L'Inferno di Anna e l'Abisso di Francesca cap. 3 - Collana l'Inferno e l'Abisso
di
Koss
genere
dominazione
Capitolo 3 – La preda, un gioco di società
Anna era più che domata, era annientata. Era pronta a fare tutto quello che Master Daniele avrebbe preteso da lei. Per quasi tutta la settimana si era chiesta cosa poteva fare e la risposta era stata sempre: niente. Il Padrone le aveva lasciato sul suo PC film e foto. E suo malgrado ogni volta che visionava scopriva che si eccitava e che nel film ed in molte di quelle foto si vedeva offerta come l’ultima delle troie. Il bastardo aveva cancellato quelle in cui lei si ribellava. Ora si augurava solo che il suo padrone si autolimitasse, ma aveva già capito che non c’era da sperare molto, la notte in autostrada era stata terribile, ma poi aveva goduto, qualcosa che stentava a confessare anche a se stessa. La signora bene però non aveva molta immaginazione per capire dove la storia sarebbe andata a parare. Quella notte avrebbe iniziato a capire, ma solo in parte.
Master Daniele la raccolse alla stazione venerdì notte alle 21,30. Era un venerdì freddo come il precedente, ma al contrario del precedente era una notte limpida e serena. Anna si era vestita come lui le aveva detto. Niente intimo, solo autoreggenti e scarpe a spillo, tacco 12, sopra un vestitino di lana rosso molto attillato e sopra il soprabito, caldo ed abbondante almeno quello. Sia le autoreggenti che il tacco 12 non facevano parte del suo normale guardaroba, lei indossava calze e reggicalze ed il tacco che normalmente portava era al massimo l’8. Si muoveva con difficoltà, ma ciò, in quel momento, mentre trascinava la borsa in cui aveva messo qualche ricambio, era l’ultimo dei suoi pensieri. Salì in macchina, salutò con deferenza il Padrone venendo ricambiata solo con un cenno, ed il SUV partì. Destinazione Parco Sempione. Il Parco a quell’ora era già chiuso, ma per Master Daniele quello non era un problema. Lui arrivò ad un cancelletto secondario, parcheggiò la macchina e scese, seguito dalla schiava a cui era stato imposto di lasciare il soprabito in macchina. Con una chiave aprì il cancelletto e fece entrare la schiava. – Questo parco è grande 43 ettari – le disse, - tra un po’ arriveranno due coppie, amici miei. Ti daranno la caccia. La coppia che ti cattura ti terrà per tutto il week end. Quella più giovane è spietata, quella della mia età un po’ meno, ma sia con l’una che con l’altra passerai dei brutti quarti d’ora. – Master Daniele fece una pausa e poi riprese. – Da ora fino alle sei di domani la caccia è aperta. Se riesci a rimanere libera domani mattina potrai tornare a casa, altrimenti sai cosa ti aspetta. – Un’altra pausa, poi terminò. – In teoria questo Parco è chiuso, ma non sono pochi quelli che in qualche modo riescono ad entrare scavalcando. Non è cosa per te, quindi non ci pensare neanche, pensa solo a scappare. E guardati da chi ti da la caccia, ma anche dagli estranei, gente generalmente pericolosa che se ti trova non ti risparmierà di certo. Io ti riporterò alla stazione domenica sera, ora scappa. - Anna si era preparata a tutto, anche di essere presa da estranei come era già successo, ma non si aspettava niente del genere, di diventare una preda da parte di sconosciuti, sia pure amici del suo Padrone, o peggio sbandati, drogati e chi sa cosa altro. Era successo in autostrada, ma lì c’era il suo Padrone a proteggerla, qui nessuno. Era bianca e ghiacciata, per il freddo e per la paura, ma un istante dopo quelle parole sudava in preda al terrore ed al panico. Master Daniele le aveva voltato le spalle e si affrettava verso il cancello che richiuse a chiave senza degnarla di uno sguardo. Lasciandola sola dentro il Parco Sempione, nel Centro di Milano, ma, per lei, peggio che in un bosco in aperta campagna.
