Il medico

di
genere
etero

Mi chiamo Giovanna e sono cresciuta facendo avanti e indietro dal medico; ma non c'è nulla di cui preoccuparsi, ho solo un piccolo problema con la mia pelle – non è importante sapere quale sia – che la mia pediatra prima e la mia dermatologa in seguito, mi avevano ordinato di far loro tenere sotto controllo costantemente. Generalmente, l'esame, che sono costretta a fare ogni sei mesi, non aveva nulla di particolarmente fastidioso, era bensì lungo e noioso: consisteva che io mi stendessi sul lettino e la dottoressa osservasse numerose parti della mia pelle con una lente d'ingrandimento per dermatologi allo scopo di assicurarsi che non ci fossero stati cambiamenti. Tuttavia, la visita di controllo era prenotata per quel semestre automaticamente durante le ferie della mia dottoressa, perciò mia madre chiamò l'ambulatorio per chiedere chiarimenti e capire quale fossero le opzioni. Mettendo una mano sullo smartphone durante la telefonata, mi spiegò che le possibilità erano due: o aspettavo il ritorno della dottoressa o andavo dalla sostituta. Dal momento che, quando lei sarebbe tornata dalle ferie, in vacanza ci sarei dovuta andare io, optai per la seconda senza neanche pensarci troppo e la mamma, anche lei occupata in altre cose, prese in fretta le nuove informazioni e chiuse. Ascoltando appena i dettagli, io segnai un cognome e un giorno sbuffando per quel fastidio.
Arrivati all'ambulatorio e raggiunta la stanza indicataci, ci sedemmo davanti a una porta uguale ad altre decine e attendemmo; per fortuna, non essendoci altri prima di noi, quando la porta si aprì per far uscire una simpatica vecchina, giunse subito il mio turno e mi alzai per entrare con una certa fretta. Quando fui nell'ambulatorio, salutata appena mia madre, che ricambiò appena occupata com'era con il suo smartphone, mi chiusi rapidamente la porta alle spalle, ormai pratica di quella routine noiosa. Se non che, voltandomi e lanciando uno sguardo alla scrivania, in piedi vicino ad essa non vidi una dottoressa, ma un dottore. Un dottore molto bello: alto, capelli castani appena brizzolati, occhi verdi nascosti dietro un paio di occhiali eleganti su un fisico per niente simile a quello dei sedentari medici che aveva visto finora. Sinceramente, sperai di avergli fatto un altrettanto bella impressione con i miei capelli castani a caschetto, gli occhi nocciola e il corpo alto e magro che avevo mantenuto in forma con il nuoto, ma dotato di una modesta seconda.
«Giovanna, vero? Controllo semestrale» disse lui con voce forte ed educata, alzando gli occhi da una cartella clinica. «Stenditi sul lettino e finiremo in men che non si dica».
Se sul posto mi avessero tirato una secchiata d'acqua, sarei rimasta meno allibita di quanto rimasi in quel momento. Il cuore cominciò a battermi forte nel petto e l'imbarazzo si palesò sul mio viso arrossandomi le guance. Balbettai prima di riuscire a parlare.
«Aspetti, ma lei è un dottore, non una dottoressa».
«Così pare» scherzò lui battendo il dito sul suo cartellino. «Non si è accorta che lo ero mentre prenotava la visita?»
«Lo ha fatto mia madre» sospirai io fulminando la porta.
«Ah, capisco» replicò il medico, serio e professionale, abbassando gli occhi sulla sua agenda. «Se questo ti crea imbarazzo, non ho problemi a prenderti un appuntamento con qualcun altro. E stavolta mi assicurerò io stesso che sia una donna».
Sospirai e, lasciandomi cadere su una sedia, mi misi a pensare ai pro e ai contro: rimandare voleva dire aver fatto un viaggio inutile, dover ritornare ancora una volta e rischiare di incasinare i miei programmi; restare, invece, significava farsi esaminare con molta attenzione e toccare praticamente ovunque da un uomo con una quindicina d'anni più di me. Non che fossi imbarazzata per motivi astratti, ma nei giorni di visita indossavo dei capi d'abbigliamento che mi facilitassero il più possibile le operazioni di controllo: una maglietta scura e abbastanza spessa per non far notare l'assenza del reggiseno, una gonna lunga fino al ginocchio a nascondere un perizoma e delle ballerine ai piedi. Diciamo che non era proprio la mise che avrei messo per un appuntamento.
