Scherzi o sfidi?
di
-Giulia
genere
dominazione
Non era trascorsa neppure una settimana eppure le tue mani contro le avevo pensate molto, intorno al collo o fra i capelli non sarebbe stato differente, fra di noi.
Avevamo una confidenza per cui le nostre perversioni potevano emergere senza stenti, a te piaceva che io non dimenticassi mai come comportarmi, ed io nel compiacerti riuscivo ad eccitarmi.
La tua fermezza non mi aggrediva e non immaginavo che altri avrebbero saputo gestirmi con la tua facilità.
Cercai di mostrarmi sensuale e di fronte uno specchio mi chiesi se sapermi più nuda mi rendeva più interessante, se lo fossi davvero.
Non ti avevo sentito raggiungermi e mi accorsi di te soltanto per la tua ultima falcata, avevi attraversato il corridoio rumorosamente, mi intimidii e arrossii guardando le tue labbra baciarmi il collo, i seni.
Il tuo narcisismo mi impose di guardarmi godere, gioivi del mio imbarazzo ed io rimasi una bambina da viziare, bravissima.
Io ambivo ai movimenti rotatori della tua lingua fra le mie cosce, tu non avevi finito di esasperarmi e invece di scendere ti alzasti per sgridarmi sottovoce, non riuscivo a starmene zitta, i miei complimenti ti lusingavano rendendomi disubbidiente.
Cercai di protestare inutilmente, mi spinsi verso il basso ed io vogliosa mi inginocchiai, aprii la bocca per bene, per lasciar uscire frasi di troppo che si potevano rivelare unicamente perdite di tempo.
Ti abbassai frenetica i pantaloni, immaginai il tuo sorriso di fronte alla mia smania di prenderlo in bocca, il mio schiavizzarmi pur di averlo ti divertiva, il tuo agitarlo contro il mio viso ti rendeva più forte.
La mia mano non riusciva a racchiuderne la grandezza, cercai di compensare con una presa salda e rapida, per non sentirmi dire di nuovo quanto fossi spiacevolmente delicata.
Alzai lo sguardo per sapermi vista da te, i tuoi occhi non si sforzavano di nascondere quanto fossi compiaciuto, io accellerai per saperti chiuderli per il piacere e questo sentirmi potente mi entusiasmò eccessivamente, mi fermai.
'Perchè?' 'Perchè posso.'
Non era la perdita di un orgasmo imminente a scuoterti, era la provocazione di una sfida che non concepivi, un permesso che non avevi concesso, il tuo controllo, la mia subordinazione.
Questo ti teneva e accecava, una scintilla differente nelle iridi scure accompagnarono una risata sarcastica, intimidatoria non lo sai.
Io mi divincolai immaginando una sculacciata punitiva, riuscii a trovarmi fuori dal bagno prima che tu finissi di alzarti i pantaloni.
La vidi in quel momento e l'indecisione mi animò.
La cintura di pelle che avevo scelto per te la settimana prima, con l'innocenza di chi non lo sa che ci sarà una prima volta.
Un frustino per i clementi, e poi?
'Non lo farai.'
Una volta una madre nervosa incolpò la figlia per il proprio umore, il marito la riprese presto concludendo che era lei a innervosire la bambina, non il contrario.
Il mio ruolo lo scelsi con i termini di cui mi pentii subito, la sfida che correva fuori dalle mie labbra ti avrebbe agguerrito soltanto ed io, ancora, non avevo imparato a restarmene in silenzio.
Lo avevi sostenuto poco tempo prima, era necessario che pensassi prima di espormi.
'Non lo faró, mh. Sei sicura?'
Il mio sorriso migliore.
'Ruffiana, fai la brava e incassa un consiglio. Vieni qui.'
'No.'
Sarà stato l'istinto.
La tua calma e la mia posizione sconveniente.
Un passo mio per scappare ancora un po', una tua falcata per afferrarmi un polso, contorcelo dietro la schiena e mordermi il lobo sinistro.
'Davvero? Credevi davvero che scherzassi?'
Puoi non accettare di aver bisogno di sottomettere la tua persona a un'altra, puoi temporeggiare, eppure un indole muta i toni e gestisce le perversioni.
