L’Abisso / 01x01
di
Donovak Villa
genere
incesti
Mi chiamo Maddalena, ho 52 anni e sono sola.
Sola con mio figlio Alessandro, da quando mio marito ci ha abbandonati per andare a vivere chissà dove con la sua ormai storica amante.
Io ho sempre fatto la casalinga, mio marito non mi ha mai permesso neanche di pensare ad un lavoro e a me stava bene così. Che errore, a guardarmi adesso a vivere completamente abbandonata da tutti con un figlio trentenne che dopo deludenti risultati all’università è tornato a vivere in casa mia, a mio carico e che a stento riesco a mantenere visto che lui un lavoro non lo cerca neanche e io mi arrangio con l’elemosina che mi tocca implorare ogni mese al mio ex e con umili lavoretti da serva in casa altrui.
A tratti mi vien voglia di farla finita fantasticando sul come lo farei ma so di non averne il coraggio, quindi mi aggrappo alla speranza che magari lui, Alessandro, un giorno mi darà qualche soddisfazione, facendomi sperare che nel mio futuro ci sia qualche barlume di felicità che mi attende da qualche parte.
Alessandro è sempre stato timido e taciturno, a dirla tutta è sempre stato strano, alterna scatti d’ira a momenti di infinita dolcezza, è il clone di suo padre, riuscito a tenermi legata a lui nonostante tutta la sofferenza e le umiliazioni che mi ha inflitto in 30 lunghissimi anni di matrimonio, ma tant’è che nella mia vita ho avuto solo lui, non ho mai avuto il coraggio di tradirlo e dico, fieramente, che l’unico cazzo che ho preso nella mia vita è quello di mio marito.
In una giornata come tante, a fine pranzo, Alessandro mi chiese il numero del nostro medico di famiglia, un po’ allarmata gli chiedo se ci fosse qualcosa che non andasse ma lui mi tranquillizza dicendomi che voleva solo farsi fare delle prescrizioni per degli esami. Al mio
M: “che tipo di esami?”
mi risponde con un perentorio
A: “sperma! - Voglio controllare il mio sperma per essere sicuro che sia in grado di fare figli!”.
Mi zittisco, limitandomi ad annuire pensando di essere entrata in un argomento troppo intimo per lui, quindi abbasso gli occhi e comincio a sparecchiare.
Il giorno dopo, sempre a fine pranzo, alzandosi dalla sedia prima di uscire dalla cucina, mi chiede di comprargli un contenitore sterile per la raccolta di materiale organico, non aggiunge altro e va via, ma a me basta così per comprendere la correlazione col discorso fatto il giorno prima. Obbedisco e la sera, a tavola, gli consegno quanto mi aveva ordinato chiedendogli se gli andava di parlarne.
A: “cosa vuoi che ti dica, voglio solo controllarmi e quindi devo fare ciò che si deve”
M: “A che ora devi essere in ospedale per la raccolta?”
A: “con sto covid è un cazzo di casino, devo farlo a casa, alle 8 devo essere in ospedale a consegnare il barattolino e ho solo 20 minuti di tempo. Se esco da casa e corro un po’ ce la faccio, il problema è che devo fare tutto qui, in casa, nella mia stanza e io non sono abituato, odio la fretta ma mi tocca così”
M: “e ce la fai da solo? Come farai? E se poi non fai in tempo?
A: “e che cazzo mamma, ho già l’ansia per sta cosa e ti ci metti anche a te, vaffanculo!”
Da quelle parole traspare tutta la sua ansia e tutto il suo disagio, mi si stringe il cuore.
Lui è tutto ciò che mi rimane adesso, quindi è ovvio che da madre voglia fare di tutto per aiutarlo. Con tutta l’ingenuità di questo mondo gli chiedo
M: “posso fare qualcosa per aiutarti?
Una bagliore infimo gli pervade lo sguardo, facendo il finto ingenuo ribatte che non capisce cosa voglia dire ma alzandosi dalla tavola mi dice
A: “io alle 8 devo essere lì, ho 20 minuti di tempo quindi alle 7.30 inizio. Sarò nella mia stanza”
Detto questo lascia la cucina e va direttamente a dormire.
Solo a quel punto realizzo che cosa di fatto gli avevo proposto.