Per più di un minuto rimase ferma, incapace di reagire. Ora sentiva di nuovo il freddo che ghiacciava il sudore sul suo gracile corpo. Quel vestitino rosso la riparava poco ed era visibile ad un chilometro di distanza. Certo, mi ha detto, metti quel vestitino rosso, proprio per essere visibile, non solo perché succinto e provocante. Si mosse a casaccio per i vialetti del parco. Si allontanò dalle luci passando su un ponticello che scavalcava un piccolo corso d’acqua. Tremante trovò riparo in mezzo a dei cespugli, si accosciò tra le foglie abbracciandosi per non disperdere il calore.
Le due coppie entrarono nel parco un quarto d’ora dopo di lei. Erano attrezzate diversamente. Sia le due donne che i due uomini indossavano vestiti scuri e pesanti. Scarponcini ai piedi, maglioni, e giacconi. Le due donne non avevano però rinunciato alla loro femminilità. Invece dei pantaloni indossavano dei leggings molto pesanti, mentre i loro maglioni scendevano fino a coprire le natiche.
Ogni Padrone ed ogni Padrona aveva con sé una torcia ed una mappa del parco, nelle tasche dei giacconi poi avevano manette, cellulare e un termos chi di caffè, chi di cioccolata calda. Insomma erano attrezzati per la caccia.
Confabularono un po’, poi si divisero il parco in quadranti. Renata, la Mistress matura prese il quadrante vicino alla Triennale, mentre Sara, la più giovane si avviò a passo svelto verso l’Arco della Pace, i due Master si divisero gli altri due, il Castello e l’Arena.
Anna stava battendo i denti quando alle sue spalle sentì uno strascicare di passi dietro di lei. I denti sbattevano così forte che Anna temette la sentissero, cercò di controllarsi, ma la mascella aveva vita propria, non ne voleva sapere di stare ferma. In più il cuore tambureggiava per la paura. I passi erano dietro di lei. Si voltò, ma non vide niente, solo il cespuglio che la copriva, guardò meglio, tra due cespugli si apriva una fenditura e lì dietro un’ombra. Anna si sentì persa, l’avevano già trovata. Poi l’ombra si agitò un po’, il rumore di un zip che scendeva. Anna pensò che la volessero stuprare immediatamente, ora sudava e tremava di paura. Poi frasi sconnesse da ubbriaco e lo scroscio di una pisciata che la colpì in volto e poi su tutto il corpo. Uno scroscio lungo, continuo che passava dalla fenditura tra i due alti cespugli e la centrava perfettamente sul viso e sul corpo. Anna non osava muoversi, era paralizzata, tirò indietro solo il viso per non riceverlo direttamente sul volto, ma di più non osò fare. Lei era una preda inerme, anche per un ubbriaco. Sembrava non volesse finire più, ma poi terminò, di nuovo zip e l’uomo si allontanò borbottando. Anna piangeva, realizzò che si trattava solo di un ubbriaco che si era liberato la vescica. Ma lì non poteva più stare, c’era un lago di orina e lei puzzava come una capra. Si allontanò china riducendo al minimo la possibilità di essere vista.
