Disperatamente Anal

di
genere
dominazione

Avevamo scopato una volta, per molte ore, a dire il vero, ma solo una volta. Ed io avevo già la testa piena di lui.
Duro, distaccato, cervellotico, cerebrale, misogino. Determinato. Volgare.
Elegante, fantasioso, attento, simpatico, passionale. Determinato. Volgare.
Si era accorto immediatamente che mi era bastata una sola dose di quel suo mondo strano e surreale per essere cascata nel tunnel della dipendenza.
Avevo bisogno di lui. Del suo cazzo e delle sue mani su di me. Del suo modo di dirmi troia, puttana, cagna. Ero in astinenza, non pensavo ad altro. Bagnata ventiquattrore al giorno, mentre lavoravo, facevo la spesa, preparavo il pranzo o la cena. Immagini.
Flash improvvisi di quel pomeriggio in albergo: le mie gambe si piegavano, sottili scosse mi attraversavano le cosce, fino alla fica, fino al culo.
Se ero sola mi aggrappavo a qualcosa, respirando forte, chiedendomi come avrei fatto ad arrivare al prossimo incontro.
Mi scappava una bestemmia, una parolaccia rabbiosa. Nei confronti di chi non so.
Se non ero sola resistevo ma lo stomaco mi si torceva nello sforzo dell'impassibilità e se qualcuno in quel momento mi rivolgeva la parola otteneva uno sguardo velato, distante, corrucciato. Ero assente al presente.
Per questo avevamo litigato. Situazione difficile per entrambi. Nessuna possibilità di fuga. La mia pazzia lo aveva spaventato. Il mio io razionale ed equilibrato si era impermalosito alle sue ammonizioni. Mi aveva trattato come una bambina stupida alla quale si fa la paternale ed io mi ero comportata da bambina stupida, di conseguenza. Lo avevo insultato, disprezzato, giudicato. E mentre furiosamente digitavo insulti, disprezzo e giudizi, impazzivo dalla paura che lui mi lasciasse sulla soglia di quelle emozioni che volevo scoprire e provare.
Una giornata intera senza un messaggio. Non si poteva. Era domenica. Giorno sacro, dedicato alla famiglia. Un giorno di sorrisi finti e vuoto dentro. La sera però, non so perché (perché?), una posizione google maps ad indicare un agriturismo vicino, appuntamento alle 9 del giorno dopo. Ok, ci sarò.
Alle 8,35 del lunedì ero lanciata a 160km/h su questa cazzo di strada dissestata che hanno il coraggio di chiamare super.
Alle 8,55 stavamo posteggiando entrambi nel piazzale dell'agriturismo.
Io sfacciata, orgogliosa, beffarda.
Lui sorriso crudele, teso, minaccioso.

.Prende le chiavi.
Lo seguo al piccolo appartamento.
Pulito, carino, un nido d'amore … Entriamo. Posa pesantemente lo zaino, si gira, mi prende il viso con una mano, stringe, mentre l'altra mano si infila nei jeans. Ancora un lampo di soddisfazione nei suoi occhi: anche questa volta sono senza mutande. Il mio sguardo è di sfida e di supplica.
Mi costringe in ginocchio, apre i pantaloni e mi infila il cazzo in bocca. Fino in gola. Non respiro, mi vengono i conati e le lacrime agli occhi. Mi fa prendere un po' d'aria, e poi ancora. Una, due, tre, quattro volte. Sono eccitata da morire. Mi fa rialzare e mi spoglia. Lo aiuto, come l'altra volta. Non riesco a non assecondarlo. Una bambolina tremante, le gambe non mi reggono, ho il fiato corto, mi gira la testa. Glielo dico mentre mi aggrappo ai suoi vestiti. Sono nuda...
- Marco, non mi reggo in piedi - sussurro.
Mi chiede se ho fatto colazione, ma non capisco, ho le orecchie ovattate, sono confusa.
- Hai mangiato qualcosa?
- Si, una fetta biscottata e un caffè.
Mi viene quasi da ridere.
Perché mi chiede se ho mangiato? Questo non è un calo di zuccheri!
Questa è la necessità di godere. Questa è la necessità di godere di lui. Di te, Marco. Fammi godere Marco, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego.
Mi accascio a terra, in ginocchio. Mi guarda pensieroso. Mi sgrida. Sento la sua delusione quando mi rimprovera del fatto che sarei stata capace di buttare all'aria tutto alla prima incomprensione, alla prima difficoltà. Hai ragione, hai ragione Marco. Hai ragione ...
Lo zaino, la corda, le mani legate dietro la schiena. Mi trascina in bagno. C'è uno specchio enorme sul lavandino. Ci inquadra entrambi a figura praticamente intera. Lui dietro di me, mi infila il cazzo nel culo. Finalmente inizio a godere e non smetto più. Un mare in tempesta, onde che salgono e diventano sempre più grandi, non trovo la fine, mi sembra di annegare. E lui che mi costringe a guardarmi allo specchio.
- Guardati, ti vedi? Vedi cosa sei? Tu sei questa, ricordatelo. Sei mia. Sei mia.
Mi viene dentro, suoni rabbiosi (disperati?) gli escono dalla bocca. Mi viene nel culo, ancora una volta un naufrago aggrappato a un salvagente.
E ancora una volta parliamo, scopiamo. Scopiamo, parliamo. Parole, carne, calore, colore, peli, odore.
Tutto quello che volevo.

scritto il
2019-07-26
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