Sui campi di neve

di
genere
gay

Marco ed io frequentavamo la stessa università, lui lettere ed io antropologia. Era stata una coincidenza che finissimo nello stesso ateneo: avevamo fatto le elementari insieme ma poi avevamo frequentato licei diversi e non ci eravamo visti per anni. Quindi quando ci incontrammo di nuovo, anche se non precipitammo uno nelle braccia dell'altro, fu un grande sollievo trovare qualcun’altro di conosciuto.

Scoprimmo anche il nostro amore per la vita all’aria aperta e che eravamo appassionati di sci e sci alpinismo.
La nostra università era ben localizzata per la pratica dello sci e durante il nostro primo inverno ci recammo quasi ogni fine settimana a provare zone di sci diverse. Per risparmiare condividevamo lo stesso alloggio, ma dormivamo nei nostri letti e lasciavamo l'altro da solo di notte. Devo dire che quando vedevo Marco nudo o semi nudo uscire dalla doccia sentivo un lancinante e definito dolore sessuale. Il liscio corpo agile che ricordavo dai tempi della scuola, ancora quasi completamente senza peli, aveva assunto pacchi di duri muscoli. I capelli erano neri e ricci; li portava corti e questo metteva ancora più in risalto la sua pelle molto bianca. Aveva sempre un sedere magnifico. Il bel adolescente era diventato un bel uomo. Ma anch’io ero un adulto e sapevo come le infatuazioni sessuali passano mentre l'amicizia dura. Essere amico di Marco e suo compagno era sufficiente per me.

Fare sci alpinismo non era così facile da organizzare, ma venimmo a conoscenza di una pista praticabile a fine primavera. Pianificammo tutto, comprammo gonfiabili, sacchi a pelo, una tenda a due posti ed attrezzatura da cucina. Dividemmo attentamente il carico in due parti uguali. Quell’inverno era stato particolarmente pesante e la coltre di neve era più alta di quanto ci si aspettasse a metà maggio.

Avevamo tempo solamente per una versione abbreviata della completa traversata.

Il giorno della partenza il tempo non era bello, lasciammo la città all’alba sotto un cielo sereno, ma come puntammo a nord vedemmo una nube davanti di noi sull'orizzonte. Quella nube si stava sistemando proprio sul monte che dovevamo salire, cominciammo la salita sotto una leggera pioggia che presto si modificò in una nebbia densa con neve bagnata, aderente. Marco mi precedeva e tutto quello che potevo fare era guardarlo e meccanicamente seguire i suoi movimenti. La neve soffiava sulla mia faccia e riuscivo a malapena a tenere gli occhi aperti, ma la vista delle sue anche che oscillavano e ruotavano mentre avanzava facevano correre pensieri piacevoli nella mia mente. Quando arrivammo al posto dove sistemare la tenda, al limite delle nevi perenni, le mie dita stavano congelando e le mie sopracciglia erano incrostate di ghiaccio. Montare la tenda fu una tortura. Cucinare sarebbe stato impossibile. Ci sistemammo dentro e ci dividemmo il cibo asciutto che avevamo, uscimmo un’ultima volta per pisciare, poi entrammo nei nostri sacchi a pelo. Eravamo uno di fronte all’altro nella tenda stretta, ogni qualvolta uno o l'altro cambiava posizione le nostre parti basse strisciavano leggermente contro l’altro. Questo ed il ricordo delle sue anche danzanti davanti a me dovettero scendere nel mio subconscio. O forse era qualche cosa di completamente diverso. Quello che so è che quando mi svegliai la mattina dopo compresi che avevo avuto un sogno bagnato.
Cambiarmi non era possibile e mi tenni tutto addosso per l’intera giornata.

