Confusione e ritorno 6 - Ci sono cascato ancora
di
Alberto Bellettini
genere
bisex
Che fare per la festa patronale? Andare con la mia ragazza che sarebbe partita il giorno dopo, o con il mio migliore amico Antonio?
Alla fine scelsi per quella che mi sembrava la cosa più giusta: passare l'ultima serata con Giada, ma l'avevo promesso ad Antonio, al quale non avevo raccontato nulla del pomeriggio in spiaggia. All'epoca non c'erano cellulari, e lo chiamai a casa.
"Antò, non possiamo andare alla Festa insieme. Devo stare con Giada perché..."
Nemmeno il tempo di continuare la frase, e Antonio mi zittì: "So tutto, capisco bene e sono contento. Non preoccuparti, ma raccontami le cose dal punto di vista di un maschio, perché Giada non è entrata nei particolari".
Io trasecolai: "Coooooosa? Che ti ha detto? Comunque Sono innamorato, ed è morbidissima con tutte quelle curve. E poi ha un sacco di peli là sotto - dissi sorridendo -, e diciamo che ho fatto il coniglio perché sono venuto dopo pochi secondi dal suo contatto con la mano sul mio cazzo".
Antonio rideva: "Ahahah so tutto. Ma succede spesso, specialmente quando vedi il mio culo".
Chiudemmo la telefonata permettendoci di rivederci il giorno dopo per la partita di calcetto agli impianti sportivi vicino casa sua.
E mi preparai per la festa, ma il pensiero delle tettone di Giada mi fece perdere la lucidità, e così mi misi a gambe larghe sul letto.
Iniziai a solleticarmi le palline, e poi la punta, piano piano fino a quando dopo qualche minuto sputai tanto di quel succo che potevo riempire la bocca di Giada.
Alla festa lei si presentò in maniera molto informale: un jeans Levi's chiaro abbastanza moodellante, una maglia gialla attillata a strizzare quei seni enormi. Ci baciammo, tenendoci per mano in quella confusione diretti verso il luna park, con la paura che ci vedesse suo padre, un tipo possessivo e all'antica.
Giada mi ripeteva: "Ti amo".
E io ero in Paradiso, tanto che osai baciarla sotto il Ranger, la giostra più pericolosa, sussurrandole: "Io vengo a Modena con te, non ti lascio sola".
Intanto intravidi mia sorella Erika, col suo inconfondibile culo. Si avvicinò a noi, abbracciò Giada e mi sussurrò all' orecchio: "Quel maiale di Antonio mi ha fatto la mano morta nella confusione, e si è strusciato sulla mia mano. Era eccitatissimo, che schifo".
Ero incazzato dopo questa rivelazione: ero geloso, sia di mia sorella che di Antonio.
Io e Giada andammo via dopo un'oretta, era l'ultima sera e non volevo restare a bocca asciutta. Ci appartammo in un vicoletto poco illuminato, e iniziai a baciarla appassionatamente, toccando quelle tettone.
Lei ansimava, ed era eccitata. Lo capii quando entrammo a casa sua, nel pianerottolo da dove parte la lunga scala che porta alle stanze.
Lei era indecisa se fare una mossa, io no: le abbassai i jeans, le mutandine bianche che leccai avidamente, e poi infilai la bocca in quella foresta di peli neri.
Giada era in trance: "Mmmm nooooo, non l'ho mai fatto. Ah ah aaaaaaaaaaah - ripeteva sparando frasi senza senso - che solleticoooooo".
Quei peli mi restavano sulla lingua, e si mescolavano ai suoi umori salaticci e bollenti. Ma continuai il mio lavoro, fino a quando non prese la mia testa fra le sue mani, spingendola sulla sua fica: era venuta, non parlava e soprattutto le sue labbra erano diventate secche.
Dopo pochi secondi di imbarazzo si riprese, mentre mi annusavo le dita che odoravano del suo succo.
Sentii la sua mano sulla mia patta, io avevo il cazzetto in tiro, e lo sentii scomparire dentro la sua bocca: mi stava facendo un pompino...
