Storia di W

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STORIA DI W
L’inizio
Siamo sposati da molto tempo e questo ci aiuta a raccontare con disinvoltura quello che capita oggi, ma non è stato così da sempre. Prima di conoscere W, che nonostante il nome esotico è nata in Calabria, ero stato fidanzato con una bruttina di cui ero ingenuamente e pazzamente geloso.
La storia finì con scene drammatiche di cui ancora mi vergogno.
Invitato a cena da una vecchia amica, W si presentò con una gonna di velluto sopra il ginocchio, golfino piuttosto scollato a maglie larghe e tacchi alti. Era appena tornata dalla Londra degli anni ruggenti della Mary Quant che in Italia faceva scandalizzare le mamme e eccitare gli uomini di tutte le età. Che le strane calze piene di occhielli fossero autoreggenti fu evidente appena seduta su un divanetto piuttosto basso. Dovetti fare degli sforzi inauditi per nascondere che le guardavo fra le gambe. Piccolina, mora con una capigliatura selvaggia, occhi fra oro e bronzo, un nasino grazioso, un piccolo seno duro che sfidava il golfino, fianchi mediterranei pieni di gioia.
Era spiritosa, ma con una provocante timidezza. Raccontava la sua vita negli anni ad Oxford e del suo amore che l’aveva lasciata vigliaccamente da poco, dopo due anni di vita molto intensa.
Le nostre storie combaciavano e l’anno di vedovanza mi aveva davvero stancato.
Alla mezzanotte delle favole le chiesi se la potevo riaccompagnare. Si mise a ridere quando la feci salire sulla Austin Spryte del fratellino che costringeva le sue gambe a scavalcare senza veli. Le piacque l’idea di andare a bere qualcosa nel piccolo club del centro in cui noi giovani architetti facevamo ogni tanto le ore piccole.
Che fare con uno schianto di ragazza, molto disinvolta e certo non alla prima esperienza?
Fresco di letture istruttive, da De Sade a Istoire d’O, non potevo ricascare nei miei errori. Questa storia, se mai ci fosse stata, doveva nascere in uno spirito di libertà fin dal primo momento.
Con difficoltà riuscii a farle scegliere un Gin Tonic molto allungato perché si professava astemia. Quel poco di alcol bastò ad alzare le barriere che a poche ore dalla conoscenza ci portarono ad un bacio affamato. A quel punto decisi di giocare duro contro le mie inibizioni e tare ancestrali. Al piano di sopra si ballava con luci basse e una certa promiscuità. La musica era trascinante, lei sapeva come muoversi bene senza strafare con il rock e si guardava in giro incuriosita.
Appena riguadagnammo il grande divano collettivo uno del gruppo mi chiese se poteva ballare con l’appetitosa sconosciuta. Non poteva che capitare un lento. Quello ci provò quasi subito e le sue carezze spinte non furono rifiutate. Io provavo un bel misto di sensazioni guardandoli. Quando lei tornò a sedersi accanto a me i suoi capezzoli duri occhieggiavano fra le maglie del golfino. Mi lasciò di sasso dicendo “vuoi capire chi sono io o chi sei davvero tu?”. Non potevamo che continuare. Gli amici ridacchiavano fra loro e al lento successivo ne venne un altro a invitarla. La prese subito per le natiche e se la spinse contro senza gentilezza. Lei rifiutò i suoi baci sulla bocca e si mise a ridere quando quello esagerò nello spingere. Lui ci rimase piuttosto male.
Tornò infastidita ma, quando si rese conto che i miei calzoni non riuscivano a nascondere quanto fossi eccitato, a me sorrise maliziosamente e le nostre labbra ricominciarono a giocare.
Ad un tratto mi sentii sussurrare “mi vuoi sposare?”
(continua se volete)
scritto il
2019-10-01
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