Tacco 15 (seguito de "L'Ostrica")
di
Micina
genere
trio
LA SCATOLA
Sono passati tre giorni e ancora non ho avuto notizie da lui. La settimana lavorativa è finita e mi ritrovo, senza alcuna distrazione, a girovagare per casa in pigiama con lo sguardo fisso nel vuoto.
Ogni tanto chiudo gli occhi e sento le sue mani su di me, ogni volta è una fitta allo stomaco e ancora più giù.
Suonano alla porta, ritorno alla realtà. Vado ad aprire svogliata. E’ un mazzo di rose: gialle, arancioni, bianche e rosa. C’è anche una scatola nera, piuttosto grande. E c’è un biglietto.
Faccio un grosso respiro come a prendere coraggio, lentamente prendo un vaso e metto i fiori nell’acqua. Un altro respiro profondo, apro il biglietto.
“Alle 20,00 arriva il taxi. Indossa solo quello che trovi all’interno della scatola, niente di più”.
Sono le 11.00 di mattina, ho tempo. Mi guardo allo specchio: capelli arruffati, occhi stropicciati. Panico! Corro! Dove? Come?
Calma, respira, respira!
Decido di pranzare, ci provo almeno, il cibo non scende. Allora opto per il bagno rilassante. Resto nella vasca a lungo. La mia mente viaggia, lo immagino, lo sento. Ho voglia di toccarmi pensando a lui, come è accaduto spesso in questi ultimi giorni, ma mi trattengo ed esco.
Inizia il rito della preparazione: via i peli superflui, spalmo la crema ovunque, capelli stirati alla perfezione, trucco quanto basta, smalto in tinta con il rossetto e il mio profumo preferito.
E’ il turno della scatola. Respiro. Alzo piano piano il coperchio. Ci sono altri due contenitori all’interno, color bianco perlato. Apro il primo: ci trovo delle scarpe a décolleté in pelle nera lucida, senza plateau e il tacco a spillo in acciaio, alto, molto alto, sembra un 15 cm. Appoggio le scarpe al suolo, le fisso un altro po’, troppo alto.
Faccio l’ormai consueto respiro di incoraggiamento e sollevo l’altro coperchio. Sfilo un vestito e con un gesto automatico me lo appoggio addosso: è nero, di seta, scollato a “V” davanti e dietro, spalline sottili. Si stringe leggermente in vita per poi cadere dritto fino a qualche centimetro sopra il ginocchio.
Proseguo. Estraggo un reggicalze nero con le relative calze, sempre nere, trasparenti, morbide, sembrano in seta. Ho caldo.
Infine trovo un piccolo perizoma (dalla frase del biglietto non ci fosse), anch’esso nero, trasparente come i collant, davanti, nella parte superiore, c’è un piccolo inserto a forma di triangolo in pizzo rosa ed ai lati dei sottili nastri, sempre rosa, da annodare ai fianchi.
Indosso tutto come richiesto, mi sento nuda, sexy ed eccitata.
Un clacson suona due volte. Il mio taxi.
Indosso il cappotto, prendo la pochette (mi chiedo se queste cose siano concesse e spero di non sbagliare) ed infilo le scarpe che avevo tenuto per ultime.
Esco di casa, faccio un paio di passi e mi fermo. Non riesco a camminare, ad ogni passo c’è il rischio che mi possa slogare una caviglia. Azzardo avanzare ancora un po’, è inutile. Arriva in mio aiuto il tassista, stessa persona dell’altra sera. Ha il sorriso divertito e lo sguardo malizioso. Mi porge il braccio e riusciamo finalmente ad arrivare all’auto. Ogni tanto lo sorprendo guardarmi dallo specchietto retrovisore. Ora anche il sorriso è malizioso.
Dopo circa mezzora, arrivati davanti al solito palazzo, mi accompagna fino all’ascensore. I restanti passi li faccio aggrappata al muro, sono salva.
Ed ecco di nuovo “La porta del paradiso”. Suono e respiro profondamente.
IL PUNTO DI NON RITORNO
Ed eccolo qui. Bello, camicia chiara, jeans, barba perfettamente fatta, sorriso smagliante e quello sguardo intenso che tutto dice, ma nulla dice.
Mi fa segno di entrare, le ginocchia già tremano. Accenno un paio di passi insicuri, ma le sue mani sono già lì pronte a sorreggermi. Mi gira verso di lui, mi sbottona il cappotto (mi fa tremendamente sentire bambina quando fa così), me lo sfila e mi guarda dall’alto verso il basso con un sorriso di approvazione.
