L'harem dello sceicco - capitolo 1
di
Koss
genere
dominazione
Premessa
E’ una storia di qualche tempo fa.
Sonia è fuggita dalla sua terribile prigionia dove è stata rinchiusa per parecchio tempo, insieme ad altre bellissime ragazze, più o meno giovani.
Sonia era stata rapita per caso, o meglio per necessità, ma questo si capirà meglio dal racconto. Lei non doveva essere rapita, lei non stava nel target dei rapitori, era passabile, ma non bellissima e questo era il target dei banditi. Ma una volta che ciò è avvenuto la sua sorte è segnata, come quella delle bellissime.
Miracolosamente ed in modo rocambolesco e pazzesco, dopo molto tempo e dopo aver subito tutto, riesce a fuggire. Non ha nessuna intenzione di andare alla polizia e poi a quale polizia, di quale paese e per raccontare cosa, visto che in fondo non sa niente di preciso e comunque è terribilmente spaventata, la rete dello sceicco, il mandante di quei sequestri, è molto lunga. Lui è molto potente, soprattutto in quella sperduta parte del mondo, mentre lei è una poveretta sola e disperata. Però trova il coraggio di scrivere questa storia raccontando in prima persona quello che ha vissuto e che ha visto e sentito.
Il Risveglio
Sentivo delle voci, era come se arrivassero dall'al di là, è il mio primo ricordo dell'esperienza che voglio raccontarvi e che ancora non oso giudicare, so solo che mi ha profondamente cambiato la vita; un'esperienza che pochi essere umani, su tutta la faccia della terra, in questo secolo, possono dire di aver vissuto. Sentivo queste voci lontane, in una lingua che non capivo, il mio cervello stentava a funzionare, avevo la testa indolenzita come se fosse stata riempita di cotone. Piano piano, lentamente emersi da quelle nebbie, qualcuno mi aveva afferrato e sollevato il mento, da quanto tempo non lo so, e mi gridava: - What's your name? - E poi: - Parlez vous francais? - Ed ancora: - Sei italiana? -
Finalmente qualcuno, pensai che può aiutarmi a venir fuori da questa situazione, non riuscivo a ricordare cosa mi fosse successo, da quanto tempo mi trovavo in quello stato. Aprii gli occhi e cercai di mettere a fuoco, mi ci volle qualche secondo per focalizzare il viso che avevo di fronte, la prima cosa che vidi.
- Chi sei? -
Mi rispose in francese. - Oh bene. Sei ritornata tra di noi. -
Capivo vagamente quello che mi stava dicendo, a scuola avevo studiato francese e lo conoscevo abbastanza bene, ma in quel momento non ero in grado di connettere granché neanche in italiano, figuriamoci in francese.
Era una donna matura, ma ancora avvenente, aveva il viso bruciato dal sole, i capelli neri e corvini raccolti a coda di cavallo, gli occhi scuri e cerchiati, ma aveva ancora un corpo sodo e piacente. Indossava un vestito leggero di lino, era pesantemente truccata, le unghie lunghe e dipinte di un rosso vivo. Doveva essere francese. Portava un collare di cuoio su cui c'era scritto Nicolette.
- Dove sono? - chiesi, ed intanto mi guardai intorno. Ero sdraiata su un giaciglio dentro quella che mi sembrò una grotta. Una grotta con una grata all'imboccatura. Mi sembrava che le cose stessero così, ma non ne ero sicura.
Per tutta risposta la mia interlocutrice mi fece un'altra domanda.
- Come ti chiami? -
Me lo chiese in italiano, ma si capiva che non era italiana.
- Sonia - risposi e lei assentì.