Per un attimo torno in me, mi reco verso la sua stanza, sono davanti la porta pronta ad entrare per dirgli che ha capito male o che mi sono espressa male io, ma che comunque doveva arrangiarsi da solo perché non se ne parla che una madre faccia queste cose al figlio. Però poi penso che lo deluderei, che ormai glielo avevo fatto intendere e che in fondo, una madre deve fare la madre e aiutare in tutto e per tutto i figli facendo di volta in volta sempre tutto ciò che è necessario per il loro bene. Dio quanto sono combattuta. Faccio i piatti e vado a letto anch’io, sono lì che continuo a pensare, decido di dormirci su, intanto però punto la sveglia: 07:20
L’ansia e l’inquietudine mi hanno fatta svegliare qualche minuto prima, stacco la sveglia e mi alzo, convinta: va fatto, è dovere di mamma.
Mi infilo le ciabatte ormai logore e mi ritrovo davanti la porta della sua stanza, in vestaglia, scapigliata e struccata, ma penso che in fondo non era mica un appuntamento galante, andava fatto ciò che andava fatto e possibilmente il più in fretta possibile. Busso ed entro senza neanche aspettare la risposta.
Alessandro è sveglio e si vede già da un po’, è sotto le coperte, nudo intuisco io. L’unica luce ad illuminare la buia stanza è quella della lampada vicino al letto che mi fa notare il barattolo per la raccolta già aperto sul comodino e pronto ad essere riempito. Lui non dice niente, io non dico niente, avanzo e mi siedo poco accanto la sua coscia destra. Lo guardo per un attimo e noto un ghigno a tratti inquietante. Prendo il bordo delle coperte che lo coprono fino al petto, le abbasso scoprendolo piano quando già all’altezza dell’ombelico spunta fuori il suo glande. Rimango quasi a bocca aperta, continuo a calare le coperte fino a quando non lo denudo del tutto e posso guardarlo in tutta la sua interezza. Inutile dire che era grande e grosso, il cazzo clonato di suo padre, ma il suo era anche venoso, con la cappella di un rosso pompeiano e pulsante. Si era depilato da poco, cosa che apprezzai anche se la carineria mi imbarazzò un po’. Sembrava fatto di marmo e la conferma la ebbi non appesa lo sollevai dal suo addome con entrambe le mani. Cominciai subito a masturbarlo con forza cercando di estraniarmi il più possibile da quel contesto, il richiamo al suo sguardo in cerca di qualche segno di approvazione era più forte però, ma il suo sommesso ansimare mi confermava che stavo andando bene. D’un tratto interruppe il silenzio dicendomi che aveva già iniziato da un po’ ma che non era in grado di arrivare fino alla fine da solo. Gli dissi di non dire nulla perché la cosa mi imbarazzava e lui per tutta risposta cominciò ad ansimare ancora più forte facendomi capire che stava già per arrivare. A quel punto prendo il barattolo e nel farlo lascio il suo membro per un attimo, subito mi prese il polso con forza e rimise la mano dov’era
A: “ non ti fermare, continua! Al barattolo penso io”
Mi fece male, ma probabilmente era l’enfasi del momento, lo giustificai tra me e me.
Dopo qualche secondo con violenti spasmi che fecero tremare tutto il letto, venne nel contenitore che nel frattempo aveva piazzato sul glande, più rosso che mai.
Lo lasciai ad armeggiare con quel barattolo, io mi alzai e dopo essermi asciugata la mano destra sulla vestaglia andai via chiudendo la porta dietro di me. Mi recai dritta in bagno per lavarmi e non feci neanche in tempo a finire che sentii Alessandro uscire di casa. Io ritornai nella mia stanza, passando prima però dalla sua, ancora pregna di un odore forte e acuto di cazzo che io avevo contribuito a liberare. Decisi di sgombrare la mente da quanto era successo quella mattina e mi rimisi a dormire.
Mi svegliai in tarda mattinata, mi affrettai a preparare il pranzo ma Alessandro non rientrò. Cominciai a preoccuparmi e lo chiamai per tutto il pomeriggio. La sera, al culmine dell’angoscia, sentii la porta di casa aprirsi: era lui, e chi poteva essere altrimenti. Alle mie domande preoccupate replicò con un secco
A: “ho fame preparami la cena”.
E così feci. Durante tutta la cena non disse nulla, pensai che quanto accaduto quella mattina lo avesse scosso molto e quindi decisi di rompere il silenzio
M: “Ale, amore di mamma, parliamo, non fare così. Dimmi cosa c’è che non va e aggiustiamo tutto”.
Mi guardò con uno sguardo serio ed intenso, si alzò, andò nella sua stanza e tornò con lo stesso sguardo sbattendo sul tavolo un altro barattolo per la raccolta nuovo di zecca.
A: “Oggi in ospedale mi hanno detto che lo sperma raccolto non era abbastanza per gli esami, ce ne vuole di più! Adesso mi tocca stare quattro giorni in astinenza e poi rifare quello che abbiamo fatto stamattina! Capito adesso!”
