Le dame del castello
di
Todog
genere
orge
Tanto tempo fa, per via di un’epidemia, cinque nobildonne si ritirarono per mesi in un castello sperduto.
Queste erano la padrona del castello, la contessa Matilde, una donna di 29 anni dai capelli biondo scuro, e le sue dame di compagnia: Alberica, una donna di 23 anni dai capelli biondo chiaro, la pelle bianca e gli occhi azzurri; Ludovica e Alberta, due gemelle identiche di 21 anni, dai lunghi capelli rossi; infine, Francesca, una giovane di 19 anni dai capelli nero corvino.
Con esse c’erano tanti servitori; tra cuochi, camerieri e inservienti c’era circa un centinaio di uomini con loro in quel castello.
Purtroppo, nel castello non c’era molto da fare per passare il tempo; ma la contessa Matilde aveva il suo passatempo preferito. Infatti, la contessa era una donna particolare: era una grande amante del piacere carnale, nonché una donna con ben poca vergogna dei suoi desideri. Insomma, era una gran porca, e da sola con tutti quei maschi aveva trovato il suo parco giochi: un paio di volte al giorno, Matilde si ritirava con qualche servitore nella sua stanza per farsi soddisfare le sue voglie zozze.
Passò poco tempo, che Matilde incominciò a invitare i servitori nella sua stanza a gruppetti di tre o quattro alla volta, e così non passò molto prima che in quel castello ogni singolo cazzo fosse passato in uno dei buchi della contessa.
Un giorno, Matilde fu approcciata in privato dalle due dame Alberica e Ludovica, le quali dissero:
“Guarda che ti abbiamo vista l’altra sera!”
“Di cosa parlate?” chiese facendo finta di non capire la contessa
“Che ti sei rinchiusa con cinque uomini a fare...” Alberica ridacchiò. “Ma insomma, quelle cose zozze.”
“Cosa devo dire?” sorrise la contessa. “Sono una donna zozza e faccio zozzerie.”
Per tutta risposta, le due ridacchiarono.
“Ti spiacerebbe se alla prossima orgia noi stiamo a guardare?” chiese Alberica
“Sì, ci è piaciuto un sacco guardarti.” Aggiunse Ludovica.
Matilde non aveva nulla in contrario, così, quella sera stessa, nella stanza della contessa furono presenti anche le due dame di compagnia con lei.
Mentre guardavano la contessa farsi scopare da cinque uomini, erano visibilmente eccitate: tenevano le gambe aperte, si strusciavano sulla sedia e ogni tanto si mettevano la mano in mezzo alle cosce strofinando. Finalmente, Alberica perse il controllo: alzò un po’ la gonna, mise la mano sotto e le sue mutande caddero a terra; il suono della sua passera bagnata che veniva tormentata dalla sua mano lasciò intendere tutto quello che stava succedendo. Presto fu imitata da Ludovica, e le due donne godettero l’una dopo l’altra.
“Vedo che vi è piaciuto vedermi tanto maiala.” Disse Matilde. “Magari la prossima volta potete unirvi a me invece di stare lì a toccarvi, tanto in questo castello ci sono abbastanza cazzi per tutte.” Sorrise.
Quella notte, Alberica e Ludovica andarono a dormire insieme nello stesso letto, ma prima di addormentarsi dovettero ancora masturbarsi più volte da quanto erano eccitate. Finirono anche per baciarsi, toccarsi e leccarsi a vicenda. Dopo tanti orgasmi, Alberica disse: “Non basta… ho bisogno di un cazzo…”
Così, il giorno seguente Alberica andò da Matilde, e organizzarono un’altra orgia per la sera stessa. Nella stanza si radunarono Matilde, Alberica, Ludovica e ben undici uomini.
“Allora, carissimi.” Incominciò Matilde. “Per stasera c’è una gran sorpresa: avrete non una, ma due porcelline arrapate a vostra disposizione.” Disse indicando Alberica, la quale non rispose niente, ma sorrise imbarazzata.
“Mi raccomando, siate gentili con lei, che non ha mai fatto queste cose. Ma vedrete che alla fine diventerà una gran maiala! Intanto Ludovica si godrà lo spettacolo.” Disse Matilde. “Ovviamente, se vuoi unirti a noi sei la benvenuta.” Sorrise.
Tutti quanti si spogliarono completamente. Matilde e Alberica si inginocchiarono e furono circondate dagli uomini col cazzo svettante, già pronto all’azione; Alberica cominciò a succhiare, ascoltando le indicazioni di Matilde, che la consigliava su come farlo nel modo migliore. Presto cominciarono a farsi scopare, godendo visibilmente.
Matilde si prendeva due cazzi, uno nella figa e uno nel culo, e vedendo come stava godendo, anche Alberica volle ricevere un cazzo nel culo. Dopo un po’ di dolore iniziale, incominciò a godere visibilmente e a esternare il suo piacere: “Oh! Che bello! Sono piena di cazzo! Sto godendo come una maiala! Amo il cazzo! Datemi un cazzo da succhiare!”
Fu subito accontentata, e così le due donne passarono un’ora buona con le fighe, i culi e le bocche tutti occupati da un cazzo, fino a che tutti gli uomini non vennero, ricoprendo i loro volti di sborra, che le due porche si ripulirono a vicenda leccandosi i volti. “Ho goduto un sacco, è proprio bello essere una maiala!” sorrise Alberica. “Però non è mica finita.” Rispose Matilde. “Adesso facciamo dei pompini ai nostri maschi per farli tornare duri, così facciamo il secondo giro!”
Dopo una decina di minuti di riposo, Matilde e Alberica presero a fare dei gustosi pompini agli uomini. Improvvisamente, nel cerchio di uomini che si era formato si fece largo Ludovica, la quale disse: “Anche io! Anche io voglio essere una porca e godere come voi!” disse la ragazza. Così, si spogliò completamente e si inginocchiò a fianco delle due amiche, e prese parte alla grande orgia.
Da quella sera in poi, le tre donne incominciarono a ritrovarsi in segreto tutte e tre per farsi sbattere da grandi gruppi di uomini.
Fu durante una di queste orge che successe il fattaccio. Francesca, infatti, camminando per i corridoi del castello, aprì una porta e si trovò davanti un bello spettacolo: Alberica si faceva scopare in doppia penetrazione. A fianco, c’era Ludovica che veniva inculata mentre aveva la bocca sulla passera di Matilde, la quale spompinava un uomo mentre altri due le sbattevano i cazzi sulla faccia. Sulle facce e sui capelli delle tre donne c’era già qualche grossa macchia di sperma. Sulle prime, Francesca pensò che stessero subendo una violenza, ma le espressioni di piacere sui volti delle tre escludevano questa possibilità.