Nell'antro c'erano due altre persone, oltre a quella che mi stava aiutando a riemergere dal limbo o da qualsiasi luogo in cui fossi andata. Una era in piedi dietro la francese. Era vestita in un modo molto strano, era vestita di pelle. Di pelle era la gonna molto corta, che copriva appena due gambe lunghe e snelle; sopra indossava un reggiseno aperto, un reggiseno che fasciava i due seni con delle fibbie di varie dimensioni, alcune larghe un paio di centimetri ed altre strette come un laccio di scarpa, e che quindi li lasciava entrambi in vista. Era un bel seno, non molto grande, ma fatto bene, con dei capezzoli bruni molto scuri e pronunciati. La donna era di pelle scura ed aveva i capelli neri, ondulati e ricci, gli occhi tendevano al viola, non era proprio nera, ma neanche solo molto abbronzata come la francese, sembrava creola, era giovane. Ai piedi portava degli stivali che le arrivavano al polpaccio, larghi e morbidi. Quel vestito mi sembrò incongruo, ma ancora più assurdo mi sembrò quel frustino che aveva in mano. Ero troppo intontita per riuscire a ragionare più di tanto e ci rinunciai. Guardai l'altra donna che era presente. Era una donna bianca e bionda, molto bianca, di un bianco latte e cremoso. Era una donna meravigliosa, molto bella, con tutte le curve al posto giusto, tante curve, prospera ed abbondante, ma senza un filo di grasso. Aveva il viso bianco, con qualche lentiggine. Era bionda nei capelli, sotto le ascelle, ed anche giù nelle parti intime. Gesù, pensai, è nuda. Mi misi a ridere, mi sembrava tutto molto strano. Guardai me stessa, ero nuda pure io. Tutta nuda. Mi accorsi che la bionda era spaventata, terribilmente spaventata. Svenni.
Quando rinvenni, parecchie ore dopo, nella caverna c'era poca luce, mi ripresi lentamente e piano piano mi abituai alla penombra, vidi così che oltre a me c'era solo la bella bionda. Stava dormendo nuda su un giaciglio come il mio. Ora che eravamo sole la guardai meglio, era molto giovane, una ragazza di circa venti anni. Bella e nuda. Anch'io ero nuda.
Cercai di ricordare come fossi arrivata lì, i miei ultimi ricordi risalivano a.... Non sapevo quanto tempo era passato, ma ricordai il luogo: Istanbul. Cos'era successo. Sì, potevo ricordare, ora era tutto più chiaro. Ero ad Istanbul in vacanza, quella mattina ero uscita da sola, la mia amica Anna era rimasta a dormire. Mi trovavo in una stradina deserta, c'era solo quella coppia di occidentali. Oh merda, la ragazza, è lei quella ragazza che gli arabi volevano rapire. Io ero intervenuta in sua difesa, il ragazzo era a terra svenuto, e poi sentii una mazzata sulla testa. Ed in seguito eccoci qua. Doveva essere andata così, ma ora cosa volevano un riscatto, mi veniva da ridere solo a pensarci, i soldi di quel viaggio li avevo presi in prestito da un amico. Ma è ovvio, volevano rapire lei, è lei la ricca, io sono capitata in mezzo. Dovevo svegliarla, lei certamente sapeva tutto. E la svegliai.
Si chiamava Marianne, aveva ventitré anni, veniva da un paesino del Montana, non era ricca. Era solo bella e per quello l'avevano rapita. Sveglia Sonia, sul finire del novecento dovresti saperlo pure tu che c'è ancora la tratta delle bianche. Ci volle più di un'ora per capire queste quattro cose, la ragazza parlava solo inglese ed in quella lingua me la cavavo male. Ci abituammo presto alla nostra reciproca nudità, avevamo solo dei sandali e per giunta dorati, ridicolo, in seguito ci abituammo anche a molte altre cose. Eravamo disperate. Pensai che se mai fossi ritornata libera non avrei aiutato più nessuno. Marianne era più disperata di me, aveva cercato di farmi capire tutto mentre piangeva e singhiozzava. Eravamo state rapite e poi narcotizzate e tenute a dormire per non si sa quanto tempo ed ora ci trovavamo dove?
- Oasi ... desert ... Sudan. - Questa fu la risposta di Marianne. Non sapeva altro.
Quando era diventato completamente buio arrivarono due nere, alte ed arroganti, la schiena arcuata ed il sedere alto, con i capelli corti e crespi, arroganti e manesche. Erano vestite come la donna che avevo conosciuto nel pomeriggio, quella con il frustino in mano, ovvero cuoio e borchie, l'unica cosa differente era che queste non portavano neanche la gonna, ma mutandine che coprivano poco, fatte, come il reggiseno, di strisce di cuoio intrecciate. Con loro c'era Nicolette che portava la cena. Una delle due nere teneva un lume in mano che appoggiò a terra. L'altra aveva in mano due collari di cuoio. Quella che aveva posato il lume prese in mano dall'altra uno dei collari e si avvicinò a me, io mi ritrassi, non volevo farmi mettere un collare, mi colpì con un pugno alla pancia e poi ricevetti uno schiaffo, mi colò sangue dal labbro. Nicolette che aveva posato il vassoio per terra si precipitò verso di me ed in qualche modo cercò di convincermi.
- Pour le nome... pour le nome. – Lo disse sommessamente, lei non aveva nessun potere sulle due nere.