Il suo apparecchio per i denti che sfregava sulla mia cappella è il suo movimento con la mano mi mandavano in estasi: "Uh marò, mamma miaaaaaaaaaaaa che pompinooooooooo - dicevo sottovoce per paura che ci sentissero - non resisto, non resistoooo".
Lei prendeva la punta e la leccata come un gelato: era imbranata ma non digiuna, anzi.
Le prendevo i capelli e glieli tiravo per la passione, fino a quando mi disse: "Avvisami quando stai per venire, ti prego".
Dopo un minuto di altri suoi giochini con la lingua aiutandosi anche con la mano, riuscii solo a spiaccicare: "mmm mmm toglitiiiii" e sparsi per terra fiotti di sborra calda.
Ci ricomponemmo, guardandoci negli occhi con la consapevolezza che era arrivato il momento del commiato.
"Ti amo, e Natale arriva presto - mi disse Giada con le lacrime agli occhi -, e ci sentiremo ogni giorno per telefono".
Io non avrei mai voluto affrontare quella situazione, ma dovevo fare l'uomo: "Mi mancherai e tanto prima o poi vengo a Modena. Perché ormai non posso stare senza di te".
Ci stringemmo in un lungo abbraccio, e ci salutò formalmente per paura che sbucasse suo padre. Vidi Giada prendere un secchio e lavare per terra per eliminare le tracce della mia esplosione, e mi allontanai piangendo...
Il mattino dopo mi svegliai alle 10, ancora rintontito. Ero solo in casa perché mio padre e mia madre erano in negozio, e mia sorella Erika aveva dormito dalla sua amica del cuore, in un altro quartiere.
Sentii il trillo del citofono, in quel condominio di periferia dove tutti erano assenti fisicamente e mentalmente.
Scesi dal letto, e mi precipitai al citofono: "Chi è?" dissi ancora addormentato.
Naturalmente era Antonio: "Apri e svegliati" urlò da giù.
Ero in mutande, per il gran caldo, e assonnato. Non avevo ancora fatto colazione, e il solo pensiero di dover affrontare il mio migliore amico e raccontargli tutto mi metteva ansia.
Aprii la porta e lui, col suo solito bel visino beffardo valorizzato dal ciuffetto biondo: "Ciao maschione, sono Giada. Svegliatiiiiii".
Mi venne di getto un "ma vafanculu và" e ridemmo a crepapelle.
Antonio era lì perché voleva sapere tutto, e non lo nascondeva: "Allora cosa hai fatto con Giada? Te l'ha data? Certo che quella maglietta era veramente arrapante. Se non fosse la tua ragazza, mi ci sarei buttato a pesce su quelle tettone - esordì senza mezzi termini -, ma mettiti comodo che non ho fretta di sapere".
Io risposi urlandogli: "oh, ma il culo di mia sorella è morbido, eh?".
Lui rimase impallato, con l'espressione di chi è rimasto male ma non vuol darlo a vedere: "Ma sai, ho visto tanti culi ieri".
Facemmo colazione con due cornetti e un pasticciotto ancora caldi portati da mia madre prima di andare a lavoro, ma io ero sempre in mutande.
"Allora? Su bello, su dimmi - incalzava - che sono curioso".
Gli raccontai tutto per filo e per segno, ma gli confessai che ero rimasto male per una cosa: "Avrei voluto venirle in faccia, ma si è spostata. Dannazione".
Intanto, ci eravamo trasferiti in camera mia per evitare che magari arrivasse mia sorella Erika e ascoltasse tutto.
Mentre parlavo, io ripensavo a quelle tette e quella bocca, e mi eccitai in maniera oscena.
Antonio ascoltava il mio racconto con la bava alla bocca, ma era strano... al che mi disse: "Mamma mia, siamo di nuovo in tiro" guardando il mio cazzo.
Cercavo di sistemare la punta nelle mutande, ma Antonio voleva giocare. Lo avevo capito, ma non fino a che punto.
Prese le mutande usate da mia sorella (come in Confusione e ritorno - 2) e le portò in camera.
