Il mio patrigno
di
Andrea Sada
genere
gay
Tutte le notti, da recente e innamoratissima coppia quali erano, sentivo distintamente mia madre fare sesso con il suo nuovo compagno appena oltre la parete che divideva le sue stanze: lei guaiva come non le avevo mai sentito fare in vita mia, lui invece la scopava forte e riusciva a durare quanto soltanto i bravi amanti sanno fare. Credendo che dormissi, aspettavano le ore più tarde per fare l'amore; tuttavia, dopo la prima volta che li scoprii, l'eccitazione non fece che tenermi sveglio ogni sera finché, nudo e con il pene tanto duro da farmi male, origliavo per unirmi segretamente a loro e raggiungere tutti insieme l'orgasmo. Ciò durò finché non giunse quell'estate, che fu tanto calda da annientare il limite della mia resistenza e spingermi a osare ciò che fino ad allora non aveva mai osato: non fare sesso con loro, non era mia madre a eccitarmi, bensì sedurre il mio patrigno. Attesi dunque con pazienza il giorno in cui lei, costretta a lavorare anche durante le ferie, dovette lasciarci da soli a casa.
Quel giorno, per paura di venire rifiutato, mi preparai con attenzione lavandomi e depilandomi nel tentativo di acquisire l'aspetto più efebico possibile, quando perciò entrai in cucina, dove mio padre appena sveglio stava facendo colazione, profumavo di fiori e gran parte del mio corpo era in bella vista: una lama a doppio taglio che quasi mi si rivoltò contro quando, alla vista del mio patrigno in boxer e nient'altro, quasi mi venni nel corto e attillato pantaloncino che indossavo senza slip. Era seduto sulla sua solita sedia a guardare tranquillo la tv: aveva un corpo forte e dotato di braccio due o tre volte più grosse delle mie, era almeno trenta centimetri più alto di me, ed era massiccio come chi ha dovuto lavorare con i muscoli per tutta la sua vita. La sua pelle era brunita dal sole e un folto pelo nero la ricopriva, benché sul viso avesse soltanto una rada barba. Rispetto a me, al cui confronto parevo per davvero una ragazzina, era un vero uomo. Nonostante la mia eccitazione, però, esitai. Indeciso su cosa avrei dovuto esattamente fare, tremando per la tensione, quasi rinunciai; quand'ecco che fu lui a venirmi in aiuto con una domanda.
«Sai, mi chiedevo se avessi una ragazza. Non ti vedo mai con qualcuna, anche se sei in quell'età».
Cercando di non far notare l'erezione che metteva in evidenza quasi totalmente il mio pene attraverso il finissimo tessuto del mio pantaloncino, mi sedetti accanto a lui e risposi.
«No, non ce l'ho. Per me è un po' difficile».
«E che c'è di difficile» replicò lui. paterno come al solito. «Facciamo così: una sera usciamo e ti faccio rompere il ghiaccio con una ragazza. Magari non ci finirai a letto, ma così ti passa la paura».
Era sempre così, gentile e amichevole. L'eccitazione di colpo superò qualsiasi mia paura, non resistetti più e mi buttai: spostai la sedia fino ad avere la mia piccola coscia liscia e bianca contro la sua, grossa, pelosa e abbronzata e gli dissi sorridendo:
«Grazie, ma no, non è quello il problema».
Delicatamente gli misi una mano tra le gambe, proprio sui testicoli, e con le unghie gli grattai tutta la lunghezza del pene fino alla punta. E solo allora mi resi conto di quanto fosse grosso, senza neanche che avesse un'erezione: la saliva nella mia bocca aumentò d'improvviso. Subito, il mio patrigno si spostò colto di sorpresa, ma non mi sfuggì che il mio gesto aveva provocato una reazione; tuttavia, fui io il primo ad alzarmi per allontanarmi ad aprire il frigo. Piegandomi, comunque, mi assicurai che il mio sedere fosse proprio davanti ai suoi occhi.
«Nel senso che sei gay?» chiese lui.
«Già. Ma mamma non lo sa, quindi per ora tienitelo per te».
