Terza parte - Le ballerine ed il resto
di
Frank Zaz
genere
feticismo
Quel pomeriggio non lavoravo (avevo svolto un turno di mattina) ed ero stato incaricato di portare la macchina di mia suocera a fare la revisione. L’appuntamento dal meccanico era per le ore 16,30 ma io, come al solito, immaginando di poter “rimediare” qualcosa di “extra” ovviamente partii con un bel po’ di anticipo. Alle 15,00 ero già a casa di mia suocera. Salii le scale, aprii la porta ed entrai. Oltrepassai il corridoio, entrai in cucina e sentii rumore di stoviglie provenire dal cucinotto. Mi affacciai e vidi mia suocera intenta ad asciugare i piatti che aveva poco prima rigovernato. “Buongiorno” esordii. E lei, voltandosi sorridente: “Ciao, sei arrivato presto . . .”. “. . . Sa com’è . . . meglio non far tardi, non crede?” le chiesi ammiccando un sorrisetto d’intesa. Lei si voltò di nuovo verso l’acquaio e riprese ad asciugare i piatti, ma colse l’occasione per tentare in qualche modo di dissuadermi dal chiederle ciò che era evidente che io volessi fare: “. . . Ora ho un po’ da fare . . . lo so perché sei venuto prima, ma devo dirti che non ho tempo; dopo asciugato i piatti devo stirare . . . . .”. Nel frattempo, ovviamente, l’avevo squadrata da capo a piedi (soprattutto questi ultimi) ed avevo notato che calzava un paio di ballerine fucsia, senza calze.
Il resto era il classico: un paio di jeans ed una camicetta beige che solitamente indossava per stare in casa. Non potei resistere: mentre era intenta all’asciugatura dei piatti mi recai dietro di lei e mi inginocchiai a terra. Abbassai la testa e mi avvicinai alle sue scarpine fucsia. Lei percepì la mia presenza, si voltò e mi disse: “Ma sei veramente testardo . . . ti ho detto che ho da fare . . . e poi guarda se alla fine mi fai cadere . . .”. “Ma no che non la faccio cadere . . . su, mi lasci fare . . .”. Presi dolcemente il suo piede destro, lo sollevai all’indietro piegandole il ginocchio, afferrai la scarpina e piano piano, tirandola verso di me, la sfilai. Ecco la fantastica pianta del piede destro di mia suocera. Ed ecco anche l’interno di quella ballerina fucsia. Non sapevo veramente da che parte cominciare. Portai la scarpa alla bocca e la leccai con passione, soprattutto l’interno, nel quale si era creata la meravigliosa impronta della pianta del piede di mia suocera, e delle sue dita adorabili...
Poi posai a terra la calzatura e mi dedicai al piede. In questa posizione avevo il suo calcagno in alto e le dita in basso: l’opposto di quando mi porge i suoi piedi standomi davanti, girata verso di me. Non fu comunque un problema, anzi una gustosa variante sul tema. Cominciai con passione, ma molto delicatamente, a leccarle la pianta calda. La sentii insistere che sarebbe stato meglio smettere: “. . . Ho da fare, bisogna smettere perché oggi ho proprio da fare . . .”. Ma io intanto, ignorando le sue proteste, continuavo imperterrito a leccarle e succhiarle il piede destro. Piano piano la sua contrarietà si mutò in rassegnazione, finché non divenne (finalmente) complicità: “. . . Se ci mettiamo più comodi viene meglio, non credi?”. Non credevo ai miei orecchi, ma mi adeguai alla nuova situazione e rilanciai: “Lo credo anch’io, ma le sedie non sono molto comode . . .”. “. . . Hai ragione” ribatté lei, aggiungendo audace: “Che ne dici del letto?”. La situazione stava divenendo decisamente piccante: mi stava proponendo di leccarle i piedi sul suo letto. La cosa era clamorosamente eccitante, ed io non indugiai oltre: “Credo che si starebbe comodissimi . . .”