Cena di ricordi con la cugina Cri
di
Alberto Bellettini
genere
incesti
No, stavolta non abbiamo a che fare con sorelle bellissime al limite della perfezione, fratellini o scrittori superpalestrati col fisico da bodybuilder, nonne appetitose e padri adamitici. No, stavolta si parla di due ex ragazzi normali, non decisamente belli ma che, in un periodo unico e decisivo della vita si sono attratti scoprendo l'altro sesso, pur senza consumarlo questo sesso. Una storia vera, la mia, frutto solo di un arco di casualità tali da farla durare (per fortuna) solo una indimenticabile sera.
Mia cugina Cristina ha 41 anni come me, un figlio avuto a 16 anni da un bastardo che poi l'ha abbandonata rendendola ragazza madre, un matrimonio e altri tre figli che ne hanno fatto una famiglia numerosa e felice, almeno fino alla separazione avvenuta qualche anno fa.
Cristina è stata, da quando ero bambino fino ai 14 anni, il mio sogno erotico, la mia ossessione sessuale, il primo approccio con tutto ciò che non fosse maschile. E forse lo è tuttora la mia ossessione, o forse è il ricordo di lei in quegli anni della mia gioventù a tenermela bene in mente. A 13 anni aveva delle tette morbide e tonde, già una terza, precoce rispetto ad altre ragazzine della sua età. Il sedere alto e un po' "a pera", ma non era male. Le gambe non erano granché, il viso lo stesso, perché per l'appunto era normale, quasi anonima se non fosse per quelle curve pericolose. Non era bella, si diceva, ma quel corpo da sballo, rappresentava, assieme agli ormoni in subbuglio, la mia sentinella sul passaggio dal diventare bimbo a ragazzo. E lo stesso valeva per lei. Perché, avendo vissuto per anni in una città di mare e frequentandoci spesso l'estate e durante le feste, percepivo la sua curiosità. D'altronde, è normale che i primi istinti sessuali debbano essere placati in qualche modo sulle persone dell'altro sesso più vicine e apparentemente alla portata: sorelle, cugine, amiche di famiglia. Su mia cugina Cristina ho fantasticato, con lei ho giocato al dottore e l'ammalata, andavamo a pisciare insieme. Poi, cresciuta e diventata adolescente in calore come me, l'ho toccata e sfiorata cercando contatti fisici, buttato litri di sperma in bagno o nella mia cameretta e una volta persino in mare. Ma, una sera, scoprii che non ero l'unico che viveva quel rapporto sfogandosi con se stesso.
Una sera che tornai nella mia Puglia (vivo in Toscana da anni), mi giunse un messaggio: "Albe, da quanto tempo... Vieni a cena da me, che è un bel po' che non ti vedo. I ragazzi sono andati in vacanza!!!".
Mi recai a casa sua, o meglio quella che era casa degli zii. Un alloggio popolare in un quartiere non certo tranquillo, ma una casa dignitosa di circa ottanta metri quadri, sistemata come una volta, e con lo stesso "profumo" di sesso che avvertivo quando da ragazzini ci si vedeva tutti lì per le feste natalizie.
Cristina mi aprì con un sorriso, nonostante non la vedessi da almeno sei anni. Era rimasta la stessa, pur con la pesantezza degli anni e delle gravidanze: rotonda, il viso disteso, il sedere tondo e pieno celato da un pantalone di quelli estivi di stoffa, il seno sempre grosso ma cadente e un sorriso a trentadue denti.
Insomma, se da ragazzina ripeto, non era un granché, con la maturità non era migliorata. Ma forse cercavo il ricordo di lei, non lei. Altrimenti, non avrei mai accettato l'invito.
Ci mettemmo sul divano e mi offrì un prosecchino con qualche patatina, giusto per rompere il ghiaccio: “Allora come va – esordì -? Ti manca il Salento, eh? Certo la Toscana è bella, ma il mare è un'altra cosa”. E mentre parlava, inconsciamente, si mise con la schiera eretta, mettendo in mostra il suo sederone tondo tondo che era modellato da quel pantalone largo e di stoffa leggera.
Io ero distratto, e rivedevo i flash della mia gioventù, ma cercai di blaterare qualcosa: “Oh Cri, certo che qui è un'altra cosa. Ma ormai la mia casa è lì, con moglie e figli da coccolare, il lavoro e poi i miei interessi. Te piuttosto, visto che hai perso il lavoro, perché non ti trasferisci su, magari con i tuoi di figli?”.
Cristina aveva solo la licenza media, arrabattandosi a far mille lavori. La cooperativa dove era assunta per le pulizie negli uffici era chiusa dopo l'ennesimo appalto al ribasso, e così era rimasta senza stipendio.
A un certo punto, complice l'afa, si tolse la giacchetta e restò in maglietta verde, con quelle mammelle strette dal tessuto. Mi stavo eccitando, ma tornai lucido quando lei si alzò e mi invitò a sedere a tavola.
Tra un'orecchietta con le braciole, le polpette fritte e tanto Primitivo a fiumi, ci ritrovammo per tutta la cena a ridere, ruttare e sparlare. Alla fine, al terzo bicchierino di limoncello a testa, ci buttammo sul grande divano, ognuno sulle estremità. Eravamo l'uno di fronte l'altro, Cristina era seduta rannicchiata con le gambe larghe, io steso a celare l'erezione che svettava sul mio pantalone giallo.
“Passano gli anni ma rimani il solito porco – rise lei guardandomi svampita -. Da ragazzini cercavi in tutti i modi di sbirciarmi e toccarmi le tette e il culo, oppure quando sapevo che durante le feste entravi in bagno dritto alla cesta della biancheria sporca per prendere le mie mutandine usate. Ma tanto sei un uomo, quindi...”. E mentre apriva e chiudeva quel minishorts bianco, rideva a crepapelle.