«Forse dovresti dirglielo…»
Mi voltai per guardarlo arrabbiato: era un po' stupito, ma evidentemente si era anche eccitato. Quando passai gli occhi su quel che nascondevano i suoi boxer, lui se ne rese conto e distolse lo sguardo, ma solo per attimo. Eccitato come non lo ero dalla prima notte in cui avevo sentito quell'uomo fare l'amore con mia madre, mi avvicinai a lui e mi sedetti sulle sue ginocchia per abbracciarlo, come facevo spesso prima che mi confessassi così, venendo subito avvolto da un odore di fresco tipico di chi è appena uscito dalla doccia. Feci in modo di far aderire tutto il mio corpo sul suo, poiché volevo anche sentire sulla pelle la durezza di quell'asta enorme che si stava ingrossando nei suoi boxer. Se avesse voluto, avrebbe potuto scacciarmi, ma non lo fece; anzi, lanciò distintamente uno sguardo al mio pene eccitato e trattenuto appena dal pantaloncino. E perciò, per la seconda volta, quasi venni, lì tra le sue braccia.
«Ti darò una buona ragione per non dirglielo» gli dissi io, iniziando ad accarezzargli delicatamente l'erezione.
«N-no, ti prego…» balbettò lui burberamente.
Tuttavia, per impedirgli di continuare, d'improvviso cambiai posizione: rimasi comunque sulle sue ginocchia, ma feci in modo che i nostri peni eretti fossero a contatto; ciò che li separava, adesso, erano soltanto due pezzi di cotone quasi inesistenti. Cominciai a muovere il bacino lentamente in modo da misurare tutta la sua asta con la mia e delicatamente strofinare le due punta l'una con l'altra, solo di tanto in tanto mi permettevo un movimento più violento. Ansimando per l'eccitazione, avvicinai la mia bocca alla sua.
«No, questo no» si lamentò lui distogliendo il viso, ma io avevo già una risposta pronta.
«Per favore, chiudi gli occhi e immagina che sia la mamma».
La reazione di lui non fu immediata, ma avvenne: eseguì la richiesta e si rilassò godendosi la sensazione delle nostre lingue che si agitavano scopandosi l'una tra le labbra dell'altro, mentre il suo cazzo iniziava a pulsare assieme al mio per aver raggiunto la sua massima erezione; tuttavia, le sue mani rimasero afferrate ben salde alla sedia per tutti i lunghi minuti in cui continuai a strofinarmi. Non mi toccò, ma neanche mi fermò, fui piuttosto io a doverlo fare: ero sull'orlo dell'orgasmo, e volevo far durare ancora quell'occasione d'oro.
«Vieni, alzati» gli chiesi gentilmente io scendendo dalle sue ginocchia e, senza dire una parola, fece come gli chiedevo.
Allora, mi tolsi la maglietta e mi voltai, mettendo le mani sul tavolo che stava lì vicino. Allungando verso di lui il sedere, feci in modo che il suo pene aderisse comodamente tra le mie natiche e riiniziai a muovermi accompagnando gentilmente le sue mani sul mio corpo. Il mio patrigno cominciò ad ansimare pesantemente e presto le mie mani non dovettero più indicargli dove toccare: stuzzicava i miei capezzoli, voltava il mio viso per baciarmi ancora e accarezzava ogni parte del mio corpo, continuando a muovere il suo bacino. Io ero ormai ero pronto a godere e, poggiando la mia schiena glabra sul suo petto villoso, gli portai le mani giù in basso dentro i miei pantaloncini. Continuando a succhiare le sue labbra, gli permisi di tirare fuori il io pene e, mentre la sua sinistra lo stringeva alla base stuzzicando anche i miei testicoli, la destra mi masturbò con rudezza.
Le sue mani erano dure, callose, grandi e calde. Mi lasciai dominare dai respiri potenti che precedevano l'orgasmo e venni, schizzando tre lunghi fiotti di sperma sulla tavola che stava davanti a noi.
«Ne voglio ancora» mugugnai mentre lui continuava a baciarmi ad occhi chiusi, ma sempre più eccitato.
Il mio patrigno non rispose, non era tipo di molte parole; cominciò invece a spingere giù il mio pantaloncino, che immediatamente io feci sparire, e mi spinse con gentilezza a mettermi in ginocchio. Quando fui ai suoi piedi, dove potevo sentire l'odore del suo pene eccitato a un centimetro dal mio naso, si tolse i boxer rimanendo anche lui completamente nudo e poggiò il suo meraviglioso pene sul mio viso: era indubbiamente lungo, ma era soprattutto spesso, e io già lo amavo. Godendosi per qualche attimo gli ansimi caldi con cui lo inondavo, attese che fossi io a prendere l'iniziativa. Non esitai: baciandogli i testicoli e leccandogli l'asta, presi in bocca la punta e iniziai a roteare la lingua intorno ad essa.
