Vedi come si impara l'inglese
di
Josef K.
genere
etero
Londra è una città illeggibile, a tratti allucinata e feroce, un orologio gigante in cui tu sei dentro agli ingranaggi, e devi correre per non farti schiacciare, e allo stesso tempo un prato enorme dove fanno a gara capre dai coglioni giganti mentre la gente si sta facendo i peggio trip. Non credo sia una città con cui ci instauri un feeling immediato, anzi, hai sempre l'impressione di non poterla vivere che per una minima percentuale (almeno che non guadagni ottomila pound al mese). Il "mal di Londra" non mi è venuto. Eppure, dopo qualche anno dal rientro, mi viene da ricordarla un po' come una storia con una ragazza bellissima che hai avuto non per tuoi meriti, probabilmente per un suo errore di valutazione nei tuoi confronti durato qualche mese, vissuta con la consapevolezza che ogni giorno lei potesse accorgersi del bluff e sfancularti. Ci ripensi dopo anni e ti compiaci di esserci stato, con lei, una stelletta da appuntare sul petto.
H. l'ho conosciuta su Tinder, che ho scaricato appena arrivato nella nuova casa. Ero riuscito a trovare una doppia in una mansarda di una casa a tre piani dove in tutto vivevano una decina di persone. Condividevo la doppia con G., una misantropa ragazza lesbica che veniva dalla Serbia, con cui inizialmente, come mi era stato suggerito, ho avuto contatti pressoché nulli, ma con la quale poi ho avuto anche alcuni momenti sia di condivisione che di forte scazzo. In fondo ci siamo voluti bene. La stanza era abbastanza grande e confortevole, l'unico problema è che il mio letto era attaccato ad un grande finestrone che copriva tutta la parete e che non si chiudeva affatto bene, producendo degli spifferi notturni che mi hanno fatto odiare il clima merdoso di quella città nonostante fosse piena estate. H., dicevo, l'ho conosciuta su Tinder. Dopo il match ci fu un breve scambio di messaggi e presto detto organizzammo per il giorno seguente un incontro in zona Angel. Ci siamo incontrati in un locale tipicamente brit, una sorta di pub con una discreta carta di vini e con una scelta di zuppe della rinomata tradizione culinaria inglese, tra cui mi è rimasta impressa una con carne di pecora. H. ha otto anni più di me, una bionda con un fisico pieno e allenato, un voluminoso culo sodo che ti fa subito voglia di spiaccicarci la faccia dentro. La foto di Tinder che ancora ho impressa di lei la ritrae sorridente mentre con un cesto raccoglie della frutta. Ora non ricordo nemmeno che lavoro facesse, forse era un'assistente sociale, ma ricordo perfettamente il suo sorriso, davvero una torcia nel grigiore dei palazzi. Ci sediamo e subito mi sento a mio agio nonostante il mio inglese barbarico. Parliamo di quattro cazzate per conoscerci un po' meglio, ovviamente di Italia, cibo, vini, spaghetti e mandolino. Io che sono tutt'altro che uno strenuo sostenitore del tricolore, in quel momento mi sono sentito orgoglioso di rappresentarlo, se ciò volesse dire procurarmi una scopata con H. e tenere alto l'orgoglio nostrano sul fronte italians-do-it-better.
A na certa la fame si fa sentire, così optiamo per un ristorante libanese lì vicino. Lei è rilassata, dolce, spigliata; nel dialogo si avvicina sovente, cerca un contatto senza essere sfacciata o invadente. Capisco che posso avventurarmi in qualche domanda più personale. Mi dice che ha scaricato Tinder da poco - lo dico anche io, mentendo sul fatto che in Italia lo usavo già da un po', ma comunque considero una menzogna anche la sua - che ha incontrato un solo ragazzo, ma che si è rivelata un'esperienza non positiva. Invece con me è tutta un'altra storia, sarà per la mia italianità, sarà per l'alcol (che nel frattempo, ho omesso di dirlo, inizia ad assumere un ruolo piuttosto rilevante nel contesto). Ridiamo entrambi. Le confesso, facendo la parte del cucciolotto da accudire, che non ho mai avuto esperienze con una donna più grande - anche qui mento - ma che mi sarebbe molto piaciuto. La butto là così, un po' in modo avventato un po' in modo paraculo, a cazzo diciamo, perché se dicessi una cosa del genere completamente sobrio mi sentirei un demente. Lei cambia espressione, o per lo meno così la percepì quella parte del cervello preposta a captare ogni minimo segnale di aggancio, e mentre prende con le dita l'ultimo pezzo di pita con le mani, mi sibila una frase mettendo in rilievo un aggettivo, tradotto al volo con Google Translate, che da lì in poi aggiunsi al mio dizionario: "greedy". Avido, goloso, ingordo. La frase suonava più o meno così: "Ci sono due cose di cui sono ingorda. Una è il cibo e l'altra è il sesso". Il mio cazzo, già comunque vigile per i vari input autonomamente percepiti nel corso della serata, si drizza senza troppi preamboli. Da lì è tutto un vortice: usciamo per una sigaretta - la bacio - mi abbraccia - indirizzo subito le mani per farle capire le mie intenzioni bellicose - paghiamo - decidiamo per un'ultima bevuta in un altro locale - per strada mi mette una mano sul culo leccandomi l'orecchio - beviamo non so cosa - il cameriere suona la campanella annunciando la partenza dell'ultimo metrò e di conseguenza la chiusura del locale (un'immagine di altri tempi visto che abbiamo chiamato un Uber con l'app) - ci dirigiamo fuori dove ci attende già il nostro taxi in direzione casa mia (la rassicuro dicendole che ho la stanza libera in quanto la mia coinquilina è in vacanza). Qui la scansione degli eventi riprende normale, perché in quei 20 minuti di macchina succede di tutto. Il tassista, un omone di colore nel più classico dei cliché, attacca bottone chiedendo come avevamo trascorso la serata. Credo che dovessi rispondere io a quella domanda, in quanto la sua bocca era già occupata a farmi un pompino, ma rimango in silenzio un po' per il timore di dire sfondoni in inglese un po' per la situazione assurda. Allora ci pensa il tassista che, osservando la scena dallo specchietto retrovisore, sghignazza qualcosa del tipo "sicuramente so come proseguirà". Lei allora si stacca dal mio cazzo e, senza smettere di segarmi, gli dice che di lì a pochi mesi ci saremmo sposati, coronando una storia di anni. Lui tra l'interdetto e il divertito, ci chiede almeno di non sporcargli la macchina. Lei gli risponde di stare tranquillo perché nessuna goccia sarebbe andata sulla tappezzeria, e riaffonda la testa sulla mia cappella pronta all'esplosione. Riemergo un attimo dall'estasi erotico-alcolica e, mentre faccio uscire anche la seconda tetta fuori dalla maglia, dico al tassista che, se non si distrae troppo dalla guida, può anche lui rendersi partecipe di questo momento. Lo avremmo fatto passare come addio al nubilato. Lei mi rivolge uno sguardo che definire eccitato è poco prima di scoppiare a ridere. Ovviamente il tassista non se lo fa ripetere due volte e con la mano comincia ad accarezzare la mammella e a passare il capezzolo tra l'indice e il pollice, ma evidentemente quella doveva essere davvero la sua notte fortunata, in quanto H. si abbassa i jeans e si protrae in avanti come può per permettere al guidatore di poter toccarle la fica con più facilità. Non so come cazzo abbia fatto a portarci a casa senza piantarsi da qualche parte con la macchina. Lei inizia a gemere mentre due mani diverse si prendono cura della sua vulva liscia. Le sue labbra sporgenti fanno spazio alle dita di lui, a cui si aggiungono anche le mie mentre fanno la spola col clitoride. Lei manda gli occhi indietro dal piacere, si inarca e fa movimenti inconsulti; per riportarla su questo pianeta le infilo le due dita sporche dei suoi umori in bocca, lei ritorna in sé e succhiandole mi guarda lussuriosa e beffarda.
Siamo praticamente arrivati sotto casa, lei si ricompone un minimo, ringraziamo il tassista e scendiamo.
Saliamo i due piani in silenzio ma facendo comunque scricchiolare tutto quel cazzo di legno. Chiudo la porta le mi avvento su di lei, che già si sta togliendo i pantaloni. Ho un desiderio assurdo di scoparla, di assaggiarla. Ma soprattutto di schiaffeggiare quel suo culone così tronfio. Guardo per un attimo la cinta (solo pochi giorni prima avevo preso a cinghiate un'altra tipa, ma questa è un'altra storia), poi decido di cominciare in modo più soft.
Lei nel frattempo in mutande, seduta sulla scrivania in comune con G. stava preparando due righe. Non vi ho detto che durante la cena abbiamo parlato di droga, e lei ne fa un uso piuttosto abituale, soprattutto di cocaina. Si era portata dietro giusto una dose, che mi ha detto avrebbe preso in bagno, ma in realtà ero stato io a introdurre l'argomento. A Londra ne gira una quantità impressionante e non mi sarebbe dispiaciuto farmi qualche serata un po' strafatto. Quando finisco di tirarla lei è già sul letto a gambe spalancate che mi mostra tutto quel ben di dio, iniziando a dire cose che non capisco più. Stacco la spina del traduttore, le pianto il pacco in faccia e con una mano la forzo a guardarmi dal basso. La infilo senza troppi indugi e iniziamo e fare un casino assurdo tra letto, pareti di carta e parquet. La guardo rovesciarsi, urlare e incitarmi in quella lingua del cazzo. Mentre le sono sopra, con le braccia tese e gli occhi spiritati, lei mi mugola "split me". Non sapevo che cosa significasse il verbo to split, e al secondo what? che le rivolgevo, lei me lo fece capire sputandomi addosso. Vedi come si impara l'inglese. Altro che costosi quanto inutili corsi dove ti insegnano cose tipo "to splurg money on" e puttanate simili. Sborro nel preservativo dentro di lei, mi leva il dito dal culo e ci baciamo sfiniti.