«Allora?» mi chiese ancora il gentile dottore vedendomi indecisa.
Aprii la bocca per rispondere un paio di volte, ma balbettai soltanto; almeno finché non notai che nella mia testa i contro stavano diventando incredibilmente piccoli e irrilevanti: non è che non fossi mai stata toccata da un uomo, e volevo soltanto far quello che doveva fare il più in fretta possibile.
«No, va bene lei» dissi allora io alzando una mano. «Non ho proprio voglia di tornare di nuovo».
«Ok» rispose lui sorridendomi e indicandomi il lettino.
La visita in genere si svolse come al solito. Mentre il dottore andava al carrellino per prendere le sue cose, io mi diressi al lettino e, afferrata da due lembi, mi tolsi dalla testa la maglietta: i miei due seni caddero fuori rimbalzando appena, ma li coprii subito con la t-shirt, quindi mi tolsi le ballerine e mi stesi a pancia sotto. Quando il medico si avvicinò a me, allargai le braccia per facilitargli il compito e lui iniziò a far la stessa cosa che avevo visto fare decine e decine di volte prima: con le mani fasciate di guanti e partendo dal collo, iniziò a palparmi ogni centimetro quadrato di pelle. Di tanto in tanto, dove lo riteneva necessario, spalmava delicatamente una piccola dose di gel freddo per avvicinare la lente di ingrandimento e osservare meglio una piccola sezione del mio corpo, e questo avveniva sempre molto spesso.
Il dottore iniziò dalla linea dei capelli, toccandomi delicatamente la nuca, per poi scendere verso il braccio destro sfiorandomi le spalle e i gomiti. Dopo aver completato l'avambraccio e le mani, c'era il primo dei punti delicati, ovvero le ascelle: mi tirò il braccio verso la testa così da avere il mio incavo depilato ben visibile, ma anche il fianco del mio seno più evidente: proprio lì, fu costretto a dare un'occhiata da vicino, e il freddo del gel mi solleticò. Scendendo lungo il fianco non trovò nulla di strano, passò quindi alla mia schiena che guardò accuratamente in lungo e in largo, passandomi un dito lungo la spina dorsale e, spostandomi leggermente l'elastico della gonna, anche in orizzontale. Si spostò infine alla mia sinistra, compiendo più o meno gli stessi gesti sul braccio e sul fianco che aveva già fatto sulla destra.
«Scopri il sedere, gentilmente» mi ordinò lui, mentre un brivido di quello che credevo fosse paura mi salì lungo la schiena al ricordo di quel che portavo al posto di ordinarie mutandine.
«Va bene, dottore» dissi io cercando di essere diplomatica, «ma ricordi che io mi aspettavo una dottoressa».
Continuando a rimanere a pancia sotto, mi tirai lentamente su il tessuto della gonna fino a scoprire il mio sedere, che come decorazione aveva soltanto uno stretto filo a dividere le due natiche.
«In effetti, è comodo» commentò il medico facendomi ridere.
Non fu tanto mostrarmi in quel modo che causò la mia prima reazione diversa dal solito, quanto piuttosto il momento in cui dovette avvicinarsi al mio sedere e il suo respiro lo sfiorò. Il cuore mi fece un leggero salto in avanti che rese il resto del tempo passato dal dottore a controllarmi un piccolo inferno personale.
«Puoi ricoprirti, passò alle gambe».
Io lo feci, ma ben sapendo che il controllo sarebbe continuato verso quella direzione, non spinsi la gonna fino al ginocchio, lasciai bensì che si arrotolasse appena sotto i miei glutei. Forse per sbadataggine, non pensai che in questo modo, mentre mi controllava le gambe, il dottore avrebbe potuto vedermi sotto la gonna. Nel frattempo, lui scese lungo le mie cosce, controllandone l'esterno l'interno, tastandone pazientemente alcuni punti. Mi controllò la parte interna delle ginocchia, solleticandomi leggermente, e scese ai polpacci. Mi chiese di sollevare i piedi uno alla volta per osservarne le caviglie e la pianta dei piedi. Lo fece con lentezza.
