Io e mia mamma. Un amore per la vita - seconda e ultima parte

di
genere
incesti

Finché…erano passati alcuni mesi da quella sera e sinceramente non ci pensavo neppure più. Era venerdì, mia mamma tornò a casa dal lavoro, mi salutò e corse in bagno.
“Amore” – mi disse da dietro la porta – “stasera ti secca se ti faccio mangiare da solo? Mi hanno invitata a cena”.
“Ok, ma’. Chi ti ha invitata?”
“Non lo conosci, è arrivato da poco in ufficio. Me lo ha chiesto più volte, stasera però avevo voglia di svagarmi e ho detto di sì”.
“Hai fatto bene, ma’, vai tranquilla. Io mangio qualcosa e poi esco”, le risposi mentre dentro di me ridevo pensando a questo tizio che probabilmente si preparava a una serata romantica magari con seguito e invece non sapeva ancora con chi aveva a che fare…
Quando mamma passò a salutarmi prima di uscire rimasi senza parole: aveva messo un abito attillato e le sue forme tradivano il perizoma. Sentii qualcosa risvegliarsi laggiù in basso, subito placato da un vago dolore alle palle…
“Ti piaccio?”, mi chiese facendo una giravolta.
“Sei bellissima ma’….”, non potei fare a meno di dirle.
“Grazie amore”, e si piegò dandomi un bacio. Così facendo si appoggiò al mio braccio, sentii i suoi seni e, avrei scommesso, non aveva reggiseno…
“Ma’…”
“Dimmi amore”
“Che intenzioni hai…”
Rise, una mano già sulla maniglia: “Amore, non ho neppure 40 anni, non credi che sia stata anche troppo da sola?”. E uscì.
Io rimasi stupito, era la prima volta che mamma si esprimeva in questo modo. Cosa sarebbe avvenuto? Decisi di non preoccuparmi e mi preparai la cena.
Quella sera rientrai tardi, bussai discretamente alla porta della camera di mamma, non ottenni risposta e quindi entrai. Non c’era.
Un po’ ero preoccupato, controllai il cellulare ma non c’erano messaggi. Provai a mandarne uno io, per chiederle se era tutto ok, ma non lo visualizzò.
Decisi di aspettarla sveglio e mi misi sul divano.
Un’ora dopo, ed erano quasi le tre del mattino, mamma arrivò. Stava in piedi a fatica, mi fece un segno con la mano e poi corse in bagno.
Mi alzai per seguirla ed eccola lì mamma: in ginocchio davanti alla tazza, come se fosse pronta a vomitare ma in realtà piangeva, Senza ritegno. Mi avvicinai. Prima provò a cacciarmi ma poi desistette. La aiutai a rialzarsi.
Mi abbracciava, si aggrappava a me e piangeva. La chiamavo ma lei niente, la testa affondata sulla mia spalla, quasi incapace di stare in piedi, piangeva come non la avevo mai vista piangere.
Non sapevo cosa fare, a quell’ora chi potevo chiamare? La portai delicatamente in camera da letto, sollevai le lenzuola, la feci sedere, le tolsi le scarpe.
“Mamma” – le dissi – “togli il vestito, e riposa ora, dai”:
“Aiutami” – mi disse - “da sola non ho le forze”.
Allora tenendola stretta a me passai le mani dietro e trovai la cerniera. La abbassai, le sfilai le braccia. I seni comparvero all’improvviso ed ebbi un attimo di imbarazzo. Era la prima volta che vedevo mia mamma a seno scoperto eppure non potei di fare a meno di notare quanto fossero pieni, compatti. I capezzoli sporgevano pienamente e chiamavano baci.
Mi ripresi proseguii l’opera finché non rimase in perizoma e calze che decisi di lasciarle addosso.
La feci sdraiare, la coprii e poi mi sedetti accanto a lei.
Singhiozzava, ma non piangeva più. Le accarezzavo i capelli, il volto, le stringevo la mano che tebeva fuori dalle lenzuola. Quando si fu ulteriormente calmata, feci per alzarmi.
“Non andare via!” - mi implorò – “non lasciarmi sola!”.
“Va bene mamma” – le dissi - “aspetta”.
Andai in bagno, poi la raggiunsi infilandomi accanto a lei nel letto.
Non appena mi fui sdraiato, si girò verso di me e mi abbracciò stretto, mettendo metà del suo corpo sul mio.