Renata scrutava meticolosamente davanti a sé con la torcia, sentiero dopo sentiero, dietro ogni cespuglio o anfratto. La Mistress era cosciente che sicuramente la preda si era allontanata. Probabilmente ora era in un altro settore, ma bisognava essere sicuri. Ogni tanto vedeva qualcuno muoversi, sicuramente barboni, ubriaconi o drogati. Non aveva paura di quei tipi, potevano intimorire solo i paurosi, bastava alzare la voce che sarebbero scappati via. In ogni caso aveva il cellulare e per ogni evenienza anche un taser nella tasca del giaccone. Renata era una bionda dai capelli fini e lunghi sui 40, esile e minuta, apparentemente fragile, ma con due belle tette. Era alta 165 cm e normalmente vestiva in modo elegante, ma severo. Gonne strette, tacchi alti, vestitini fini e raffinati che generalmente concedevano la vista del prorompente seno. C’era qualche movimento al margine della sua visuale, ma niente di rosso. Guardò dietro un cespuglio e vide un brandello di maglina rossa. E poi, per terra, la pozzanghera che si stava assorbendo. Puzzava, ma insieme alla puzza un odore più dolce. La troia si era profumata, ma poi si è pisciata addosso pensò Renata. Era lei indubbiamente, a terra c’erano chiari segni dei tacchi a spillo che affondavano nel terreno morbido. Poi la preda si era spostata sul duro e sul sentiero le tracce si perdevano. Chiamò in conference call gli altri e li ragguagliò. – Viene verso il centro del parco – disse il marito – ma tu stai attenta che non ritorni indietro, non abbandonare il tuo quadrante. -
Il marito di Renata, Alberto, andava verso i cinquanta, ma era perfettamente in forma, alto, robusto e snello, portava i baffi e questi insieme allo sguardo luciferino intimorivano non poco.
Erano le 23,30, era passata più di un’ora da quando Anna era diventata una preda. Puzzava, era ghiacciata ed avvilita. Il piscio si era raffreddato sul suo vestitino ed ora contribuiva non solo a farla puzzare, ma anche a raffreddarla. Si aggirava a casaccio in quel parco che non conosceva. Si teneva lontana dai vialetti, camminava sotto gli alberi rasente ai cespugli. Si addentrò nel buio, lì si sentiva più sicura e cercava di guardare lontano per vedere se c’era traccia dei suoi cacciatori. Così facendo non guardava invece dove metteva i piedi. Fu così che inciampò in un corpo avvolto in vecchie coperte e steso su dei cartoni. Cadde gridando terrorizzata, mentre l’altro bestemmiava svegliandosi e subito all’erta. L’uomo, una montagna di grasso puzzolente e con qualche rotella fuori posto le si avventò addosso urlando maledizioni in una lingua slava. Anna cercava di scusarsi, ma forse l’altro neanche la capiva e comunque appena vide quelle cosce bianche aperte ed invitanti si svegliò del tutto e cerco di metterla sotto. Anna urlò a squarciagola e l’uomo balbettò in un italiano stentato – zitta troia che ora ci divertiamo. – Anna ormai impazzita dal terrore gridò ancora più forte mentre il tizio cercava di tenerla ferma. L’uomo le mise una mano tra le cosce e quando sentì brancicando che non portava mutandine sorrise compiaciuto. – Lo sapevo che eri una troia – disse sghignazzando. Anna era nel panico e fece quello che non avrebbe mai fatto. In situazioni come quella si sarebbe paralizzata aspettando rassegnata il suo destino. Invece reagì rabbiosamente. Impaurita più dai rischi di malattie che dallo stupro in sé. Approfittando del fatto che il bestione aveva, per un attimo, allentato la presa per slacciarsi i pantaloni, gli tirò una pedata al basso ventre e scappò. Stavolta fu l’uomo a gridare piegandosi in due e giurando che gliel’avrebbe fatta pagare. Il bestione era però lento ed impacciato di suo, poi, con i pantaloni abbassati, era ancora meno veloce. Anna riuscì ad allontanarsi.
Era finita nel settore dell’Arco della Pace e tutto quel casino arrivò alle orecchie di Sara. La giovane Mistress intuì che tutto quel casino poteva essere provocato dalla sua preda e si precipitò verso il punto da cui le urla provenivano.
Sara era una moretta con i capelli a caschetto, aveva trenta anni, era più piccola e minuta di Renata, ma molto più scattante e veloce. In breve raggiunse il punto da cui provenivano le urla. Ci trovò però solo il bestione che, vedendo un’altra donna sulla sua strada, cercò di rimediare all’occasione persa provando a ghermire la nuova. Ma Sara molto più freddamente di Anna e per niente intimorita ripeté la stessa azione, con maggiore precisione e violenza. Questa volta il bestione si accasciò a terra proteggendosi i coglioni e mormorando – puttane italiane. – Sara si guardò intorno e vide un vestitino striminzito rosso che fuggiva. Cento metri più in là ai margini del prato. Si buttò all’inseguimento silenziosa ed implacabile. Anna, troppo presa dai suoi tormenti, non si era accorta di essere inseguita. Uscì dal prato, svoltò in un vialetto e poco dopo entrò in un boschetto facendo perdere le sue tracce. Sara, stizzita dall’aver perso la preda, comunicò agi altri gli eventi.