“Ascolta bella, non fare la santerellina, e sai a che mi riferisco – le risposi prontamente -. Poi non è colpa mia se non riuscivo a guardarti in faccia con quelle tettone che ti ritrovavi, che erano mostruose per la tua età”.
“Vuoi che te le racconti tutte, Albe – continuò sfottendomi -? Pensi che io non me ne accorgessi? Potrei farti l'elenco dei tuoi tentativi e dei giochi ai quali comunque ci stavo, perché in fondo quelle situazioni piacevano anche a me”.
“Su dai – ribattei -, vediamo se hai la memoria lunga. E non eccitarti pensando a che ragazzone che ero fino ai 16 anni”. E risi lasciando la cosa lì...
“Certo che ricordo tutto – disse lei – sono passati secoli, ma certi ricordi non se ne vanno. Anzi, stasera me li hai fatti rinverdire tutti insieme. Ho roba da poterti ricattare per anni, eheheheheheh!”.
Al che, per metterla alla prova, la invitai a vuotare il sacco. E lei non si fece pregare.
“Allora, tralasciando quando da piccoli andavamo a pisciare insieme e ci vedevamo il pisellino e la farfallina e te che spesso frugavi sotto la gonna, abbassandomi le mutandine, l'apice della tua perversioni la raggiungesti tra gli 11 e i 15 anni. Proseguo?”
“Certo che devi proseguire – risposi -, ma allora facciamo un gioco? Visto che anche te hai i tuoi scheletri nell'armadio, si racconta uno o due aneddoti per uno, ok?”
Lei acconsentì, a patto che iniziasse la cronaca di quelle perversioni. Io, acconsentii, mai pensando poi a come sarebbe andata a finire tutta questa storia.
“Iniziamo da quando, a 12 anni, eravamo alla casa al mare di mio zio Bruno – attaccò -? Quando si faceva il bagno, ogni onda era un'occasione per lanciarti a pesce su di me, sfiorandomi il pube e le tette. Sentivo la tua mano morta, ma la situazione mi eccitava da morire. Tra i brividi dell'acqua fredda e le tue dita che mi sfioravano, era un casino per me”.
Ricordavo perfettamente quei pomeriggi, e la morbidezza di quei seni tutt'altro che acerbi. Ma non potevo tradire la mia apparente indifferenza e rilanciai.
“E quando invece venivi a mangiare alla spiaggia dove andavo coi miei, che si faceva la lotta sulla sabbia e una volta mi strizzasti le palline – dissi -? Sentii la tua mano stringermi i testicoli, ma il risultato fu quello di procurarmi un'erezione pazzesca. Lo sapevo che lo avevi fatto apposta, ma stavo zitto sperando che toccassi poi anche qualcos'altro...” .
Lei arrossì, iniziò ad affannarsi nel racconto, facendo finta di non ricordare altre scenette, fino a quando tirò fuori il jolly: “A casa di nonna Tina, durante tutti i Natali e Capodanni lì, eri da vedere. Prima quando facevi finta di coccolare la piccola Ilaria (la nipotina di sei mesi, nda) che avevo in braccio, e la prendevi sfiorandomi il maglione e le tette. Quelle tette erano la tua passione, e lo sapevo. E quindi le mettevo in bella mostra. Ti piacevano, vero? Morbide e tonde, e io ti lasciavo fare. Due volte stavo per essere tradita dai capezzoli, ma te eri preso da altro”.
Speravo si fermasse, e invece raccontò una porcata ancora più evidente: “Sempre durante quelle feste, quando eravamo seduti sul divano in soggiorno, eri sempre accanto. E mi mettevi la mano sotto il culo, muovendola e puntando al buchino. Io cercavo di divincolarmi, un po' mi facevi schifo, ma se mi muovevo rischiavo di trovarmi la tua mano morta su tutte le chiappe. Poi, quando arrivavi a sollecitare il buco, non capivo più nulla. Ma non so se eri tu, a farmi eccitare, oppure la situazione imbarazzante se ci avessero visto. E invece eri furbo, e nessuno si accorgeva di nulla”.
Era affannata, era di nuovo eccitata, ma stavolta non era come 27 anni prima, stavolta c'erano in ballo interessi più grossi. E così, cercai di stemperare la tensione
“Allora ricordi quando ci facemmo la doccia calda in spiaggia – continuai -? Eravamo a pochi centimetri, avevamo all'epoca 13 anni, e io per vendicarmi di te che mi sfottevi che l'avevo piccolo, ti invitai a far le docce calde lì nella zona riservata. Ricordi?”
“Sì, ricordo sì. Per vendicarti ti abbassasti i pantaloncini con mutanda e tirasti fuori il tuo pisellone gonfio e grosso che sembrava scoppiare e si muoveva. Non potrò mai dimenticare quella sera: era il primo cazzo che vedevo dal vivo in vita mia, ad appena cinque centimetri. Quel paletto orgoglioso senza peli e con quella cappellona rossa, che tenesti fuori per tanti minuti. Se ci avessero beccato, saremmo finiti in qualche convento, ahahahah! Ma sapessi cosa avrei dato per toccartelo almeno sulla punta...”. Mentre lo diceva, si mordeva la lingua e aveva uno sguardo che era tutto un programma: “Ma non ti fare un'idea sbagliata di me, anche quando facevamo la lotta qui in casa, e ti strusciavi sul culo, non mi piaceva. Ma non riuscivo a ribellarmi. Forse perché pensavo a quella cappellona...”.