H. l'ho conosciuta su Tinder, che ho scaricato appena arrivato nella nuova casa. Ero riuscito a trovare una doppia in una mansarda di una casa a tre piani dove in tutto vivevano una decina di persone. Condividevo la doppia con G., una misantropa ragazza lesbica che veniva dalla Serbia, con cui inizialmente, come mi era stato suggerito, ho avuto contatti pressoché nulli, ma con la quale poi ho avuto anche alcuni momenti sia di condivisione che di forte scazzo. In fondo ci siamo voluti bene. La stanza era abbastanza grande e confortevole, l'unico problema è che il mio letto era attaccato ad un grande finestrone che copriva tutta la parete e che non si chiudeva affatto bene, producendo degli spifferi notturni che mi hanno fatto odiare il clima merdoso di quella città nonostante fosse piena estate. H., dicevo, l'ho conosciuta su Tinder. Dopo il match ci fu un breve scambio di messaggi e presto detto organizzammo per il giorno seguente un incontro in zona Angel. Ci siamo incontrati in un locale tipicamente brit, una sorta di pub con una discreta carta di vini e con una scelta di zuppe della rinomata tradizione culinaria inglese, tra cui mi è rimasta impressa una con carne di pecora. H. ha otto anni più di me, una bionda con un fisico pieno e allenato, un voluminoso culo sodo che ti fa subito voglia di spiaccicarci la faccia dentro. La foto di Tinder che ancora ho impressa di lei la ritrae sorridente mentre con un cesto raccoglie della frutta. Ora non ricordo nemmeno che lavoro facesse, forse era un'assistente sociale, ma ricordo perfettamente il suo sorriso, davvero una torcia nel grigiore dei palazzi. Ci sediamo e subito mi sento a mio agio nonostante il mio inglese barbarico. Parliamo di quattro cazzate per conoscerci un po' meglio, ovviamente di Italia, cibo, vini, spaghetti e mandolino. Io che sono tutt'altro che uno strenuo sostenitore del tricolore, in quel momento mi sono sentito orgoglioso di rappresentarlo, se ciò volesse dire procurarmi una scopata con H. e tenere alto l'orgoglio nostrano sul fronte italians-do-it-better.
A na certa la fame si fa sentire, così optiamo per un ristorante libanese lì vicino. Lei è rilassata, dolce, spigliata; nel dialogo si avvicina sovente, cerca un contatto senza essere sfacciata o invadente. Capisco che posso avventurarmi in qualche domanda più personale. Mi dice che ha scaricato Tinder da poco - lo dico anche io, mentendo sul fatto che in Italia lo usavo già da un po', ma comunque considero una menzogna anche la sua - che ha incontrato un solo ragazzo, ma che si è rivelata un'esperienza non positiva. Invece con me è tutta un'altra storia, sarà per la mia italianità, sarà per l'alcol (che nel frattempo, ho omesso di dirlo, inizia ad assumere un ruolo piuttosto rilevante nel contesto). Ridiamo entrambi. Le confesso, facendo la parte del cucciolotto da accudire, che non ho mai avuto esperienze con una donna più grande - anche qui mento - ma che mi sarebbe molto piaciuto. La butto là così, un po' in modo avventato un po' in modo paraculo, a cazzo diciamo, perché se dicessi una cosa del genere completamente sobrio mi sentirei un demente. Lei cambia espressione, o per lo meno così la percepì quella parte del cervello preposta a captare ogni minimo segnale di aggancio, e mentre prende con le dita l'ultimo pezzo di pita con le mani, mi sibila una frase mettendo in rilievo un aggettivo, tradotto al volo con Google Translate, che da lì in poi aggiunsi al mio dizionario: "greedy". Avido, goloso, ingordo. La frase suonava più o meno così: "Ci sono due cose di cui sono ingorda. Una è il cibo e l'altra è il sesso". Il mio cazzo, già comunque vigile per i vari input autonomamente percepiti nel corso della serata, si drizza senza troppi preamboli. Da lì è tutto un vortice: usciamo per una sigaretta - la bacio - mi abbraccia - indirizzo subito le mani per farle capire le mie intenzioni bellicose - paghiamo - decidiamo per un'ultima bevuta in un altro locale - per strada mi mette una mano sul culo leccandomi l'orecchio - beviamo non so cosa - il cameriere suona la campanella annunciando la partenza dell'ultimo metrò e di conseguenza la chiusura del locale (un'immagine di altri tempi visto che abbiamo chiamato un Uber con l'app) - ci dirigiamo fuori dove ci attende già il nostro taxi in direzione