'Scusami.'
'Tardi.'
La tua calma seria che non ammette repliche, l'autorità intima che riveli soltanto a me.
Il cuore tachicardico per il polso soffocato, mi constrinsi a guardarti prima di lasciarmi il braccio.
'Via la sottoveste.'
Accettazione. Sottomissione.
Intimidita volevo ubbidire, sapere che alla fine, la tua carezza sulla mia guancia mi avrebbe risollevata e calmata.
Mi spogliai e da brava mi piegai sulla scrivania, le gambe divaricate a dovere, il sedere ben esposto.
Mi avresti chiesto di contarle?
Cristo, almeno un'umiliazione in meno.
Chiusi gli occhi e ti sentii aprire un cassetto, il rumore di un metallo per farti da garanzia.
No, non mi avresti chiesto di contarle.
Dovremmo sapere che cosa desideriamo, quanto oltre temiamo di spingerci.
Inarcai la schiena e raccolsi i capelli, inumidii la pallina di gomma dura con la lingua prima di prenderla in bocca.
Fiducioso, non la strinsi neanche, risultava palese per entrambi che un fiato non mi sarebbe convenuto.
La mia cinghiata raggiunse il pavimento, saltai per il rumore, poi mi sorprese una sculacciata carica da lasciarci un'impronta.
'Io con te non scherzo, ma non dovrebbe muoverti la paura. Niente cintura. Contale ora, vorrò sapere quante sono.'
I confini li avevo visti e disegnati con te.
Un dolore fisico per sentirsi liberi e non afflitti.
La nostra dominazione era giusta, punitiva, non violenta.
Il mio viso si sarebbe rigato di lacrime alla quinta sculacciata, era una quiete anomala e per molti incomprensibile, io la provai con le tue mani fra i miei capelli sciolti e poi raccolti in una coda provvisoria.
La tua eccitazione premeva impaziente contro il mio collo, mi voltai e mi inginocchiai per saperti riempirmi la bocca questa volta, fu un orgasmo condiviso che mi lasciò stanca.
Mi accasciai contro la tua coscia e sorrisi appena quando mi presi in braccio per trascinarmi a letto, finalmente potevo averla la tua lingua fra le mie cosce, senza doverla più bramare.
Avevamo una confidenza per cui le nostre perversioni potevano emergere senza stenti, a te piaceva che io non dimenticassi mai come comportarmi, ed io nel compiacerti riuscivo ad eccitarmi.
La tua fermezza non mi aggrediva e non immaginavo che altri avrebbero saputo gestirmi con la tua facilità.
Cercai di mostrarmi sensuale e di fronte uno specchio mi chiesi se sapermi più nuda mi rendeva più interessante, se lo fossi davvero.
Non ti avevo sentito raggiungermi e mi accorsi di te soltanto per la tua ultima falcata, avevi attraversato il corridoio rumorosamente, mi intimidii e arrossii guardando le tue labbra baciarmi il collo, i seni.
Il tuo narcisismo mi impose di guardarmi godere, gioivi del mio imbarazzo ed io rimasi una bambina da viziare, bravissima.
Io ambivo ai movimenti rotatori della tua lingua fra le mie cosce, tu non avevi finito di esasperarmi e invece di scendere ti alzasti per sgridarmi sottovoce, non riuscivo a starmene zitta, i miei complimenti ti lusingavano rendendomi disubbidiente.
Cercai di protestare inutilmente, mi spinsi verso il basso ed io vogliosa mi inginocchiai, aprii la bocca per bene, per lasciar uscire frasi di troppo che si potevano rivelare unicamente perdite di tempo.
Ti abbassai frenetica i pantaloni, immaginai il tuo sorriso di fronte alla mia smania di prenderlo in bocca, il mio schiavizzarmi pur di averlo ti divertiva, il tuo agitarlo contro il mio viso ti rendeva più forte.
La mia mano non riusciva a racchiuderne la grandezza, cercai di compensare con una presa salda e rapida, per non sentirmi dire di nuovo quanto fossi spiacevolmente delicata.
Alzai lo sguardo per sapermi vista da te, i tuoi occhi non si sforzavano di nascondere quanto fossi compiaciuto, io accellerai per saperti chiuderli per il piacere e questo sentirmi potente mi entusiasmò eccessivamente, mi fermai.