A vedere quella scena Francesca cacciò un urlo. “Ma che schifo!” esclamò. Sorprese, le tre donne interruppero l’orgia e si ricomposero come meglio potevano. Arrivò anche Alberta attirata dal chiasso. “Le ho beccate mentre erano con dei servitori a fare delle schifezze.” Disse Francesca scandalizzata. “Schifezze di che tipo?” chiese Alberta.
“Ma insomma: ci stavamo facendo scopare.” Disse Matilde senza troppi giri di parole. “Adesso sapete che a noi tre piace farci sbattere da gruppi di uomini, e non la smetteremo di certo.”
“Siete proprio delle luride porche.”
“Ma dai, Francesca, non stanno mica facendo niente di male, se a loro piace…” disse Alberta.
“Ahah, hai ragione, però: siamo delle luride porche!” sorrise Alberica. “E il bello è che ci piace esserlo.”
“Mi fate schifo! Siete delle troie!” disse Francesca andandosene stizzita.
Le tre porcelle non badarono troppo agli insulti di Francesca, e la prima cosa che fecero fu tornare dagli uomini per riprendere da dove avevano iniziato. Ad un certo punto, mentre Matilde veniva presa da due uomini, cominciò a urlare: “Oh che bello! Come mi riempiono bene i vostri cazzi! Sono una lurida maiala! Dai sbattetemi i cazzi in faccia! Ora possiamo godere ad alta voce quanto vogliamo, tanto ormai in questo castello sanno tutti che siamo delle gran porche!”
Da quella giornata, infatti, le tre incominciarono a fare le loro porcate senza più nascondersi. Si facevano sbattere ovunque: nelle loro stanze, per i corridoi, sui tavoli delle sale e perfino nel giardino del castello. E intanto godevano rumorosamente, incuranti di chi potesse ascoltare. Inoltre, finite le loro orge, non avevano remore a camminare in giro per il castello con i volti, gli abiti e i capelli sporcati da varie macchie della sborra degli uomini come se nulla fosse, ma anzi quasi indossandole come ornamenti.
Una sera, le tre si stavano facendo un’orgia in una stanzetta. Nel giardino sotto alla stanza si sentivano i gemiti e le urla di piacere. Alberta si sedette su una panca sotto alla finestra e, ascoltando le tre che godevano, si eccitò molto, si alzò la gonna e prese a toccarsi. Arrivò Francesca, che vedendola le disse: “Ma cosa fai? Ti tocchi così come una porca?” E Alberta rispose: “Scusa, ma a sentirle mi sono eccitata.”
Da allora Francesca prese a stare addosso ad Alberta per impedirle di cedere alla tentazione di masturbarsi ancora. Almeno così fu fino a che, una sera, mentre le due ragazze erano assieme, e da una sala poco distante si sentivano i gemiti di piacere delle tre maiale, Alberta incominciò a muovere con forza le gambe. Francesca se ne accorse e le disse di smetterla.
“Scusami, ma sono molto eccitata… Sono un sacco bagnata.” Rispose Alberta, incominciando a massaggiarsi la passera.
“Non toccarti, altrimenti sei una zoccola come loro.” Rispose Francesca perentoria.
Alberta mugugnò dal desiderio e, perso il controllo, prese a toccarsi la figa. Francesca, allora, con la forza le tolse la mano, ripetendole che solo le zoccole si masturbano. Per tutta risposta, Alberta continuava a muovere freneticamente le gambe, una grossa macchia di succhi della sua figa si era formata sul suo vestito, e sospirava con forza.
“Scusami… non posso resistere.” Disse Alberta
“Dai, sì che puoi resistere.” Disse Francesca.
Alberta cercò di contenersi a lungo. Dopo un po’, disse a Francesca semplicemente: “Scusami…” E così dicendo, con un gesto veloce si tolse il vestito, e poi il reggipetto e le mutande, rimanendo completamente nuda davanti all’amica. Si alzò in piedi e andò via di fretta dalla stanza. “Torna qui!” le ordinò Francesca, ma lei non ripose.
Di fretta, Alberta raggiunse la stanza in cui sua sorella Ludovica era impegnata con sei uomini. Con timidezza, Francesca si avvicinò e diede un’occhiata dentro: fu colta dalla visione delle due bellissime gemelle che si scambiavano un intenso bacio con le lingue libere e frenetiche, e si strizzavano a vicenda le tette. Infine, le due vennero circondate da uomini nudi, con i cazzi enormi, duri e bagnati di schiuma. Il volto di Alberta era estasiato alla vista di tutti quei cazzi davanti a lei. Francesca se ne andò sconsolata.
Così, anche Alberta si unì alle sconcerie quotidiane delle amiche. Oramai Francesca era rimasta l’unica donna del castello a non essere una porcella, e non le restava che stare a guardare e ascoltare. Una sera, chiusa nella sua camera, ascoltava le orge delle altre, e intanto diceva: “Che schifo… sono proprio delle troie. Si fanno sbattere da tutti quei cazzi…” Sospirò con forza. “Tutti quei cazzi…” pensò Francesca. Istintivamente si mise una mano tra le gambe e si trovò calda e bagnata, ma poi si tolse il pensiero e si mise a dormire.
Il giorno dopo, Francesca approcciò Matilde e le chiese se potessero almeno fare silenzio quando facevano le loro porcate, ed evitare di girare per il castello imbrattate di quella schifezza, perché lei aveva disgusto a sentirle e vederle così. La contessa trovò una soluzione che avrebbe messo d’accordo tutti: le quattro maiale avrebbero fatto le loro orge soltanto in una torre del castello, che aveva i muri molto spessi, così a Francesca sarebbe bastato stare lontana da questa torre.
E Francesca rimase lontana da quella torre per un po’, fino a che, un paio di giorni dopo, spinta dalla curiosità, non si trovò ad avvicinarsi ad essa, ad ascoltare le urla di piacere e le parole sconce delle amiche. Rimase ad ascoltarle per un bel po’, istintivamente si toccò tra le gambe, trovandosi ancora tutta bagnata. Vergognandosene molto, se ne andò via promettendosi di non tornare più. Il giorno seguente, però, tornò ad ascoltare da dietro alla porta l’orgia delle amiche, e, non riuscendo a resistere, si masturbò fino a provocarsi un orgasmo.
