Anna e Vittorio, la prima volta. Episodio 3.

di
genere
prime esperienze

Questo racconto è frutto di fantasie, sogni o fatti accaduti, realmente o nella mente.
Non sarà mai dato saperlo. Se qualcuno dovesse riconoscersi nelle storie narrate probabile che fosse presente sui luoghi al tempo, o nella mia mente. Buona lettura.

"Anna era il suo grande amore, in un certo senso per lei era stato il primo." (da Vittorio. Episodio 1.)

L'estate era sul volgere, Anna navigava ogni sera su mari diversi, stesso scoglio. Si era sbattuta e fatta sbattere da metà degli uomini del paese, più un'altra buona metà dei turisti, i primi censiti rigorosamente all'anagrafe comunale, i secondi sul libro "paga" dell'amica sua, Rosa.
L'amico del cuore rimase li, fisicamente in paese, col cuore ad Anna, con la testa alta pensava a cosa lo aspettava finita l'estate, con la testa bassa si dava verso come meglio poteva; pur sempre esperienze erano.
L'aveva spiata, dapprima sul loro scoglio, mentre Anna ripeteva la funzione anale ogni santa sera, esclusa la domenica, quando Anna non usciva.
Lui sentiva tutto, vedeva ogni ragazzo o uomo che ogni sera l'accompagnava e la intratteneva. Il copione era ripetitivo, ossessivo.
Sentiero, scoglio. Intrattenersi pochi minuti con quattro parole.
Pompino. Culo. Urla, silenzio, fuga.
All'inizio ci era rimasto male, era un ragazzo, non era ancora uomo fatto.
Poi col tempo e la rabbia qualcosa mutò. Dopo quella sera, la prima in cui Anna si era a lui donata, non si parlarono per quasi un mese. Lei lo attendeva sul muretto del bar, lui passava, scambiava due chiacchiere, ci provava con qualche amica di paese o turista disponibile. Oro colato se in quel mese aveva trovato una che valeva la metà di Anna. Aveva rimediato seghe 4, pompini 1, figa 0, culo manco a parlarne. Dei baci appassionati, quelli da innamorati: non era cosa, non ne voleva sapere. Si stava irruvidendo, di cuore e di minchia.
In quel mese la rabbia prima lo accecò; se ne stava buono, solo perchè conosceva il carattere suo e di Anna. Poi conobbe un aspetto che non aveva mai considerato. Finì per recarsi puntuale alla marina, poco distante da loro scoglio, ben celato da un ciclope di pietra di cava squadrata. Attendeva la coppia, fantasticava di essere li e nel mentre osservava. Una mano callosa scendeva sul pantaloncino, si stringeva forte il cazzo duro, quasi come volesse comprimere il desiderio; appena non ne poteva più, si liberava, giù due colpi assestati della mano sua che lo conosceva meglio di ogni altra.
Veniva al vento, regalava al mare il suo seme, amaro.
Aveva notato, scoprendosi freddo calcolatore, come Anna ad ogni incontro fosse sempre più disinibita e brava; quanto era porca.
Le quattro parole via via diventavano due, non c'era tempo. Il pompino, prima quasi mistico era divenuto una sorta di pranzo feroce. Iniziava delicata, come lo era stata con lui. Poi furiosa. Vedeva i movimenti inconsulti dei suoi uomini, sottomessi a quella furia dal viso dolce. Capitò più di una volta che le venissero in bocca dalla tanta foga, in un minuto o poco più. Anna assaporava la sborra, alzava il viso al cielo, raccoglieva con le dita qualche goccia sfuggita, poi guardava con uno sguardo nuovo la preda. Non sopportava l'idea di non potersi soddisfare il culo, che ormai non necessitava di lubrificazione alcuna, tanto era logorato ad un tempo e voglioso all'altro. In quelle occasioni nelle quali Anna trovava pane duro si staccava lasciando il cazzo lucido, con abile mossa saliva a cavallo e fulminea centrava il buco, sempre quello di dietro. Iniziava a cavalcare il bello di turno, non gli dava tregua, lo immobilizzava inchiodato supino allo scoglio. Lei esile contrastava certi uomini nerboruti, il doppio del suo peso e dei suoi anni.
Prima li rapiva con occhi dolci e fugaci. Li ammaliava, sussurrava qualcosa alle orecchie. Questi lasciavano perdere ogni cosa, scappavano con lei tra l'imbarazzo e l'eccitazione. Qualcuno perse la fidanzata del tempo, uno anche la moglie. Allo scoglio tutti divenivano agnelli pronti al sacrificio, intimoriti da quella sicurezza colta sui movimenti di un'appena ragazza.
Lui vedeva bene, ogni particolare; illuminato da quella luna che era stata complice e ora si mostrava carnefice. Non sentiva tutto distintamente, lo immaginava. Le urla, di Anna e dei fortunati quelle si; a quella distanza si percepivano come fastidi per le sue orecchie.
Passato il mese cercò di avvicinarla, prima al bar, con i convenevoli di un tempo.
La vide diversa, cresciuta, fatta donna: ora era fimmina.
Si rassegnò subito quando andarono allo scoglio, lui immaginava cose già fatte, lei iniziò a parlare di un tempo ormai passato, finito.
Si diedero nuovamente un bacio sfiorato, fraterno. Lei decise che l'amicizia era una cosa, il sesso un'altra. Lui annuì rassegnato. Perchè conosceva il carattere suo e di Anna. Da quel momento non la spiò più, gli faceva troppo male; avrebbe avuto in avanti diversi anni per riflettere e agire.

