’ del suo sapore. Ripercorro la serata, l’ascensore, le sberle potenti, il dolore, il piacere.
Lo vorrei ancora…
Quelle labbra che appena mi sfiorano mi eccitano, le sue mani forti che mi strizzano i seni. Quelle dita…
Le sento mentre si intrufolano tra le labbra ancora bagnate…
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