Questo si ripeté molte volte: Francesca si avvicinava alla torre, non resisteva al desiderio di masturbarsi, in seguito se ne vergognava molto. Un giorno, mentre Francesca si stava toccando la passera appoggiata ad un muro, una voce parlò: “Ma guarda un po’! Facevi tanto la brava ragazza, ed eccoti a toccarti mentre ascolti le tue amiche che fanno le maialone.” A parlare era stata Alberica, la bella bionda con la pelle bianco latte era ben vestita e ben truccata, pronta a entrare nella torre con le sue amiche. Francesca si tolse la mano dalla figa e rispose con fermezza: “Ho avuto soltanto un momento di debolezza e non si ripeterà più, io non sono una troia come voi.” Alberica si avvicinò a lei, le prese la mano e disse: “Ma guarda che a essere delle troie non c’è mica nulla di male.”
“Ma insomma… guardate un po’ come vi fate mancare di rispetto dagli uomini.”
“A noi piace così. E poi, non è vero che ci mancano di rispetto, perché se ad un certo punto diciamo basta, basta è. I nostri uomini sono tutti dei bravi ragazzi, fidati.”
“Sì… ma…”
“Facciamo così: almeno una volta prova.”
“Cosa? Provare che cosa?”
“A farti scopare da tanti cazzi insieme a noi.”
“No! Che schifo!”
“Ma prova almeno. Se non ti piace non lo fai più.”
“No no.” Insistette Francesca
Alberica si allontanò e disse: “Va bé, io adesso vado che ho tanti cazzi da godermi. Tu stai pure lì a masturbarti.” E Francesca rispose: “Vai pure a farti scopare da tutti quei cazzi… come una troia…” Poi ripeté, con la voce rotta: “Farti scopare da tutti quei cazzi… come una troia…” E a dire quelle parole sentì le sue cosce pervase da una cascata di caldi liquidi. Sentì la sua passera fremere e, perdendo la sua resistenza, disse: “Va bene, vengo con te.”
Alberica prese Francesca per mano e la portò nella torre. Qui trovarono la contessa e le due gemelle sdraiate a terra, impegnate a leccarsi le fighe in cerchio. Su sei divani e delle sedie erano seduti una ventina di uomini nudi coi cazzi pronti all’azione. “Ragazze, guardate un po’ chi vuole provare a unirsi a noi.” Annunciò Alberica; a vedere Francesca, le tre si limitarono a sorridere. Guardando gli uomini presenti, Francesca ne scelse cinque tra quelli che le piacevano di più.
Anche se imbarazzatissima, si spogliò nuda e si inginocchiò, i cinque la circondarono. Con gli occhi fissi sui loro cazzi, era rimasta imbambolata. “Cosa devo fare?” chiese. “Quello che ti viene voglia di fare.” La consigliò Alberta. Francesca prese uno dei cazzi nella mano, lo coccolò per un po’ con le dita; incominciò a succhiare, dapprima con timidezza, poi sempre mostrando più gusto. Infine, si girò e mostrò le sue grazie agli uomini, e disse: “Avanti.” Quando il primo di essi cominciò a scoparla, il suo cazzò entrò senza alcuna fatica, tanto che la figa di Francesca era aperta e bagnata. Francesca mostrò immediatamente godimento.
Così, tutti e cinque gli uomini la scoparono e finirono per sborrarle sulla faccia e nei capelli. Le altre quattro donne, intanto, osservavano la scena toccandosi. Quando Francesca era sdraiata a terra, soddisfatta e ricoperta di sperma, Matilde le chiese: “Allora, come ti senti?”
“Sento che…” rispose Francesca. “Sento che…” E poi, ad alta voce disse: “Sento che NE VOGLIO ANCORA!” Poi si rivolse agli uomini rimasti e disse: “Avanti, venite qui a sbattervi questa lurida maiala!” Gli uomini la circondarono, Francesca cominciò a baciare, succhiare e leccare i loro cazzi. “Oh che bello! Tanti cazzi tutti per me! Amo il cazzo! Sono una lurida succhiacazzi!” Poi ancora si voltò con le anche all’aria. “Scopatemi e inculatemi! Ho voglia di cazzi, cazzi, cazzi!” Francesca fu presa in doppia da due uomini. Riprese a esternare il suo godimento: “Oh che bello! Due bei cazzoni che mi riempiono! Guardate come sono troia! Sto godendo come una maiala!”
Poi, Francesca chiese improvvisamente di interrompere la sua orgia, e disse: “Non qui! Andiamo fuori, voglio farmi sbattere fuori in giardino. Voglio che tutti mi vedano così, che vedano tutti che razza di troia che sono!” Le quattro amiche risero, e tutti insieme accompagnarono Francesca fuori, col volto ancora sporco di sperma. Nei corridoi incontrarono qualche altro uomo, e molti ridacchiarono vedendo la scena, ma Francesca, ad ogni uomo che incontrava, lo invitava a venire in giardino a unirsi all’orgia folle.
Finì che un gruppo di circa una cinquantina di uomini si era radunato insieme alle cinque donne in giardino. Qui Francesca, ancora una volta si rivolse agli uomini dicendo: “Dai, sbattetemi! Sono una maiala vogliosa di cazzo! Sfondatemi la figa e il culo! Ricopritemi di sborra.” E poi, urlando a pieni polmoni. “SONO UNA LURIDA TROIA E AMO IL CAZZO E LA SBORRA!”
L’orgia cominciò. Le quattro amiche, che fino ad allora avevano solo osservato la scena, si decisero a unirsi a lei. Tutti e quanti gli uomini del castello arrivarono, godendosi fino a tarda sera le cinque porche le cui urla di piacere andavano diffondendosi nell’aria.
Fu proprio in quell’occasione che Matilde sorprese tutti quanti con la richiesta di farsi infilare due cazzi nel culo contemporaneamente; non fu un’impresa facile, anzi lei ne soffrì molto, ma dopo un po’ il dolore si trasformò in visibile piacere. A vederla, anche le altre quattro vollero provare. Per prima ci fu Alberica, la quale incominciò a soffrire molto, a urlare e a piangere, senza che i due cazzi furono entrati, ma quando uno dei due uomini estrasse il cazzo ella rispose: “No! Continuate! Non smettete neanche se urlo e imploro di smetterla, non andiamo via da qui finché non sono entrati!” E per l’ora che seguì non fece che strillare in preda al dolore, dicendo che aveva cambiato idea, ma gli uomini non la ascoltarono, anzi continuarono a fare forza, anche incitati dalle altre quattro. Finalmente, anche Alberica cominciò a godere come una vera maiala. Fu poi il turno di Francesca, la giovane mora, che era partita come una ragazza timida e morigerata, quando iniziò a godere della doppia penetrazione fu quella che più di tutte parlava in modo sboccato, dicendo frasi del tipo: “Sì rompetemi il buco del culo! Mi fa male ma godo! Sono una lurida troia col culo sfondato! Sono un buco per cazzi!” Dopo di lei fu infine il turno di Alberta e Ludovica; le due gemelle richiesero di subire quel trattamento contemporaneamente. Si posizionarono a gattoni in modo da avere i volti l’uno davanti all’altro, così da potersi guardare intensamente negli occhi, all’inizio coi volti eccitati e trepidanti, poi in preda al dolore e infine al piacere.
