La mattina dopo
di
Cialdy
genere
etero
In una camera d’hotel, senza connessione wifi e senza riuscire a dormire. Sul comodino il libro “la mattina dopo”, eppure la mia mattina dopo non è ancora arrivata. Sono quasi le cinque ma è da mezzanotte che non faccio altro che guardare l’orologio e girarmi e rigirarmi nel letto.
È la mattina dopo la sera in cui, all’ultima trasferta della mia carriera in quest’azienda, ho aperto le gambe a quello che, ancora per pochi giorni, è il mio capo.
Sto ancora cercando di capire che cosa provo.
Sicuramente rabbia, soprattutto con me stessa, per almeno due motivi.
Il primo è per aver ceduto alle sue avance: proprio io, che ho sempre preteso che non avrei mai scopato con un uomo sposato. Che io in quel ruolo (quello dell’amante, della “puttana”, della seconda scelta, di quella che non hai il coraggio di scegliere per la vita ma che ti fai andar bene quando vuoi divertirti un po’) non ci sarei mai stata.
Eppure eccomi qui. E non posso dire di non averlo voluto, di non averlo desiderato dalla prima volta che siamo partiti da soli per lavoro e di non averci fantasticato nell’ultimo anno, sopratutto nell’ultimo periodo. Questo pomeriggio prima di partire mi sono preoccupata anche di depilarmi per bene e di mettermi un paio di mutandine sexy.
Ma sono arrabbiata anche perché non ho avuto il coraggio di andare fino in fondo.
Alla fine tutto sto casino, l’attesa, le aspettative solo per un pompino? Per farlo venire e io rimanere a bocca asciutta (che poi, asciutta mica tanto. Piena del suo sperma, casomai). Non ne è valsa la pena.
Perché mi sono fermata, allora?
Ormai la soglia l’avevo superata.
L’avevo superata già quando, davanti alla porta della mia camera, il nostro abbraccio era diventato un po’ troppo lungo e quando per sciogliermi da quell’abbraccio l’ho guardato negli occhi, aspettando che succedesse qualcosa.
L’avevo superata quando, ovviamente, qualcosa è successo: mi ha baciata e io non l’ho rifiutato. Mi sono lasciata infilare la lingua in bocca, sbattere contro il muro e, anche quando premeva per farmi sentire la sua erezione, l’ho lasciato fare. L’ho lasciato fare anche quando ha messo le mani sotto il mio maglione, quando ha stretto i miei capezzoli tra le sue dita facendomi eccitare. Per un attimo ho esitato: ho smesso di baciarlo, ma non l’ho allontanato. Ero troppo eccitata per finirla lì. Ormai la soglia era di gran lunga superata.
Allora l’ho lasciato entrare in camera, l’ho addirittura aiutato a spogliarmi. Poi l’ho spogliato io, e nello sfilargli i boxer mi sono chinata. Avrei voluto prenderglielo in bocca in quel momento, ma non l’ho fatto. Ho lasciato che fosse lui a guidare fino alla fine.
Comunque quando sei completamente nuda davanti al tuo capo, la soglia è decisamente superata. E non si torna indietro più.
E quindi l’ho lasciato fare ancora. L’ho lasciato buttarmi sul letto, aprirmi le gambe, leccarsi il palmo della mano per bagnarmi (come se ce ne fosse ancora bisogno) e infilarmi il suo cazzo dentro con un colpo deciso.
Mi ha sbattuta un po’ così, ma è durato pochissimo, giusto qualche dentro fuori e poi è sceso, a leccarmi la figa.
E io l’ho lasciato fare, anche se non ne avevo voglia. Anche se avrei preferito avere ancora il suo cazzo dentro di me.
Ma tanto anche quello è durato poco, perché poi è venuto il suo turno. È risalito a pretendere il suo giro. Ha avvicinato le sue gambe al mio viso e ho capito che avrei dovuto fargli un pompino. E l’ho fatto, perché ormai la soglia era superata. L’ho preso tutto in bocca e ho iniziato a succhiarglielo, a baciarlo, a giocare con la mia lingua sulla sua cappella, e ne ero felice: ho sempre preferito farlo, piuttosto che riceverlo, il sesso orale.
E lui, dopo pochi secondi, è venuto. In bocca. Senza neanche chiederlo ha lasciato che il suo sperma caldo mi riempisse e io, da brava, l’ho ingoiato tutto.
Ma poi ho deciso che non l’avrei più lasciato fare. Si è sdraiato di fianco a me e mi ha abbracciata, ma io non avevo il coraggio di guardarlo.
Ha provato a baciarmi ancora, ma l’ho respinto.
Così siamo rimasti per un po’ nudi, intrecciati, senza parlare.
Gli ho detto che era sbagliato, ha risposto “decisamente”. Mi ha detto “non fare così nel nuovo lavoro” e gli ho detto di non fare così con la nuova stagista.
Gli ho chiesto se volesse restare, mi ha detto “ci vediamo a colazione domani mattina” e si è rivestito.