casa mia (la rassicuro dicendole che ho la stanza libera in quanto la mia coinquilina è in vacanza). Qui la scansione degli eventi riprende normale, perché in quei 20 minuti di macchina succede di tutto. Il tassista, un omone di colore nel più classico dei cliché, attacca bottone chiedendo come avevamo trascorso la serata. Credo che dovessi rispondere io a quella domanda, in quanto la sua bocca era già occupata a farmi un pompino, ma rimango in silenzio un po' per il timore di dire sfondoni in inglese un po' per la situazione assurda. Allora ci pensa il tassista che, osservando la scena dallo specchietto retrovisore, sghignazza qualcosa del tipo "sicuramente so come proseguirà". Lei allora si stacca dal mio cazzo e, senza smettere di segarmi, gli dice che di lì a pochi mesi ci saremmo sposati, coronando una storia di anni. Lui tra l'interdetto e il divertito, ci chiede almeno di non sporcargli la macchina. Lei gli risponde di stare tranquillo perché nessuna goccia sarebbe andata sulla tappezzeria, e riaffonda la testa sulla mia cappella pronta all'esplosione. Riemergo un attimo dall'estasi erotico-alcolica e, mentre faccio uscire anche la seconda tetta fuori dalla maglia, dico al tassista che, se non si distrae troppo dalla guida, può anche lui rendersi partecipe di questo momento. Lo avremmo fatto passare come addio al nubilato. Lei mi rivolge uno sguardo che definire eccitato è poco prima di scoppiare a ridere. Ovviamente il tassista non se lo fa ripetere due volte e con la mano comincia ad accarezzare la mammella e a passare il capezzolo tra l'indice e il pollice, ma evidentemente quella doveva essere davvero la sua notte fortunata, in quanto H. si abbassa i jeans e si protrae in avanti come può per permettere al guidatore di poter toccarle la fica con più facilità. Non so come cazzo abbia fatto a portarci a casa senza piantarsi da qualche parte con la macchina. Lei inizia a gemere mentre due mani diverse si prendono cura della sua vulva liscia. Le sue labbra sporgenti fanno spazio alle dita di lui, a cui si aggiungono anche le mie mentre fanno la spola col clitoride. Lei manda gli occhi indietro dal piacere, si inarca e fa movimenti inconsulti; per riportarla su questo pianeta le infilo le due dita sporche dei suoi umori in bocca, lei ritorna in sé e succhiandole mi guarda lussuriosa e beffarda.
Siamo praticamente arrivati sotto casa, lei si ricompone un minimo, ringraziamo il tassista e scendiamo.
Saliamo i due piani in silenzio ma facendo comunque scricchiolare tutto quel cazzo di legno. Chiudo la porta le mi avvento su di lei, che già si sta togliendo i pantaloni. Ho un desiderio assurdo di scoparla, di assaggiarla. Ma soprattutto di schiaffeggiare quel suo culone così tronfio. Guardo per un attimo la cinta (solo pochi giorni prima avevo preso a cinghiate un'altra tipa, ma questa è un'altra storia), poi decido di cominciare in modo più soft.
Lei nel frattempo in mutande, seduta sulla scrivania in comune con G. stava preparando due righe. Non vi ho detto che durante la cena abbiamo parlato di droga, e lei ne fa un uso piuttosto abituale, soprattutto di cocaina. Si era portata dietro giusto una dose, che mi ha detto avrebbe preso in bagno, ma in realtà ero stato io a introdurre l'argomento. A Londra ne gira una quantità impressionante e non mi sarebbe dispiaciuto farmi qualche serata un po' strafatto. Quando finisco di tirarla lei è già sul letto a gambe spalancate che mi mostra tutto quel ben di dio, iniziando a dire cose che non capisco più. Stacco la spina del traduttore, le pianto il pacco in faccia e con una mano la forzo a guardarmi dal basso. La infilo senza troppi indugi e iniziamo e fare un casino assurdo tra letto, pareti di carta e parquet. La guardo rovesciarsi, urlare e incitarmi in quella lingua del cazzo. Mentre le sono sopra, con le braccia tese e gli occhi spiritati, lei mi mugola "split me". Non sapevo che cosa significasse il verbo to split, e al secondo what? che le rivolgevo, lei me lo fece capire sputandomi addosso. Vedi come si impara l'inglese. Altro che costosi quanto inutili corsi dove ti insegnano cose tipo "to splurg money on" e puttanate simili. Sborro nel preservativo dentro di lei, mi leva il dito dal culo e ci baciamo sfiniti.
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