Le due nere intanto non avevano il collare, che c'entrava il nome, ma intanto mentre una mi teneva le braccia strette dietro la schiena l'altra mi sistemava il collare sul quale c'era scritto Sonia. Marianne non si oppose e tutto fu più semplice. Se ne andarono lasciando lì la cena. Costolette d'agnello, verdure cotte, frutta e datteri. Avevo una fame che non ci vedevo e convinsi pure Marianne a mangiare, la ragazza era depressa e sofferente.
C'era poco da fare, ero in una pessima situazione, avevo trenta anni e non ero bella, anche se tutti dicevano che ero un bel tipo, ma niente di lontanamente paragonabile a Marianne, dietro di lei avrei potuto sbavare pure io che mi consideravo eterosessuale al cento per cento. Questo solo per dire quanto lei fosse bella e quanto poco io potessi centrare con la tratta delle schiave. Mi descriverò confrontando il mio corpo con quello di Marianne, così potrete conoscerci meglio entrambe. Io ero alta e lo sono tuttora un metro e sessantacinque, Marianne era alta un metro e settantasei. Io pesavo cinquantacinque chili e lei sessantasei. Gli occhi: i miei sono neri ed espressivi; lei ha due grandi occhi blu profondi come il mare e ben distanziati. Io ho una boccuccia ben modellata, ma piccola, un discreto e sfrontato sorriso; lei ha una bocca sensuale, due labbra piacevolmente pronunciate ed un sorriso perfetto. I capelli: lei ha una vaporosa chioma bionda perfettamente modellata sul suo viso grande e rotondo; io ho una zazzera nera pettinata alla maschietto. Io sono un po' spigolosa, ho il seno piccolo e due gambe robuste; lei è fatta di crema, un seno grande e burroso, curve dovunque, le gambe lunghe, piene e formose, i fianchi soffici, sulla guancia ha una fossetta, e sul viso una spolverata di lentiggini che la rendono irresistibile. Per colpa sua io mi trovavo in quella situazione. Ma non mi sentivo di colpevolizzarla, lo faceva già lei continuando a piangere ed a scusarsi con me. L'abbracciai, era proprio di crema, pensai che se c'era una soluzione l'avrei dovuta trovare da sola.
koss99@hotmail.it
http://novelleerotiche.altervista.org/
E’ una storia di qualche tempo fa.
Sonia è fuggita dalla sua terribile prigionia dove è stata rinchiusa per parecchio tempo, insieme ad altre bellissime ragazze, più o meno giovani.
Sonia era stata rapita per caso, o meglio per necessità, ma questo si capirà meglio dal racconto. Lei non doveva essere rapita, lei non stava nel target dei rapitori, era passabile, ma non bellissima e questo era il target dei banditi. Ma una volta che ciò è avvenuto la sua sorte è segnata, come quella delle bellissime.
Miracolosamente ed in modo rocambolesco e pazzesco, dopo molto tempo e dopo aver subito tutto, riesce a fuggire. Non ha nessuna intenzione di andare alla polizia e poi a quale polizia, di quale paese e per raccontare cosa, visto che in fondo non sa niente di preciso e comunque è terribilmente spaventata, la rete dello sceicco, il mandante di quei sequestri, è molto lunga. Lui è molto potente, soprattutto in quella sperduta parte del mondo, mentre lei è una poveretta sola e disperata. Però trova il coraggio di scrivere questa storia raccontando in prima persona quello che ha vissuto e che ha visto e sentito.
Il Risveglio
Sentivo delle voci, era come se arrivassero dall'al di là, è il mio primo ricordo dell'esperienza che voglio raccontarvi e che ancora non oso giudicare, so solo che mi ha profondamente cambiato la vita; un'esperienza che pochi essere umani, su tutta la faccia della terra, in questo secolo, possono dire di aver vissuto. Sentivo queste voci lontane, in una lingua che non capivo, il mio cervello stentava a funzionare, avevo la testa indolenzita come se fosse stata riempita di cotone. Piano piano, lentamente emersi da quelle nebbie, qualcuno mi aveva afferrato e sollevato il mento, da quanto tempo non lo so, e mi gridava: - What's your name? - E poi: - Parlez vous francais? - Ed ancora: - Sei italiana? -
Finalmente qualcuno, pensai che può aiutarmi a venir fuori da questa situazione, non riuscivo a ricordare cosa mi fosse successo, da quanto tempo mi trovavo in quello stato. Aprii gli occhi e cercai di mettere a fuoco, mi ci volle qualche secondo per focalizzare il viso che avevo di fronte, la prima cosa che vidi.