Erano i primi di settembre, solo pochi fedeli erano rimasti in paese. Le attività ludiche di Anna a Cala della Siccia andavano scemando; era selettiva e da colpo singolo. Non si ripeteva con lo stesso maschio, non andava con chiunque. Fu così che tornò più spesso a frequentare gli amici del paesello, con qualche
novità che di tanto in tanto si presentava, per poi scomparire nel nulla la settimana appresso.
Tra le decisioni importanti, sempre di comune accordo con la zia - nel senso che la zia decideva ed Anna doveva essere d'accordo -, vi furono una sequenza di novità: Anna avrebbe frequentato l'università di Catania, Anna avrebbe preso la patente, Anna avrebbe iniziato a conoscere dei ragazzi degni della casata.
Vittorio si presentò come il più scarso dei contendenti, menefreghista, sciatto, però nel pieno delle sue forze. Al momento della passeggiata nei giardini della casetta di campagna, ove la zia acconsentiva la conoscenza dei designati purchè con larga distanza, Vittorio confessò ad Anna il suo completo disinteresse, lo aveva fatto per far contenti i genitori che vedevano con occhi sparluccicanti quella papabile unione. Certo era una bella ragazza, ma lui era ammaliato dalle popolane libertine che frequentava nel periodo dell'università. Quelle si che sapevano come prendere un uomo, come ribaltarlo per una notte intera. Vittorio che Anna, così bella, delicata, nobile non avrebbe potuto tenere testa alla sua irruenza. Così facendo, quasi disprezzando quell'Anna che non conosceva creò in lei quel senso di mistero verso se stesso, un senso di sfida ad essere conquistato. Fermi sotto ad un carrubbo, per riprendere aria dopo la passeggiata sotto la calura infernale che si attardava ancora forte in quel settembre, Anna riparata da vista indiscreta, posò prima lo sguardo, poi una mano sul pacco di Vittorio. Lo trovò nella norma, poco consistente al tatto, si disse sicura che era moscio. Sopra gli stessi pantaloni iniziò a trastullarlo, con colpetti, con strusciatine veloci. Fece effetto, sentì qualcosa sotto muoversi, svegliarsi. Delicata e con fare esperto apri la zip, il bottone e tese le mutande quel tanto per scorgere le fattezze di Vittorio. Non si trattava di virtù e doti nascoste, era nella norma, forse più piccolo di certe cose che aveva assaporato sullo scoglio. Vittorio era li tra imbarazzo e divertimento, mai si sarebbe aspettato una cosa del genere, da Anna. Era un tipo sveglio a tratti, non era un fulmine e non era ardito; ma era li, già pronto, il più era fatto.
La lasciò proseguire, a sua totale disposizione. Lei lo prese delicatamente in mano e cominciò a menarlo, su e giù, lento, aumentando la presa con la mano ora a pugno, ora con due dita. Lo sentì ingrossare, diventare più duro.
vittorio ansimava, erano all'ombra ma l'aria era calda. Per fortuna qualche leggera folata di vento raffrescava il corpo sudaticcio. L'odore delle carrubbe era forte nell'aria, dolce e caldo, penetrante nelle narici ma ancora non nauseabondo. Vittorio lasciava fare, quella fanciulla lo stava massaggiando proprio bene, iniziava a principiare il dubbio dentro la sua testa. Era amminchiato con i paradossi, pensò che mentre una fanciulla aristocratica poteva essere buttana, una buttana - di mestiere - non poteva mai aspirare a divenire nobile, o forse si?