Il cuore batteva forte, in due ore aveva avuto due brutte avventure. Pensò seriamente di consegnarsi ai suoi cacciatori. Forse avrebbe corso meno rischi. Poi però prevalse l’orgoglio e la soddisfazione di aver reagito e dell’essersela cavata. Devo solo trovare un posto sicuro ed aspettare altre quattro ore, non più di cinque, pensava.
Erano passate altre tre ore. Anna era stremata, ma voleva resistere, altre due ore, si diceva e ce l’avrò fatta. Era entrata nel settore del Castello. Anna si era rannicchiata, cercando di non morire di freddo, tra una roccia ed un cespuglio che la riparavano da ogni sguardo, lì si sentiva al sicuro e si addormentò.
In effetti Anna non era visibile tranne che da un particolare ed improbabile angolo di visuale, ma il terreno umido e molle assorbiva nettamente le impronte dei tacchi a spillo. E queste le furono fatali.
Gianni puntò la torcia sulle tracce, certo potevano essere di chiunque, ma quante donne andavano al parco con i tacchi a spillo?
Era un trentenne, come Sara, sua moglie e compagna di avventure. Ma aveva un fisico robusto e longilineo.
Gianni spense la torcia per rendersi invisibile e seguì le tracce. Gli bastava la luna per vedere. Si mosse silenzioso e dopo venti metri la vide. Dormiva, era malridotta, nel sonno batteva i denti per il freddo e si agitava. Ha passato una brutta notte pensava Gianni, poi l’afferrò per una caviglia e la schiava urlò terrorizzata. In un attimo le due caviglie erano catturate da due anelli tenuti insieme da una corta catenella. Un ceffone convinse Anna a stare zitta. – Zitta troia – sibilò Gianni, - finalmente ti ho trovata. Zitta per il tuo bene. – Anna mugolava infelice, capì che era uno dei suoi cacciatori. Quello della coppia giovane e spietata come le aveva detto il suo Padrone. – Puzzi come una scrofa – continuò il suo nuovo Padrone, - ti sei pisciata addosso – affermò mentre la tirava in piedi e l’ammanettava. Anna non aveva nessuna forza per reagire, rassegnata si fece mettere in piedi. Il Padrone le strappò il vestito di dosso e la lasciò nuda. Il vestito era bagnato, di piscio pensò Gianni pulendosi le mani sui capelli di lei che avvilita e tremante lo lasciò fare senza reagire. Lui chiamò gli altri.
- Puzza come una capra – disse loro quando arrivarono, - forse più che pisciarsi addosso qualcuno gliel’ha fatta addosso o è caduta in una pozzanghera di piscio. Il suo vestito ne era tutto intriso. –
- E’ così? – chiese Sara.
- Sì, - rispose Anna balbettando, - ero rannicchiata in un cespuglio ed un ubbriaco… - Gli altri risero. Anna si sentiva tremendamente umiliata.
- Una latrina - commentò Renata, - proprio una latrina. –
Stava per albeggiare, Anna era nuda ed ormai al limite dello sfinimento. – E’ ora di andare – disse Sara. Si avviarono, Anna si muoveva con grande difficoltà sui tacchi ed incatenata. Stava nel mezzo tra Sara, Alberto e Renata che la sorreggevano, mentre Gianni era andato avanti a prendere la macchina. Durante il tragitto la palparono e la derisero, ma lei non reagì era ormai oltre ogni limite, totalmente domata.
La caricarono nel bagagliaio della macchina di Gianni e partirono, per ogni evenienza l’avevano imbavagliata.