La notte passò tra innumerevoli orgasmi. Spossate, le cinque zozzone si addormentarono proprio lì, sull’erba del giardino. Si svegliarono al mattino e, ridendo, videro in che condizione erano: puzzavano terribilmente di sperma e di sudore, i capelli erano delle croste solide, il trucco che si era completamente sfatto, gli abiti sporchissimi erano strappati. Le loro fighe e i loro culi erano ancora doloranti dalla sera prima. Ma tutte erano felici e rilassate, e si coccolarono a lungo lì per terra. Finalmente si alzarono e si fecero preparare una grossa vasca da bagno, dove tutte insieme si lavarono per poi rivestirsi e riprendere il loro aspetto di austere nobildonne.
Mentre facevano colazione, Matilde chiese l’attenzione delle amiche e cominciò a parlare: “Carissime, non avete idea di quanto io sia felice che sia successo quello che è successo. Rendetevi conto di cosa vuol dire: vuol dire che da ora in poi non ci saranno più vergogne e ipocrisie, ma soltanto piacere. Per questo, ho pensato che la cosa andrebbe debitamente inaugurata con una grande festa.” Le altre furono assolutamente d’accordo. Si accordarono che per una settimana intera si sarebbero astenute dal farsi scopare, così da essere più scatenate per la festa. Alberica parlò alle amiche: “E a questo proposito, io avrei pensato di farvi una sorpresa per allora. Però dovete darmi tutti i vostri vestiti.”
Non sapendo cosa aspettarsi, le amiche le diedero i loro vestiti. Li raccolsero tutti in un baule nella stanza di Alberica, rimanendo tutte completamente nude. E completamente nude passarono la settimana seguente. Gli uomini del castello le guardavano famelici, ma loro rifiutavano tutte le avances. Le donne si calmavano i bollori di tanto in tanto con qualche leccata, ma nulla di più.
Finalmente, il gran giorno arrivò. La mattina, Alberica invitò le amiche nella sua stanza, e mostrò loro cosa aveva preparato. Aprì il baule e le ragazze videro che tutti i loro abiti avevano subito delle modifiche: erano stati tagliati e stretti, così da essere estremamente succinti e provocanti. Tutte si complimentarono col bel lavoro che Alberica aveva fatto. Di biancheria intima, infine, non ce n’era neanche l’ombra, Alberica l’aveva fatta donare tutta ai poveri.
Le donne si vestirono con gli abiti che preferivano.
Matilde indossò un abito rosso e giallo, molto corto e molto stretto, tanto che le sue grosse tette fuoriuscivano dal decolté, raccolse i capelli biondi in alto e indossò una coroncina d’oro.
Alberica indossò un abito bianco e azzurro, simile al colore dei suoi occhi, molto stretto che faceva risaltare le sue forme, uno dei due seni era completamente nudo; lasciò liberi i suoi lunghissimi capelli biondi.
Alberta e Ludovica si vestirono in modo da essere indistinguibili, con due abitini verdi e gialli, con delle calze lunghe tenute su da reggicalze, e i loro capelli rossi erano conciati in una lunga treccia.
Francesca prese un abito bianco, relativamente lungo, ma trasparente abbastanza perché il suo corpo si vedesse, e raccolse i suoi capelli neri con una coroncina argentea.
Così ben vestite si guardarono agli specchi, e fu una visione sublime: estremamente eleganti e raffinate, e allo stesso tempo estremamente eccitanti e lascive. Si radunarono tutti nella sala principale del castello; attorno alle cinque donne c’era ogni singolo maschio presente in quel castello. Le donne erano trepidanti, le loro fighe erano inzuppate, infuocate e palpitanti, tanto che nell’aria se ne diffondeva l’odore. I maschi non erano da meno: i loro pantaloni erano tutti visibilmente rigonfi, quasi stessero per scoppiare.
Per prima cosa, Matilde si inginocchiò davanti a una ventina di uomini. Siccome era stata lei a fare tirare fuori alle altre il loro lato di porche, tutte concordarono che era giusto che fosse lei ad aprire le danze di quella sconcia giornata. Gli uomini davanti a Matilde estrassero i loro cazzi, che svettarono enormi e duri, e bagnati di schiuma; la contessa si sentì pervasa da un intensissimo odore di cazzo e, perdendo completamente il senno e lasciandosi andare alla voglia, aprì le gambe e disse semplicemente: “Prendetemi!”
Per le due ore successive fu presa in tutti i modi, i cazzi che le entravano e uscivano in tutti i buchi. Le sue amiche intanto osservavano ammirate. Ad un certo punto, quando il volto di Matilde era completamente ricoperto, le quattro si avvicinarono a lei, e la ripulirono completamente con le loro lingue.
Finalmente, la festa vera e propria e iniziò, e anche le altre furono prese da tutti gli uomini presenti. Per tutta la giornata fu un susseguirsi di cazzi nelle fighe, cazzi nei culi e cazzi nelle bocche. Urla di piacere continuavano a riecheggiare, interrotte solo dalle parole delle donne che incitavano i loro maschi, oppure si appellavano a vicenda con nomi che altre donne avrebbero considerato degradanti, ma che per loro altro non erano che motivo di orgoglio. Man mano che l’orgia si consumava, copiosi schizzi di sborra ricoprivano le ragazze in ogni angolo del corpo, e inzuppavano i loro capelli e i loro abiti; l’odore di quel succo dei cazzi, che per le cinque donne era diventato così prelibato, riempiva intensamente l’aria della sala. Quando scese la notte le porcelle e i loro scopatori avevano ormai perso il conto degli orgasmi.
Così, oramai distrutte, si ritirarono tutte in un letto, grande abbastanza per contenerle tutte e cinque. Non persero tempo a lavarsi, andarono a dormire conciate com’erano dopo l’orgia folle, sporcando le lenzuola. Tutte e cinque erano esauste, ma erano felici: felici di essere diventate delle grandissime porche, e felici di sapere che, da quel giorno in poi, per i molti mesi seguenti, ci sarebbero state tante altre occasioni di godere immensamente.