Ora allunga le mani e mi sposta i capelli dal collo, lo bacia. Mi stringe a se e bacia le mie labbra.
Aiuto, aiuto aiuto. Non capisco più nulla, voglio abbandonarmi a lui.
Purtroppo si stacca da me molto presto e tenendomi per i fianchi ci spostiamo in cucina. Grande, bella, moderna. Sul bancone, al centro della stanza, c’è un telo che copre (credo) pietanze.
Mi fa sedere su uno sgabello piuttosto alto, le mie gambe penzolano. Cerco di accavallarle, ma la sua mano si posa sul ginocchio e mi ferma.
Estrae un foulard dalla tasca.
“No, voglio guardarti” mi esce spontaneo.
“Shhh” e mi benda. Anche i polsi dopo poco vengono di nuovo immobilizzati dietro lo schienale dello sgabello.
Lo sento camminare e trafficare per la cucina, poi finalmente ritorna da me.
“Apri la bocca” ubbidisco. Ormai conosco quel gesto e lo adoro. Un boccone delizioso, un sorso di vino altrettanto buono e la storia di quella pietanza, di quelle spezie, del loro paese di origine, i luoghi e le culture.
Il rituale viene ripetuto svariate volte ed ogni volta che si avvicina per imboccarmi le sue gambe si infilano tra le mie costringendomi ad aprirle. La gonna sale sempre più su e, non so per colpa sua o del fato, lo spallino di destra scende sempre più giù.
Mi ritrovo lì, il reggicalze ben in vista, un seno scoperto, il capezzolo turgido e la mente appannata (lo fa apposta a farmi bere, lo so, ma non mi ribello).
La cena si conclude con il già conosciuto cioccolato offerto dalle sue dita e qualche bicchiere di rum che scalda ogni punto del mio corpo e mi riporta con la mente a qualche sera prima. Sento il clitoride pulsare.
D’improvviso sento la sua mano su una natica, mi attrae verso di lui e il suo cazzo duro si appoggia sul clitoride, l’altra mano pizzica il mio capezzolo scoperto. Mi percorre un brivido e apro la bocca per essere baciata. Me lo concede. La sua lingua rotea dentro la mia bocca con passione e il fuoco inizia a scaldarmi in mezzo alle gambe. Mi sfugge un gemito. Ma lui si stacca.
Mi fa scendere dallo sgabello e, sempre tenendomi salda a lui, mi dirige verso non so dove, sempre camminando su gambe incerte, sempre con un seno scoperto, sempre bendata e con le mani legate dietro la schiena.
Saliamo delle scale, sento il suo respiro sulla schiena nuda, e camminiamo ancora.
Poi il vuoto!! Mi prende in braccio sorreggendomi schiena e ginocchia, fa alcuni passi e infine mi adagia su qualcosa di morbido.
Sento subito le mani che afferrano gli spallini del vestito e lo tirano verso il basso. Tutto il resto rimane, comprese le maledette scarpe.
Il rumore dei suoi passi si allontana. Passa qualche minuto e ho freddo.
Eccolo, sento un fiato caldo oltrepassare il velo delle mutandine. Brividi ovunque. La lingua inizia a giocare con il clitoride, gemo da subito. Le mani mi aprono le cosce e ora le spalle mi impediscono di richiuderle. I fiocchetti del perizoma si sciolgono e resto così la fica nuda e ben in vista e di nuovo il fiato caldo su di essa.
Devo attendere qualche secondo prima che la lingua ricominci a farmi gemere. Dapprima è un massaggio circolare, leggero, poi sempre più intenso. Di tanto in tanto la sento introdursi dentro di me e raccogliere i miei umori per poi tornare su a massaggiarmi e così per altre mille volte.
Mi piace, sto godendo e mi abbandono completamente a questo gioco di piacere.
Sento i capelli spostarsi dalle orecchie, ma non ci faccio troppo caso, sono presa da ben altro.
Il massaggio di lingua si fa sempre più veloce e delle dita si introducono dentro di me.
Spalanco la bocca e vorrei urlare.
Arriva un fiato caldo sull’orecchio, una mano rovente attorno alla gola e un’altra ancora a pizzicarmi il solito capezzolo.
“E’ bellissimo guardarti godere”. E’ lui, è la sua voce che mi sussurra all’orecchio.
“Nooo” Chi è tra le mie gambe? Chi è che mi fa godere?