Mi ha baciata, più teneramente questa volta, e poi è andato nella sua camera.
E io mi sono sentita una cretina. E nella solitudine del mio letto, ormai eccitata, ho dovuto fare - di nuovo - da sola.
È la mattina dopo la sera in cui, all’ultima trasferta della mia carriera in quest’azienda, ho aperto le gambe a quello che, ancora per pochi giorni, è il mio capo.
Sto ancora cercando di capire che cosa provo.
Sicuramente rabbia, soprattutto con me stessa, per almeno due motivi.
Il primo è per aver ceduto alle sue avance: proprio io, che ho sempre preteso che non avrei mai scopato con un uomo sposato. Che io in quel ruolo (quello dell’amante, della “puttana”, della seconda scelta, di quella che non hai il coraggio di scegliere per la vita ma che ti fai andar bene quando vuoi divertirti un po’) non ci sarei mai stata.
Eppure eccomi qui. E non posso dire di non averlo voluto, di non averlo desiderato dalla prima volta che siamo partiti da soli per lavoro e di non averci fantasticato nell’ultimo anno, sopratutto nell’ultimo periodo. Questo pomeriggio prima di partire mi sono preoccupata anche di depilarmi per bene e di mettermi un paio di mutandine sexy.
Ma sono arrabbiata anche perché non ho avuto il coraggio di andare fino in fondo.
Alla fine tutto sto casino, l’attesa, le aspettative solo per un pompino? Per farlo venire e io rimanere a bocca asciutta (che poi, asciutta mica tanto. Piena del suo sperma, casomai). Non ne è valsa la pena.
Perché mi sono fermata, allora?
Ormai la soglia l’avevo superata.
L’avevo superata già quando, davanti alla porta della mia camera, il nostro abbraccio era diventato un po’ troppo lungo e quando per sciogliermi da quell’abbraccio l’ho guardato negli occhi, aspettando che succedesse qualcosa.
L’avevo superata quando, ovviamente, qualcosa è successo: mi ha baciata e io non l’ho rifiutato. Mi sono lasciata infilare la lingua in bocca, sbattere contro il muro e, anche quando premeva per farmi sentire la sua erezione, l’ho lasciato fare. L’ho lasciato fare anche quando ha messo le mani sotto il mio maglione, quando ha stretto i miei capezzoli tra le sue dita facendomi eccitare. Per un attimo ho esitato: ho smesso di baciarlo, ma non l’ho allontanato. Ero troppo eccitata per finirla lì. Ormai la soglia era di gran lunga superata.
Allora l’ho lasciato entrare in camera, l’ho addirittura aiutato a spogliarmi. Poi l’ho spogliato io, e nello sfilargli i boxer mi sono chinata. Avrei voluto prenderglielo in bocca in quel momento, ma non l’ho fatto. Ho lasciato che fosse lui a guidare fino alla fine.
Comunque quando sei completamente nuda davanti al tuo capo, la soglia è decisamente superata. E non si torna indietro più.
E quindi l’ho lasciato fare ancora. L’ho lasciato buttarmi sul letto, aprirmi le gambe, leccarsi il palmo della mano per bagnarmi (come se ce ne fosse ancora bisogno) e infilarmi il suo cazzo dentro con un colpo deciso.
Mi ha sbattuta un po’ così, ma è durato pochissimo, giusto qualche dentro fuori e poi è sceso, a leccarmi la figa.
E io l’ho lasciato fare, anche se non ne avevo voglia. Anche se avrei preferito avere ancora il suo cazzo dentro di me.
Ma tanto anche quello è durato poco, perché poi è venuto il suo turno. È risalito a pretendere il suo giro. Ha avvicinato le sue gambe al mio viso e ho capito che avrei dovuto fargli un pompino. E l’ho fatto, perché ormai la soglia era superata. L’ho preso tutto in bocca e ho iniziato a succhiarglielo, a baciarlo, a giocare con la mia lingua sulla sua cappella, e ne ero felice: ho sempre preferito farlo, piuttosto che riceverlo, il sesso orale.
E lui, dopo pochi secondi, è venuto. In bocca. Senza neanche chiederlo ha lasciato che il suo sperma caldo mi riempisse e io, da brava, l’ho ingoiato tutto.
Ma poi ho deciso che non l’avrei più lasciato fare. Si è sdraiato di fianco a me e mi ha abbracciata, ma io non avevo il coraggio di guardarlo.
Ha provato a baciarmi ancora, ma l’ho respinto.
Così siamo rimasti per un po’ nudi, intrecciati, senza parlare.
Gli ho detto che era sbagliato, ha risposto “decisamente”. Mi ha detto “non fare così nel nuovo lavoro” e gli ho detto di non fare così con la nuova stagista.
Gli ho chiesto se volesse restare, mi ha detto “ci vediamo a colazione domani mattina” e si è rivestito.
Mi ha baciata, più teneramente questa volta, e poi è andato nella sua camera.
E io mi sono sentita una cretina. E nella solitudine del mio letto, ormai eccitata, ho dovuto fare - di nuovo - da sola.
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