Queste erano la padrona del castello, la contessa Matilde, una donna di 29 anni dai capelli biondo scuro, e le sue dame di compagnia: Alberica, una donna di 23 anni dai capelli biondo chiaro, la pelle bianca e gli occhi azzurri; Ludovica e Alberta, due gemelle identiche di 21 anni, dai lunghi capelli rossi; infine, Francesca, una giovane di 19 anni dai capelli nero corvino.
Con esse c’erano tanti servitori; tra cuochi, camerieri e inservienti c’era circa un centinaio di uomini con loro in quel castello.
Purtroppo, nel castello non c’era molto da fare per passare il tempo; ma la contessa Matilde aveva il suo passatempo preferito. Infatti, la contessa era una donna particolare: era una grande amante del piacere carnale, nonché una donna con ben poca vergogna dei suoi desideri. Insomma, era una gran porca, e da sola con tutti quei maschi aveva trovato il suo parco giochi: un paio di volte al giorno, Matilde si ritirava con qualche servitore nella sua stanza per farsi soddisfare le sue voglie zozze.
Passò poco tempo, che Matilde incominciò a invitare i servitori nella sua stanza a gruppetti di tre o quattro alla volta, e così non passò molto prima che in quel castello ogni singolo cazzo fosse passato in uno dei buchi della contessa.
Un giorno, Matilde fu approcciata in privato dalle due dame Alberica e Ludovica, le quali dissero:
“Guarda che ti abbiamo vista l’altra sera!”
“Di cosa parlate?” chiese facendo finta di non capire la contessa
“Che ti sei rinchiusa con cinque uomini a fare...” Alberica ridacchiò. “Ma insomma, quelle cose zozze.”
“Cosa devo dire?” sorrise la contessa. “Sono una donna zozza e faccio zozzerie.”
Per tutta risposta, le due ridacchiarono.
“Ti spiacerebbe se alla prossima orgia noi stiamo a guardare?” chiese Alberica
“Sì, ci è piaciuto un sacco guardarti.” Aggiunse Ludovica.
Matilde non aveva nulla in contrario, così, quella sera stessa, nella stanza della contessa furono presenti anche le due dame di compagnia con lei.
Mentre guardavano la contessa farsi scopare da cinque uomini, erano visibilmente eccitate: tenevano le gambe aperte, si strusciavano sulla sedia e ogni tanto si mettevano la mano in mezzo alle cosce strofinando. Finalmente, Alberica perse il controllo: alzò un po’ la gonna, mise la mano sotto e le sue mutande caddero a terra; il suono della sua passera bagnata che veniva tormentata dalla sua mano lasciò intendere tutto quello che stava succedendo. Presto fu imitata da Ludovica, e le due donne godettero l’una dopo l’altra.
“Vedo che vi è piaciuto vedermi tanto maiala.” Disse Matilde. “Magari la prossima volta potete unirvi a me invece di stare lì a toccarvi, tanto in questo castello ci sono abbastanza cazzi per tutte.” Sorrise.
Quella notte, Alberica e Ludovica andarono a dormire insieme nello stesso letto, ma prima di addormentarsi dovettero ancora masturbarsi più volte da quanto erano eccitate. Finirono anche per baciarsi, toccarsi e leccarsi a vicenda. Dopo tanti orgasmi, Alberica disse: “Non basta… ho bisogno di un cazzo…”
Così, il giorno seguente Alberica andò da Matilde, e organizzarono un’altra orgia per la sera stessa. Nella stanza si radunarono Matilde, Alberica, Ludovica e ben undici uomini.
“Allora, carissimi.” Incominciò Matilde. “Per stasera c’è una gran sorpresa: avrete non una, ma due porcelline arrapate a vostra disposizione.” Disse indicando Alberica, la quale non rispose niente, ma sorrise imbarazzata.
“Mi raccomando, siate gentili con lei, che non ha mai fatto queste cose. Ma vedrete che alla fine diventerà una gran maiala! Intanto Ludovica si godrà lo spettacolo.” Disse Matilde. “Ovviamente, se vuoi unirti a noi sei la benvenuta.” Sorrise.
Tutti quanti si spogliarono completamente. Matilde e Alberica si inginocchiarono e furono circondate dagli uomini col cazzo svettante, già pronto all’azione; Alberica cominciò a succhiare, ascoltando le indicazioni di Matilde, che la consigliava su come farlo nel modo migliore. Presto cominciarono a farsi scopare, godendo visibilmente.
Matilde si prendeva due cazzi, uno nella figa e uno nel culo, e vedendo come stava godendo, anche Alberica volle ricevere un cazzo nel culo. Dopo un po’ di dolore iniziale, incominciò a godere visibilmente e a esternare il suo piacere: “Oh! Che bello! Sono piena di cazzo! Sto godendo come una maiala! Amo il cazzo! Datemi un cazzo da succhiare!”
Fu subito accontentata, e così le due donne passarono un’ora buona con le fighe, i culi e le bocche tutti occupati da un cazzo, fino a che tutti gli uomini non vennero, ricoprendo i loro volti di sborra, che le due porche si ripulirono a vicenda leccandosi i volti. “Ho goduto un sacco, è proprio bello essere una maiala!” sorrise Alberica. “Però non è mica finita.” Rispose Matilde. “Adesso facciamo dei pompini ai nostri maschi per farli tornare duri, così facciamo il secondo giro!”
Dopo una decina di minuti di riposo, Matilde e Alberica presero a fare dei gustosi pompini agli uomini. Improvvisamente, nel cerchio di uomini che si era formato si fece largo Ludovica, la quale disse: “Anche io! Anche io voglio essere una porca e godere come voi!” disse la ragazza. Così, si spogliò completamente e si inginocchiò a fianco delle due amiche, e prese parte alla grande orgia.
Da quella sera in poi, le tre donne incominciarono a ritrovarsi in segreto tutte e tre per farsi sbattere da grandi gruppi di uomini.
Fu durante una di queste orge che successe il fattaccio. Francesca, infatti, camminando per i corridoi del castello, aprì una porta e si trovò davanti un bello spettacolo: Alberica si faceva scopare in doppia penetrazione. A fianco, c’era Ludovica che veniva inculata mentre aveva la bocca sulla passera di Matilde, la quale spompinava un uomo mentre altri due le sbattevano i cazzi sulla faccia. Sulle facce e sui capelli delle tre donne c’era già qualche grossa macchia di sperma. Sulle prime, Francesca pensò che stessero subendo una violenza, ma le espressioni di piacere sui volti delle tre escludevano questa possibilità.