Ben presto, però, l'eccitazione di lui prese il sopravvento e afferrò saldamente la mia testa per guidare quel pompino, rivelando per qualche attimo il suo modo di fare l'amore duro e rude, qualcosa che me lo fece di nuovo rizzare, ancora unto di seme com'era. Quando rallentò, gli afferrai le natiche e gli indicai spingendole verso la mia bocca di non farlo. Mentre passavo le mie mani sul suo corpo massiccio e muscoloso, infilando le dita nel suo pelo nero, i suoi movimenti divennero presto sempre più veloci e i suoi respiri più forti. Passai anche un dito sul suo ano, eccitandolo ancora di più.
«La tua bocca è così calda...» sospirò solo lui prima di inondarmi la bocca di sperma, gemendo e piegandosi in un lungo orgasmo, mentre stringeva convulsamente i miei capelli e il mio viso.
Dopo che io ebbi ingoiato leccandomi le labbra tutto quel gustoso nettare che attendevo di assaggiare da così tanto tempo, il mio patrigno si sedette di nuovo sulla sedia che aveva occupato fino a un momento prima, e io, ancora in ginocchio, mi impegnai premurosamente a pulire con la bocca, e baciandola, tutta la sua asta ancora unta di saliva mista a seme, finché non fu completamente lucida e pulita. Intanto, la mia testa veniva accarezzata gentilmente.
«Non so che dire…» fece lui riaprendo gli occhi e guardandomi.
«Pensaci dopo avermi scopato» risposi io alzandomi e voltandomi affinché potesse vedere il mio sederino glabro e tutto suo.
«Sì» esclamò infine, dopo un lungo minuto di pensierosa attesa, il mio patrigno, alzandosi e prendendomi in braccio. «Capirò tutto meglio dopo che mi sarò svuotato completamente dentro di te».
Tra le sue grandi braccia, come si fa con le spose oltre l'uscio di casa, mi portò in camera di mia madre, lì dove avevo sempre desiderato di venire posseduto da lui, e mi lanciò tra le coperta. Mentre mi metteva il pene sul viso affinché io lo facessi tornare duro con la mia bocca, allungò una mano per cercare qualcosa nel cassetto del comodino, e quando la trovò, subito mi voltò. Io non esitai, anzi allargai con due dita il mio ano affinché gli fosse più facile ricoprirlo di gel e giocarci, finché non fosse stato ben lubrificato; quindi punto la punta della sua grossa asta di nuovo eretta e pulsante, e spinse finché non mi riempì completamente, emettendo infine un sospiro di soddisfazione.
Gemetti come non avevo mai gemuto mentre mi scopava prima schiacciandomi sul letto, poi quando mi prese a pecorina. Tuttavia, non era ancora esattamente come l'avevo immaginato perciò, voltando appena il viso, lo guardai e dissi:
«Da quanto abiti qui, vi ho sentito ogni notte e ho sempre desiderato che facessi godere anche me come fai godere la mamma».
«Io la amo… e voglio bene anche a te» confessò lui sudando e continuando a sbattermi come fosse una macchina a vapore.
«Perciò» replicai immediatamente io tra i gemiti, «da oggi sarò il tuo amante: se lei per qualche ragione non vorrà o non potrà fare sesso con te, ci penserò io. Potrai scoparmi quanto vuoi».
A quelle parole quell'uomo dalla pelle brunita e villosa, si decise di lasciarsi andare e finalmente mi prese con la stessa rudezza con cui faceva sesso: mi voltò senza estrarre il pene da me; quando fummo faccia a faccia, mi mise la lingua in bocca e mi baciò come volesse scoparmi anche le labbra; afferrò le mie natiche e continuò a penetrare il mio ano con impeto e desiderio. Forse aveva finalmente iniziato a prenderci gusto con il corpo di un ragazzo, forse si era eccitato perché guaivo quasi come mia madre, di certo sentii distintamente la sua già enorme asta ingrossarsi ancor di più dentro di me.
«Sto per venire!» mi avvertì lui mentre tutti i suoi muscoli si tendevano all'unisono muovendosi più velocemente.
«Anch'io» ribattei io, in paradiso. «Vienimi dentro, ti prego!»
Gememmo insieme, ma lui lo urlò molto più forte. Tre enormi fiotti di caldo sperma mi inondarono lo stomaco mentre le mie natiche venivano stritolate e lui spingeva il pene così a fondo dentro di me che pareva volesse farlo arrivare fino alla gola; e nello stesso momento io riempii di seme il suo petto villoso, come avevo sognato di fare fin dalla prima volta che lo vidi senza maglietta.