- Ci vediamo stasera a cena – disse Sara a Renata, - ci sarà anche Master Daniele. -
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Anna era più che domata, era annientata. Era pronta a fare tutto quello che Master Daniele avrebbe preteso da lei. Per quasi tutta la settimana si era chiesta cosa poteva fare e la risposta era stata sempre: niente. Il Padrone le aveva lasciato sul suo PC film e foto. E suo malgrado ogni volta che visionava scopriva che si eccitava e che nel film ed in molte di quelle foto si vedeva offerta come l’ultima delle troie. Il bastardo aveva cancellato quelle in cui lei si ribellava. Ora si augurava solo che il suo padrone si autolimitasse, ma aveva già capito che non c’era da sperare molto, la notte in autostrada era stata terribile, ma poi aveva goduto, qualcosa che stentava a confessare anche a se stessa. La signora bene però non aveva molta immaginazione per capire dove la storia sarebbe andata a parare. Quella notte avrebbe iniziato a capire, ma solo in parte.
Master Daniele la raccolse alla stazione venerdì notte alle 21,30. Era un venerdì freddo come il precedente, ma al contrario del precedente era una notte limpida e serena. Anna si era vestita come lui le aveva detto. Niente intimo, solo autoreggenti e scarpe a spillo, tacco 12, sopra un vestitino di lana rosso molto attillato e sopra il soprabito, caldo ed abbondante almeno quello. Sia le autoreggenti che il tacco 12 non facevano parte del suo normale guardaroba, lei indossava calze e reggicalze ed il tacco che normalmente portava era al massimo l’8. Si muoveva con difficoltà, ma ciò, in quel momento, mentre trascinava la borsa in cui aveva messo qualche ricambio, era l’ultimo dei suoi pensieri. Salì in macchina, salutò con deferenza il Padrone venendo ricambiata solo con un cenno, ed il SUV partì. Destinazione Parco Sempione. Il Parco a quell’ora era già chiuso, ma per Master Daniele quello non era un problema. Lui arrivò ad un cancelletto secondario, parcheggiò la macchina e scese, seguito dalla schiava a cui era stato imposto di lasciare il soprabito in macchina. Con una chiave aprì il cancelletto e fece entrare la schiava. – Questo parco è grande 43 ettari – le disse, - tra un po’ arriveranno due coppie, amici miei. Ti daranno la caccia. La coppia che ti cattura ti terrà per tutto il week end. Quella più giovane è spietata, quella della mia età un po’ meno, ma sia con l’una che con l’altra passerai dei brutti quarti d’ora. – Master Daniele fece una pausa e poi riprese. – Da ora fino alle sei di domani la caccia è aperta. Se riesci a rimanere libera domani mattina potrai tornare a casa, altrimenti sai cosa ti aspetta. – Un’altra pausa, poi terminò. – In teoria questo Parco è chiuso, ma non sono pochi quelli che in qualche modo riescono ad entrare scavalcando. Non è cosa per te, quindi non ci pensare neanche, pensa solo a scappare. E guardati da chi ti da la caccia, ma anche dagli estranei, gente generalmente pericolosa che se ti trova non ti risparmierà di certo. Io ti riporterò alla stazione domenica sera, ora scappa. - Anna si era preparata a tutto, anche di essere presa da estranei come era già successo, ma non si aspettava niente del genere, di diventare una preda da parte di sconosciuti, sia pure amici del suo Padrone, o peggio sbandati, drogati e chi sa cosa altro. Era successo in autostrada, ma lì c’era il suo Padrone a proteggerla, qui nessuno. Era bianca e ghiacciata, per il freddo e per la paura, ma un istante dopo quelle parole sudava in preda al terrore ed al panico. Master Daniele le aveva voltato le spalle e si affrettava verso il cancello che richiuse a chiave senza degnarla di uno sguardo. Lasciandola sola dentro il Parco Sempione, nel Centro di Milano, ma, per lei, peggio che in un bosco in aperta campagna.