A vedere quella scena Francesca cacciò un urlo. “Ma che schifo!” esclamò. Sorprese, le tre donne interruppero l’orgia e si ricomposero come meglio potevano. Arrivò anche Alberta attirata dal chiasso. “Le ho beccate mentre erano con dei servitori a fare delle schifezze.” Disse Francesca scandalizzata. “Schifezze di che tipo?” chiese Alberta.
“Ma insomma: ci stavamo facendo scopare.” Disse Matilde senza troppi giri di parole. “Adesso sapete che a noi tre piace farci sbattere da gruppi di uomini, e non la smetteremo di certo.”
“Siete proprio delle luride porche.”
“Ma dai, Francesca, non stanno mica facendo niente di male, se a loro piace…” disse Alberta.
“Ahah, hai ragione, però: siamo delle luride porche!” sorrise Alberica. “E il bello è che ci piace esserlo.”
“Mi fate schifo! Siete delle troie!” disse Francesca andandosene stizzita.
Le tre porcelle non badarono troppo agli insulti di Francesca, e la prima cosa che fecero fu tornare dagli uomini per riprendere da dove avevano iniziato. Ad un certo punto, mentre Matilde veniva presa da due uomini, cominciò a urlare: “Oh che bello! Come mi riempiono bene i vostri cazzi! Sono una lurida maiala! Dai sbattetemi i cazzi in faccia! Ora possiamo godere ad alta voce quanto vogliamo, tanto ormai in questo castello sanno tutti che siamo delle gran porche!”
Da quella giornata, infatti, le tre incominciarono a fare le loro porcate senza più nascondersi. Si facevano sbattere ovunque: nelle loro stanze, per i corridoi, sui tavoli delle sale e perfino nel giardino del castello. E intanto godevano rumorosamente, incuranti di chi potesse ascoltare. Inoltre, finite le loro orge, non avevano remore a camminare in giro per il castello con i volti, gli abiti e i capelli sporcati da varie macchie della sborra degli uomini come se nulla fosse, ma anzi quasi indossandole come ornamenti.
Una sera, le tre si stavano facendo un’orgia in una stanzetta. Nel giardino sotto alla stanza si sentivano i gemiti e le urla di piacere. Alberta si sedette su una panca sotto alla finestra e, ascoltando le tre che godevano, si eccitò molto, si alzò la gonna e prese a toccarsi. Arrivò Francesca, che vedendola le disse: “Ma cosa fai? Ti tocchi così come una porca?” E Alberta rispose: “Scusa, ma a sentirle mi sono eccitata.”
Da allora Francesca prese a stare addosso ad Alberta per impedirle di cedere alla tentazione di masturbarsi ancora. Almeno così fu fino a che, una sera, mentre le due ragazze erano assieme, e da una sala poco distante si sentivano i gemiti di piacere delle tre maiale, Alberta incominciò a muovere con forza le gambe. Francesca se ne accorse e le disse di smetterla.
“Scusami, ma sono molto eccitata… Sono un sacco bagnata.” Rispose Alberta, incominciando a massaggiarsi la passera.
“Non toccarti, altrimenti sei una zoccola come loro.” Rispose Francesca perentoria.
Alberta mugugnò dal desiderio e, perso il controllo, prese a toccarsi la figa. Francesca, allora, con la forza le tolse la mano, ripetendole che solo le zoccole si masturbano. Per tutta risposta, Alberta continuava a muovere freneticamente le gambe, una grossa macchia di succhi della sua figa si era formata sul suo vestito, e sospirava con forza.
“Scusami… non posso resistere.” Disse Alberta
“Dai, sì che puoi resistere.” Disse Francesca.
Alberta cercò di contenersi a lungo. Dopo un po’, disse a Francesca semplicemente: “Scusami…” E così dicendo, con un gesto veloce si tolse il vestito, e poi il reggipetto e le mutande, rimanendo completamente nuda davanti all’amica. Si alzò in piedi e andò via di fretta dalla stanza. “Torna qui!” le ordinò Francesca, ma lei non ripose.
Di fretta, Alberta raggiunse la stanza in cui sua sorella Ludovica era impegnata con sei uomini. Con timidezza, Francesca si avvicinò e diede un’occhiata dentro: fu colta dalla visione delle due bellissime gemelle che si scambiavano un intenso bacio con le lingue libere e frenetiche, e si strizzavano a vicenda le tette. Infine, le due vennero circondate da uomini nudi, con i cazzi enormi, duri e bagnati di schiuma. Il volto di Alberta era estasiato alla vista di tutti quei cazzi davanti a lei. Francesca se ne andò sconsolata.
Così, anche Alberta si unì alle sconcerie quotidiane delle amiche. Oramai Francesca era rimasta l’unica donna del castello a non essere una porcella, e non le restava che stare a guardare e ascoltare. Una sera, chiusa nella sua camera, ascoltava le orge delle altre, e intanto diceva: “Che schifo… sono proprio delle troie. Si fanno sbattere da tutti quei cazzi…” Sospirò con forza. “Tutti quei cazzi…” pensò Francesca. Istintivamente si mise una mano tra le gambe e si trovò calda e bagnata, ma poi si tolse il pensiero e si mise a dormire.
Il giorno dopo, Francesca approcciò Matilde e le chiese se potessero almeno fare silenzio quando facevano le loro porcate, ed evitare di girare per il castello imbrattate di quella schifezza, perché lei aveva disgusto a sentirle e vederle così. La contessa trovò una soluzione che avrebbe messo d’accordo tutti: le quattro maiale avrebbero fatto le loro orge soltanto in una torre del castello, che aveva i muri molto spessi, così a Francesca sarebbe bastato stare lontana da questa torre.
E Francesca rimase lontana da quella torre per un po’, fino a che, un paio di giorni dopo, spinta dalla curiosità, non si trovò ad avvicinarsi ad essa, ad ascoltare le urla di piacere e le parole sconce delle amiche. Rimase ad ascoltarle per un bel po’, istintivamente si toccò tra le gambe, trovandosi ancora tutta bagnata. Vergognandosene molto, se ne andò via promettendosi di non tornare più. Il giorno seguente, però, tornò ad ascoltare da dietro alla porta l’orgia delle amiche, e, non riuscendo a resistere, si masturbò fino a provocarsi un orgasmo.