Il giorno successivo il tempo era migliore. Ci mettemmo gli sci, la neve aveva smesso di cadere e la nebbia si era alzata, anche se una brezza gelata soffiava dalla montagna. Ma il miglioramento era ingannevole, specialmente quando iniziammo la discesa. La luce era così fioca e diffusa che le buche non facevano ombre ed erano completamente invisibili. Marco era davanti, ad un certo punto lo vidi perdere l’equilibrio, il peso dello zaino lo sbilanciò e lui perse l'equilibrio, cadde e scivolò sul pendio fino al limite della neve. Fortunatamente eravamo al limite della vegetazione e lui si fermò contro degli arbusti striminziti rimanendo immobile. Mi tolsi zaino e sci e mezzo correndo e mezzo scivolando andai da lui. Era sdraiato di schiena con le braccia sotto il corpo e le gambe sepolte nella neve. Il corpo era inarcato con l’inguine verso l’alto.
“Marco! Tutto ok?” Lui accennò col capo. Un pensiero mi balenò nel cervello, mentre era così forse avrei potuto aprirgli la cerniera della patta e fare qualche cosa di ‘brutto’. Ma bandii rapidamente questa fantasia sporca come rapidamente era venuta, mi abbassai e gli allentai gli spallacci.
Lui esclamò: “Cosa stavi pensando, bastardo?” Nel frattempo le sue spalle erano state liberate dallo zaino. Io mi inginocchiai su di lui, misi le braccia intorno al suo torace e pesai sopra di lui in una posizione semi seduta. I suoi polsi erano intrappolati nei cinturini dei bastoncini. Ora era in grado di scivolarne fuori e muovere le braccia. Cominciai a liberargli gli scarponi ma ci volle ancora un quarto d’ora prima che potessimo riprendere ad andare.

Al calar della sera arrivammo a piantare la tenda, stanchi ma con abbastanza energia per accendere il fuoco e preparare la cena. Il posto tenda era nascosto in un gruppo di grandi massi appena fuori della pista, sotto i ripidi pendii che avremmo salito per raggiungere la cima. Bevemmo un'ultima tazza di cioccolata calda, strisciammo nella tenda, entrammo nei nostri sacchi a pelo uno di fronte all’altro e ci addormentammo.

Mi svegliai la mattina seguente col sole negli occhi. La luce filtrava attraverso la stoffa della tenda, guardai il mio orologio, erano appena le sei. Strisciai fuori tentando di non svegliare Marco. Il sole illuminava i campi di neve come il set di un teatro. Sotto di noi la pianura era ancora buia.
Questi primi raggi erano solo per me. L'aria era fredda ma io mi stesi al calore del sole.
“E’ bello, eh?” Marco si era svegliato e mi venne accanto. Forse suoi sentimenti erano come i miei, fui tentato di guardarlo negli occhi e leggere quello che speravo ma invece dissi: “Facciamo colazione. La neve dovrebbe essere buona fra circa un'ora.”
Di primavera la neve gela e diventa solida durante la notte ma si allenta quando il sole la colpisce. Le condizioni migliori sono appena prima di metà mattina ed era quello che stavamo aspettando. I campi erano verso nord est e si scaldavano rapidamente la mattina. In un secondo momento sgelavano e la neve allentata poteva diventare troppo molle per uno sci sicuro.

Facemmo sgelare della neve, preparammo il caffè e mangiammo della torta alla luce del sole con un masso come tavolo. Ci lavammo e preparammo i bagagli per prepararci a scendere. Scivolammo sulla pista per l’ora seguente, poi ci togliemmo gli scarponi, prendemmo sulle spalle gli sci e ricominciammo a salire. L'aria era ancora fredda. Io indossavo sovrapantaloni ed un parka di nailon sopra i vestiti, guanti da sci, un berretto di lana ed occhiali da sole; il vestiario era stato parte della pianificazione, così Marco era vestito quasi precisamente come me.

Guidai io questa volta su per il pendio. Anche se la neve era ancora così soda dovevo fare un passetto alla volta e presi un comodo ritmo. Avevo i bastoncini in una mano e gli sci nell'altra, appoggiati sulle spalle di traverso dietro di me, così il peso veniva distribuito uniformemente e mi aiutava a mantenere l’equilibrio. Anche così ci volle quasi un'ora per giungere in cima. Non c’era nessuno, la montagna era tutta per noi.