. Detto fatto; le rimisi la scarpina destra e ci recammo in camera da letto. Lei per prima si mise a sedere sul letto, si distese, allungò le gambe e mi disse che ora il tutto sarebbe venuto sicuramente meglio. Le sorrisi e mi avvicinai dolcemente alle sue scarpine nere. Una ad una, con somma delicatezza, le sfilai. Le appoggiai a terra e tornai a dedicarmi ai suoi meravigliosi piedini. La mia bocca fremente indugiava con passione sulle sue dita deliziose; la lingua carezzava le piante ed i calcagni. Ad un certo punto tirai un po’ su il bordo inferiore dei pantaloni, in maniera da poterle leccare un po’ anche le caviglie ed il collo dei piedi. Fu a quel punto che la situazione cambiò radicalmente e mi si presentò davanti una evidenza completamente nuova, ma che non avevo mai osato neanche lontanamente considerare. Mia suocera mi disse: “. . . Se passi da sotto, i pantaloni ti danno un po’ noia; magari senza verrebbe meglio . . .”. Incredibilmente mi stava invitando a toglierle i pantaloni. Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata; mi venne la sudarella ed il mio respiro divenne affannoso. Non le risposi ma agii in ossequio a quello che lei mi aveva appena detto: percorsi con le mani le sue gambe (esternamente ai pantaloni) finché non giunsi al bottone ed alla cerniera. Li sbottonai delicatamente, calai la zip e dolcemente, piano piano, tirai verso il basso. I pantaloni cedettero ed iniziarono a sfilarsi. Comparvero sue cosce, le sue ginocchia, le sue caviglie, finché i pantaloni non raggiunsero i piedi. Li sfilai del tutto e li posai in un angolo del letto. Ora mia suocera era distesa davanti a me, con la parte alta del suo corpo abbigliata normalmente, ma con in basso solamente le mutandine (bianche). Notai che aveva gli occhi chiusi, come se fosse in attesa di qualcosa di misterioso ma ineluttabile. Mi avvicinai di nuovo ai suoi piedi e ricominciai a baciarli e ad adorarli. Leccavo con passione, succhiavo le dita, e come previsto scorsi con la lingua le caviglie di mia suocera; le leccai il collo di entrambi i piedi, le baciai e leccai entrambi i polpacci. Fu a quel punto che per me il tempo si fermò ed il mondo cominciò a girare vorticosamente al contrario, conducendomi in un turbine di sensazioni allucinanti ed eccitanti, al limite della follia; mia suocera mi disse: “Se vuoi puoi salire ancora più su . . .”. Mi stava invitando a leccarla più in alto . . . ben oltre i piedi, ben oltre i polpacci, le cosce . . . Mi sentivo come ubriaco . . . allucinato . . . ma cercai comunque di muovermi con sicurezza e disinvoltura. Raggiunsi le sue ginocchia, le carezzai con la lingua, poi proseguii oltre ed arrivai alle cosce. La mia lingua scorreva sapiente, fremente, tra le sue gambe. Lei le divaricò, piegando le ginocchia e poggiando sul letto le piante dei piedi. Sempre più divaricate . . . mentre io sempre di più salivo con la mia lingua lungo la sua pelle tremante. Arrivai tra le sue cosce con la testa. Davanti a me avevo le mutandine bianche. Era chiaro che in quel momento non aveva alcun senso avere scrupoli. Afferrai l’indumento e con dolcezza lo sfilai. Lei mi agevolò nell’operazione. Sollevò un attimo il sedere, unì le ginocchia, e quando le mutandine furono arrivate alle caviglie, sollevò i piedi dal letto per farle sfilare del tutto. Ora la parte bassa del suo corpo era completamente (e finalmente . . .) nuda. Continuò a tenere gli occhi chiusi e si ridispose nella posizione di prima: ginocchia un po’ piegate, piedi sul letto e gambe completamente divaricate: mi stava invitando a tornare a fare quello che stavo facendo . . . ed a completare l’opera. Mi rituffai in basso e ricominciai a leccarle le gambe. Ero ripartito dai piedi (fantastici!) ma ci misi poco a ripercorrere il suo corpo verso l’alto: in poco tempo fui di nuovo tra le sue cosce. Ora avevo a pochi centimetri dalla mia bocca la sua vulva fremente. Tutto era compiuto. Mi avvicinai sempre di più . . . . centimetri . . . millimetri . . . la mia lingua terminò di carezzare la coscia destra e giunse al punto in cui termina la gamba ed inizia l’inguine. Proseguii e finalmente arrivai al traguardo. La sua vagina spalancata si offrì alla vista dei miei occhi impazienti ed alle attenzioni della mia lingua sapiente.