M: “Va bene Ale, calmati, si tratta solo di ripetere l’esame”
A: “Calmati un cazzo! Non sei buona manco quando ti chiedo aiuto per una cosa così semplice!”
M: “Hey, non venirmi a dire che è colpa mia adesso”
A: “ Ah no? È colpa mia allora? Vuoi dire che non sono buono? Che non servo a niente? Vaffanculo stronza!”
E si ritirò nella sua stanza sbattendo la porta con forza dietro di se e chiudendosi a chiave.
Decisi di lasciarlo stare per quella sera, ma dovevo aiutarlo, non sopportavo di vederlo così, la sua già scarsa autostima rischiava di distruggerlo definitivamente, quindi dovevo aiutarlo.
Quei 4 giorni trascorsero per lo più in silenzio, ma entrambi avevamo la consapevolezza pressoché certa di quello che sarebbe successo la mattina del quarto giorno. La sera prima trovai il coraggio di chiedergli
M: ”Domani mattina stessa ora?”
A: “ Vieni alle 7 questa volta”
La risposta dapprima mi lascio un po’ spiazzata, ma poi pensai che magari volesse prendersi un po’ più di tempo questa volta, chissà.
Sono le 7, oramai le inquietudini della prima volta hanno lasciato spazio alla voglia di aiutare mio figlio. Entro nella sua stanza e sembra tutto identico all’ultima volta eccezion fatta per il barattolo che stavolta è sì sul comodino, ma chiuso. Mi reco nella stessa posizione, alla sua destra, lo scopro, ma stavolta con sorpresa e devo ammettere con un po’ di delusione lo trovo “non pronto”. Lo guardai in cerca di una giustificazione, ma trovai solo uno sguardo di sfida. Cominciai ad occuparmi del membro allora, iniziai con due dite, ma ci volle poco perché tornò ad occuparmi l’intero palmo della mano destra. L’odore era decisamente più forte dell’ultima volta, sembrava quasi che negli ultimi 4 giorni quel cazzo non abbia toccato un goccio d’acqua e ora che ci penso, non ricordo di averlo sentito farsi la doccia. Motivo in più per finire in fretta, mi dissi. Continuai e continuai ma stavolta non lo sentivo ansimare, ogni tanto alzavo lo sguardo e lui era sempre lì a fissarmi senza dire una parola e senza emettere il minimo sospiro che potesse farmi intendere anche un minimo cenno di goduria. Oramai ero un automa, volevo solo concludere quanto prima. Il silenzio fu rotto dalle sue parole
A: “ ha bisogno di essere inumidito”
M: “e come? Intendi con del gel lubrificante?
A: “no, intendo con la saliva!”
M: “ Ale, ma che dici?”
A: “sputaci sopra”
Rimasi intontita per un attimo.
M: ”ma che schifo, ma cosa dici!”
A: ”non vedi quanto è secco? Così non verrò mai! O vuoi farmi fare la stessa figura di merda dell’ultima volta? Leccati la mano e poi sputaci sopra, così sarà tutto più facile per entrambi”
Ciò che disse, in quel momento, ebbe un senso, lo metabolizzai come un qualcosa di logico e dopo un istante di tentennamento portai la mia mano destra, col fetore raccolto dal suo cazzo, alla bocca e le diedi un’ampia leccata, poi la riportai sul suo cazzo, tenendolo fermo alla base con la mano sinistra. Adesso scivolava molto meglio, ma ben presto stava tornando secco, quindi rompei ogni indugio, portai la bocca poco sopra la sua cappella trattenendo il respiro e cercai di centrarla con un abbondante sputo che colò tutto lungo la sua verga fino a lambire le palle. Ripresi con veemenza la masturbazione, il suono dello scorrere della mano sulla sua asta, adesso ben lubrificata, era interrotto spesso dai suoi mugugni di piacere, eppure sentivo che era ancora lontano dal venire, sentivo che si stava trattenendo e non capivo perché. I nostri sguardi si incrociavano sempre più spesso, volevo finirla ma lui continuava a guardarmi con quegli occhi cupi e socchiusi, fino a quando si decidette di scoprire le carte
A: “Succhiamelo”
Rimasi basita. Mi fermai di colpo e lo guardai con gli occhi sgranati
M: “cosa? Ma sei pazzo? Sto facendo questa cosa solo perché mi fai pena ed è mio dovere di mamma aiutarti. Tutto qui!”