Ci dividemmo una barretta di cioccolato mentre tornavamo dalla cima verso il bordo della pista ammirando il panorama. Poi ci mettemmo gli sci, una spinta coi bastoncini e via.
La superficie era ancora dura e la discesa comportò molto sforzo. Dovetti lavorare di spigoli per tutto il tempo. Anche l'aria aveva cominciato a scaldarsi, quando arrivai al campo stavo cominciando a sudare. Allacciai sovrapantaloni e parka allo zaino e vidi Marco fare lo stesso.

Lui condusse per la seconda parte del tragitto permettendomi una bella contemplazione delle sue anche. Era un’andatura più facile perché potevamo usare le tracce della precedente salita. Ci fermammo per riprendere fiato e poi giù.
Nei quaranta minuti passati dalla nostra ultima corsa la neve era cambiata, anche se la superficie era ancora bitorzoluta, i miei sci avevano una presa migliore ed i miei polpacci e tibie potevano rilassarsi. Ma quando arrivai in fondo ero di nuovo sudato. Erano circa le otto e trenta. L’aria era molto calda ed i raggi del sole diretto e riflessi dalla neve aumentavano il calore. Mi venne un’idea: avremmo potuto sciare nudi. C'erano altre persone sulla montagna, un centinaio, ma erano distanti ed avremmo avuto almeno un'ora di privacy. Guardai Marco e dissi: “Ehi, Marco. Io ho caldo. Che ne dici di sciare...” “Nudi?” Finì lui per me.
Quel ragazzo era rapido di mente e gli risposi: “Sì!”
In meno di un minuto eravamo alla luce del sole con calze e scarponi, occhiali da sole e nient’altro. Mettemmo i sopra pantaloni in cima agli zaini per poterli indossare in pochi secondi. L'unica discussione fu se dovevamo metterceli nel caso qualcuno si avvicinasse.
“No!” Disse Marco: “Siamo nudi o no? Andiamo!”

Toccava a me condurre. Il pensiero che Marco potesse guardarmi il sedere per tutto il tempo mi faceva formicolare, ma dovendo concentrarmi sulle tracce che cominciavano ad essere difficoltose, tenevo il cazzo sotto controllo. Quando arrivammo in cima cominciai subito a scendere, ero nervoso per la nostra tenuta.
La neve ora era perfetta, come glassa su una torta. I miei sci scendevano agevolmente ed ero in grado di fare curve larghe, rilassate, impeccabili anche se il pendio era molto ripido. Mi sentivo al top della forma. Avevo spinto in giù le calze perché la nudità fosse massima ed stavo godendo di ogni centimetro quadrato della pelle esposta. Quando Ogni volta che aumentavo la velocità, l’aria frustava deliziosamente il mio corpo. Di tanto in tanto un pezzo di neve sollevato dai bastoncini mi colpiva le gambe o lo stomaco. Era veramente delizioso.
Non mi fermai finché non fui ritornato al campo, era stata un’ininterrotta sequenza estasiante di curve da cima al fondo. Terminai con gli sci di traverso rispetto al pendio ed ansimando quasi avessi fatto una salita.

Marco si era fermato e poi era sceso, credo per potersi mostrare. Era un vero show. Lui era un sciatore molto audace. Scese molto più velocemente di me, quasi perse l’equilibrio ad un certo punto ma riuscì a recuperare abbastanza per darmi una piccola dimostrazione di “serpentina” poco prima dell’arrivo. Era come un ballo di un bel ragazzo nudo sugli sci che correva in discesa, rischiando tutto. Troppo! Il mio cazzo immediatamente si irrigidì. Lui fece un’ultima svolta e stoppò fronte a me con i suoi sci sotto i miei.