Anna nel frattempo continuava l'atto, non era immersa come suo solito, stava maturando una decisione. Alla fine dei conti Vittorio non era male, non era messo malissimo neanche giù. Stava bene alla zia, era bravo negli studi e avrebbe potuto portare avanti gli affari di Famiglia. Il pensiero la sconvolse: e da quando lei faceva tali ragionamenti? La fame di cazzo l'aveva distolta dagli studi e dai giusti pensieri; stava crescendo.
Portava un vestitino largo, di quelli a fiori, cinto in vita. Era comodo ma viste le sue forme sode non lasciava spazio all'immaginazione. Le copriva semplicemente, ma queste comunque affioravano sotto al tessuto leggero.
Salì a cavalcioni su Vittorio, scostò l'abitino, non portava mutande; niente si presentava ad ostacolare il contatto. Lui era ammammaluccato, attonito, sembrava lo spettatore incosapevole dell'atto. Sentiva turbamento e passione, ora finalmente era uscito dai suoi pensieri inconsistenti.
La vide armeggiare, sollevare il suo cazzo, usarlo a mo di pennello. Strusciava la cappella gonfia tra le piccole labbra, lo faceva roteare, lo fermava in un punto. Scendeva un pò il pennello su quella tela immacolata. Lo avvicinava alle grandi labbra. Anche lì lo faceva roteare, lo sbatteva lentamente da un lato all'atro, mentre il pennello disegnava uno zig zag curioso. Ai bordi lo soffermava, lo stringeva e tirava un po' al suo interno, dentro se.
A Vittorio la cosa eccitava, e non poco. Stava in silenzio, diritto, teso. La faceva fare, si era persuaso definitivamente che questa era puttana di alta classe. Capiva ora la differenza tra nobili e pleblei, almeno secondo un suo astratto ragionamento sulla selezione; ma non era il momento.
Vittorio non capì affatto che era la prima volta di Anna, era troppo esperta, chissà secondo lui quanti amanti aveva avuto. In parte era vero, ma quel fiore lo aveva riservato solo al suo sposo.
Un colpo di reni e Anna fu completamente piena, non sentì neanche il dolore o fastidio di cui le avevano riferito in convento.
Si sentì strana, godeva si ma di un piacere mistico, senza peccato. Da un canto lo aveva sempre e solo preso nel culo, godendo in modo forte, possente. Dall'altro ora era piena di grazia, estasiata, presa da un piacere lento, crescente, mai forte.
Vittorio si decise a cingerla sui fianchi, l'assestò bene, entrò prepotente. La figa era bagnata, sentiva colarla sui coglioni, gonfi e pronti al dovere. La lasciava fare, sembrava danzasse un ballo lento, carico, delicato.
Lei si lasciava andare ondeggiando, univa la penetrazione allo stimolo interno, a due velocità: una in discesa, l'altra in salita. Sentiva distintamente la cappella carezzarle il piacere all'atto del salire, poi scivolava veloce dentro, fino a perdersi. Le gambe erano serrate sui fianchi di Vittorio, le ginocchia le facevano da piede e stringevano il bacino del suo futuro sposo. Non importava proprio se l'avesse ricevuto dentro, oramai aveva deciso.
Anche a Vittorio importava poco, nella eventualità sarebbe stato il perfetto sigillo; già i dubbi erano svaniti, il partito era buono assai, la femmina pure.
Uno sparo violento a pochi metri li scosse, li sconvolse più di quanto lo erano già. Istintivamente di buttarono di fianco, sotto a una saggina d'erba secca, come se li potesse riparare dal piombo. Erano spaventati, si abbracciarono contenti l'uno dell'altro. Rimasero così, gli occhi negli occhi.
Anna pensò, glielo doveva dire?
di
scritto il
2019-09-13
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