Ehi, ragazzi, facciamo a chi...

di
genere
gay

Ehi, ragazzi, facciamo a chi…
di Mark Hansen

Per quella sera Franco, Roberto, detto Roby, ed io avevamo avuto la brillante idea di fare un salto in quella nuova discoteca, inaugurata soltanto due settimane prima ma già diventata punto di riferimento imprescindibile per quanto riguardava il fervore notturno di tutta la gioventù tardo-adolescenziale della provincia.
Dopo una coda di trenta minuti buoni, riuscimmo finalmente a entrare, grazie soprattutto all'intercessione del cugino di Franco, che in quella discoteca era stato ingaggiato come buttafuori e addetto ad altri incarichi non bene specificati; non fosse stato per il suo determinante intervento noi tre non saremmo mai e poi mai riusciti a varcare quella soglia, infatti i maschietti da soli, senza uno straccio di fidanzata a fianco non erano ben visti e dovevano rimanere fuori; tali erano le disposizioni impartite agli addetti al controllo da parte della Direzione.
Eravamo dentro, esultanti per la nostra buona riuscita; ma ben presto ci accorgemmo di come quel terreno non fosse in verità ciò che facesse al caso nostro: le ragazze erano quasi tutte accompagnate da nostri muscolosi coetanei, e i più di loro erano delle dimensioni di un armadio; meglio non averci a che dire e tanto meno a che fare; ragionammo saggiamente. Le poche pollastre senza fidanzato sguazzavano all'interno di gruppetti esclusivi, all'interno dei quali non sarebbe stato possibile accedere nemmeno per intercessione del capo in testa del Vaticano, e le altre sgallettate che si muovevano per la discoteca allo stato brado, cioè che non erano in compagnia del cascamorto di turno, avevano tutte, come ebbi subito modo di notare, la puzza sotto il naso, come se si portassero dietro una montagna di merda a due dita dalle narici.
Traendo ispirazione da un documentario che avevo visto in televisione il giorno prima, avevo provato a rimorchiarne qualcuna appostandomi come un leone che attende le gazzelle vicino all'unica pozza d'acqua nel raggio di chilometri; solo che invece di essere nell'assolata savana, mi ero piazzato in un buio cantone in prossimità della porta dei cessi delle donne. I miei tentativi di attaccare discorso dispensando qualche gentile ed elegante apprezzamento o esternando qualche intelligente motto di spirito, non riuscivano a scalfire la dura corazza di quei crudeli e poco socievoli esemplari femminili. Al limite dell'esasperazione mi dissi che avrei fatto tre ultimi tentativi utilizzando un approccio più diretto, cioè usando termini più espliciti, ma tutto ciò che ne ricavai fu nell'ordine: uno schiaffone, che per fortuna riuscii a evitare con un rapido arretramento del busto, un sonoro vaffanculo, e da ultimo, e fu ciò che mi bruciò maggiormente, l'impietoso attributo di "sfigato".
Con la coda tra le gambe abbandonai la postazione e raggiunsi i miei due amici i quali fino a quel momento non avevano fatto altro che continuare a bere birra e lustrarsi gli occhi nel contemplare da una posizione defilata il rutilante e multicolore panorama.
Decidemmo per un'ultima consumazione, poi avremmo portato via i tacchi da quella deludente discoteca e saremmo andati in cerca di altri locali a noi più confacenti e dove speravamo avremmo trovato miglior fortuna.
Iniziò così il tour dei bar e delle birrerie, ma la musica pareva essere sempre la stessa: di figa ve ne era a mazzi, ma era tutta accompagnata.
Non ci rimaneva altro da fare che, avvolti da una nuvoletta di mestizia, prendere lentamente la strada del ritorno verso casa.
Arrivati in una zona poco abitata e appena rischiarata dalla luce di un lampione che si stagliava in lontananza, fermai l'autovettura annunciando con un certo orgoglio e anticipandone anche il risultato, che dopo tutta la birra che avevo bevuto quella sera, avrei fatto una pisciata di proporzioni di sicuro eccezionali.