Le annusò e aveva il cazzo che gli scoppiava nei pantaloncini, me le passò e disse: "La fica di Giada profuma come quella di tua sorella?".
Io e lui, quasi 14enni e avvezzi a tutto, capivamo gli ormoni ma non riuscivamo a gestirli...
Io ero in trance, e mi misi sul lettino a gambe strette menandomi il pisello gonfio, e lui fece lo stesso: si spogliò e lo tirò fuori.
Senza freni, come tra buoni amici, gli dissi: "Che pompino, mamma che pompino. Che sburrata, l'ho ancora qui davanti" - è indicavo la capocchia gonfia.
Lui tirò fuori la "vela che svettava", e pensai che si mettesse in libertà.
Invece mi disse solo: "Il segreto è chiudere gli occhi e restare nudi".
Così feci, e da solo il mio cazzetto si rizzava... Ma lì il colpo di scena.
Antonio iniziò a leccarmi le palline e poi il cazzetto come fosse un gelato. Aveva una maestria e una delicatezza che rispetto alla goffaggine di Giada lo facevano un professionista.
Prendeva le palline e le solleticava, passando anche attorno all' ano. Poi lo prese tutto in bocca, pompando delicatamente
Io ero in stato confusionale: "che faiiiii? Ahhhhh ahhhh ahhhh - spiaccicavo senza convinzione - basta".
Mi alzai in piedi scendendo dal letto pensando che finisse, ma Antonio leccava dolcemente tutto il filetto.
Volevo mandarlo via, ma non mi riusciva: "Bastaaaaaa su bastaaaaa - urlavo - guarda che ti vengo in faccia".
Lui in ginocchio a me, mi infilo una falange nel buco del culo, era la fine: scoppiai sborrando sul suo viso, sul suo petto.
Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, lui rideva come un Diavolo testatore.
Dopo due minuti necessari per riprendermi, me lo riprese in bocca ancora sporco di sperma,e mi disse solo: "Ogni volta che avrai voglia di pompini, io ci sarò. E chi te li lo fa meglio, io o Giada?".
Restai inebetito, andammo in cucina, finimmo di fare colazione e lui si congedò dicendomi: "Ci vediamo stasera alla partita, ma non resisto senza leccarti quel palo".
Alla fine scelsi per quella che mi sembrava la cosa più giusta: passare l'ultima serata con Giada, ma l'avevo promesso ad Antonio, al quale non avevo raccontato nulla del pomeriggio in spiaggia. All'epoca non c'erano cellulari, e lo chiamai a casa.
"Antò, non possiamo andare alla Festa insieme. Devo stare con Giada perché..."
Nemmeno il tempo di continuare la frase, e Antonio mi zittì: "So tutto, capisco bene e sono contento. Non preoccuparti, ma raccontami le cose dal punto di vista di un maschio, perché Giada non è entrata nei particolari".
Io trasecolai: "Coooooosa? Che ti ha detto? Comunque Sono innamorato, ed è morbidissima con tutte quelle curve. E poi ha un sacco di peli là sotto - dissi sorridendo -, e diciamo che ho fatto il coniglio perché sono venuto dopo pochi secondi dal suo contatto con la mano sul mio cazzo".
Antonio rideva: "Ahahah so tutto. Ma succede spesso, specialmente quando vedi il mio culo".
Chiudemmo la telefonata permettendoci di rivederci il giorno dopo per la partita di calcetto agli impianti sportivi vicino casa sua.
E mi preparai per la festa, ma il pensiero delle tettone di Giada mi fece perdere la lucidità, e così mi misi a gambe larghe sul letto.
Iniziai a solleticarmi le palline, e poi la punta, piano piano fino a quando dopo qualche minuto sputai tanto di quel succo che potevo riempire la bocca di Giada.
Alla festa lei si presentò in maniera molto informale: un jeans Levi's chiaro abbastanza moodellante, una maglia gialla attillata a strizzare quei seni enormi. Ci baciammo, tenendoci per mano in quella confusione diretti verso il luna park, con la paura che ci vedesse suo padre, un tipo possessivo e all'antica.
Giada mi ripeteva: "Ti amo".