- Chi sei? -
Mi rispose in francese. - Oh bene. Sei ritornata tra di noi. -
Capivo vagamente quello che mi stava dicendo, a scuola avevo studiato francese e lo conoscevo abbastanza bene, ma in quel momento non ero in grado di connettere granché neanche in italiano, figuriamoci in francese.
Era una donna matura, ma ancora avvenente, aveva il viso bruciato dal sole, i capelli neri e corvini raccolti a coda di cavallo, gli occhi scuri e cerchiati, ma aveva ancora un corpo sodo e piacente. Indossava un vestito leggero di lino, era pesantemente truccata, le unghie lunghe e dipinte di un rosso vivo. Doveva essere francese. Portava un collare di cuoio su cui c'era scritto Nicolette.
- Dove sono? - chiesi, ed intanto mi guardai intorno. Ero sdraiata su un giaciglio dentro quella che mi sembrò una grotta. Una grotta con una grata all'imboccatura. Mi sembrava che le cose stessero così, ma non ne ero sicura.
Per tutta risposta la mia interlocutrice mi fece un'altra domanda.
- Come ti chiami? -
Me lo chiese in italiano, ma si capiva che non era italiana.
- Sonia - risposi e lei assentì.
Nell'antro c'erano due altre persone, oltre a quella che mi stava aiutando a riemergere dal limbo o da qualsiasi luogo in cui fossi andata. Una era in piedi dietro la francese. Era vestita in un modo molto strano, era vestita di pelle. Di pelle era la gonna molto corta, che copriva appena due gambe lunghe e snelle; sopra indossava un reggiseno aperto, un reggiseno che fasciava i due seni con delle fibbie di varie dimensioni, alcune larghe un paio di centimetri ed altre strette come un laccio di scarpa, e che quindi li lasciava entrambi in vista. Era un bel seno, non molto grande, ma fatto bene, con dei capezzoli bruni molto scuri e pronunciati. La donna era di pelle scura ed aveva i capelli neri, ondulati e ricci, gli occhi tendevano al viola, non era proprio nera, ma neanche solo molto abbronzata come la francese, sembrava creola, era giovane. Ai piedi portava degli stivali che le arrivavano al polpaccio, larghi e morbidi. Quel vestito mi sembrò incongruo, ma ancora più assurdo mi sembrò quel frustino che aveva in mano. Ero troppo intontita per riuscire a ragionare più di tanto e ci rinunciai. Guardai l'altra donna che era presente. Era una donna bianca e bionda, molto bianca, di un bianco latte e cremoso. Era una donna meravigliosa, molto bella, con tutte le curve al posto giusto, tante curve, prospera ed abbondante, ma senza un filo di grasso. Aveva il viso bianco, con qualche lentiggine. Era bionda nei capelli, sotto le ascelle, ed anche giù nelle parti intime. Gesù, pensai, è nuda. Mi misi a ridere, mi sembrava tutto molto strano. Guardai me stessa, ero nuda pure io. Tutta nuda. Mi accorsi che la bionda era spaventata, terribilmente spaventata. Svenni.
Quando rinvenni, parecchie ore dopo, nella caverna c'era poca luce, mi ripresi lentamente e piano piano mi abituai alla penombra, vidi così che oltre a me c'era solo la bella bionda. Stava dormendo nuda su un giaciglio come il mio. Ora che eravamo sole la guardai meglio, era molto giovane, una ragazza di circa venti anni. Bella e nuda. Anch'io ero nuda.
Cercai di ricordare come fossi arrivata lì, i miei ultimi ricordi risalivano a.... Non sapevo quanto tempo era passato, ma ricordai il luogo: Istanbul. Cos'era successo. Sì, potevo ricordare, ora era tutto più chiaro. Ero ad Istanbul in vacanza, quella mattina ero uscita da sola, la mia amica Anna era rimasta a dormire. Mi trovavo in una stradina deserta, c'era solo quella coppia di occidentali. Oh merda, la ragazza, è lei quella ragazza che gli arabi volevano rapire. Io ero intervenuta in sua difesa, il ragazzo era a terra svenuto, e poi sentii una mazzata sulla testa. Ed in seguito eccoci qua. Doveva essere andata così, ma ora cosa volevano un riscatto, mi veniva da ridere solo a pensarci, i soldi di quel viaggio li avevo presi in prestito da un amico. Ma è ovvio, volevano rapire lei, è lei la ricca, io sono capitata in mezzo. Dovevo svegliarla, lei certamente sapeva tutto. E la svegliai.