Poiché anche Franco e Roby avvertivano la mia stessa impellenza, scendemmo tutti e tre dall'auto e ognuno cercò di individuare il luogo più allineato ai propri gusti dove espletare la propria fisiologica funzione.
Ci trovavamo un poco distanti uno dall'altro e ancora non avevamo messo mano alla zip dei pantaloni, quando un grido sconvolse la tranquillità della campagna circostante:
‒ Fermi tutti! ‒ urlò Franco.
‒ Che cazzo c'è? ‒ dissi io. ‒ M'hai fatto spaventare.
‒ Facciamo a chi piscia più lontano!
Roby ed io accogliemmo con parziale entusiasmo l'invito di Franco, ma essendo in vigore tra noi una regola non scritta che imponeva di assecondare le proposte, soprattutto le più bizzarre, provenienti da ognuno del nostro trio, non potemmo rifiutarci di partecipare a quella sfida, pena passare per vigliacchi.
‒ Qui, venite qui; questo punto è perfetto! ‒ c'incalzò il nostro amico, non senza una punta d'entusiasmo nella voce.­
Raggiungemmo Franco, io da sinistra e Roby da destra, e ci ponemmo di fianco a lui a una distanza di circa un metro. Eravamo in cima a una montagnola e sotto di noi molti punti di riferimento: sassi, rami, e molto altro ancora, che avrebbero svolto egregiamente la funzione di bersagli nel nostro improvvisato e personalissimo poligono di tiro.
‒ Guardate là, quel grosso sasso, ‒ c'indicò Franco con la mano libera, e si produsse in un arco che giunse a pochi centimetri dall'obiettivo.
Malgrado non fosse arrivato a segno, Roby ed io ci complimentammo comunque con lui per l'eccellente prestazione, poiché la distanza, dovemmo riconoscerlo, era davvero notevole.
Tentammo di emulare le formidabili gesta del nostro amico ma con risultati non paragonabili, e infine fummo costretti ad ammettere la nostra inferiorità e di conseguenza la sconfitta.
‒ Facciamo a chi… ‒ propose di nuovo Franco, ancora infervorato per la recente vittoria, ‒ facciamo a chi ha il cazzo più lungo.
‒ Questa mi pare davvero una stronzata! ‒ dissi io, e intanto vidi che Franco incurante della mia riluttanza, si era già abbassato pantaloni e mutande a metà coscia e si stava smanettando per farselo venire duro.
Guardai Roby e gli feci un cenno che stava a chiedergli quali fossero le sue intenzioni. Non mi rispose. Continuai a fissarlo; da principio lo vidi titubante, poi anche lui si abbassò i calzoni e iniziò a menarselo.
Per chiamarmi fuori da quella situazione dichiarai che non avrei partecipato alla tenzone ma che volentieri avrei fatto da arbitro; ritenendo che fosse necessario un giudizio esterno e insindacabile in una competizione delicata come quella.
Franco e Roby accettarono di buon grado, ed io mi ritrovai a osservare quei due deficienti che si masturbavano di fronte a me.
Da subito fu evidente la netta superiorità di Roberto, il quale aveva una mazza di tutto rispetto, sebbene questa fosse ancora parzialmente floscia; "barzotto" è il corretto termine tecnico!
Deciso a porre fine a quell'osceno cimento, dichiarai all'istante il vincitore. Ma Franco iniziò a pestare i piedi e a protestare. Non volle ammettere che quello di Roby fosse più grosso del suo, e s'inventò la panzane che si fosse stabilito sin dall'inizio che la valutazione si sarebbe fatta sulla precisa lunghezza, e non mediante un'analisi visiva superficiale che non teneva conto dei più semplici principi del sistema metrico decimale. Pertanto pretese che io trovassi uno strumento di misurazione accreditato, cioè un righello, e con esso mi ponessi a fare con la giusta professionalità gli opportuni rilievi.
‒ Franco, ma vai a fare in culo! ‒ gli dissi io, e mi accesi una sigaretta.
Roby nel frattempo non demordeva e continuava a menarselo con foga e, sebbene da dove mi trovassi la visuale non fosse delle migliori, vuoi per la distanza, vuoi per la scarsa luce, mi parve che qualche risultato riuscisse a ottenerlo.