Le dita si insinuano sempre più infondo dentro la mia fica, i miei umori colano sull’ano e sento il clitoride gonfiarsi di piacere.
La mano intorno alla gola la avvolge ancora più stretta.
“Brava, così”.
Non resisto, esplodo in un orgasmo clitorideo potente e bellissimo. Gli spasmi mi pervadono, i suo baci sul collo mi stordiscono. Tutto è ovattato.
Cerco di respirare e ritornare in me, ma d’un tratto sento la fica riempirsi.
“Nooo”.
I colpi arrivano profondi e ritmati, dapprima lenti, poi sempre più veloci e decisi.
“Lasciati andare, voglio guardarti godere ancora”
Lui continua così, ad eccitarmi con la sua voce, a prendermi la gola e a stuzzicare il seno, che sobbalza ad ogni colpo che mi viene inferto da quel cazzo che non conosco.
“Oh sììì” non riesco a trattenermi. Vorrei stoppare tutto, ma il mio corpo lo impedisce. Mi piace ed ora quel cazzo mi sta sbattendo di brutto.
Spalanco di nuovo la bocca, ansimo, gemo, godo!!
Sento le suo lingua entrare nella mia bocca e tutto d’un colpo l’orgasmo mi prende, mi riempie e mi percuote.
Dopo poco schizzi caldi si posano sulla mia pancia e sul petto, mentre io mi lascio baciare e baciare, fino a che il cuore ritorna piano piano a ritmi naturali.
Lui si stacca da me. Sento passi andarsene. E poi quella voce. La sua voce.
“Apri la bocca”. Lo faccio.
Un’ondata di sperma arriva sulla mia lingua e poi ancora, la bocca si riempie.
“Falla scendere. Ingoia tutto”. Obbedisco con piacere, sa di buono, mi ricorda l’ostrica, ma non sa di mare. Ne voglio ancora, vorrei di più, vorrei la sua cappella in bocca, vorrei me lo spingesse in gola. Vorrei essere piena di lui. Ma tutto questo ovviamente non mi è concesso.
Mi riveste, ma senza slip, mi riporta al piano inferiore in braccio, via bende e lacci, un sorso d’acqua.
“Ne vuoi ancora?”
“No”
Cappotto, un bacio dolce e il tassista nell’androne che mi attende con il solito sorriso ricco di malizia.
No va bene, non va per niente bene.
Lascia perdere...
Lascia perdere...
Sono passati tre giorni e ancora non ho avuto notizie da lui. La settimana lavorativa è finita e mi ritrovo, senza alcuna distrazione, a girovagare per casa in pigiama con lo sguardo fisso nel vuoto.
Ogni tanto chiudo gli occhi e sento le sue mani su di me, ogni volta è una fitta allo stomaco e ancora più giù.
Suonano alla porta, ritorno alla realtà. Vado ad aprire svogliata. E’ un mazzo di rose: gialle, arancioni, bianche e rosa. C’è anche una scatola nera, piuttosto grande. E c’è un biglietto.
Faccio un grosso respiro come a prendere coraggio, lentamente prendo un vaso e metto i fiori nell’acqua. Un altro respiro profondo, apro il biglietto.
“Alle 20,00 arriva il taxi. Indossa solo quello che trovi all’interno della scatola, niente di più”.
Sono le 11.00 di mattina, ho tempo. Mi guardo allo specchio: capelli arruffati, occhi stropicciati. Panico! Corro! Dove? Come?
Calma, respira, respira!
Decido di pranzare, ci provo almeno, il cibo non scende. Allora opto per il bagno rilassante. Resto nella vasca a lungo. La mia mente viaggia, lo immagino, lo sento. Ho voglia di toccarmi pensando a lui, come è accaduto spesso in questi ultimi giorni, ma mi trattengo ed esco.
Inizia il rito della preparazione: via i peli superflui, spalmo la crema ovunque, capelli stirati alla perfezione, trucco quanto basta, smalto in tinta con il rossetto e il mio profumo preferito.
E’ il turno della scatola. Respiro. Alzo piano piano il coperchio. Ci sono altri due contenitori all’interno, color bianco perlato. Apro il primo: ci trovo delle scarpe a décolleté in pelle nera lucida, senza plateau e il tacco a spillo in acciaio, alto, molto alto, sembra un 15 cm. Appoggio le scarpe al suolo, le fisso un altro po’, troppo alto.
Faccio l’ormai consueto respiro di incoraggiamento e sollevo l’altro coperchio. Sfilo un vestito e con un gesto automatico me lo appoggio addosso: è nero, di seta, scollato a “V” davanti e dietro, spalline sottili. Si stringe leggermente in vita per poi cadere dritto fino a qualche centimetro sopra il ginocchio.