Si chiamava Marianne, aveva ventitré anni, veniva da un paesino del Montana, non era ricca. Era solo bella e per quello l'avevano rapita. Sveglia Sonia, sul finire del novecento dovresti saperlo pure tu che c'è ancora la tratta delle bianche. Ci volle più di un'ora per capire queste quattro cose, la ragazza parlava solo inglese ed in quella lingua me la cavavo male. Ci abituammo presto alla nostra reciproca nudità, avevamo solo dei sandali e per giunta dorati, ridicolo, in seguito ci abituammo anche a molte altre cose. Eravamo disperate. Pensai che se mai fossi ritornata libera non avrei aiutato più nessuno. Marianne era più disperata di me, aveva cercato di farmi capire tutto mentre piangeva e singhiozzava. Eravamo state rapite e poi narcotizzate e tenute a dormire per non si sa quanto tempo ed ora ci trovavamo dove?
- Oasi ... desert ... Sudan. - Questa fu la risposta di Marianne. Non sapeva altro.
Quando era diventato completamente buio arrivarono due nere, alte ed arroganti, la schiena arcuata ed il sedere alto, con i capelli corti e crespi, arroganti e manesche. Erano vestite come la donna che avevo conosciuto nel pomeriggio, quella con il frustino in mano, ovvero cuoio e borchie, l'unica cosa differente era che queste non portavano neanche la gonna, ma mutandine che coprivano poco, fatte, come il reggiseno, di strisce di cuoio intrecciate. Con loro c'era Nicolette che portava la cena. Una delle due nere teneva un lume in mano che appoggiò a terra. L'altra aveva in mano due collari di cuoio. Quella che aveva posato il lume prese in mano dall'altra uno dei collari e si avvicinò a me, io mi ritrassi, non volevo farmi mettere un collare, mi colpì con un pugno alla pancia e poi ricevetti uno schiaffo, mi colò sangue dal labbro. Nicolette che aveva posato il vassoio per terra si precipitò verso di me ed in qualche modo cercò di convincermi.
- Pour le nome... pour le nome. – Lo disse sommessamente, lei non aveva nessun potere sulle due nere.
Le due nere intanto non avevano il collare, che c'entrava il nome, ma intanto mentre una mi teneva le braccia strette dietro la schiena l'altra mi sistemava il collare sul quale c'era scritto Sonia. Marianne non si oppose e tutto fu più semplice. Se ne andarono lasciando lì la cena. Costolette d'agnello, verdure cotte, frutta e datteri. Avevo una fame che non ci vedevo e convinsi pure Marianne a mangiare, la ragazza era depressa e sofferente.
C'era poco da fare, ero in una pessima situazione, avevo trenta anni e non ero bella, anche se tutti dicevano che ero un bel tipo, ma niente di lontanamente paragonabile a Marianne, dietro di lei avrei potuto sbavare pure io che mi consideravo eterosessuale al cento per cento. Questo solo per dire quanto lei fosse bella e quanto poco io potessi centrare con la tratta delle schiave. Mi descriverò confrontando il mio corpo con quello di Marianne, così potrete conoscerci meglio entrambe. Io ero alta e lo sono tuttora un metro e sessantacinque, Marianne era alta un metro e settantasei. Io pesavo cinquantacinque chili e lei sessantasei. Gli occhi: i miei sono neri ed espressivi; lei ha due grandi occhi blu profondi come il mare e ben distanziati. Io ho una boccuccia ben modellata, ma piccola, un discreto e sfrontato sorriso; lei ha una bocca sensuale, due labbra piacevolmente pronunciate ed un sorriso perfetto. I capelli: lei ha una vaporosa chioma bionda perfettamente modellata sul suo viso grande e rotondo; io ho una zazzera nera pettinata alla maschietto. Io sono un po' spigolosa, ho il seno piccolo e due gambe robuste; lei è fatta di crema, un seno grande e burroso, curve dovunque, le gambe lunghe, piene e formose, i fianchi soffici, sulla guancia ha una fossetta, e sul viso una spolverata di lentiggini che la rendono irresistibile. Per colpa sua io mi trovavo in quella situazione. Ma non mi sentivo di colpevolizzarla, lo faceva già lei continuando a piangere ed a scusarsi con me. L'abbracciai, era proprio di crema, pensai che se c'era una soluzione l'avrei dovuta trovare da sola.
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