Mi allontanai ancora di qualche metro in direzione della mia auto. Udii Franco che incitava Roby a farselo venire duro; e quell'altro lamentarsi che avrebbe avuto bisogno di un aiuto esterno, poiché gli pareva che in quell'occasione il menarselo in autonomia non gli fosse di sufficiente stimolo.
A quel punto cosa udirono le mie orecchie! Quale orrore! Udii Franco che in uno slancio di sportiva generosità si offriva di andare in aiuto al suo avversario, e senza dire altre parole, lo vidi prendere in mano il cazzo di Roby e iniziare a fargli una potente sega; e dall'espressione di quest'ultimo, pareva anche che la cosa gli fosse oltremodo gradita.
Mi appoggiai con le terga sul cofano della mia auto e, allibito, rimasi con gli occhi fissi su quella orripilante scena. Pensai che peggio di così non potesse andare, ma mi sbagliavo. A un certo punto vidi Franco abbassarsi e, accosciandosi, fermarsi con il viso all'altezza del membro di Roby che finalmente era arrivato al massimo dell'erezione. Franco esitava; Roby, anch'egli, era indeciso. A un tratto la situazione di stallo cessò: Roby portò la mano dietro la nuca di Franco e tirandolo a sé fece scomparire il suo turgido tronchetto di carne nella bocca di quell'altro. Incredulo, osservavo la testa di Franco che si muoveva avanti e indietro con movimenti veloci e cadenzati, e Roby, con lo sguardo rivolto verso il cielo stellato che mugolava di piacere. Non ci volle molto perché Roby annunciasse che stava per venire. Per nulla turbato da quell'affermazione, Franco ci diede ancora dentro e, se era possibile, con maggior foga. Infine, con un inequivocabile rantolo, compresi che Roby stava sgorgando nella bocca di Franco… Passarono un paio di secondi, al massimo tre, di raggelante silenzio, poi potei chiaramente udire Franco mentre deglutiva.
Ma cosa dovevano ancora vedere i miei occhi?! Franco si alzò in piedi e iniziò a spogliarsi; anche Roby si sfilò i calzoni e i due rimasero quasi del tutto nudi.
‒ Ora è venuto il mio turno, ‒ sentii che Franco diceva a Roby.
‒ Che cosa vuoi fare? Vuoi che sia io ora a succhiartelo?
‒ Mi è venuta un'idea migliore: girati e mettiti a quattro zampe.
‒ Mi farà male?
‒ Non so. Proviamo!
Decisi che mi sarei immediatamente allontanato da ciò che ormai consideravo la scena di un delitto. Senza dire nulla, salii in auto, accesi il motore, ingranai la retromarcia e dopo una veloce manovra già viaggiavo in direzione del centro abitato, lasciandomi alle spalle quei due che forse non si erano nemmeno accorti che me ne fossi andato. Sarebbero tornati a piedi, avrebbero fatto l'autostop, avrebbero continuato a darselo nel culo fino al mattino? Non era affar mio! Che impegnassero il loro tempo come meglio credevano! mi dissi.
A bordo strada vidi un furgone attrezzato a chiosco. Mi fermai. Vendevano bibite e altri generi di conforto alimentare. Avevo bisogno di mettere qualcosa nello stomaco. Mentre aspettavo che fosse pronto il mio panino con la porchetta, si fermò un'altra auto da cui scesero due ragazze: una era quella che davanti ai bagni della discoteca mi aveva mandato a fare in culo, l'altra, quella che mi aveva dato dello "sfigato". Certo che questa volta avrei rimediato qualcosa, subito mi lanciai all'indirizzo di quest'ultima con un apprezzamento a dir poco galante, ma la sua risposta fu di quelle da gelare il sangue:
‒ Ancora tu! Ma perché una buona volta non ti levi dai coglioni?
Mi misi in disparte e in silenzio, a ragionare che quella sera tutto era andato per il verso sbagliato… Terminato il mio panino con la porchetta risalii in auto, indeciso se andarmene a casa o tornare da Roby e Franco per prendere parte anch'io al festino.
scritto il
2019-04-20
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