Diede un’occhiata alla mia erezione e disse: “Cosa sta guardando, signor cazzo duro?” Si piegò, raccolse una manciata di neve e me la strofinò sull’inguine.
Mi sentii precipitare e mi afferrai alle sue spalle. Caddi sulla neve e lui cadde su di me.
Le nostre gambe e sci erano intrecciati, lui era di sopra ed i miei piedi erano intrappolati. Il mio culo nudo e la schiena erano contro il pendio, io ansimavo per il colpo. Sentii il corpo di Marco contorcersi contro il mio. Il suo cazzo, eretto, scivolò lungo la mia coscia. Tolsi le mani dai guanti e lo circondai con le mie braccia.
“Marco” Dissi: “Sei così fottutamente bello!”
“Bella prova” Rispose: “Ma troppo tardi.”
Prese un'altra manciata di neve e cominciò a strofinarmela su torace e stomaco. La neve era granulosa e la mano inguantata di Marco stava strofinando la mia pelle coi piccoli, acuti pezzi di ghiaccio. Io mi contorcevo e tentavo di spingerlo via, ma contemporaneamente il mio cazzo stava pulsando pericolosamente. Marco dovette sentirlo perché scivolò in giù al mio inguine e disse: “Senti questo!”
Prese in bocca della neve e poi mi fece scivolare nella sua bocca.
“Ehi!” Gridai.
La lingua ghiacciata che scivolava sul mio glande e leccava la mia asta era più intensa di qualsiasi cosa il mio pene avesse mai sentito prima. Poi lui passò alle mie palle. Vi massaggiò la neve intorno e dietro, contemporaneamente continuava il suo stuzzicare gelato sul mio cazzo.
Durai meno di un minuto ed esplosi nella sua bocca.
Dopo un momento mi alzai a sedere e gli carezzai la testa. La mia schiena era completamente intirizzita per la neve ma non me ne curavo. La mia mente stava ancora roteando per quanto mi aveva fatto.

Marco sputò la mistura di ghiaccio e sperma e si asciugò la bocca sul dorso del guanto.
Io tirai la sua faccia alla mia e lo baciai. La sua bocca era ancora fredda. “Marco” Dissi: “Sai che ti amo?”
“Come posso saperlo, siamo insieme da sempre e non me l’hai mai detto.” “Bene io penso che tu sia un distratto, insensibile stronzo!”
Ci alzammo in piedi, io mi sganciai gli sci, me li tolsi e vidi Marco piegarsi per togliersi i suoi.
Presi una palla di neve e gliela sparai sulla schiena. Bingo! Guardò in su, ma doveva sganciare l'altro sci, io lo colpii di nuovo tra le scapole. Ora aveva i piedi liberi e tentò di scappare.
Gli lanciai una palla sull’inguine mentre si girava e continuai a colpire a ripetizione il suo corpo nudo con palle di neve.
Lui era San Sebastiano ed io il soldato romano. Era magnifico.

Gli scarponi da sci non sono fabbricati per correre. Fece meno di dieci metri, inciampò e cadde prono. Saltai su di lui e scivolai sul suo sedere. Era più bello che mai, muscoli solidi ma morbido e liscio come quello di un bambino.
Lui grattava con le braccia sul pendio tentando di alzarsi, ma io pesavo sul suo torace per tenerlo giù. Feci passare un braccio nella neve per verificare il suo cazzo. Era rigido e caldo e sussultò quando lo toccai. Era pronto.
“Ok, Marco mettiti su mani e ginocchia!” Dissi mentre facevo scivolare in giù il mio corpo, liberando il suo culo e le sue cosce. Lui assentì. Mi riempii la bocca di neve e leccai a cerchio intorno il suo ano. Lui guaì.
“Comincia a menartelo!” Ordinai.
Lui si appoggiò ad un gomito, si tolse l'altro guanto coi denti e cominciò a pompare. Io iniziai una serie di lente leccate di sedere. Io riesco a toccarmi la punta del naso con la lingua. Anche mio padre ci riesce; è genetico. Afferrai le sue anche e forzai la bocca nel suo inguine, cominciando a spingere ogni leccata giù verso le sue palle. Da là riportai la lingua al suo buco, gli diedi una leggera leccata al culo e mi inserii nella fessura. Ogni volta che la neve si scioglieva la sostituivo. Bastarono poche leccate: “Gesù, ragazzo, vengo!.” Era ciò che volevo. Sbattendo la faccia contro la sua fessura sparai la lingua gelata profondamente dentro di lui. Marco gridò e poi emise qualche cosa come un lungo, perforante, pulsante jodel tirolese. Tarzan era nulla al confronto.
Per fortuna eravamo solo noi due sulla montagna. Lo lasciai finire, poi lo tirai indietro e gli baciai il sedere. Amavo veramente quel ragazzo.
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scritto il
2019-11-29
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