Questo si ripeté molte volte: Francesca si avvicinava alla torre, non resisteva al desiderio di masturbarsi, in seguito se ne vergognava molto. Un giorno, mentre Francesca si stava toccando la passera appoggiata ad un muro, una voce parlò: “Ma guarda un po’! Facevi tanto la brava ragazza, ed eccoti a toccarti mentre ascolti le tue amiche che fanno le maialone.” A parlare era stata Alberica, la bella bionda con la pelle bianco latte era ben vestita e ben truccata, pronta a entrare nella torre con le sue amiche. Francesca si tolse la mano dalla figa e rispose con fermezza: “Ho avuto soltanto un momento di debolezza e non si ripeterà più, io non sono una troia come voi.” Alberica si avvicinò a lei, le prese la mano e disse: “Ma guarda che a essere delle troie non c’è mica nulla di male.”
“Ma insomma… guardate un po’ come vi fate mancare di rispetto dagli uomini.”
“A noi piace così. E poi, non è vero che ci mancano di rispetto, perché se ad un certo punto diciamo basta, basta è. I nostri uomini sono tutti dei bravi ragazzi, fidati.”
“Sì… ma…”
“Facciamo così: almeno una volta prova.”
“Cosa? Provare che cosa?”
“A farti scopare da tanti cazzi insieme a noi.”
“No! Che schifo!”
“Ma prova almeno. Se non ti piace non lo fai più.”
“No no.” Insistette Francesca
Alberica si allontanò e disse: “Va bé, io adesso vado che ho tanti cazzi da godermi. Tu stai pure lì a masturbarti.” E Francesca rispose: “Vai pure a farti scopare da tutti quei cazzi… come una troia…” Poi ripeté, con la voce rotta: “Farti scopare da tutti quei cazzi… come una troia…” E a dire quelle parole sentì le sue cosce pervase da una cascata di caldi liquidi. Sentì la sua passera fremere e, perdendo la sua resistenza, disse: “Va bene, vengo con te.”
Alberica prese Francesca per mano e la portò nella torre. Qui trovarono la contessa e le due gemelle sdraiate a terra, impegnate a leccarsi le fighe in cerchio. Su sei divani e delle sedie erano seduti una ventina di uomini nudi coi cazzi pronti all’azione. “Ragazze, guardate un po’ chi vuole provare a unirsi a noi.” Annunciò Alberica; a vedere Francesca, le tre si limitarono a sorridere. Guardando gli uomini presenti, Francesca ne scelse cinque tra quelli che le piacevano di più.
Anche se imbarazzatissima, si spogliò nuda e si inginocchiò, i cinque la circondarono. Con gli occhi fissi sui loro cazzi, era rimasta imbambolata. “Cosa devo fare?” chiese. “Quello che ti viene voglia di fare.” La consigliò Alberta. Francesca prese uno dei cazzi nella mano, lo coccolò per un po’ con le dita; incominciò a succhiare, dapprima con timidezza, poi sempre mostrando più gusto. Infine, si girò e mostrò le sue grazie agli uomini, e disse: “Avanti.” Quando il primo di essi cominciò a scoparla, il suo cazzò entrò senza alcuna fatica, tanto che la figa di Francesca era aperta e bagnata. Francesca mostrò immediatamente godimento.
Così, tutti e cinque gli uomini la scoparono e finirono per sborrarle sulla faccia e nei capelli. Le altre quattro donne, intanto, osservavano la scena toccandosi. Quando Francesca era sdraiata a terra, soddisfatta e ricoperta di sperma, Matilde le chiese: “Allora, come ti senti?”
“Sento che…” rispose Francesca. “Sento che…” E poi, ad alta voce disse: “Sento che NE VOGLIO ANCORA!” Poi si rivolse agli uomini rimasti e disse: “Avanti, venite qui a sbattervi questa lurida maiala!” Gli uomini la circondarono, Francesca cominciò a baciare, succhiare e leccare i loro cazzi. “Oh che bello! Tanti cazzi tutti per me! Amo il cazzo! Sono una lurida succhiacazzi!” Poi ancora si voltò con le anche all’aria. “Scopatemi e inculatemi! Ho voglia di cazzi, cazzi, cazzi!” Francesca fu presa in doppia da due uomini. Riprese a esternare il suo godimento: “Oh che bello! Due bei cazzoni che mi riempiono! Guardate come sono troia! Sto godendo come una maiala!”
Poi, Francesca chiese improvvisamente di interrompere la sua orgia, e disse: “Non qui! Andiamo fuori, voglio farmi sbattere fuori in giardino. Voglio che tutti mi vedano così, che vedano tutti che razza di troia che sono!” Le quattro amiche risero, e tutti insieme accompagnarono Francesca fuori, col volto ancora sporco di sperma. Nei corridoi incontrarono qualche altro uomo, e molti ridacchiarono vedendo la scena, ma Francesca, ad ogni uomo che incontrava, lo invitava a venire in giardino a unirsi all’orgia folle.
Finì che un gruppo di circa una cinquantina di uomini si era radunato insieme alle cinque donne in giardino. Qui Francesca, ancora una volta si rivolse agli uomini dicendo: “Dai, sbattetemi! Sono una maiala vogliosa di cazzo! Sfondatemi la figa e il culo! Ricopritemi di sborra.” E poi, urlando a pieni polmoni. “SONO UNA LURIDA TROIA E AMO IL CAZZO E LA SBORRA!”
L’orgia cominciò. Le quattro amiche, che fino ad allora avevano solo osservato la scena, si decisero a unirsi a lei. Tutti e quanti gli uomini del castello arrivarono, godendosi fino a tarda sera le cinque porche le cui urla di piacere andavano diffondendosi nell’aria.
Fu proprio in quell’occasione che Matilde sorprese tutti quanti con la richiesta di farsi infilare due cazzi nel culo contemporaneamente; non fu un’impresa facile, anzi lei ne soffrì molto, ma dopo un po’ il dolore si trasformò in visibile piacere. A vederla, anche le altre quattro vollero provare. Per prima ci fu Alberica, la quale incominciò a soffrire molto, a urlare e a piangere, senza che i due cazzi furono entrati, ma quando uno dei due uomini estrasse il cazzo ella rispose: “No! Continuate! Non smettete neanche se urlo e imploro di smetterla, non andiamo via da qui finché non sono entrati!” E per l’ora che seguì non fece che strillare in preda al dolore, dicendo che aveva cambiato idea, ma gli uomini non la ascoltarono, anzi continuarono a fare forza, anche incitati dalle altre quattro. Finalmente, anche Alberica cominciò a godere come una vera maiala. Fu poi il turno di Francesca, la giovane mora, che era partita come una ragazza timida e morigerata, quando iniziò a godere della doppia penetrazione fu quella che più di tutte parlava in modo sboccato, dicendo frasi del tipo: “Sì rompetemi il buco del culo! Mi fa male ma godo! Sono una lurida troia col culo sfondato! Sono un buco per cazzi!” Dopo di lei fu infine il turno di Alberta e Ludovica; le due gemelle richiesero di subire quel trattamento contemporaneamente. Si posizionarono a gattoni in modo da avere i volti l’uno davanti all’altro, così da potersi guardare intensamente negli occhi, all’inizio coi volti eccitati e trepidanti, poi in preda al dolore e infine al piacere.