A: “E’ tardi, abbiamo meno di cinque minuti, se continui così me lo farai ammosciare e allora dovremmo ripetere il tutto. L’unico modo che hai di farmi venire in fretta è mettendolo in bocca e speriamo che ti ricordi come si faccia”
Rimasi scioccata e offesa da quelle parole, ma mi prese anche un senso di sfida. Senza contare il fatto che quel bastardello aveva anche ragione, era tardi e se non fossi riuscita a farlo venire in pochi minuti avremmo dovuto rifarlo ed era l’ultima cosa che volevo. Tentennai parecchio, guardai il suo cazzo, guardai lui e riguardai il suo cazzo, stavolta immaginandomelo in bocca. Decisi di agire
M: ”e va bene, ma questa cosa rimane tra noi, non è naturale e che sia la prima e ultima volta!”
Quasi a volermi giustificare con me stessa.
Aprii la bocca il più possibile per farcelo stare tutto, chiusi gli occhi e così iniziai. Dapprima la mia mano destra continuava a tenere l’asta e con la bocca gli pompavo la cappella, ben presto era lui che dettava il ritmo, muoveva il bacino dandomi colpi di cazzo in bocca sempre più profondi. La mia mano era diventata un ostacolo per lui, così la tolse in malo modo e a quel punto ogni colpo che mi dava lo sentivo dritto in gola. Non avevo mai preso un cazzo così in profondità, in bocca mi sembrava persino più enorme di com’era in realtà, smisi di respirare e i miei sbuffi, misti a conati di vomito glielo fecero capire, ma la cosa non lo fece calmare, anzi. Continuò con colpi sempre più duri e sempre più profondi, arrivai al limite, cominciarono ad uscirmi le lacrime dagli occhi, tentavo di divincolarmi, ma a quel punto mi prese con forza per i capelli sbattendomi di fatto la testa contro il suo cazzo. Fortunatamente durò solo il frangente di qualche colpo, poi il suo ansimare si fece potente, capii le sue intenzioni troppo tardi perché un istante dopo una copiosa eiaculazione mi inondò la bocca.
Ero incredula, mi era venuto in bocca senza dirmi nulla. Io lo odiavo, mio marito tutto le volte che lo aveva fatto mi costringeva, perché lo ritenevo una cosa innaturale oltre che disgustosa. Ancora scioccata, si avvicinò al mio orecchio e con voce ancora rotta dall’orgasmo mi sussurrò
A: “adesso te lo tiro fuori dalla bocca lentamente. Non osare farne uscire neanche una goccia che debbo raccoglierlo”
Così fece ed io ubbidii. Trattenni tutto in bocca mantenendo lo sguardo basso. Sentii lui che prendeva il barattolo dal comodino, lo aprì e me lo mise sotto la bocca
A: ”adesso sputa, sputalo tutto dentro e sta attenta a non sprecarne neanche un po’, è troppo prezioso”
Riversai tutto il contenuto della mia bocca nel barattolo. Il suo sperma, misto al mio sputo, riempì quasi mezzo vasetto. MI intimò di sputare ancora e così feci. Quando si convinse che poteva bastare portò il contenuto delle sue azioni vicino al suo viso e controllata l’abbondante quantità chiuse il contenitore con evidente soddisfazione.
Mi lasciò lì, ancora con il naso grondante umori e gli occhi lambiti dalle lacrime per lo sforzo al quale ero stata costretta. Non si degnò neanche di chiedermi come stavo, uscì dalla stanza, si preparò e andò via di casa. Io mi ricomposi solo dopo che lui andò via. Mi recai in bagno, non ebbi il coraggio di guardarmi allo specchio, ma solo di lavarmi, intensamente, dappertutto e poi mi misi subito a letto nella speranza che nel sonno potessi smettere di pensarci, del tutto inconsapevole del fatto che mi trovavo appena sull'orlo dell'abisso nel quale mi ero cacciata...
Sola con mio figlio Alessandro, da quando mio marito ci ha abbandonati per andare a vivere chissà dove con la sua ormai storica amante.
Io ho sempre fatto la casalinga, mio marito non mi ha mai permesso neanche di pensare ad un lavoro e a me stava bene così. Che errore, a guardarmi adesso a vivere completamente abbandonata da tutti con un figlio trentenne che dopo deludenti risultati all’università è tornato a vivere in casa mia, a mio carico e che a stento riesco a mantenere visto che lui un lavoro non lo cerca neanche e io mi arrangio con l’elemosina che mi tocca implorare ogni mese al mio ex e con umili lavoretti da serva in casa altrui.