Tette contro cappella, ormai era quello l'andazzo, ma mi ricordai di un'altra cosa: “Le tue mutande lerce quando andavo in bagno erano profumatissime. Quelle macchie giallastre erano segno che eri eccitata o erano perdite? Perché le sentivo belle fresche, quelle secrezioni. E non erano male”.
Lei si schifò, ma ormai quel divano era consumato, e si stava bagnando, o forse era sudore. Fino a quando non mi disse a bruciapelo: “Albe, dimmi la verità. Ti sei mai masturbato pensando a me. O meglio, hai mai fatto sogni erotici su di me?”.
Io diventai un peperone, e riuscii a biascicare solo: “Sì, tante volte. E tu su di me?”
Cristina restò zitta per qualche secondo, poi: “Sì, da quella doccia al mare, sì. Certo, poi a 15 anni ho avuto rapporti non completi e quindi il cazzo non era una cosa misteriosa. Ma fino a quel momento, sapessi...”.
“A me succede ancora, ogni tanto - confessai -. Ma adesso è tutto diverso”.
“E come mi sognavi – mi chiese -? Su, racconta e non nascondere nessun dettaglio che sono curiosa. Se mi schifo, ti fermo io”. E restò lì a gambe aperte davanti a me e i capezzoli che spuntavano come spilli.
“I sogni ricorrenti erano due – iniziai -. Il primo è che un pomeriggio all'improvviso arrivavo qui in casa dei tuoi genitori, e ti trovavo in camera dei tuoi fratellini e che ora è dei tuoi figli, in una posizione diciamo oscena...”.
“Come? Su, racconta, dai” - incalzò.
“Eri sul lettino a quattro zampe con una magliettina tirata su fino al collo a lasciare scoperte le tettone che ballonzolavano, le mutandine calate sulle ginocchia assieme al pantalone del pigiama, con la fica pelosissima in mostra. Sparavi frasi senza senso mentre ti mettevi una falange nell'ano e mi dicevi di leccarti il culo bianco come fosse un gelato alla panna. E io ubbidivo, leccandoti tutte quelle belle chiappe tonde e morbide, poi passando al buco che non era pulito, e infine infilando la lingua tra quei peli e la fica. Io ero come posseduto da quegli odori forti, e a un certo punto tirai fuori il cazzo e strofinavo la cappella sulla striscia che divide le chiappe, eri tutta sudata e puzzavi di sudore e di umori, e io spingevo fino a sborrare sul tuo osso sacro scaricandoti una quantità di sperma senza precedenti, e continuando poi a strusciarmi sul tuo buco di culo fino a quando non cademmo esausti”.
“Ommioddio – si girò incredula -, ma te sei matto. Mamma mia... ma quante volte hai fatto questo sogno, cuginetto mio?”
“Tantissime, spesso a comando – dissi -, ed era sempre bello sborrare pensando a quella scena”.
“Allora ti chiamerò il mio leccaculo – mi sfotteva ridendo con quell'occhio assatanato – E quell'altro sogno?”.
“No, una volta per uno – la pregai mentre lei ormai era avvampata e soprattutto conscia che non poteva più sottrarsi alla morsa”.
“Ok, il mio primo sogno ricorrente l'ho avuto come detto qualche giorno dopo che vidi il tuo pisellone sotto la doccia al mare – confessò cercando di respirare forte -. Ero in camera mia, sul lettone, e pensavo alla doccia. E allora mi venne in mente che a un certo punto ti incontrai a casa tua e ti vidi uscire dal bagno tutto nudo. Io mi inginocchiai e presi a toccare quel cazzone gonfio prima con la punta delle dita, e poi con tutta la mano, e poi con la bocca dando delle leccate con la punta della lingua. E tu che dopo pochi secondi esplodevi sulla mia faccia e la bocca, e io sputavo tutto”.
“Ecco, quindi mi dipingi come uno che soffre di eiaculazione precoce – risposi ridendo cercando di sistemarmi il pacco -, ma a quell'epoca eri perdonata. Ma come finiva poi la scena? Cioè, tu cosa facevi dal vivo?”
“Allargavo al massimo le gambe, mi sfregavo il clitoride e impazzivo di piacere, prendendomi sull'asciugamano tutto il mio nettare. E sapessi quante volte, questa scena con te mi è venuta in mente facendomi il bidet...”.
Lei al bidet... era la mia seconda perversione ricorrente: “Mi hai fatto venire in mente – raccontavo mentre ora iniziavamo a cercarci con le mani -, la seconda scena che spesso mi ha fatto restare senza sperma e senza fiato: tu che eri a farti il bidet a casa mia, sì a casa mia. Lo sciabordio del rubinetto, l'aria rarefatta e zac, entro di soppiatto in bagno e ti vedo a gambe aperte sul bidet che ti lisci la fica. E io che resto di sasso, in mutande, con questo cazzetto in tiro. E te che piangendo, non so perché, ti spogli tutta abbracciandomi. Io sniffavo tutto il tuo corpo dal collo al ventre, fino a quando non mi prendevi il cazzo in mano, portandolo sul canale tra le tette e iniziando una spagnola. A un certo punto, in piena foga, mi leccavi la cappella e io sborravo tra le tette, lasciandoti un lago e un appiccicume che non si toglieva. Che tempi”.
“Tette, tette, tette – ripeteva -. Una ossessione, praticamente. Comunque ne andavo fiera, in fondo erano l'unica cosa che attirava l'attenzione dei ragazzi”.
“Sì ma non perderti in chiacchiere – sollecitai -, raccontami il secondo sogno e siamo pari”.