Non persi altro tempo. Leccai con trasporto quelle labbra bollenti, quel clitoride durissimo. Dopo poco sentii dei fremiti, delle contrazioni. Lei intanto cominciò a gemere di piacere. La sua vulva divenne bagnata, molto bagnata. Leccai i suoi umori con crescente eccitazione, finché lei, in preda ad un tumulto di sensazioni, non mi implorò di farla sua: “. . . Prendimi . . . ho bisogno di essere tua . . . è troppo tempo che aspetto. Ti prego . . . prendimi !!”. Continuai a leccarle la vulva, mentre con le mani provvedevo a spogliarmi. A differenza di lei, io mi tolsi tutti gli indumenti. Quando fui completamente nudo (ed eccitatissimo) cominciai a scivolare sopra di lei verso l’alto. Quando il mio viso fu davanti al suo, la mia asta turgida era finalmente davanti al suo fremente pertugio. Ora veramente tutto era compiuto. Delicatamente, semplicemente, entrai in lei. Mi mossi con sicurezza, come se lo stessi facendo con una mia coetanea. Quando il mio cervello analizzava la situazione, tutto sembrava folle: stavo scopando mia suocera, una donna ben più grande di me. Ma quando lasciavo comandare l’istinto mi sembrava la situazione più normale del mondo. Andai avanti, pistonando la sua vulva, per un bel po’, finché lei non sollevò le gambe e mi appoggiò le caviglie sulle spalle. Mi venne un’altra ideuzza, ma forse era venuta anche a lei . . . Girai la testa a destra e ricominciai a leccarle il piede sinistro, mentre la scopavo con foga. Lei staccò la gamba dalla mia spalla e mi porse il piede davanti al viso, dopodiché fece altrettanto con l’altro. Afferrai le sue caviglie e mi misi le piante dei suoi piedi in faccia.
Leccai, succhiai, adorai quelle fantastiche estremità mentre il mio cazzo esplorava i suoi visceri bollenti. La sua vulva era assolutamente schiava del mio palo, e lei si muoveva per riceverne di più . . . sempre di più, mentre i suoi piedi venivano sollazzati dalla mia lingua sapiente. Andammo avanti un’ora e mezzo ed alla fine inondai i suoi visceri con una sborrata torrenziale: sette, otto schizzi con i quali le pienai l'utero di sperma bollente. Alla fine, dopo quello splendido orgasmo, rimasi dentro di lei: la sua vulva era un fodero caldo e confortevole ed il mio cazzo non voleva più uscirne. Fu una delle più belle scopate della mia vita. Da quel momento io e mia suocera divenimmo amanti, e di tanto in tanto, oltre ai piedi, lei mi concedeva anche il resto . . .
Il resto era il classico: un paio di jeans ed una camicetta beige che solitamente indossava per stare in casa. Non potei resistere: mentre era intenta all’asciugatura dei piatti mi recai dietro di lei e mi inginocchiai a terra. Abbassai la testa e mi avvicinai alle sue scarpine fucsia. Lei percepì la mia presenza, si voltò e mi disse: “Ma sei veramente testardo . . . ti ho detto che ho da fare . . . e poi guarda se alla fine mi fai cadere . . .”. “Ma no che non la faccio cadere . . . su, mi lasci fare . . .”. Presi dolcemente il suo piede destro, lo sollevai all’indietro piegandole il ginocchio, afferrai la scarpina e piano piano, tirandola verso di me, la sfilai. Ecco la fantastica pianta del piede destro di mia suocera. Ed ecco anche l’interno di quella ballerina fucsia. Non sapevo veramente da che parte cominciare. Portai la scarpa alla bocca e la leccai con passione, soprattutto l’interno, nel quale si era creata la meravigliosa impronta della pianta del piede di mia suocera, e delle sue dita adorabili...