Per più di un minuto rimase ferma, incapace di reagire. Ora sentiva di nuovo il freddo che ghiacciava il sudore sul suo gracile corpo. Quel vestitino rosso la riparava poco ed era visibile ad un chilometro di distanza. Certo, mi ha detto, metti quel vestitino rosso, proprio per essere visibile, non solo perché succinto e provocante. Si mosse a casaccio per i vialetti del parco. Si allontanò dalle luci passando su un ponticello che scavalcava un piccolo corso d’acqua. Tremante trovò riparo in mezzo a dei cespugli, si accosciò tra le foglie abbracciandosi per non disperdere il calore.
Le due coppie entrarono nel parco un quarto d’ora dopo di lei. Erano attrezzate diversamente. Sia le due donne che i due uomini indossavano vestiti scuri e pesanti. Scarponcini ai piedi, maglioni, e giacconi. Le due donne non avevano però rinunciato alla loro femminilità. Invece dei pantaloni indossavano dei leggings molto pesanti, mentre i loro maglioni scendevano fino a coprire le natiche.
Ogni Padrone ed ogni Padrona aveva con sé una torcia ed una mappa del parco, nelle tasche dei giacconi poi avevano manette, cellulare e un termos chi di caffè, chi di cioccolata calda. Insomma erano attrezzati per la caccia.
Confabularono un po’, poi si divisero il parco in quadranti. Renata, la Mistress matura prese il quadrante vicino alla Triennale, mentre Sara, la più giovane si avviò a passo svelto verso l’Arco della Pace, i due Master si divisero gli altri due, il Castello e l’Arena.
Anna stava battendo i denti quando alle sue spalle sentì uno strascicare di passi dietro di lei. I denti sbattevano così forte che Anna temette la sentissero, cercò di controllarsi, ma la mascella aveva vita propria, non ne voleva sapere di stare ferma. In più il cuore tambureggiava per la paura. I passi erano dietro di lei. Si voltò, ma non vide niente, solo il cespuglio che la copriva, guardò meglio, tra due cespugli si apriva una fenditura e lì dietro un’ombra. Anna si sentì persa, l’avevano già trovata. Poi l’ombra si agitò un po’, il rumore di un zip che scendeva. Anna pensò che la volessero stuprare immediatamente, ora sudava e tremava di paura. Poi frasi sconnesse da ubbriaco e lo scroscio di una pisciata che la colpì in volto e poi su tutto il corpo. Uno scroscio lungo, continuo che passava dalla fenditura tra i due alti cespugli e la centrava perfettamente sul viso e sul corpo. Anna non osava muoversi, era paralizzata, tirò indietro solo il viso per non riceverlo direttamente sul volto, ma di più non osò fare. Lei era una preda inerme, anche per un ubbriaco. Sembrava non volesse finire più, ma poi terminò, di nuovo zip e l’uomo si allontanò borbottando. Anna piangeva, realizzò che si trattava solo di un ubbriaco che si era liberato la vescica. Ma lì non poteva più stare, c’era un lago di orina e lei puzzava come una capra. Si allontanò china riducendo al minimo la possibilità di essere vista.
Renata scrutava meticolosamente davanti a sé con la torcia, sentiero dopo sentiero, dietro ogni cespuglio o anfratto. La Mistress era cosciente che sicuramente la preda si era allontanata. Probabilmente ora era in un altro settore, ma bisognava essere sicuri. Ogni tanto vedeva qualcuno muoversi, sicuramente barboni, ubriaconi o drogati. Non aveva paura di quei tipi, potevano intimorire solo i paurosi, bastava alzare la voce che sarebbero scappati via. In ogni caso aveva il cellulare e per ogni evenienza anche un taser nella tasca del giaccone. Renata era una bionda dai capelli fini e lunghi sui 40, esile e minuta, apparentemente fragile, ma con due belle tette. Era alta 165 cm e normalmente vestiva in modo elegante, ma severo. Gonne strette, tacchi alti, vestitini fini e raffinati che generalmente concedevano la vista del prorompente seno. C’era qualche movimento al margine della sua visuale, ma niente di rosso. Guardò dietro un cespuglio e vide un brandello di maglina rossa. E poi, per terra, la pozzanghera che si stava assorbendo. Puzzava, ma insieme alla puzza un odore più dolce. La troia si era profumata, ma poi si è pisciata addosso pensò Renata. Era lei indubbiamente, a terra c’erano chiari segni dei tacchi a spillo che affondavano nel terreno morbido. Poi la preda si era spostata sul duro e sul sentiero le tracce si perdevano. Chiamò in conference call gli altri e li ragguagliò. – Viene verso il centro del parco – disse il marito – ma tu stai attenta che non ritorni indietro, non abbandonare il tuo quadrante. -
Il marito di Renata, Alberto, andava verso i cinquanta, ma era perfettamente in forma, alto, robusto e snello, portava i baffi e questi insieme allo sguardo luciferino intimorivano non poco.