“Era una notte lunga e tempestosa... - ridacchiava -. A parte gli scherzi, l'altro sogno era un po' più schifoso, e non mi va di raccontartelo ora, che sennò non digeriamo”.
“Ollallà, sei diventata di colpo scrupolosa – le ripetei -? Ricorda il patto: stasera niente segreti”.
“Ok, ero sul cesso a far pipì in casa della nonna – esordisce -, mi manca la carta igienica e ti chiamo per prendermela. A un certo punto mi giro e ti ordino di leccarmi la fica piena di piscio. Ma non mi interessava l'urina, quanto il fatto che me la leccassi. Eri così preso che sembravi un cane, ma ricordo che in questo sogno te avevi il viso incollato dei miei umori, e io ero schifata da quell'odore che pure spesso sentivo tra le mie dita. Insomma, eri il mio schiavetto, ahahahahah!”.
“Oddio Cri, l'ho durissimo – ammisi -, ma non facciamoci venire strane idee in testa”.
Lei diventò seria: “O stronzone, non permetterti di farti strane idee in testa. Qui è casa mia, e decido io. Al massimo farai il mio schiavetto, ahahahahahahah!”.
Era stranita anche lei, presa alla sprovvista da quei ricordi e quelle confessioni pericolose. Ci rimettemmo in sesto, e ci alzammo dal divano. Io cercavo di nascondere l'erezione, lei i capezzoli turgidi e il clitoride gonfio. Non ci guardammo in faccia, erano le 22 e la serata viveva momenti di imbarazzo evidente. L'aiutai a sparecchiare, provai a sfiorarla ma lei si discostò. Fino a quando, all'improvviso, ebbe una delle sue uscite.
“Vado ad accendere la lavatrice per le robe dei ragazzi – mi avvisò -, te guarda un po' di tv, almeno ti raffreddi i bollenti spiriti”.
“Ok, faccio un po' di zapping – risposi deluso e rassegnato -. Tra poco, dopo il caffè, vado via”.
Passano cinque/sei minuti, io ero mezzo assonnato da tutta roba ingurgitata e gli alcolici, quando sento una voce che mi sembrava lontana.
“Albeeeeeeee, Albeeeeee, vieni a darmi una mano che ho bisogno”.
Mi alzo scocciato e sentivo che non era in lavanderia, e in bagno neanche. La sentivo respirare nella camera dei figli, e mi trovo davanti a me la scena da infarto: sul lettino a quattro zampe con una magliettina tirata su fino al collo a lasciare scoperte le tettone che ballonzolavano, le mutandine rosa calate sulle ginocchia assieme al pantalone del pigiama, con la fica pelosissima in mostra. Come nel sogno, ma era realtà.
“Vieni maiale, vieni pezzo di merda – attaccava -, leccami tutto il culo dalle chiappe al buco, e poi sai cosa fare”.
Io? Ubbidii senza fiatare: prima passai con la lingua tutta la chiappa sinistra, poi quella destra, poi entrambe. Fino a quando la sentivo ansimare implorandomi di passare all'ano. Ci misi prima il naso. Non era un buon odore, segno che l'igiene intima era un optional, ma lei strusciava con forza quei muscoli sul mio viso: “Leccaaaaaaa ahhh ahhh ahhhhhhhh. Maledetto, che mi faiiiiiiiiiiiiiiii...”.
Avevo la lingua nel suo buco di culo, lingua che usavo come un pisello. Passai poi un po' più giù, ma non c'erano tanti peli, e arrivai a gustarmi tutto il sapore della sua fica: “Vedi che sto realizzando il tuo sogno – mi ripeteva urlandomi poi le peggiori parolacce -. E io godoooooooooooo, ahh ahh ahh. Bastardo, hai trovato il modo per fare uscire di nuovo la donna che è in me. Scopaaaaaaaaaaaaa”.
A un certo punto, visto che non potevo cambiare copione, la presi a quattro zampe toccandole le tettone da sotto, che ballavano che era una meraviglia. Presi la punta del mio pisellone duro e la appoggiai prima sull'ano, poi sulla striscia che divide le natiche. E iniziai di fatto a segarmi sul suo culo, strusciandomi su quel posto rovente e sudato: “Godooooo, figlio di puttana – mi offendeva -. Che ci siam persi in tutti questi anni, ahhhh ahhh uhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh”.
“Attenta che ti vengo sul culo – le dissi -, attentaaaaaaaaaaaa”. Ma prima di finire la frase, le scaricai tanto di quello sperma che non fiatai per cinque minuti. Ci appollaiammo sul letto tutti sudati, e lei disse: “Ho da pisciare, ora tocca a te”.
“Ma dai, non ci posso credere – risposi – di già?”.
“Ora sono cazzi tuoi, ti avviso – minacciò -. E sei il mio schiavetto, ricordalo”.
Ancora barcollante dopo un altro bicchiere, stavolta di whisky, l'accompagnai sulla tazza. Le calai le mutandine, e si sedette iniziando la sua pioggia dorata: “Guardami – disse -, e dopo lecca”.
Aprì le gambe, e la fichetta gonfia e ancora piena di urina non si faceva attendere: tirai fuori la lingua e iniziai il mio esperto movimento tra clitoride e vagina, infilando un dito nel buco del culo per farla venire prima.
Cosa che avvenne appena dieci minuti dopo, quando mi strinse fortissimo a sé, e avevo il viso incollato alla sua fica gocciolante. Mi scaraventò per terra, dicendomi soltanto: “In due ore abbiamo ripassato quello che non si è fatto in venticinque anni. Cuginetto, sono esausta e felice”.
