Qualche minuto in un vagone quasi vuoto
di
Eresya
genere
dominazione
Tornò verso casa che era notte inoltrata, si sedette nel vagone che correva rapido sulla monorotaia tra i grattacieli. Era deserto: era tardi, c’era solo una ragazza seduta di fronte a lui. Era bionda, indossava una attillata gonna azzurra e una canottiera azzurra la cui scollatura attirava l’occhio. Aveva le gambe accavallate che ogni tanto sistemava leggermente lasciando per un istante intravedere sotto la gonna.
Darwin si morse il labbro e tentò di distrarre lo sguardo ma non poté fare a meno di tornare a posarlo su quella ragazza e senza nemmeno accorgersene incrociò i suoi occhi azzurri: anche lei lo stava fissando. Rimasero così per qualche istante: a guardarsi negli occhi, immobili. Poi, ad un tratto, lei alzò lentamente le mani e lasciò scivolare di lato prima una spallina e poi l’altra della canottiera, abbassando così la scollatura… Ma c’era un maledetto reggiseno rosa che copriva…
La ragazza fece uno strano movimento con la schiena e le braccia e il reggiseno si sganciò, come accidentalmente, e scivolò giù sotto la canottiera per cadere a terra quando lei si alzò in piedi. Le spalline scesero ancora di più ed ora erano proprio pochi millimetri di stoffa ancora a coprire i capezzoli… Perché quella canottiera non scivolava più giù?
Darwin la fissava immobile, pregando con tutto se stesso ad ogni minimo movimento che la scollatura scendesse ancora di quei pochi millimetri… solo di quei pochi millimetri…
Uno scossone, probabilmente dato dal vento, fece sobbalzare il vagone, e la ragazza si afferrò ad un sostegno. La scollatura era ancora lì. Con la mano libera però si sollevò leggermente la gonna da un lato ed iniziò ad accarezzarsi la zona del pube, con un movimento sempre più erotico ed intenso, mentre sul suo viso iniziava a dipingersi un’espressione di piacere e di desiderio. Fissò i suoi grandi occhi azzurri in quelli di Darwin che continuava a fissarla desiderando che non si fermasse, che venisse verso di lui, che lasciasse scendere ancora di quei pochi millimetri la canottiera, che smettesse di toccarsi per lasciarsi penetrare. Voleva prenderla con violenza fino a farla urlare e venirle dentro anche se lei avesse provato a impedirglielo.
La ragazza infilò le dita sotto gli slip bianchi che ormai si intravedevano sotto la gonna e le estrasse bagnate. Venne verso di lui, gli si sedette a cavalcioni sulle ginocchia e si leccò l’indice chiudendo gli occhi. Poi gli posò la mano sul petto e la fece scendere lentamente verso la cintura… troppo lenta.
Darwin le strinse i fianchi con forza, le cosce, il culo sodo che non era lì per altro che per essere toccato… e finalmente abbassò quella canottiera lasciando liberi i capezzoli che strinse con tutte le sue forze facendola urlare.
Prese le sue mani e le infilò sotto i propri pantaloni finché non ebbe slacciato i bottoni. Scostò gli slip bianchi e finalmente la penetrò.
Le conficcò le unghie nei fianchi muovendola su e giù, spingendola con forza contro di sé più veloce di quanto lei potesse sopportare facendola gemere. Le affondò i denti nel collo strappandole un urlo. Voleva distruggerla, farla a pezzi, abbandonarla lì nel vagone con il corpo mezzo nudo coperto di graffi, morsi e lividi.
Continuò a muoverla, sempre più veloce, sempre più forte, penetrandola fino in fondo tanto da farle male, si godette le sue urla e liberò i suoi fianchi dalle proprie unghie per tornare a stringerle i capezzoli. Più forte, più forte… Fissava la sua faccia, i suoi occhi… quell’espressione di piacere che cresceva e di dolore insopportabile… non era abbastanza! Di più… più forte… fino a farla a pezzi…
Ascoltò le sue urla farsi sempre più alte e strozzate finché con un ultimo colpo le mozzò il fiato e le venne dentro. Giusto in tempo: era quasi la sua fermata. La scaraventò a terra, sul freddo pavimento del vagone, si richiuse i pantaloni, si alzò e quando si aprirono le porte uscì, lasciando il suo corpo spudoratamente scoperto ricoperto dai lividi, dai morsi e dai graffi.