Erano le 23,30, era passata più di un’ora da quando Anna era diventata una preda. Puzzava, era ghiacciata ed avvilita. Il piscio si era raffreddato sul suo vestitino ed ora contribuiva non solo a farla puzzare, ma anche a raffreddarla. Si aggirava a casaccio in quel parco che non conosceva. Si teneva lontana dai vialetti, camminava sotto gli alberi rasente ai cespugli. Si addentrò nel buio, lì si sentiva più sicura e cercava di guardare lontano per vedere se c’era traccia dei suoi cacciatori. Così facendo non guardava invece dove metteva i piedi. Fu così che inciampò in un corpo avvolto in vecchie coperte e steso su dei cartoni. Cadde gridando terrorizzata, mentre l’altro bestemmiava svegliandosi e subito all’erta. L’uomo, una montagna di grasso puzzolente e con qualche rotella fuori posto le si avventò addosso urlando maledizioni in una lingua slava. Anna cercava di scusarsi, ma forse l’altro neanche la capiva e comunque appena vide quelle cosce bianche aperte ed invitanti si svegliò del tutto e cerco di metterla sotto. Anna urlò a squarciagola e l’uomo balbettò in un italiano stentato – zitta troia che ora ci divertiamo. – Anna ormai impazzita dal terrore gridò ancora più forte mentre il tizio cercava di tenerla ferma. L’uomo le mise una mano tra le cosce e quando sentì brancicando che non portava mutandine sorrise compiaciuto. – Lo sapevo che eri una troia – disse sghignazzando. Anna era nel panico e fece quello che non avrebbe mai fatto. In situazioni come quella si sarebbe paralizzata aspettando rassegnata il suo destino. Invece reagì rabbiosamente. Impaurita più dai rischi di malattie che dallo stupro in sé. Approfittando del fatto che il bestione aveva, per un attimo, allentato la presa per slacciarsi i pantaloni, gli tirò una pedata al basso ventre e scappò. Stavolta fu l’uomo a gridare piegandosi in due e giurando che gliel’avrebbe fatta pagare. Il bestione era però lento ed impacciato di suo, poi, con i pantaloni abbassati, era ancora meno veloce. Anna riuscì ad allontanarsi.
Era finita nel settore dell’Arco della Pace e tutto quel casino arrivò alle orecchie di Sara. La giovane Mistress intuì che tutto quel casino poteva essere provocato dalla sua preda e si precipitò verso il punto da cui le urla provenivano.
Sara era una moretta con i capelli a caschetto, aveva trenta anni, era più piccola e minuta di Renata, ma molto più scattante e veloce. In breve raggiunse il punto da cui provenivano le urla. Ci trovò però solo il bestione che, vedendo un’altra donna sulla sua strada, cercò di rimediare all’occasione persa provando a ghermire la nuova. Ma Sara molto più freddamente di Anna e per niente intimorita ripeté la stessa azione, con maggiore precisione e violenza. Questa volta il bestione si accasciò a terra proteggendosi i coglioni e mormorando – puttane italiane. – Sara si guardò intorno e vide un vestitino striminzito rosso che fuggiva. Cento metri più in là ai margini del prato. Si buttò all’inseguimento silenziosa ed implacabile. Anna, troppo presa dai suoi tormenti, non si era accorta di essere inseguita. Uscì dal prato, svoltò in un vialetto e poco dopo entrò in un boschetto facendo perdere le sue tracce. Sara, stizzita dall’aver perso la preda, comunicò agi altri gli eventi.