E io ero in Paradiso, tanto che osai baciarla sotto il Ranger, la giostra più pericolosa, sussurrandole: "Io vengo a Modena con te, non ti lascio sola".
Intanto intravidi mia sorella Erika, col suo inconfondibile culo. Si avvicinò a noi, abbracciò Giada e mi sussurrò all' orecchio: "Quel maiale di Antonio mi ha fatto la mano morta nella confusione, e si è strusciato sulla mia mano. Era eccitatissimo, che schifo".
Ero incazzato dopo questa rivelazione: ero geloso, sia di mia sorella che di Antonio.
Io e Giada andammo via dopo un'oretta, era l'ultima sera e non volevo restare a bocca asciutta. Ci appartammo in un vicoletto poco illuminato, e iniziai a baciarla appassionatamente, toccando quelle tettone.
Lei ansimava, ed era eccitata. Lo capii quando entrammo a casa sua, nel pianerottolo da dove parte la lunga scala che porta alle stanze.
Lei era indecisa se fare una mossa, io no: le abbassai i jeans, le mutandine bianche che leccai avidamente, e poi infilai la bocca in quella foresta di peli neri.
Giada era in trance: "Mmmm nooooo, non l'ho mai fatto. Ah ah aaaaaaaaaaah - ripeteva sparando frasi senza senso - che solleticoooooo".
Quei peli mi restavano sulla lingua, e si mescolavano ai suoi umori salaticci e bollenti. Ma continuai il mio lavoro, fino a quando non prese la mia testa fra le sue mani, spingendola sulla sua fica: era venuta, non parlava e soprattutto le sue labbra erano diventate secche.
Dopo pochi secondi di imbarazzo si riprese, mentre mi annusavo le dita che odoravano del suo succo.
Sentii la sua mano sulla mia patta, io avevo il cazzetto in tiro, e lo sentii scomparire dentro la sua bocca: mi stava facendo un pompino...
Il suo apparecchio per i denti che sfregava sulla mia cappella è il suo movimento con la mano mi mandavano in estasi: "Uh marò, mamma miaaaaaaaaaaaa che pompinooooooooo - dicevo sottovoce per paura che ci sentissero - non resisto, non resistoooo".
Lei prendeva la punta e la leccata come un gelato: era imbranata ma non digiuna, anzi.
Le prendevo i capelli e glieli tiravo per la passione, fino a quando mi disse: "Avvisami quando stai per venire, ti prego".
Dopo un minuto di altri suoi giochini con la lingua aiutandosi anche con la mano, riuscii solo a spiaccicare: "mmm mmm toglitiiiii" e sparsi per terra fiotti di sborra calda.
Ci ricomponemmo, guardandoci negli occhi con la consapevolezza che era arrivato il momento del commiato.
"Ti amo, e Natale arriva presto - mi disse Giada con le lacrime agli occhi -, e ci sentiremo ogni giorno per telefono".
Io non avrei mai voluto affrontare quella situazione, ma dovevo fare l'uomo: "Mi mancherai e tanto prima o poi vengo a Modena. Perché ormai non posso stare senza di te".
Ci stringemmo in un lungo abbraccio, e ci salutò formalmente per paura che sbucasse suo padre. Vidi Giada prendere un secchio e lavare per terra per eliminare le tracce della mia esplosione, e mi allontanai piangendo...
Il mattino dopo mi svegliai alle 10, ancora rintontito. Ero solo in casa perché mio padre e mia madre erano in negozio, e mia sorella Erika aveva dormito dalla sua amica del cuore, in un altro quartiere.
Sentii il trillo del citofono, in quel condominio di periferia dove tutti erano assenti fisicamente e mentalmente.
Scesi dal letto, e mi precipitai al citofono: "Chi è?" dissi ancora addormentato.
Naturalmente era Antonio: "Apri e svegliati" urlò da giù.
Ero in mutande, per il gran caldo, e assonnato. Non avevo ancora fatto colazione, e il solo pensiero di dover affrontare il mio migliore amico e raccontargli tutto mi metteva ansia.