Ci rivestimmo, io tornai a casa ancora col viso impregnato dei suoi umori, senza slip e soprattutto con le dita che emanavano quel profumo forte. Tornai in Toscana la sera, e la vita scorse come sempre. Ogni tanto, mi arrivava qualche messaggio: “Ciao schiavetto, penso alla nostra serata e mi tocco, ma ora ho trovato un altro compagno. Ma un altro come te, non si trova...”.
Mia cugina Cristina ha 41 anni come me, un figlio avuto a 16 anni da un bastardo che poi l'ha abbandonata rendendola ragazza madre, un matrimonio e altri tre figli che ne hanno fatto una famiglia numerosa e felice, almeno fino alla separazione avvenuta qualche anno fa.
Cristina è stata, da quando ero bambino fino ai 14 anni, il mio sogno erotico, la mia ossessione sessuale, il primo approccio con tutto ciò che non fosse maschile. E forse lo è tuttora la mia ossessione, o forse è il ricordo di lei in quegli anni della mia gioventù a tenermela bene in mente. A 13 anni aveva delle tette morbide e tonde, già una terza, precoce rispetto ad altre ragazzine della sua età. Il sedere alto e un po' "a pera", ma non era male. Le gambe non erano granché, il viso lo stesso, perché per l'appunto era normale, quasi anonima se non fosse per quelle curve pericolose. Non era bella, si diceva, ma quel corpo da sballo, rappresentava, assieme agli ormoni in subbuglio, la mia sentinella sul passaggio dal diventare bimbo a ragazzo. E lo stesso valeva per lei. Perché, avendo vissuto per anni in una città di mare e frequentandoci spesso l'estate e durante le feste, percepivo la sua curiosità. D'altronde, è normale che i primi istinti sessuali debbano essere placati in qualche modo sulle persone dell'altro sesso più vicine e apparentemente alla portata: sorelle, cugine, amiche di famiglia. Su mia cugina Cristina ho fantasticato, con lei ho giocato al dottore e l'ammalata, andavamo a pisciare insieme. Poi, cresciuta e diventata adolescente in calore come me, l'ho toccata e sfiorata cercando contatti fisici, buttato litri di sperma in bagno o nella mia cameretta e una volta persino in mare. Ma, una sera, scoprii che non ero l'unico che viveva quel rapporto sfogandosi con se stesso.
Una sera che tornai nella mia Puglia (vivo in Toscana da anni), mi giunse un messaggio: "Albe, da quanto tempo... Vieni a cena da me, che è un bel po' che non ti vedo. I ragazzi sono andati in vacanza!!!".
Mi recai a casa sua, o meglio quella che era casa degli zii. Un alloggio popolare in un quartiere non certo tranquillo, ma una casa dignitosa di circa ottanta metri quadri, sistemata come una volta, e con lo stesso "profumo" di sesso che avvertivo quando da ragazzini ci si vedeva tutti lì per le feste natalizie.
Cristina mi aprì con un sorriso, nonostante non la vedessi da almeno sei anni. Era rimasta la stessa, pur con la pesantezza degli anni e delle gravidanze: rotonda, il viso disteso, il sedere tondo e pieno celato da un pantalone di quelli estivi di stoffa, il seno sempre grosso ma cadente e un sorriso a trentadue denti.
Insomma, se da ragazzina ripeto, non era un granché, con la maturità non era migliorata. Ma forse cercavo il ricordo di lei, non lei. Altrimenti, non avrei mai accettato l'invito.
Ci mettemmo sul divano e mi offrì un prosecchino con qualche patatina, giusto per rompere il ghiaccio: “Allora come va – esordì -? Ti manca il Salento, eh? Certo la Toscana è bella, ma il mare è un'altra cosa”. E mentre parlava, inconsciamente, si mise con la schiera eretta, mettendo in mostra il suo sederone tondo tondo che era modellato da quel pantalone largo e di stoffa leggera.
Io ero distratto, e rivedevo i flash della mia gioventù, ma cercai di blaterare qualcosa: “Oh Cri, certo che qui è un'altra cosa. Ma ormai la mia casa è lì, con moglie e figli da coccolare, il lavoro e poi i miei interessi. Te piuttosto, visto che hai perso il lavoro, perché non ti trasferisci su, magari con i tuoi di figli?”.
Cristina aveva solo la licenza media, arrabattandosi a far mille lavori. La cooperativa dove era assunta per le pulizie negli uffici era chiusa dopo l'ennesimo appalto al ribasso, e così era rimasta senza stipendio.
A un certo punto, complice l'afa, si tolse la giacchetta e restò in maglietta verde, con quelle mammelle strette dal tessuto. Mi stavo eccitando, ma tornai lucido quando lei si alzò e mi invitò a sedere a tavola.
Tra un'orecchietta con le braciole, le polpette fritte e tanto Primitivo a fiumi, ci ritrovammo per tutta la cena a ridere, ruttare e sparlare. Alla fine, al terzo bicchierino di limoncello a testa, ci buttammo sul grande divano, ognuno sulle estremità. Eravamo l'uno di fronte l'altro, Cristina era seduta rannicchiata con le gambe larghe, io steso a celare l'erezione che svettava sul mio pantalone giallo.
“Passano gli anni ma rimani il solito porco – rise lei guardandomi svampita -. Da ragazzini cercavi in tutti i modi di sbirciarmi e toccarmi le tette e il culo, oppure quando sapevo che durante le feste entravi in bagno dritto alla cesta della biancheria sporca per prendere le mie mutandine usate. Ma tanto sei un uomo, quindi...”. E mentre apriva e chiudeva quel minishorts bianco, rideva a crepapelle.