Darwin si morse il labbro e tentò di distrarre lo sguardo ma non poté fare a meno di tornare a posarlo su quella ragazza e senza nemmeno accorgersene incrociò i suoi occhi azzurri: anche lei lo stava fissando. Rimasero così per qualche istante: a guardarsi negli occhi, immobili. Poi, ad un tratto, lei alzò lentamente le mani e lasciò scivolare di lato prima una spallina e poi l’altra della canottiera, abbassando così la scollatura… Ma c’era un maledetto reggiseno rosa che copriva…
La ragazza fece uno strano movimento con la schiena e le braccia e il reggiseno si sganciò, come accidentalmente, e scivolò giù sotto la canottiera per cadere a terra quando lei si alzò in piedi. Le spalline scesero ancora di più ed ora erano proprio pochi millimetri di stoffa ancora a coprire i capezzoli… Perché quella canottiera non scivolava più giù?
Darwin la fissava immobile, pregando con tutto se stesso ad ogni minimo movimento che la scollatura scendesse ancora di quei pochi millimetri… solo di quei pochi millimetri…
Uno scossone, probabilmente dato dal vento, fece sobbalzare il vagone, e la ragazza si afferrò ad un sostegno. La scollatura era ancora lì. Con la mano libera però si sollevò leggermente la gonna da un lato ed iniziò ad accarezzarsi la zona del pube, con un movimento sempre più erotico ed intenso, mentre sul suo viso iniziava a dipingersi un’espressione di piacere e di desiderio. Fissò i suoi grandi occhi azzurri in quelli di Darwin che continuava a fissarla desiderando che non si fermasse, che venisse verso di lui, che lasciasse scendere ancora di quei pochi millimetri la canottiera, che smettesse di toccarsi per lasciarsi penetrare. Voleva prenderla con violenza fino a farla urlare e venirle dentro anche se lei avesse provato a impedirglielo.
La ragazza infilò le dita sotto gli slip bianchi che ormai si intravedevano sotto la gonna e le estrasse bagnate. Venne verso di lui, gli si sedette a cavalcioni sulle ginocchia e si leccò l’indice chiudendo gli occhi. Poi gli posò la mano sul petto e la fece scendere lentamente verso la cintura… troppo lenta.
Darwin le strinse i fianchi con forza, le cosce, il culo sodo che non era lì per altro che per essere toccato… e finalmente abbassò quella canottiera lasciando liberi i capezzoli che strinse con tutte le sue forze facendola urlare.
Prese le sue mani e le infilò sotto i propri pantaloni finché non ebbe slacciato i bottoni. Scostò gli slip bianchi e finalmente la penetrò.
Le conficcò le unghie nei fianchi muovendola su e giù, spingendola con forza contro di sé più veloce di quanto lei potesse sopportare facendola gemere. Le affondò i denti nel collo strappandole un urlo. Voleva distruggerla, farla a pezzi, abbandonarla lì nel vagone con il corpo mezzo nudo coperto di graffi, morsi e lividi.
Continuò a muoverla, sempre più veloce, sempre più forte, penetrandola fino in fondo tanto da farle male, si godette le sue urla e liberò i suoi fianchi dalle proprie unghie per tornare a stringerle i capezzoli. Più forte, più forte… Fissava la sua faccia, i suoi occhi… quell’espressione di piacere che cresceva e di dolore insopportabile… non era abbastanza! Di più… più forte… fino a farla a pezzi…
Ascoltò le sue urla farsi sempre più alte e strozzate finché con un ultimo colpo le mozzò il fiato e le venne dentro. Giusto in tempo: era quasi la sua fermata. La scaraventò a terra, sul freddo pavimento del vagone, si richiuse i pantaloni, si alzò e quando si aprirono le porte uscì, lasciando il suo corpo spudoratamente scoperto ricoperto dai lividi, dai morsi e dai graffi.
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