Il cuore batteva forte, in due ore aveva avuto due brutte avventure. Pensò seriamente di consegnarsi ai suoi cacciatori. Forse avrebbe corso meno rischi. Poi però prevalse l’orgoglio e la soddisfazione di aver reagito e dell’essersela cavata. Devo solo trovare un posto sicuro ed aspettare altre quattro ore, non più di cinque, pensava.
Erano passate altre tre ore. Anna era stremata, ma voleva resistere, altre due ore, si diceva e ce l’avrò fatta. Era entrata nel settore del Castello. Anna si era rannicchiata, cercando di non morire di freddo, tra una roccia ed un cespuglio che la riparavano da ogni sguardo, lì si sentiva al sicuro e si addormentò.
In effetti Anna non era visibile tranne che da un particolare ed improbabile angolo di visuale, ma il terreno umido e molle assorbiva nettamente le impronte dei tacchi a spillo. E queste le furono fatali.
Gianni puntò la torcia sulle tracce, certo potevano essere di chiunque, ma quante donne andavano al parco con i tacchi a spillo?
Era un trentenne, come Sara, sua moglie e compagna di avventure. Ma aveva un fisico robusto e longilineo.
Gianni spense la torcia per rendersi invisibile e seguì le tracce. Gli bastava la luna per vedere. Si mosse silenzioso e dopo venti metri la vide. Dormiva, era malridotta, nel sonno batteva i denti per il freddo e si agitava. Ha passato una brutta notte pensava Gianni, poi l’afferrò per una caviglia e la schiava urlò terrorizzata. In un attimo le due caviglie erano catturate da due anelli tenuti insieme da una corta catenella. Un ceffone convinse Anna a stare zitta. – Zitta troia – sibilò Gianni, - finalmente ti ho trovata. Zitta per il tuo bene. – Anna mugolava infelice, capì che era uno dei suoi cacciatori. Quello della coppia giovane e spietata come le aveva detto il suo Padrone. – Puzzi come una scrofa – continuò il suo nuovo Padrone, - ti sei pisciata addosso – affermò mentre la tirava in piedi e l’ammanettava. Anna non aveva nessuna forza per reagire, rassegnata si fece mettere in piedi. Il Padrone le strappò il vestito di dosso e la lasciò nuda. Il vestito era bagnato, di piscio pensò Gianni pulendosi le mani sui capelli di lei che avvilita e tremante lo lasciò fare senza reagire. Lui chiamò gli altri.
- Puzza come una capra – disse loro quando arrivarono, - forse più che pisciarsi addosso qualcuno gliel’ha fatta addosso o è caduta in una pozzanghera di piscio. Il suo vestito ne era tutto intriso. –
- E’ così? – chiese Sara.
- Sì, - rispose Anna balbettando, - ero rannicchiata in un cespuglio ed un ubbriaco… - Gli altri risero. Anna si sentiva tremendamente umiliata.
- Una latrina - commentò Renata, - proprio una latrina. –
Stava per albeggiare, Anna era nuda ed ormai al limite dello sfinimento. – E’ ora di andare – disse Sara. Si avviarono, Anna si muoveva con grande difficoltà sui tacchi ed incatenata. Stava nel mezzo tra Sara, Alberto e Renata che la sorreggevano, mentre Gianni era andato avanti a prendere la macchina. Durante il tragitto la palparono e la derisero, ma lei non reagì era ormai oltre ogni limite, totalmente domata.
La caricarono nel bagagliaio della macchina di Gianni e partirono, per ogni evenienza l’avevano imbavagliata.
- Ci vediamo stasera a cena – disse Sara a Renata, - ci sarà anche Master Daniele. -
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