Ero lì, bloccato dalla sua testa affossata nel mio collo, i suoi seni schiacciati sul mio petto. La mia mano, rimasta al di là del suo corpo, appoggiata al suo fianco, praticamente sul suo sedere lasciato nudo dal perizoma. L’erezione fu inevitabile, provai a distrarmi ma mi sembrava di sentire ogni parte di lei aderire a me. E poi, malgrado le lacrime e malgrado si sentisse che aveva bevuto, mandava un buon profumo di lavanda.
Finalmente si addormentò e, sentendola russare, mi rilassai e caddi nel sonno.
A svegliarmi fu il movimento del letto. Con un occhio semi aperto vidi mamma alzarsi, andare in bagno. Tornata si tolse le calze e si sdraiò mettendosi su un fianco per guardarmi.
“Dormi?”, mi chiese.
Mi voltai, il suo volto era vicino al mio. Mi diede un bacio leggero sulle labbra, poi un altro e infine un terzo.
“Buongiorno amore”, mi disse. “Scusami per ieri sera…”.
Ero ancora mezzo addormentato ma quei tre baci mi avevano risvegliato completamente.
“Non ti preoccupare. Piuttosto, mi dici cosa è successo?”
Annuì, con l’espressione di qualcuno che si appresta a raccontare qualcosa di fastidioso: “E’ successo che la cena è stata bellissima, lui carino, gentile, divertente. E’ separato, ha un figlio della tua età. Mi ha portato a cena sul lago, un posto meraviglioso. Abbiamo parlato a lungo per tutta la serata e per tutta la cena. Poi ha proposto un giro in macchina. Mentre guidava ha sporto la sua mano verso di me, non mi ha toccata. Mi ha chiesto se mi andava di tenerla. Ho detto di sì. E siamo stati mano nella mano per tutto il tragitto”.
“E poi?”, chiesi con la bocca che mi si era prosciugata dalla tensione.
“Poi si è fermato in un punto panoramico. Ha aperto il tettuccio, il cielo era stellato. Si è sporto verso di me e mi ha baciata”.
“E tu?”, chiesi. Ma perché la voce mi tremava?
“Io…prima ho risposto al bacio poi…ho cominciato a piangere…”.
“Piangere? Bacia così male?”, provai a scherzare”.
Rise.
“Ma no! Non so neppure io perché ma mi è venuto da piangere, un pianto disperato. Lui mi guardava, mi ha dato dei fazzoletti, ha provato a tranquillizzarmi. Niente. Sai quando ho smesso?”
“No”.
“Quando mi ha detto, ti riporto a casa. Il ritorno è stato un disastro, lui era naturalmente irrigidito, distante. Non capiva perché piangessi”.
“Te lo ha chiesto?”
“Certo, ma prima non ho saputo rispondere, poi non ho voluto”.
“E perché non hai voluto?”
“Perché mentre tornavamo ho avuto chiaro il motivo per cui avevo pianto e perché avevo smesso quando ha deciso di riportarmi indietro. E non appena l’ho avuto chiaro h ricominciato a piangere e mi veniva anche da vomitare, come mi hai visto tu, insomma”.
“Mamma, ma perché non gli hai detto il motivo?”
Lei mi guardò, severa: “Non capisci nulla…”.
“No, ma’, non capisco. Spiegami per favore”.
“Sì, tontolone mio. Allora piangevo perché il mio corpo era lì, la mia mente no. E, quando mi ha baciata, la mia mente, che non era lì, si è ribellata e si è difesa”:
“E dov’era?”
“Qui, amore mio”.
Improvvisamente capii: “Qui…intendi…con me”.
“Sì amore, con te. Quando l’ho capito è stato devastante”.
“Mamma…ma…non capisco…cosa è avvenuto”:
“E’ avvenuto che quando mi hai stretta, in quel locale, ricordi?, ecco, io ho dovuto reagire ma poi, le tue mani su di me…che ti posso dire. Ero al settimo cielo e quando ti ho stretto là sotto, ecco, avrei fatto ben altro…”.
Mi lasciai cadere sul cuscino, la testa mi girava. Mia mamma, la donna che avevo accanto da sempre, che mi aveva messo al mondo, mi stava dicendo che…
“Sì, amore, il problema è che sono innamorata di te, non come una madre ma come una donna. Tu sai come sono fatta, non amo le mezze misure, non mi nascondo. E ora eccomi qua. A chiederti, se anche tu mi vedi come una donna o se adesso l’unico desiderio che hai è di alzarti e di scappare via, lontano da me. Cosa che capirei e ti aiuterei a realizzare…”.
Scappare? Non ci pensavo neppure! Mi misi sul fianco, le mie labbra vicine alle sue…mi avvicinai fino a unirle e non le staccai più.