Proseguo. Estraggo un reggicalze nero con le relative calze, sempre nere, trasparenti, morbide, sembrano in seta. Ho caldo.
Infine trovo un piccolo perizoma (dalla frase del biglietto non ci fosse), anch’esso nero, trasparente come i collant, davanti, nella parte superiore, c’è un piccolo inserto a forma di triangolo in pizzo rosa ed ai lati dei sottili nastri, sempre rosa, da annodare ai fianchi.
Indosso tutto come richiesto, mi sento nuda, sexy ed eccitata.
Un clacson suona due volte. Il mio taxi.
Indosso il cappotto, prendo la pochette (mi chiedo se queste cose siano concesse e spero di non sbagliare) ed infilo le scarpe che avevo tenuto per ultime.
Esco di casa, faccio un paio di passi e mi fermo. Non riesco a camminare, ad ogni passo c’è il rischio che mi possa slogare una caviglia. Azzardo avanzare ancora un po’, è inutile. Arriva in mio aiuto il tassista, stessa persona dell’altra sera. Ha il sorriso divertito e lo sguardo malizioso. Mi porge il braccio e riusciamo finalmente ad arrivare all’auto. Ogni tanto lo sorprendo guardarmi dallo specchietto retrovisore. Ora anche il sorriso è malizioso.
Dopo circa mezzora, arrivati davanti al solito palazzo, mi accompagna fino all’ascensore. I restanti passi li faccio aggrappata al muro, sono salva.
Ed ecco di nuovo “La porta del paradiso”. Suono e respiro profondamente.
IL PUNTO DI NON RITORNO
Ed eccolo qui. Bello, camicia chiara, jeans, barba perfettamente fatta, sorriso smagliante e quello sguardo intenso che tutto dice, ma nulla dice.
Mi fa segno di entrare, le ginocchia già tremano. Accenno un paio di passi insicuri, ma le sue mani sono già lì pronte a sorreggermi. Mi gira verso di lui, mi sbottona il cappotto (mi fa tremendamente sentire bambina quando fa così), me lo sfila e mi guarda dall’alto verso il basso con un sorriso di approvazione.
Ora allunga le mani e mi sposta i capelli dal collo, lo bacia. Mi stringe a se e bacia le mie labbra.
Aiuto, aiuto aiuto. Non capisco più nulla, voglio abbandonarmi a lui.
Purtroppo si stacca da me molto presto e tenendomi per i fianchi ci spostiamo in cucina. Grande, bella, moderna. Sul bancone, al centro della stanza, c’è un telo che copre (credo) pietanze.
Mi fa sedere su uno sgabello piuttosto alto, le mie gambe penzolano. Cerco di accavallarle, ma la sua mano si posa sul ginocchio e mi ferma.
Estrae un foulard dalla tasca.
“No, voglio guardarti” mi esce spontaneo.
“Shhh” e mi benda. Anche i polsi dopo poco vengono di nuovo immobilizzati dietro lo schienale dello sgabello.
Lo sento camminare e trafficare per la cucina, poi finalmente ritorna da me.
“Apri la bocca” ubbidisco. Ormai conosco quel gesto e lo adoro. Un boccone delizioso, un sorso di vino altrettanto buono e la storia di quella pietanza, di quelle spezie, del loro paese di origine, i luoghi e le culture.
Il rituale viene ripetuto svariate volte ed ogni volta che si avvicina per imboccarmi le sue gambe si infilano tra le mie costringendomi ad aprirle. La gonna sale sempre più su e, non so per colpa sua o del fato, lo spallino di destra scende sempre più giù.
Mi ritrovo lì, il reggicalze ben in vista, un seno scoperto, il capezzolo turgido e la mente appannata (lo fa apposta a farmi bere, lo so, ma non mi ribello).
La cena si conclude con il già conosciuto cioccolato offerto dalle sue dita e qualche bicchiere di rum che scalda ogni punto del mio corpo e mi riporta con la mente a qualche sera prima. Sento il clitoride pulsare.
D’improvviso sento la sua mano su una natica, mi attrae verso di lui e il suo cazzo duro si appoggia sul clitoride, l’altra mano pizzica il mio capezzolo scoperto. Mi percorre un brivido e apro la bocca per essere baciata. Me lo concede. La sua lingua rotea dentro la mia bocca con passione e il fuoco inizia a scaldarmi in mezzo alle gambe. Mi sfugge un gemito. Ma lui si stacca.