«Bene, per quanto riguarda la parte retrostante non ci sono problemi» disse alla fine con il tono più professionale avesse, tornando alla scrivania e piegandosi sulla cartella clinica per aggiornarla. «Ora passiamo al davanti».
Tornando da me, che stavo ancora a pancia sotto e più silenziosa di prima, continuò dicendo:
«Se c'è qualcosa che non vuoi scoprire, non c'è problema: se si salta qualche punto una volta tanto, non ci sono problemi».
Io annui senza dire nulla e mi voltai a pancia in su, sempre tenendo la maglietta sul seno, e il dottore, forse per darmi il tempo di prepararmi mentalmente alla cosa, ripartì dai miei piedi. Purtroppo, non appena si chinò su di essi, notò che la mia gonna era sufficientemente in alto per dargli una perfetta visione di quel che c'era sotto. Lanciò più di un'occhiata al mio perizoma prima di lanciarne una a me, che, ricambiando lo sguardo, non feci nulla per evitarlo. Come non dissi nulla quando, invece di piegarsi sulla dita dei miei piedi, le alzò fino al viso costringendomi così ad allargare le gambe. Lo fece una seconda volta con l'altra gamba e in entrambi i casi mi guardò. Passò quindi alle ginocchia e alle cosce, che continuò ad aprire e chiudere per controllare da ogni lato, ma si bloccò quando dovette salire al mio bacino. Non che oltre ci sarebbe stato un lavoro meno gravoso, dal momento che mancava ancora la mia pancia e il mio petto.
«Penso che possa…» aveva iniziato a dire il dottore proponendomi di concludere la visita lì, me io l'ho interruppi.
Senza dire una parola, mi tirai via la maglietta e misi in bella mostra il mio seno, quindi lo guardai come per dire: "Non ho capito che ha detto, può ripetere?". La verità è che mi ero eccitata: non è che le altre visite non mi avessero mai suscitato simili emozioni, le mani sul seno sono sempre mani sul seno, il fatto è che, forse perché non avevo un ragazzo da molto o probabilmente volevo solo godermi il momento, chissà, non mi ero mai eccitata tanto prima.
Il dottore parve esitare soltanto per un attimo e, tornato al lettino, si chinò sul mio petto. Cominciò dal mio ventre e, come per il retro, abbassò leggermente l'elastico della gonna per controllarlo nel senso orizzontale; passò poi ai fianchi, lisciandomi la pelle e spostandomi leggermente per controllare il lato più lontano da lui; saltò quindi al viso, dove i nostri respiri si mischiarono per qualche attimo quando mi controllo qualcosa sulla fronte, poi scese al collo e mi voltò il viso un paio di volte per completare ogni parte rimasta. Non rimaneva che quella lasciata per ultimo: mi prese un seno tra le mani con delicatezza e lo spostò per esaminarlo completamente, ma non si fermò molto; passato al successivo, si rese conto che avrebbe dovuto avvicinarsi e, quando lo fece dopo aver sparso il gel freddo, io mugolai in modo che non potesse essere scambiato per un sospiro di fastidio. Quando si tirò su, i miei capezzoli erano turgidi.
C'era ancora una parte che non aveva controllato, ma prima che si rifiutasse o inventasse una scusa, feci in modo che non potesse evitare di compiere fino in fondo il suo dovere. Da stesa a pancia in su dov'ero, mi piegai appena verso l'alto e mi tirai la gonna giù fino alle caviglie per togliermela e rimanere solo in perizoma; ma d'altronde non c'era altro da fare, mancava ancora la parte davanti del mio bacino che era rimasta fino ad allora coperta. Il bel medico stavolta non sembrò esitare e prese a palparmi, esaminarmi e osservarmi, finché, chinatosi con la sua lente, non lo sentii distintamente inspirare il mio profumo a pochi millimetri dalla mia fica bagnata. Quando si rialzò, il suo cipiglio professionale non si era ancora incrinato, e riuscì a tenerlo ancora sul viso persino quando, tornando a rivolgersi a me, chiese:
«Manca poco: togliti le mutandine e voltati, per favore».