Ci stendemmo infine uno di fianco all'altro e rimanemmo a goderci, sudati e ansimanti, i nostri reciproci orgasmi, finché non ci fosse venuta la voglia di riiniziare.
Da quel giorno, per rafforzare il nostro rapporto patrigno-figliastro, noi due ci dilettiamo a passare di tanto intanto del tempo da soli, senza la mamma.
Quel giorno, per paura di venire rifiutato, mi preparai con attenzione lavandomi e depilandomi nel tentativo di acquisire l'aspetto più efebico possibile, quando perciò entrai in cucina, dove mio padre appena sveglio stava facendo colazione, profumavo di fiori e gran parte del mio corpo era in bella vista: una lama a doppio taglio che quasi mi si rivoltò contro quando, alla vista del mio patrigno in boxer e nient'altro, quasi mi venni nel corto e attillato pantaloncino che indossavo senza slip. Era seduto sulla sua solita sedia a guardare tranquillo la tv: aveva un corpo forte e dotato di braccio due o tre volte più grosse delle mie, era almeno trenta centimetri più alto di me, ed era massiccio come chi ha dovuto lavorare con i muscoli per tutta la sua vita. La sua pelle era brunita dal sole e un folto pelo nero la ricopriva, benché sul viso avesse soltanto una rada barba. Rispetto a me, al cui confronto parevo per davvero una ragazzina, era un vero uomo. Nonostante la mia eccitazione, però, esitai. Indeciso su cosa avrei dovuto esattamente fare, tremando per la tensione, quasi rinunciai; quand'ecco che fu lui a venirmi in aiuto con una domanda.
«Sai, mi chiedevo se avessi una ragazza. Non ti vedo mai con qualcuna, anche se sei in quell'età».
Cercando di non far notare l'erezione che metteva in evidenza quasi totalmente il mio pene attraverso il finissimo tessuto del mio pantaloncino, mi sedetti accanto a lui e risposi.
«No, non ce l'ho. Per me è un po' difficile».
«E che c'è di difficile» replicò lui. paterno come al solito. «Facciamo così: una sera usciamo e ti faccio rompere il ghiaccio con una ragazza. Magari non ci finirai a letto, ma così ti passa la paura».
Era sempre così, gentile e amichevole. L'eccitazione di colpo superò qualsiasi mia paura, non resistetti più e mi buttai: spostai la sedia fino ad avere la mia piccola coscia liscia e bianca contro la sua, grossa, pelosa e abbronzata e gli dissi sorridendo:
«Grazie, ma no, non è quello il problema».
Delicatamente gli misi una mano tra le gambe, proprio sui testicoli, e con le unghie gli grattai tutta la lunghezza del pene fino alla punta. E solo allora mi resi conto di quanto fosse grosso, senza neanche che avesse un'erezione: la saliva nella mia bocca aumentò d'improvviso. Subito, il mio patrigno si spostò colto di sorpresa, ma non mi sfuggì che il mio gesto aveva provocato una reazione; tuttavia, fui io il primo ad alzarmi per allontanarmi ad aprire il frigo. Piegandomi, comunque, mi assicurai che il mio sedere fosse proprio davanti ai suoi occhi.
«Nel senso che sei gay?» chiese lui.
«Già. Ma mamma non lo sa, quindi per ora tienitelo per te».
«Forse dovresti dirglielo…»
Mi voltai per guardarlo arrabbiato: era un po' stupito, ma evidentemente si era anche eccitato. Quando passai gli occhi su quel che nascondevano i suoi boxer, lui se ne rese conto e distolse lo sguardo, ma solo per attimo. Eccitato come non lo ero dalla prima notte in cui avevo sentito quell'uomo fare l'amore con mia madre, mi avvicinai a lui e mi sedetti sulle sue ginocchia per abbracciarlo, come facevo spesso prima che mi confessassi così, venendo subito avvolto da un odore di fresco tipico di chi è appena uscito dalla doccia. Feci in modo di far aderire tutto il mio corpo sul suo, poiché volevo anche sentire sulla pelle la durezza di quell'asta enorme che si stava ingrossando nei suoi boxer. Se avesse voluto, avrebbe potuto scacciarmi, ma non lo fece; anzi, lanciò distintamente uno sguardo al mio pene eccitato e trattenuto appena dal pantaloncino. E perciò, per la seconda volta, quasi venni, lì tra le sue braccia.
