Deja-vu. -10

di
genere
pulp

La tazza di tea si è ormai raffreddata quasi del tutto, ma la stringe ancora tra le mani per cercare conforto in quel poco di tepore che la ceramica le trasmette.
Il tea non è mai stata la sua bevanda preferita, ma l'alternativa sarebbe stata una tazza d'acqua scaldata al microonde con del caffè solubile e non è ancora arrivata a volersi così male.
Masochista si, ma fino ad un certo punto.


Avrebbe voluto osservare il tramonto dalla finestra del motel in cui stanno alloggiando da ormai quattro giorni, ma le nuvole le hanno negato anche quel piccolo piacere.
In ogni caso, complice anche il termoconvettore posizionato in prossimità dell'infisso e l'aria calda che vi fuoriesce, è rimasta in piedi ad osservare le nubi tingersi di rosso per poi scurirsi sempre più, cedendo il passo alle tenebre.
Presto, per la differenza d'illuminazione con l'esterno, la sua immagine riflessa è stata l'unica cosa che è riuscita a distinguere chiaramente, se si escludono i fari delle auto che passano, rapide, sulla statale.


Ha passato buona parte della giornata appena trascorsa a girare in auto per incontrare i parenti delle vittime di Willy Pete.
Quello che in un primo momento era soltanto un sospetto dovuto ad una coincidenza, si era trasformato domanda dopo domanda in una pista.
Tutti avevano cambiato abitazione negli ultimi anni.
Se da un lato la cosa è riuscita a farle scordare almeno in parte la sua condizione personale, dall'altro l'interagire con quelle persone colpite da una tragedia insensata e dilaniate dal dolore che ha provocato, l'ha lasciata particolarmente provata.
Son passati gli anni ma non è ancora in grado di evitare il contagio.
L'empatia è una brutta bestia, in quella parte del suo lavoro.
È un mondo strano quello in cui, per rimaner sani, bisogna mantenere meccanismi difensivi innaturali.
Quello che conta maggiormente, per lei, è che sono riusciti a fare un passo avanti.
Un vero passo avanti.

Sorride amaramente e, dopo aver posato la tazza piena per metà sul piano dell'impianto termico, cammina scalza per la stanza, le braccia incrociate al petto per stringersi nell'accappatoio del suo compagno di stanza.
Di sventura.
Si mette a sedere sul bordo del letto e, senza pensare a nulla di preciso, osserva la stanza, prima di soffermarsi con lo sguardo sul comodino.
Una sola fede, la sua.

È andato via poco dopo il loro rientro al motel, dicendo che sarebbe andato a casa a recuperare alcune borse.
Questo, quasi due ore fa.
Considerando il percorso e l'eventuale traffico, sarebbe dovuto rientrare da un pezzo.
Da almeno mezz'ora, ad occhio e croce.

Svogliatamente prende il telefono ed esita, prima di scorrere col dito per sbloccare il display.
L'ultima chiamata in uscita, non inerente il lavoro, è stata quella fatta verso il numero di suo marito.
Si è chiesta più volte, negli ultimi giorni, se doveva, se poteva ancora chiamarlo così.
Il fatto non le abbia mai risposto in questi giorni, la fa propendere per un secco no, come risposta a quelle domande.

Così, col telefono stretto in mano, si lascia cadere distesa sul letto, i piedi penzoloni a sfiorare il pavimento, le braccia distese.
Ricorda con nostalgia il periodo in cui, da ragazza, passava pomeriggi in quella posizione, ascoltando musica, sognando il proprio futuro.
Non cambia posizione, quando sente la porta della stanza che si apre e i passi dell'uomo che entra.

-Mi son fermato un po' più del dovuto per parlare con mia moglie. Come và?

Si è appena giustificato, senza che lei gli avesse rivolto non una domanda, ma una sola parola.
Lascia cadere il telefono, quando si rende conto che lo sta stringendo con forza.
Lo lascia andare per paura di mostrare la rabbia che la sua frase, il suo atteggiamento, le ha provocato.
E non risponde, se non quando le si siede accanto.

-Ti sei profumato un po' tanto nel tragitto, per parlare. Comunque, sono otto.

Attende risposta, senza cambiare posizione. Solo quando è certa di non riceverne, volge capo e sguardo in direzione dell'uomo seduto sul letto, accanto a lei.
Si sta fissando le mani, seguendo con lo sguardo il movimento del pollice che scorre sui polpastrelli delle altre dita.
Fa sempre così, quando pensa. È una delle prime cose che ha notato, di lui.
Col tempo, negli anni, ha notato tante altre piccole cose, ma quella l'ha sempre affascinata.

Ha sempre invidiato chi riesce a far ordine tra i propri pensieri aiutandosi con qualche rituale, ricreando la sicurezza della routine.