Io mi alzai dal lettino con voluta lentezza e, voltandomi di schiena al dottore ma continuando a guardarlo, mi tirai giù il perizoma fino alle caviglie, quindi mi piegai in avanti mettendo le mani sul lettino. Il medico si piegò sul ginocchio, così da avere le mie natiche proprio di fronte agli occhi, e vi pose le sue mani sopra per schiuderle in modo da osservare il mio ano e la mia fica depilata grondante di umore. Il suo naso si avvicinò molto all'interno del mio culetto e sentii distintamente il suo alito sulle mie grandi labbra. Tuttavia, si allontanò e, rimettendosi in piedi, disse:
«Ora sul lettino, a pancia in su».
Leccandomi le labbra, e facendo in modo che il medico lo notasse, eseguii l'ordine senza che il mio viso mostrasse altri tipi di reazione, ma, continuando a guardarlo fisso, tornai a sul lettino, dove mi stesi a pancia in su, stavolta a gambe aperte, mettendo in mostra il mio monte di Venere completamente depilato. Il dottore si tolse i guanti e, messasi una goccia di gel freddo su un dito, si avvicinò, mise quindi le mani ai due lati delle mie grandi labbra e, dopo aver controllato il pube liscio, lentamente le dischiuse per scoprirmi il clitoride. Quando il dito unto di gel cadde sul mio clitoride e iniziò a muoversi, il freddo mi fece soltanto mugolare, ma il dottore mi fece gemere di piacere. Sotto lo sguardo attento di lui che lo alternava tra il mio viso e il suo dito, cominciai a stuzzicarmi il seno e ad ansimare. Muovendo più forte il bacino al ritmo della sua mano, gli feci capire che volevo andasse più veloce e lui mi assecondò facendomi emettere un gridolino. La mia fica iniziò a emettere un rumore di sciacquio.
Quando il suo dito medio mi penetrò fino alla nocca, mentre ancora l'altra mano mi torturava il clitoride, cominciai a godere nel vero senso della parola, mordendomi tuttavia le labbra per trattenere le urla che avevo voglia di emettere, e presi a massaggiarmi il seno con foga e desiderio, strizzando con piacevole energia i miei capezzoli turgidi e i miei seni nella loro interezza. Nel momento in cui le dita divennero due, la mia fica iniziò spontaneamente a stringersi intorno ad esse nel tentativo di trattenerle dentro di me il più possibile. Il dottore lo notò e iniziò a scoparmi con le mani in modo passionale, facendomi tacitamente capire quanto non volesse che soltanto le sue dita fossero a penetrarmi: si muoveva dentro di me in ogni direzione, torturava il mio clitoride da ogni parte, mi carezzava dolcemente nelle assai brevi pause.
Il fuoco dell'orgasmo crebbe nel mio ventre e prese a spargersi da ogni parte; in un momento particolarmente intenso, quando la punta delle sue dita erano così a fondo da baciarmi l'utero, gli venni letteralmente tra le mani, e lui non si fermò.
Ansimando per riprendere il respiro, tolsi le mani dai miei seni e le appoggiai sulle sue: gli permisi di togliere la mano dal mio clitoride, affinché potesse voltarsi verso di me, che mi stavo alzando a sedere, ma non le mie dite, che gli feci capire di non estrarre spingendole di più dentro di me. Quando il suo bel viso fu davanti al mio, cominciai a baciarlo, mentre gli slacciavo i pantaloni, sotto cui sentii premere una notevole erezione. Orgogliosa di ciò e accarezzandogliela con foga, gli tolsi la lingua dalla bocca e dissi:
«Facciamo piano, che c'è mia madre fuori. Ma "piano" nel senso di "in silenzio", per il resto muoviti più forte che puoi».

Uscendo dall'ambulatorio, perfettamente rivestita, anche se un po' sudata, mi rivolsi a mia madre e, sospirando, gli chiesi:
«Mamma, come si fa a cambiare il proprio dottore?»



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scritto il
2020-09-02
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