«Ti darò una buona ragione per non dirglielo» gli dissi io, iniziando ad accarezzargli delicatamente l'erezione.
«N-no, ti prego…» balbettò lui burberamente.
Tuttavia, per impedirgli di continuare, d'improvviso cambiai posizione: rimasi comunque sulle sue ginocchia, ma feci in modo che i nostri peni eretti fossero a contatto; ciò che li separava, adesso, erano soltanto due pezzi di cotone quasi inesistenti. Cominciai a muovere il bacino lentamente in modo da misurare tutta la sua asta con la mia e delicatamente strofinare le due punta l'una con l'altra, solo di tanto in tanto mi permettevo un movimento più violento. Ansimando per l'eccitazione, avvicinai la mia bocca alla sua.
«No, questo no» si lamentò lui distogliendo il viso, ma io avevo già una risposta pronta.
«Per favore, chiudi gli occhi e immagina che sia la mamma».
La reazione di lui non fu immediata, ma avvenne: eseguì la richiesta e si rilassò godendosi la sensazione delle nostre lingue che si agitavano scopandosi l'una tra le labbra dell'altro, mentre il suo cazzo iniziava a pulsare assieme al mio per aver raggiunto la sua massima erezione; tuttavia, le sue mani rimasero afferrate ben salde alla sedia per tutti i lunghi minuti in cui continuai a strofinarmi. Non mi toccò, ma neanche mi fermò, fui piuttosto io a doverlo fare: ero sull'orlo dell'orgasmo, e volevo far durare ancora quell'occasione d'oro.
«Vieni, alzati» gli chiesi gentilmente io scendendo dalle sue ginocchia e, senza dire una parola, fece come gli chiedevo.
Allora, mi tolsi la maglietta e mi voltai, mettendo le mani sul tavolo che stava lì vicino. Allungando verso di lui il sedere, feci in modo che il suo pene aderisse comodamente tra le mie natiche e riiniziai a muovermi accompagnando gentilmente le sue mani sul mio corpo. Il mio patrigno cominciò ad ansimare pesantemente e presto le mie mani non dovettero più indicargli dove toccare: stuzzicava i miei capezzoli, voltava il mio viso per baciarmi ancora e accarezzava ogni parte del mio corpo, continuando a muovere il suo bacino. Io ero ormai ero pronto a godere e, poggiando la mia schiena glabra sul suo petto villoso, gli portai le mani giù in basso dentro i miei pantaloncini. Continuando a succhiare le sue labbra, gli permisi di tirare fuori il io pene e, mentre la sua sinistra lo stringeva alla base stuzzicando anche i miei testicoli, la destra mi masturbò con rudezza.
Le sue mani erano dure, callose, grandi e calde. Mi lasciai dominare dai respiri potenti che precedevano l'orgasmo e venni, schizzando tre lunghi fiotti di sperma sulla tavola che stava davanti a noi.
«Ne voglio ancora» mugugnai mentre lui continuava a baciarmi ad occhi chiusi, ma sempre più eccitato.
Il mio patrigno non rispose, non era tipo di molte parole; cominciò invece a spingere giù il mio pantaloncino, che immediatamente io feci sparire, e mi spinse con gentilezza a mettermi in ginocchio. Quando fui ai suoi piedi, dove potevo sentire l'odore del suo pene eccitato a un centimetro dal mio naso, si tolse i boxer rimanendo anche lui completamente nudo e poggiò il suo meraviglioso pene sul mio viso: era indubbiamente lungo, ma era soprattutto spesso, e io già lo amavo. Godendosi per qualche attimo gli ansimi caldi con cui lo inondavo, attese che fossi io a prendere l'iniziativa. Non esitai: baciandogli i testicoli e leccandogli l'asta, presi in bocca la punta e iniziai a roteare la lingua intorno ad essa.
Ben presto, però, l'eccitazione di lui prese il sopravvento e afferrò saldamente la mia testa per guidare quel pompino, rivelando per qualche attimo il suo modo di fare l'amore duro e rude, qualcosa che me lo fece di nuovo rizzare, ancora unto di seme com'era. Quando rallentò, gli afferrai le natiche e gli indicai spingendole verso la mia bocca di non farlo. Mentre passavo le mie mani sul suo corpo massiccio e muscoloso, infilando le dita nel suo pelo nero, i suoi movimenti divennero presto sempre più veloci e i suoi respiri più forti. Passai anche un dito sul suo ano, eccitandolo ancora di più.