“Ascolta bella, non fare la santerellina, e sai a che mi riferisco – le risposi prontamente -. Poi non è colpa mia se non riuscivo a guardarti in faccia con quelle tettone che ti ritrovavi, che erano mostruose per la tua età”.
“Vuoi che te le racconti tutte, Albe – continuò sfottendomi -? Pensi che io non me ne accorgessi? Potrei farti l'elenco dei tuoi tentativi e dei giochi ai quali comunque ci stavo, perché in fondo quelle situazioni piacevano anche a me”.
“Su dai – ribattei -, vediamo se hai la memoria lunga. E non eccitarti pensando a che ragazzone che ero fino ai 16 anni”. E risi lasciando la cosa lì...
“Certo che ricordo tutto – disse lei – sono passati secoli, ma certi ricordi non se ne vanno. Anzi, stasera me li hai fatti rinverdire tutti insieme. Ho roba da poterti ricattare per anni, eheheheheheh!”.
Al che, per metterla alla prova, la invitai a vuotare il sacco. E lei non si fece pregare.
“Allora, tralasciando quando da piccoli andavamo a pisciare insieme e ci vedevamo il pisellino e la farfallina e te che spesso frugavi sotto la gonna, abbassandomi le mutandine, l'apice della tua perversioni la raggiungesti tra gli 11 e i 15 anni. Proseguo?”
“Certo che devi proseguire – risposi -, ma allora facciamo un gioco? Visto che anche te hai i tuoi scheletri nell'armadio, si racconta uno o due aneddoti per uno, ok?”
Lei acconsentì, a patto che iniziasse la cronaca di quelle perversioni. Io, acconsentii, mai pensando poi a come sarebbe andata a finire tutta questa storia.
“Iniziamo da quando, a 12 anni, eravamo alla casa al mare di mio zio Bruno – attaccò -? Quando si faceva il bagno, ogni onda era un'occasione per lanciarti a pesce su di me, sfiorandomi il pube e le tette. Sentivo la tua mano morta, ma la situazione mi eccitava da morire. Tra i brividi dell'acqua fredda e le tue dita che mi sfioravano, era un casino per me”.
Ricordavo perfettamente quei pomeriggi, e la morbidezza di quei seni tutt'altro che acerbi. Ma non potevo tradire la mia apparente indifferenza e rilanciai.
“E quando invece venivi a mangiare alla spiaggia dove andavo coi miei, che si faceva la lotta sulla sabbia e una volta mi strizzasti le palline – dissi -? Sentii la tua mano stringermi i testicoli, ma il risultato fu quello di procurarmi un'erezione pazzesca. Lo sapevo che lo avevi fatto apposta, ma stavo zitto sperando che toccassi poi anche qualcos'altro...” .
Lei arrossì, iniziò ad affannarsi nel racconto, facendo finta di non ricordare altre scenette, fino a quando tirò fuori il jolly: “A casa di nonna Tina, durante tutti i Natali e Capodanni lì, eri da vedere. Prima quando facevi finta di coccolare la piccola Ilaria (la nipotina di sei mesi, nda) che avevo in braccio, e la prendevi sfiorandomi il maglione e le tette. Quelle tette erano la tua passione, e lo sapevo. E quindi le mettevo in bella mostra. Ti piacevano, vero? Morbide e tonde, e io ti lasciavo fare. Due volte stavo per essere tradita dai capezzoli, ma te eri preso da altro”.
Speravo si fermasse, e invece raccontò una porcata ancora più evidente: “Sempre durante quelle feste, quando eravamo seduti sul divano in soggiorno, eri sempre accanto. E mi mettevi la mano sotto il culo, muovendola e puntando al buchino. Io cercavo di divincolarmi, un po' mi facevi schifo, ma se mi muovevo rischiavo di trovarmi la tua mano morta su tutte le chiappe. Poi, quando arrivavi a sollecitare il buco, non capivo più nulla. Ma non so se eri tu, a farmi eccitare, oppure la situazione imbarazzante se ci avessero visto. E invece eri furbo, e nessuno si accorgeva di nulla”.
Era affannata, era di nuovo eccitata, ma stavolta non era come 27 anni prima, stavolta c'erano in ballo interessi più grossi. E così, cercai di stemperare la tensione
“Allora ricordi quando ci facemmo la doccia calda in spiaggia – continuai -? Eravamo a pochi centimetri, avevamo all'epoca 13 anni, e io per vendicarmi di te che mi sfottevi che l'avevo piccolo, ti invitai a far le docce calde lì nella zona riservata. Ricordi?”
“Sì, ricordo sì. Per vendicarti ti abbassasti i pantaloncini con mutanda e tirasti fuori il tuo pisellone gonfio e grosso che sembrava scoppiare e si muoveva. Non potrò mai dimenticare quella sera: era il primo cazzo che vedevo dal vivo in vita mia, ad appena cinque centimetri. Quel paletto orgoglioso senza peli e con quella cappellona rossa, che tenesti fuori per tanti minuti. Se ci avessero beccato, saremmo finiti in qualche convento, ahahahah! Ma sapessi cosa avrei dato per toccartelo almeno sulla punta...”. Mentre lo diceva, si mordeva la lingua e aveva uno sguardo che era tutto un programma: “Ma non ti fare un'idea sbagliata di me, anche quando facevamo la lotta qui in casa, e ti strusciavi sul culo, non mi piaceva. Ma non riuscivo a ribellarmi. Forse perché pensavo a quella cappellona...”.
Tette contro cappella, ormai era quello l'andazzo, ma mi ricordai di un'altra cosa: “Le tue mutande lerce quando andavo in bagno erano profumatissime. Quelle macchie giallastre erano segno che eri eccitata o erano perdite? Perché le sentivo belle fresche, quelle secrezioni. E non erano male”.