Poi posai a terra la calzatura e mi dedicai al piede. In questa posizione avevo il suo calcagno in alto e le dita in basso: l’opposto di quando mi porge i suoi piedi standomi davanti, girata verso di me. Non fu comunque un problema, anzi una gustosa variante sul tema. Cominciai con passione, ma molto delicatamente, a leccarle la pianta calda. La sentii insistere che sarebbe stato meglio smettere: “. . . Ho da fare, bisogna smettere perché oggi ho proprio da fare . . .”. Ma io intanto, ignorando le sue proteste, continuavo imperterrito a leccarle e succhiarle il piede destro. Piano piano la sua contrarietà si mutò in rassegnazione, finché non divenne (finalmente) complicità: “. . . Se ci mettiamo più comodi viene meglio, non credi?”. Non credevo ai miei orecchi, ma mi adeguai alla nuova situazione e rilanciai: “Lo credo anch’io, ma le sedie non sono molto comode . . .”. “. . . Hai ragione” ribatté lei, aggiungendo audace: “Che ne dici del letto?”. La situazione stava divenendo decisamente piccante: mi stava proponendo di leccarle i piedi sul suo letto. La cosa era clamorosamente eccitante, ed io non indugiai oltre: “Credo che si starebbe comodissimi . . .”. Detto fatto; le rimisi la scarpina destra e ci recammo in camera da letto. Lei per prima si mise a sedere sul letto, si distese, allungò le gambe e mi disse che ora il tutto sarebbe venuto sicuramente meglio. Le sorrisi e mi avvicinai dolcemente alle sue scarpine nere. Una ad una, con somma delicatezza, le sfilai. Le appoggiai a terra e tornai a dedicarmi ai suoi meravigliosi piedini. La mia bocca fremente indugiava con passione sulle sue dita deliziose; la lingua carezzava le piante ed i calcagni. Ad un certo punto tirai un po’ su il bordo inferiore dei pantaloni, in maniera da poterle leccare un po’ anche le caviglie ed il collo dei piedi. Fu a quel punto che la situazione cambiò radicalmente e mi si presentò davanti una evidenza completamente nuova, ma che non avevo mai osato neanche lontanamente considerare. Mia suocera mi disse: “. . . Se passi da sotto, i pantaloni ti danno un po’ noia; magari senza verrebbe meglio . . .”. Incredibilmente mi stava invitando a toglierle i pantaloni. Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata; mi venne la sudarella ed il mio respiro divenne affannoso. Non le risposi ma agii in ossequio a quello che lei mi aveva appena detto: percorsi con le mani le sue gambe (esternamente ai pantaloni) finché non giunsi al bottone ed alla cerniera. Li sbottonai delicatamente, calai la zip e dolcemente, piano piano, tirai verso il basso. I pantaloni cedettero ed iniziarono a sfilarsi. Comparvero sue cosce, le sue ginocchia, le sue caviglie, finché i pantaloni non raggiunsero i piedi. Li sfilai del tutto e li posai in un angolo del letto. Ora mia suocera era distesa davanti a me, con la parte alta del suo corpo abbigliata normalmente, ma con in basso solamente le mutandine (bianche). Notai che aveva gli occhi chiusi, come se fosse in attesa di qualcosa di misterioso ma ineluttabile. Mi avvicinai di nuovo ai suoi piedi e ricominciai a baciarli e ad adorarli. Leccavo con passione, succhiavo le dita, e come previsto scorsi con la lingua le caviglie di mia suocera; le leccai il collo di entrambi i piedi, le baciai e leccai entrambi i polpacci. Fu a quel punto che per me il tempo si fermò ed il mondo cominciò a girare vorticosamente al contrario, conducendomi in un turbine di sensazioni allucinanti ed eccitanti, al limite della follia; mia suocera mi disse: “Se vuoi puoi salire ancora più su . . .”