Aprii la porta e lui, col suo solito bel visino beffardo valorizzato dal ciuffetto biondo: "Ciao maschione, sono Giada. Svegliatiiiiii".
Mi venne di getto un "ma vafanculu và" e ridemmo a crepapelle.
Antonio era lì perché voleva sapere tutto, e non lo nascondeva: "Allora cosa hai fatto con Giada? Te l'ha data? Certo che quella maglietta era veramente arrapante. Se non fosse la tua ragazza, mi ci sarei buttato a pesce su quelle tettone - esordì senza mezzi termini -, ma mettiti comodo che non ho fretta di sapere".
Io risposi urlandogli: "oh, ma il culo di mia sorella è morbido, eh?".
Lui rimase impallato, con l'espressione di chi è rimasto male ma non vuol darlo a vedere: "Ma sai, ho visto tanti culi ieri".
Facemmo colazione con due cornetti e un pasticciotto ancora caldi portati da mia madre prima di andare a lavoro, ma io ero sempre in mutande.
"Allora? Su bello, su dimmi - incalzava - che sono curioso".
Gli raccontai tutto per filo e per segno, ma gli confessai che ero rimasto male per una cosa: "Avrei voluto venirle in faccia, ma si è spostata. Dannazione".
Intanto, ci eravamo trasferiti in camera mia per evitare che magari arrivasse mia sorella Erika e ascoltasse tutto.
Mentre parlavo, io ripensavo a quelle tette e quella bocca, e mi eccitai in maniera oscena.
Antonio ascoltava il mio racconto con la bava alla bocca, ma era strano... al che mi disse: "Mamma mia, siamo di nuovo in tiro" guardando il mio cazzo.
Cercavo di sistemare la punta nelle mutande, ma Antonio voleva giocare. Lo avevo capito, ma non fino a che punto.
Prese le mutande usate da mia sorella (come in Confusione e ritorno - 2) e le portò in camera.
Le annusò e aveva il cazzo che gli scoppiava nei pantaloncini, me le passò e disse: "La fica di Giada profuma come quella di tua sorella?".
Io e lui, quasi 14enni e avvezzi a tutto, capivamo gli ormoni ma non riuscivamo a gestirli...
Io ero in trance, e mi misi sul lettino a gambe strette menandomi il pisello gonfio, e lui fece lo stesso: si spogliò e lo tirò fuori.
Senza freni, come tra buoni amici, gli dissi: "Che pompino, mamma che pompino. Che sburrata, l'ho ancora qui davanti" - è indicavo la capocchia gonfia.
Lui tirò fuori la "vela che svettava", e pensai che si mettesse in libertà.
Invece mi disse solo: "Il segreto è chiudere gli occhi e restare nudi".
Così feci, e da solo il mio cazzetto si rizzava... Ma lì il colpo di scena.
Antonio iniziò a leccarmi le palline e poi il cazzetto come fosse un gelato. Aveva una maestria e una delicatezza che rispetto alla goffaggine di Giada lo facevano un professionista.
Prendeva le palline e le solleticava, passando anche attorno all' ano. Poi lo prese tutto in bocca, pompando delicatamente
Io ero in stato confusionale: "che faiiiii? Ahhhhh ahhhh ahhhh - spiaccicavo senza convinzione - basta".
Mi alzai in piedi scendendo dal letto pensando che finisse, ma Antonio leccava dolcemente tutto il filetto.
Volevo mandarlo via, ma non mi riusciva: "Bastaaaaaa su bastaaaaa - urlavo - guarda che ti vengo in faccia".
Lui in ginocchio a me, mi infilo una falange nel buco del culo, era la fine: scoppiai sborrando sul suo viso, sul suo petto.
Non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, lui rideva come un Diavolo testatore.
Dopo due minuti necessari per riprendermi, me lo riprese in bocca ancora sporco di sperma,e mi disse solo: "Ogni volta che avrai voglia di pompini, io ci sarò. E chi te li lo fa meglio, io o Giada?".
Restai inebetito, andammo in cucina, finimmo di fare colazione e lui si congedò dicendomi: "Ci vediamo stasera alla partita, ma non resisto senza leccarti quel palo".
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