Lei si schifò, ma ormai quel divano era consumato, e si stava bagnando, o forse era sudore. Fino a quando non mi disse a bruciapelo: “Albe, dimmi la verità. Ti sei mai masturbato pensando a me. O meglio, hai mai fatto sogni erotici su di me?”.
Io diventai un peperone, e riuscii a biascicare solo: “Sì, tante volte. E tu su di me?”
Cristina restò zitta per qualche secondo, poi: “Sì, da quella doccia al mare, sì. Certo, poi a 15 anni ho avuto rapporti non completi e quindi il cazzo non era una cosa misteriosa. Ma fino a quel momento, sapessi...”.
“A me succede ancora, ogni tanto - confessai -. Ma adesso è tutto diverso”.
“E come mi sognavi – mi chiese -? Su, racconta e non nascondere nessun dettaglio che sono curiosa. Se mi schifo, ti fermo io”. E restò lì a gambe aperte davanti a me e i capezzoli che spuntavano come spilli.
“I sogni ricorrenti erano due – iniziai -. Il primo è che un pomeriggio all'improvviso arrivavo qui in casa dei tuoi genitori, e ti trovavo in camera dei tuoi fratellini e che ora è dei tuoi figli, in una posizione diciamo oscena...”.
“Come? Su, racconta, dai” - incalzò.
“Eri sul lettino a quattro zampe con una magliettina tirata su fino al collo a lasciare scoperte le tettone che ballonzolavano, le mutandine calate sulle ginocchia assieme al pantalone del pigiama, con la fica pelosissima in mostra. Sparavi frasi senza senso mentre ti mettevi una falange nell'ano e mi dicevi di leccarti il culo bianco come fosse un gelato alla panna. E io ubbidivo, leccandoti tutte quelle belle chiappe tonde e morbide, poi passando al buco che non era pulito, e infine infilando la lingua tra quei peli e la fica. Io ero come posseduto da quegli odori forti, e a un certo punto tirai fuori il cazzo e strofinavo la cappella sulla striscia che divide le chiappe, eri tutta sudata e puzzavi di sudore e di umori, e io spingevo fino a sborrare sul tuo osso sacro scaricandoti una quantità di sperma senza precedenti, e continuando poi a strusciarmi sul tuo buco di culo fino a quando non cademmo esausti”.
“Ommioddio – si girò incredula -, ma te sei matto. Mamma mia... ma quante volte hai fatto questo sogno, cuginetto mio?”
“Tantissime, spesso a comando – dissi -, ed era sempre bello sborrare pensando a quella scena”.
“Allora ti chiamerò il mio leccaculo – mi sfotteva ridendo con quell'occhio assatanato – E quell'altro sogno?”.
“No, una volta per uno – la pregai mentre lei ormai era avvampata e soprattutto conscia che non poteva più sottrarsi alla morsa”.
“Ok, il mio primo sogno ricorrente l'ho avuto come detto qualche giorno dopo che vidi il tuo pisellone sotto la doccia al mare – confessò cercando di respirare forte -. Ero in camera mia, sul lettone, e pensavo alla doccia. E allora mi venne in mente che a un certo punto ti incontrai a casa tua e ti vidi uscire dal bagno tutto nudo. Io mi inginocchiai e presi a toccare quel cazzone gonfio prima con la punta delle dita, e poi con tutta la mano, e poi con la bocca dando delle leccate con la punta della lingua. E tu che dopo pochi secondi esplodevi sulla mia faccia e la bocca, e io sputavo tutto”.
“Ecco, quindi mi dipingi come uno che soffre di eiaculazione precoce – risposi ridendo cercando di sistemarmi il pacco -, ma a quell'epoca eri perdonata. Ma come finiva poi la scena? Cioè, tu cosa facevi dal vivo?”
“Allargavo al massimo le gambe, mi sfregavo il clitoride e impazzivo di piacere, prendendomi sull'asciugamano tutto il mio nettare. E sapessi quante volte, questa scena con te mi è venuta in mente facendomi il bidet...”.
Lei al bidet... era la mia seconda perversione ricorrente: “Mi hai fatto venire in mente – raccontavo mentre ora iniziavamo a cercarci con le mani -, la seconda scena che spesso mi ha fatto restare senza sperma e senza fiato: tu che eri a farti il bidet a casa mia, sì a casa mia. Lo sciabordio del rubinetto, l'aria rarefatta e zac, entro di soppiatto in bagno e ti vedo a gambe aperte sul bidet che ti lisci la fica. E io che resto di sasso, in mutande, con questo cazzetto in tiro. E te che piangendo, non so perché, ti spogli tutta abbracciandomi. Io sniffavo tutto il tuo corpo dal collo al ventre, fino a quando non mi prendevi il cazzo in mano, portandolo sul canale tra le tette e iniziando una spagnola. A un certo punto, in piena foga, mi leccavi la cappella e io sborravo tra le tette, lasciandoti un lago e un appiccicume che non si toglieva. Che tempi”.
“Tette, tette, tette – ripeteva -. Una ossessione, praticamente. Comunque ne andavo fiera, in fondo erano l'unica cosa che attirava l'attenzione dei ragazzi”.
“Sì ma non perderti in chiacchiere – sollecitai -, raccontami il secondo sogno e siamo pari”.
“Era una notte lunga e tempestosa... - ridacchiava -. A parte gli scherzi, l'altro sogno era un po' più schifoso, e non mi va di raccontartelo ora, che sennò non digeriamo”.
“Ollallà, sei diventata di colpo scrupolosa – le ripetei -? Ricorda il patto: stasera niente segreti”.