-I pedoni. Sono otto, non dieci. E perché ha usato abbattere, per gli altri pezzi? Si catturano, si mangiano, ma abbattere?

-hai mangiato qualcosa?

Le ha posto la domanda senza sollevare lo sguardo dalle mani, parlando sovrappensiero, il pollice che ancora scivola da un polpastrello all'altro.

-si, una tazza di tea. Ma mi hai ascoltata?

La risposta riesce a riportarlo indietro e la cosa la fa sorridere.
Come ha sempre invidiato quella capacità degli altri, così l'ha sempre divertita l'espressione che assumono, quando ritornano con i piedi per terra.

-si che ho mangiato. Non si vede? Un altro po' e mi sta stretto il tuo accappatoio.

Anche lei, come ha fatto lui in precedenza, si giustifica senza bisogno.
Mentendo.

A voler rafforzare la frase, si porta entrambe le mani alla pancia, battendole due volte sul ventre.


Questa volta, l'uomo, ricambia il sorriso, accettando di buon grado la menzogna appena sentita.
Tutte le relazioni implicano delle bugie.


Questa volta è stata lei ad attenderlo a letto, mentre faceva la doccia.
I pensieri le si sono accavallati, sovrapponendosi, mischiandosi.
Aveva veramente parlato e basta con la moglie?
Perché usare gli scacchi come metafora, sbagliando?
Aveva sbagliato di proposito?
Onesto servitore del sistema?
Che fine ha fatto la sua fede?


Si trova ormai in stato di dormiveglia, quando sente scostare le coperte e il materasso che si adatta al peso dell'uomo al suo fianco.
Al buio, tentoni, ne cerca il viso con le mani.

Gli carezza la guancia, sentendo l'accenno di barba sotto le dita, le labbra.
Non si stupisce, quando lui le bacia le dita.
Presto, a quelle, sostituisce le sue, di labbra.

Si stupisce, quando lui si sottrae al bacio. Solitamente è lei, quella restia a quel tipo d'effusioni.

I suoi baci però non son terminati.
Semplicemente, è sceso a baciarle il collo prima, il seno poi, dopo essersi spostato su di lei.

Il primo morso sul capezzolo la fa sussultare, ma è solo un istante.
Il tepore della lingua, la sua consistenza contro ciò che si è inturgidito, sono quelli che fanno cadere ogni possibile resistenza.
Gli carezza il capo mentre sente la lingua scorrere tra i seni, il respiro di lui percepibile sulla pelle
Chiude le dita tra le ciocche di capelli, serrando le mani a pugno, quando lui raggiunge la sua intimità.

Si lascia trasportare, abbandonandosi alle sensazioni che riesce a trasmetterle, al contrasto tra la delicata esplorazione della lingua e l'invasione delle mani, chiuse ad artigliarle i seni in morse che arrivano ad esser dolorose.

Il labbro inferiore, stretto tra gli incisivi per trattenere con scarsi risultati i gemiti di piacere, presto si tinge di ferro per le papille gustative.

Non oppone resistenza, neppure ci prova, quando sente l'onda crescere per travolgerla.
In un atto d'inconsapevole egoismo, stringe a se il volto dell'uomo, chiudendo con forza le cosce.

Si lascia andare ad un lungo sospiro quando gli spasmi le danno pace, facendole riacquistare il pieno controllo del proprio corpo e della propria mente.

Prima d'addormentarsi, rannicchiata contro il compagno, si sente una stupida, per la gelosia provata al rientro dell'uomo.
Nei confronti della moglie, poi.





La strada in terra battuta che ha percorso, si è interrotta bruscamente.
La cosa che l'ha lasciata maggiormente perplessa è stato il fatto che, anche se scalza, i sassi non le abbiano mai provocato dolore per tutto il tragitto percorso.
Alla cenere che si muove leggera nell'aria come tante farfalle, si son aggiunti i sussurri.
Non capisce cosa dicono e, infantilmente, si copre le orecchie con le mani per isolarsi.
Il crepaccio che segna il finire della via, si rivela essere un cratere.
Immenso.

Le braci sembrano essere ancora vive sul fondo, ma per la distanza non riesce a dirlo con certezza.
Quello che riesce a mettere a fuoco è la figura al centro.
Anche se le vesti rosse e nere sono larghe, capisce che una figura così dinoccolata, così sbagliata non può essere naturale.
Reale.

Si muove in maniera sgraziata sul fondo, parodiando passi di danza su una musica inesistente.
E il viso, semplicemente non c'è.


Urla, nel sogno.
E urla, quando si sveglia.







di
scritto il
2019-01-25
1 . 6 K
visite
0
voti
valutazione
0
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.