Ci baciammo come due naufraghi riportati alla vita, come due che avessero fame di aria, come si bacia chi si ama totalmente e desidera solo che quel bacio non finisca più.
Poi scesi a baciarle quei capezzoli che mi chiamavano dalla sera prima e ancora più giù. Affondai la mia bocca sul suo sesso, la leccai e penetrai con la lingua mentre lei teneva e spingeva la mia testa dandomi i movimenti. Mi inebriai dei suoi sapori. Conobbi la forma del suo orgasmo, il suo gridare di piacere. Poi mi spogliai. Lei provò a restituirmi quel piacere ma non volli. In quel momento desideravo solo una cosa, che fosse mia. Mi spogliai velocemente. Il pene mi doleva dalla tensione e sapevo che tra poco sarebbe esploso. La penetrai con decisione e quando fui dentro mi fermai, immobile, sdraiato su di lei.
Sentivo il suo corpo aderire al mio ovunque. Ero dentro di lei e godevo di questo. Lei lo percepì perché mise le mani sul mio culo e mi strinse a sé con tutta la forza che aveva.
Poi dovetti cedere e cominciai a spingere. Pochi movimenti e venni, urlando di gioia, piacere, felicità.
Ci ritrovammo uno sull’altra, sudati, felici, incapaci di smettere di baciarci, di toccarci.
Lei volle afferrare il mio pene ora flaccido e tenerlo stretto in pugno.
“E’ mio”, disse.
Io ricambiai con una doppia presa, seno e culo. “Sono miei,”, dissi.

Ora, che cosa altro posso raccontarvi.
Quel giorno facemmo l’amore più e più volte, non appena fui di nuovo pronto.
E proseguimmo di notte.
Lei volle provare a verificare “se me la cavo ancora con la fellatio malgrado tutti questi anni”.
Disse proprio così, fellatio, e a me veniva da ridere. Quando cominciò, non risi più…
Poi il giorno dopo, mi disse che aveva un regalo per me. Eravamo a tavola, a consumare un breve pasto, nudi entrambi.
“Dopo te, che regalo posso ancora sperare?”, dissi soave.
Lei rise. “Vai in camera tua, tra mezz’ora esatta viene di là da me”.
Mi alzai, incuriosito.
La sentii muoversi, andare in bagno, ma non capivo cosa stesse facendo.
Finalmente la mezz’ora passò e andai in camera. Lei era sul letto, nuda, a pancia in giù. Si voltò a guardarmi.
“Vedi sul comodino cosa c’è?”, mi disse.
Mi avvicinai e vidi un piccolo piattino con del burro ammorbidito e tanti tovaglioli di carta.
“Devo spiegarti altro?”
“No amore mio, abbiamo capito perfettamente” le dissi indicando verso il basso.
Lei rise vedendo il mio pene diventato improvvisamente duro di fronte a quel regalo.
Mi avvicinai, mi misi a cavalcioni su di lei.
Afferrai il burro e unsi delicatamente il suo buchino poi, sempre delicatamente, ne spinsi dentro un po’ lavorando le pareti. Lei se ne stava ferma, immobile, quasi trattenendo il respiro. Infine unsi il mio pene, mi pulii le mani e poi lo puntai.
Entrò subito, forzando leggermente l’anello.
“Non ti fermare”, mi disse e io ubbidii. Usando il peso del mio corpo spinsi finché fu tutto dentro.
Poi cominciai a muovermi, la sensazione era fantastica, sentivo il suo corpo stringermi in maniera meravigliosa, percepivo il possederla in quella totalità che solo un dono del genere poteva garantire.
Quando venni, sprofondato in lei, gridammo insieme.
Poi lo sentii ritrarsi e fu bello. Fui io a pulirla con il resto dei tovaglioli. Amai farlo…
“Era la prima volta per me”, mi sussurrò sdraiati uno sull’altra. La baciai. “Anche per me…”, risposi.
Ecco la mia storia iniziò così. Iniziò e non è mai più finita. Io e mamma abbiamo vissuto come marito e moglie fino ad ora.
Non abbiamo voluto che nascessero figli, troppo pericoloso. E così, adesso che lei è malata e si avvicina alla fine, io mi ritrovo solo.
Ma non mi lamento, sono stati anni, tanti anni, bellissimi. Non potevo desiderare di più.
E anche ora che le siedo accanto in questo ospedale e lei mi guarda senza più quella forza che le permetteva di conquistare il mondo, Il mio unico desiderio sarebbe quello di sdraiarmi qui con lei come quel giorno oramai lontano…
scritto il
2018-08-24
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