“Ok, ero sul cesso a far pipì in casa della nonna – esordisce -, mi manca la carta igienica e ti chiamo per prendermela. A un certo punto mi giro e ti ordino di leccarmi la fica piena di piscio. Ma non mi interessava l'urina, quanto il fatto che me la leccassi. Eri così preso che sembravi un cane, ma ricordo che in questo sogno te avevi il viso incollato dei miei umori, e io ero schifata da quell'odore che pure spesso sentivo tra le mie dita. Insomma, eri il mio schiavetto, ahahahahah!”.
“Oddio Cri, l'ho durissimo – ammisi -, ma non facciamoci venire strane idee in testa”.
Lei diventò seria: “O stronzone, non permetterti di farti strane idee in testa. Qui è casa mia, e decido io. Al massimo farai il mio schiavetto, ahahahahahahah!”.
Era stranita anche lei, presa alla sprovvista da quei ricordi e quelle confessioni pericolose. Ci rimettemmo in sesto, e ci alzammo dal divano. Io cercavo di nascondere l'erezione, lei i capezzoli turgidi e il clitoride gonfio. Non ci guardammo in faccia, erano le 22 e la serata viveva momenti di imbarazzo evidente. L'aiutai a sparecchiare, provai a sfiorarla ma lei si discostò. Fino a quando, all'improvviso, ebbe una delle sue uscite.
“Vado ad accendere la lavatrice per le robe dei ragazzi – mi avvisò -, te guarda un po' di tv, almeno ti raffreddi i bollenti spiriti”.
“Ok, faccio un po' di zapping – risposi deluso e rassegnato -. Tra poco, dopo il caffè, vado via”.
Passano cinque/sei minuti, io ero mezzo assonnato da tutta roba ingurgitata e gli alcolici, quando sento una voce che mi sembrava lontana.
“Albeeeeeeee, Albeeeeee, vieni a darmi una mano che ho bisogno”.
Mi alzo scocciato e sentivo che non era in lavanderia, e in bagno neanche. La sentivo respirare nella camera dei figli, e mi trovo davanti a me la scena da infarto: sul lettino a quattro zampe con una magliettina tirata su fino al collo a lasciare scoperte le tettone che ballonzolavano, le mutandine rosa calate sulle ginocchia assieme al pantalone del pigiama, con la fica pelosissima in mostra. Come nel sogno, ma era realtà.
“Vieni maiale, vieni pezzo di merda – attaccava -, leccami tutto il culo dalle chiappe al buco, e poi sai cosa fare”.
Io? Ubbidii senza fiatare: prima passai con la lingua tutta la chiappa sinistra, poi quella destra, poi entrambe. Fino a quando la sentivo ansimare implorandomi di passare all'ano. Ci misi prima il naso. Non era un buon odore, segno che l'igiene intima era un optional, ma lei strusciava con forza quei muscoli sul mio viso: “Leccaaaaaaa ahhh ahhh ahhhhhhhh. Maledetto, che mi faiiiiiiiiiiiiiiii...”.
Avevo la lingua nel suo buco di culo, lingua che usavo come un pisello. Passai poi un po' più giù, ma non c'erano tanti peli, e arrivai a gustarmi tutto il sapore della sua fica: “Vedi che sto realizzando il tuo sogno – mi ripeteva urlandomi poi le peggiori parolacce -. E io godoooooooooooo, ahh ahh ahh. Bastardo, hai trovato il modo per fare uscire di nuovo la donna che è in me. Scopaaaaaaaaaaaaa”.
A un certo punto, visto che non potevo cambiare copione, la presi a quattro zampe toccandole le tettone da sotto, che ballavano che era una meraviglia. Presi la punta del mio pisellone duro e la appoggiai prima sull'ano, poi sulla striscia che divide le natiche. E iniziai di fatto a segarmi sul suo culo, strusciandomi su quel posto rovente e sudato: “Godooooo, figlio di puttana – mi offendeva -. Che ci siam persi in tutti questi anni, ahhhh ahhh uhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh”.
“Attenta che ti vengo sul culo – le dissi -, attentaaaaaaaaaaaa”. Ma prima di finire la frase, le scaricai tanto di quello sperma che non fiatai per cinque minuti. Ci appollaiammo sul letto tutti sudati, e lei disse: “Ho da pisciare, ora tocca a te”.
“Ma dai, non ci posso credere – risposi – di già?”.
“Ora sono cazzi tuoi, ti avviso – minacciò -. E sei il mio schiavetto, ricordalo”.
Ancora barcollante dopo un altro bicchiere, stavolta di whisky, l'accompagnai sulla tazza. Le calai le mutandine, e si sedette iniziando la sua pioggia dorata: “Guardami – disse -, e dopo lecca”.
Aprì le gambe, e la fichetta gonfia e ancora piena di urina non si faceva attendere: tirai fuori la lingua e iniziai il mio esperto movimento tra clitoride e vagina, infilando un dito nel buco del culo per farla venire prima.
Cosa che avvenne appena dieci minuti dopo, quando mi strinse fortissimo a sé, e avevo il viso incollato alla sua fica gocciolante. Mi scaraventò per terra, dicendomi soltanto: “In due ore abbiamo ripassato quello che non si è fatto in venticinque anni. Cuginetto, sono esausta e felice”.
Ci rivestimmo, io tornai a casa ancora col viso impregnato dei suoi umori, senza slip e soprattutto con le dita che emanavano quel profumo forte. Tornai in Toscana la sera, e la vita scorse come sempre. Ogni tanto, mi arrivava qualche messaggio: “Ciao schiavetto, penso alla nostra serata e mi tocco, ma ora ho trovato un altro compagno. Ma un altro come te, non si trova...”.
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