. Mi stava invitando a leccarla più in alto . . . ben oltre i piedi, ben oltre i polpacci, le cosce . . . Mi sentivo come ubriaco . . . allucinato . . . ma cercai comunque di muovermi con sicurezza e disinvoltura. Raggiunsi le sue ginocchia, le carezzai con la lingua, poi proseguii oltre ed arrivai alle cosce. La mia lingua scorreva sapiente, fremente, tra le sue gambe. Lei le divaricò, piegando le ginocchia e poggiando sul letto le piante dei piedi. Sempre più divaricate . . . mentre io sempre di più salivo con la mia lingua lungo la sua pelle tremante. Arrivai tra le sue cosce con la testa. Davanti a me avevo le mutandine bianche. Era chiaro che in quel momento non aveva alcun senso avere scrupoli. Afferrai l’indumento e con dolcezza lo sfilai. Lei mi agevolò nell’operazione. Sollevò un attimo il sedere, unì le ginocchia, e quando le mutandine furono arrivate alle caviglie, sollevò i piedi dal letto per farle sfilare del tutto. Ora la parte bassa del suo corpo era completamente (e finalmente . . .) nuda. Continuò a tenere gli occhi chiusi e si ridispose nella posizione di prima: ginocchia un po’ piegate, piedi sul letto e gambe completamente divaricate: mi stava invitando a tornare a fare quello che stavo facendo . . . ed a completare l’opera. Mi rituffai in basso e ricominciai a leccarle le gambe. Ero ripartito dai piedi (fantastici!) ma ci misi poco a ripercorrere il suo corpo verso l’alto: in poco tempo fui di nuovo tra le sue cosce. Ora avevo a pochi centimetri dalla mia bocca la sua vulva fremente. Tutto era compiuto. Mi avvicinai sempre di più . . . . centimetri . . . millimetri . . . la mia lingua terminò di carezzare la coscia destra e giunse al punto in cui termina la gamba ed inizia l’inguine. Proseguii e finalmente arrivai al traguardo. La sua vagina spalancata si offrì alla vista dei miei occhi impazienti ed alle attenzioni della mia lingua sapiente.
Non persi altro tempo. Leccai con trasporto quelle labbra bollenti, quel clitoride durissimo. Dopo poco sentii dei fremiti, delle contrazioni. Lei intanto cominciò a gemere di piacere. La sua vulva divenne bagnata, molto bagnata. Leccai i suoi umori con crescente eccitazione, finché lei, in preda ad un tumulto di sensazioni, non mi implorò di farla sua: “. . . Prendimi . . . ho bisogno di essere tua . . . è troppo tempo che aspetto. Ti prego . . . prendimi !!”. Continuai a leccarle la vulva, mentre con le mani provvedevo a spogliarmi. A differenza di lei, io mi tolsi tutti gli indumenti. Quando fui completamente nudo (ed eccitatissimo) cominciai a scivolare sopra di lei verso l’alto. Quando il mio viso fu davanti al suo, la mia asta turgida era finalmente davanti al suo fremente pertugio. Ora veramente tutto era compiuto. Delicatamente, semplicemente, entrai in lei. Mi mossi con sicurezza, come se lo stessi facendo con una mia coetanea. Quando il mio cervello analizzava la situazione, tutto sembrava folle: stavo scopando mia suocera, una donna ben più grande di me. Ma quando lasciavo comandare l’istinto mi sembrava la situazione più normale del mondo. Andai avanti, pistonando la sua vulva, per un bel po’, finché lei non sollevò le gambe e mi appoggiò le caviglie sulle spalle. Mi venne un’altra ideuzza, ma forse era venuta anche a lei . . . Girai la testa a destra e ricominciai a leccarle il piede sinistro, mentre la scopavo con foga. Lei staccò la gamba dalla mia spalla e mi porse il piede davanti al viso, dopodiché fece altrettanto con l’altro. Afferrai le sue caviglie e mi misi le piante dei suoi piedi in faccia.
Leccai, succhiai, adorai quelle fantastiche estremità mentre il mio cazzo esplorava i suoi visceri bollenti. La sua vulva era assolutamente schiava del mio palo, e lei si muoveva per riceverne di più . . . sempre di più, mentre i suoi piedi venivano sollazzati dalla mia lingua sapiente. Andammo avanti un’ora e mezzo ed alla fine inondai i suoi visceri con una sborrata torrenziale: sette, otto schizzi con i quali le pienai l'utero di sperma bollente. Alla fine, dopo quello splendido orgasmo, rimasi dentro di lei: la sua vulva era un fodero caldo e confortevole ed il mio cazzo non voleva più uscirne. Fu una delle più belle scopate della mia vita. Da quel momento io e mia suocera divenimmo amanti, e di tanto in tanto, oltre ai piedi, lei mi concedeva anche il resto . . .
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