La notte passò tra innumerevoli orgasmi. Spossate, le cinque zozzone si addormentarono proprio lì, sull’erba del giardino. Si svegliarono al mattino e, ridendo, videro in che condizione erano: puzzavano terribilmente di sperma e di sudore, i capelli erano delle croste solide, il trucco che si era completamente sfatto, gli abiti sporchissimi erano strappati. Le loro fighe e i loro culi erano ancora doloranti dalla sera prima. Ma tutte erano felici e rilassate, e si coccolarono a lungo lì per terra. Finalmente si alzarono e si fecero preparare una grossa vasca da bagno, dove tutte insieme si lavarono per poi rivestirsi e riprendere il loro aspetto di austere nobildonne.
Mentre facevano colazione, Matilde chiese l’attenzione delle amiche e cominciò a parlare: “Carissime, non avete idea di quanto io sia felice che sia successo quello che è successo. Rendetevi conto di cosa vuol dire: vuol dire che da ora in poi non ci saranno più vergogne e ipocrisie, ma soltanto piacere. Per questo, ho pensato che la cosa andrebbe debitamente inaugurata con una grande festa.” Le altre furono assolutamente d’accordo. Si accordarono che per una settimana intera si sarebbero astenute dal farsi scopare, così da essere più scatenate per la festa. Alberica parlò alle amiche: “E a questo proposito, io avrei pensato di farvi una sorpresa per allora. Però dovete darmi tutti i vostri vestiti.”
Non sapendo cosa aspettarsi, le amiche le diedero i loro vestiti. Li raccolsero tutti in un baule nella stanza di Alberica, rimanendo tutte completamente nude. E completamente nude passarono la settimana seguente. Gli uomini del castello le guardavano famelici, ma loro rifiutavano tutte le avances. Le donne si calmavano i bollori di tanto in tanto con qualche leccata, ma nulla di più.
Finalmente, il gran giorno arrivò. La mattina, Alberica invitò le amiche nella sua stanza, e mostrò loro cosa aveva preparato. Aprì il baule e le ragazze videro che tutti i loro abiti avevano subito delle modifiche: erano stati tagliati e stretti, così da essere estremamente succinti e provocanti. Tutte si complimentarono col bel lavoro che Alberica aveva fatto. Di biancheria intima, infine, non ce n’era neanche l’ombra, Alberica l’aveva fatta donare tutta ai poveri.
Le donne si vestirono con gli abiti che preferivano.
Matilde indossò un abito rosso e giallo, molto corto e molto stretto, tanto che le sue grosse tette fuoriuscivano dal decolté, raccolse i capelli biondi in alto e indossò una coroncina d’oro.
Alberica indossò un abito bianco e azzurro, simile al colore dei suoi occhi, molto stretto che faceva risaltare le sue forme, uno dei due seni era completamente nudo; lasciò liberi i suoi lunghissimi capelli biondi.
Alberta e Ludovica si vestirono in modo da essere indistinguibili, con due abitini verdi e gialli, con delle calze lunghe tenute su da reggicalze, e i loro capelli rossi erano conciati in una lunga treccia.
Francesca prese un abito bianco, relativamente lungo, ma trasparente abbastanza perché il suo corpo si vedesse, e raccolse i suoi capelli neri con una coroncina argentea.
Così ben vestite si guardarono agli specchi, e fu una visione sublime: estremamente eleganti e raffinate, e allo stesso tempo estremamente eccitanti e lascive. Si radunarono tutti nella sala principale del castello; attorno alle cinque donne c’era ogni singolo maschio presente in quel castello. Le donne erano trepidanti, le loro fighe erano inzuppate, infuocate e palpitanti, tanto che nell’aria se ne diffondeva l’odore. I maschi non erano da meno: i loro pantaloni erano tutti visibilmente rigonfi, quasi stessero per scoppiare.
Per prima cosa, Matilde si inginocchiò davanti a una ventina di uomini. Siccome era stata lei a fare tirare fuori alle altre il loro lato di porche, tutte concordarono che era giusto che fosse lei ad aprire le danze di quella sconcia giornata. Gli uomini davanti a Matilde estrassero i loro cazzi, che svettarono enormi e duri, e bagnati di schiuma; la contessa si sentì pervasa da un intensissimo odore di cazzo e, perdendo completamente il senno e lasciandosi andare alla voglia, aprì le gambe e disse semplicemente: “Prendetemi!”
Per le due ore successive fu presa in tutti i modi, i cazzi che le entravano e uscivano in tutti i buchi. Le sue amiche intanto osservavano ammirate. Ad un certo punto, quando il volto di Matilde era completamente ricoperto, le quattro si avvicinarono a lei, e la ripulirono completamente con le loro lingue.
Finalmente, la festa vera e propria e iniziò, e anche le altre furono prese da tutti gli uomini presenti. Per tutta la giornata fu un susseguirsi di cazzi nelle fighe, cazzi nei culi e cazzi nelle bocche. Urla di piacere continuavano a riecheggiare, interrotte solo dalle parole delle donne che incitavano i loro maschi, oppure si appellavano a vicenda con nomi che altre donne avrebbero considerato degradanti, ma che per loro altro non erano che motivo di orgoglio. Man mano che l’orgia si consumava, copiosi schizzi di sborra ricoprivano le ragazze in ogni angolo del corpo, e inzuppavano i loro capelli e i loro abiti; l’odore di quel succo dei cazzi, che per le cinque donne era diventato così prelibato, riempiva intensamente l’aria della sala. Quando scese la notte le porcelle e i loro scopatori avevano ormai perso il conto degli orgasmi.
Così, oramai distrutte, si ritirarono tutte in un letto, grande abbastanza per contenerle tutte e cinque. Non persero tempo a lavarsi, andarono a dormire conciate com’erano dopo l’orgia folle, sporcando le lenzuola. Tutte e cinque erano esauste, ma erano felici: felici di essere diventate delle grandissime porche, e felici di sapere che, da quel giorno in poi, per i molti mesi seguenti, ci sarebbero state tante altre occasioni di godere immensamente.
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