«La tua bocca è così calda...» sospirò solo lui prima di inondarmi la bocca di sperma, gemendo e piegandosi in un lungo orgasmo, mentre stringeva convulsamente i miei capelli e il mio viso.
Dopo che io ebbi ingoiato leccandomi le labbra tutto quel gustoso nettare che attendevo di assaggiare da così tanto tempo, il mio patrigno si sedette di nuovo sulla sedia che aveva occupato fino a un momento prima, e io, ancora in ginocchio, mi impegnai premurosamente a pulire con la bocca, e baciandola, tutta la sua asta ancora unta di saliva mista a seme, finché non fu completamente lucida e pulita. Intanto, la mia testa veniva accarezzata gentilmente.
«Non so che dire…» fece lui riaprendo gli occhi e guardandomi.
«Pensaci dopo avermi scopato» risposi io alzandomi e voltandomi affinché potesse vedere il mio sederino glabro e tutto suo.
«Sì» esclamò infine, dopo un lungo minuto di pensierosa attesa, il mio patrigno, alzandosi e prendendomi in braccio. «Capirò tutto meglio dopo che mi sarò svuotato completamente dentro di te».
Tra le sue grandi braccia, come si fa con le spose oltre l'uscio di casa, mi portò in camera di mia madre, lì dove avevo sempre desiderato di venire posseduto da lui, e mi lanciò tra le coperta. Mentre mi metteva il pene sul viso affinché io lo facessi tornare duro con la mia bocca, allungò una mano per cercare qualcosa nel cassetto del comodino, e quando la trovò, subito mi voltò. Io non esitai, anzi allargai con due dita il mio ano affinché gli fosse più facile ricoprirlo di gel e giocarci, finché non fosse stato ben lubrificato; quindi punto la punta della sua grossa asta di nuovo eretta e pulsante, e spinse finché non mi riempì completamente, emettendo infine un sospiro di soddisfazione.
Gemetti come non avevo mai gemuto mentre mi scopava prima schiacciandomi sul letto, poi quando mi prese a pecorina. Tuttavia, non era ancora esattamente come l'avevo immaginato perciò, voltando appena il viso, lo guardai e dissi:
«Da quanto abiti qui, vi ho sentito ogni notte e ho sempre desiderato che facessi godere anche me come fai godere la mamma».
«Io la amo… e voglio bene anche a te» confessò lui sudando e continuando a sbattermi come fosse una macchina a vapore.
«Perciò» replicai immediatamente io tra i gemiti, «da oggi sarò il tuo amante: se lei per qualche ragione non vorrà o non potrà fare sesso con te, ci penserò io. Potrai scoparmi quanto vuoi».
A quelle parole quell'uomo dalla pelle brunita e villosa, si decise di lasciarsi andare e finalmente mi prese con la stessa rudezza con cui faceva sesso: mi voltò senza estrarre il pene da me; quando fummo faccia a faccia, mi mise la lingua in bocca e mi baciò come volesse scoparmi anche le labbra; afferrò le mie natiche e continuò a penetrare il mio ano con impeto e desiderio. Forse aveva finalmente iniziato a prenderci gusto con il corpo di un ragazzo, forse si era eccitato perché guaivo quasi come mia madre, di certo sentii distintamente la sua già enorme asta ingrossarsi ancor di più dentro di me.
«Sto per venire!» mi avvertì lui mentre tutti i suoi muscoli si tendevano all'unisono muovendosi più velocemente.
«Anch'io» ribattei io, in paradiso. «Vienimi dentro, ti prego!»
Gememmo insieme, ma lui lo urlò molto più forte. Tre enormi fiotti di caldo sperma mi inondarono lo stomaco mentre le mie natiche venivano stritolate e lui spingeva il pene così a fondo dentro di me che pareva volesse farlo arrivare fino alla gola; e nello stesso momento io riempii di seme il suo petto villoso, come avevo sognato di fare fin dalla prima volta che lo vidi senza maglietta.
Ci stendemmo infine uno di fianco all'altro e rimanemmo a goderci, sudati e ansimanti, i nostri reciproci orgasmi, finché non ci fosse venuta la voglia di riiniziare.
Da quel giorno, per rafforzare il nostro rapporto patrigno-figliastro, noi due ci dilettiamo a passare di tanto intanto del tempo da soli, senza la mamma.
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