'Perchè?' 'Perchè posso.'
Non era la perdita di un orgasmo imminente a scuoterti, era la provocazione di una sfida che non concepivi, un permesso che non avevi concesso, il tuo controllo, la mia subordinazione.
Questo ti teneva e accecava, una scintilla differente nelle iridi scure accompagnarono una risata sarcastica, intimidatoria non lo sai.
Io mi divincolai immaginando una sculacciata punitiva, riuscii a trovarmi fuori dal bagno prima che tu finissi di alzarti i pantaloni.
La vidi in quel momento e l'indecisione mi animò.
La cintura di pelle che avevo scelto per te la settimana prima, con l'innocenza di chi non lo sa che ci sarà una prima volta.
Un frustino per i clementi, e poi?
'Non lo farai.'
Una volta una madre nervosa incolpò la figlia per il proprio umore, il marito la riprese presto concludendo che era lei a innervosire la bambina, non il contrario.
Il mio ruolo lo scelsi con i termini di cui mi pentii subito, la sfida che correva fuori dalle mie labbra ti avrebbe agguerrito soltanto ed io, ancora, non avevo imparato a restarmene in silenzio.
Lo avevi sostenuto poco tempo prima, era necessario che pensassi prima di espormi.
'Non lo faró, mh. Sei sicura?'
Il mio sorriso migliore.
'Ruffiana, fai la brava e incassa un consiglio. Vieni qui.'
'No.'
Sarà stato l'istinto.
La tua calma e la mia posizione sconveniente.
Un passo mio per scappare ancora un po', una tua falcata per afferrarmi un polso, contorcelo dietro la schiena e mordermi il lobo sinistro.
'Davvero? Credevi davvero che scherzassi?'
Puoi non accettare di aver bisogno di sottomettere la tua persona a un'altra, puoi temporeggiare, eppure un indole muta i toni e gestisce le perversioni.
'Scusami.'
'Tardi.'
La tua calma seria che non ammette repliche, l'autorità intima che riveli soltanto a me.
Il cuore tachicardico per il polso soffocato, mi constrinsi a guardarti prima di lasciarmi il braccio.
'Via la sottoveste.'
Accettazione. Sottomissione.
Intimidita volevo ubbidire, sapere che alla fine, la tua carezza sulla mia guancia mi avrebbe risollevata e calmata.
Mi spogliai e da brava mi piegai sulla scrivania, le gambe divaricate a dovere, il sedere ben esposto.
Mi avresti chiesto di contarle?
Cristo, almeno un'umiliazione in meno.
Chiusi gli occhi e ti sentii aprire un cassetto, il rumore di un metallo per farti da garanzia.
No, non mi avresti chiesto di contarle.
Dovremmo sapere che cosa desideriamo, quanto oltre temiamo di spingerci.
Inarcai la schiena e raccolsi i capelli, inumidii la pallina di gomma dura con la lingua prima di prenderla in bocca.
Fiducioso, non la strinsi neanche, risultava palese per entrambi che un fiato non mi sarebbe convenuto.
La mia cinghiata raggiunse il pavimento, saltai per il rumore, poi mi sorprese una sculacciata carica da lasciarci un'impronta.
'Io con te non scherzo, ma non dovrebbe muoverti la paura. Niente cintura. Contale ora, vorrò sapere quante sono.'
I confini li avevo visti e disegnati con te.
Un dolore fisico per sentirsi liberi e non afflitti.
La nostra dominazione era giusta, punitiva, non violenta.
Il mio viso si sarebbe rigato di lacrime alla quinta sculacciata, era una quiete anomala e per molti incomprensibile, io la provai con le tue mani fra i miei capelli sciolti e poi raccolti in una coda provvisoria.
La tua eccitazione premeva impaziente contro il mio collo, mi voltai e mi inginocchiai per saperti riempirmi la bocca questa volta, fu un orgasmo condiviso che mi lasciò stanca.
Mi accasciai contro la tua coscia e sorrisi appena quando mi presi in braccio per trascinarmi a letto, finalmente potevo averla la tua lingua fra le mie cosce, senza doverla più bramare.
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