Mi fa scendere dallo sgabello e, sempre tenendomi salda a lui, mi dirige verso non so dove, sempre camminando su gambe incerte, sempre con un seno scoperto, sempre bendata e con le mani legate dietro la schiena.
Saliamo delle scale, sento il suo respiro sulla schiena nuda, e camminiamo ancora.
Poi il vuoto!! Mi prende in braccio sorreggendomi schiena e ginocchia, fa alcuni passi e infine mi adagia su qualcosa di morbido.
Sento subito le mani che afferrano gli spallini del vestito e lo tirano verso il basso. Tutto il resto rimane, comprese le maledette scarpe.
Il rumore dei suoi passi si allontana. Passa qualche minuto e ho freddo.
Eccolo, sento un fiato caldo oltrepassare il velo delle mutandine. Brividi ovunque. La lingua inizia a giocare con il clitoride, gemo da subito. Le mani mi aprono le cosce e ora le spalle mi impediscono di richiuderle. I fiocchetti del perizoma si sciolgono e resto così la fica nuda e ben in vista e di nuovo il fiato caldo su di essa.
Devo attendere qualche secondo prima che la lingua ricominci a farmi gemere. Dapprima è un massaggio circolare, leggero, poi sempre più intenso. Di tanto in tanto la sento introdursi dentro di me e raccogliere i miei umori per poi tornare su a massaggiarmi e così per altre mille volte.
Mi piace, sto godendo e mi abbandono completamente a questo gioco di piacere.
Sento i capelli spostarsi dalle orecchie, ma non ci faccio troppo caso, sono presa da ben altro.
Il massaggio di lingua si fa sempre più veloce e delle dita si introducono dentro di me.
Spalanco la bocca e vorrei urlare.
Arriva un fiato caldo sull’orecchio, una mano rovente attorno alla gola e un’altra ancora a pizzicarmi il solito capezzolo.
“E’ bellissimo guardarti godere”. E’ lui, è la sua voce che mi sussurra all’orecchio.
“Nooo” Chi è tra le mie gambe? Chi è che mi fa godere?
Le dita si insinuano sempre più infondo dentro la mia fica, i miei umori colano sull’ano e sento il clitoride gonfiarsi di piacere.
La mano intorno alla gola la avvolge ancora più stretta.
“Brava, così”.
Non resisto, esplodo in un orgasmo clitorideo potente e bellissimo. Gli spasmi mi pervadono, i suo baci sul collo mi stordiscono. Tutto è ovattato.
Cerco di respirare e ritornare in me, ma d’un tratto sento la fica riempirsi.
“Nooo”.
I colpi arrivano profondi e ritmati, dapprima lenti, poi sempre più veloci e decisi.
“Lasciati andare, voglio guardarti godere ancora”
Lui continua così, ad eccitarmi con la sua voce, a prendermi la gola e a stuzzicare il seno, che sobbalza ad ogni colpo che mi viene inferto da quel cazzo che non conosco.
“Oh sììì” non riesco a trattenermi. Vorrei stoppare tutto, ma il mio corpo lo impedisce. Mi piace ed ora quel cazzo mi sta sbattendo di brutto.
Spalanco di nuovo la bocca, ansimo, gemo, godo!!
Sento le suo lingua entrare nella mia bocca e tutto d’un colpo l’orgasmo mi prende, mi riempie e mi percuote.
Dopo poco schizzi caldi si posano sulla mia pancia e sul petto, mentre io mi lascio baciare e baciare, fino a che il cuore ritorna piano piano a ritmi naturali.
Lui si stacca da me. Sento passi andarsene. E poi quella voce. La sua voce.
“Apri la bocca”. Lo faccio.
Un’ondata di sperma arriva sulla mia lingua e poi ancora, la bocca si riempie.
“Falla scendere. Ingoia tutto”. Obbedisco con piacere, sa di buono, mi ricorda l’ostrica, ma non sa di mare. Ne voglio ancora, vorrei di più, vorrei la sua cappella in bocca, vorrei me lo spingesse in gola. Vorrei essere piena di lui. Ma tutto questo ovviamente non mi è concesso.
Mi riveste, ma senza slip, mi riporta al piano inferiore in braccio, via bende e lacci, un sorso d’acqua.
“Ne vuoi ancora?”
“No”
Cappotto, un bacio dolce e il tassista nell’androne che mi attende con il solito sorriso ricco di malizia.
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