A tratti mi vien voglia di farla finita fantasticando sul come lo farei ma so di non averne il coraggio, quindi mi aggrappo alla speranza che magari lui, Alessandro, un giorno mi darà qualche soddisfazione, facendomi sperare che nel mio futuro ci sia qualche barlume di felicità che mi attende da qualche parte.
Alessandro è sempre stato timido e taciturno, a dirla tutta è sempre stato strano, alterna scatti d’ira a momenti di infinita dolcezza, è il clone di suo padre, riuscito a tenermi legata a lui nonostante tutta la sofferenza e le umiliazioni che mi ha inflitto in 30 lunghissimi anni di matrimonio, ma tant’è che nella mia vita ho avuto solo lui, non ho mai avuto il coraggio di tradirlo e dico, fieramente, che l’unico cazzo che ho preso nella mia vita è quello di mio marito.
In una giornata come tante, a fine pranzo, Alessandro mi chiese il numero del nostro medico di famiglia, un po’ allarmata gli chiedo se ci fosse qualcosa che non andasse ma lui mi tranquillizza dicendomi che voleva solo farsi fare delle prescrizioni per degli esami. Al mio
M: “che tipo di esami?”
mi risponde con un perentorio
A: “sperma! - Voglio controllare il mio sperma per essere sicuro che sia in grado di fare figli!”.
Mi zittisco, limitandomi ad annuire pensando di essere entrata in un argomento troppo intimo per lui, quindi abbasso gli occhi e comincio a sparecchiare.
Il giorno dopo, sempre a fine pranzo, alzandosi dalla sedia prima di uscire dalla cucina, mi chiede di comprargli un contenitore sterile per la raccolta di materiale organico, non aggiunge altro e va via, ma a me basta così per comprendere la correlazione col discorso fatto il giorno prima. Obbedisco e la sera, a tavola, gli consegno quanto mi aveva ordinato chiedendogli se gli andava di parlarne.
A: “cosa vuoi che ti dica, voglio solo controllarmi e quindi devo fare ciò che si deve”
M: “A che ora devi essere in ospedale per la raccolta?”
A: “con sto covid è un cazzo di casino, devo farlo a casa, alle 8 devo essere in ospedale a consegnare il barattolino e ho solo 20 minuti di tempo. Se esco da casa e corro un po’ ce la faccio, il problema è che devo fare tutto qui, in casa, nella mia stanza e io non sono abituato, odio la fretta ma mi tocca così”
M: “e ce la fai da solo? Come farai? E se poi non fai in tempo?
A: “e che cazzo mamma, ho già l’ansia per sta cosa e ti ci metti anche a te, vaffanculo!”
Da quelle parole traspare tutta la sua ansia e tutto il suo disagio, mi si stringe il cuore.
Lui è tutto ciò che mi rimane adesso, quindi è ovvio che da madre voglia fare di tutto per aiutarlo. Con tutta l’ingenuità di questo mondo gli chiedo
M: “posso fare qualcosa per aiutarti?
Una bagliore infimo gli pervade lo sguardo, facendo il finto ingenuo ribatte che non capisce cosa voglia dire ma alzandosi dalla tavola mi dice
A: “io alle 8 devo essere lì, ho 20 minuti di tempo quindi alle 7.30 inizio. Sarò nella mia stanza”
Detto questo lascia la cucina e va direttamente a dormire.
Solo a quel punto realizzo che cosa di fatto gli avevo proposto.
Per un attimo torno in me, mi reco verso la sua stanza, sono davanti la porta pronta ad entrare per dirgli che ha capito male o che mi sono espressa male io, ma che comunque doveva arrangiarsi da solo perché non se ne parla che una madre faccia queste cose al figlio. Però poi penso che lo deluderei, che ormai glielo avevo fatto intendere e che in fondo, una madre deve fare la madre e aiutare in tutto e per tutto i figli facendo di volta in volta sempre tutto ciò che è necessario per il loro bene. Dio quanto sono combattuta. Faccio i piatti e vado a letto anch’io, sono lì che continuo a pensare, decido di dormirci su, intanto però punto la sveglia: 07:20
L’ansia e l’inquietudine mi hanno fatta svegliare qualche minuto prima, stacco la sveglia e mi alzo, convinta: va fatto, è dovere di mamma.
Mi infilo le ciabatte ormai logore e mi ritrovo davanti la porta della sua stanza, in vestaglia, scapigliata e struccata, ma penso che in fondo non era mica un appuntamento galante, andava fatto ciò che andava fatto e possibilmente il più in fretta possibile. Busso ed entro senza neanche aspettare la risposta.
Alessandro è sveglio e si vede già da un po’, è sotto le coperte, nudo intuisco io. L’unica luce ad illuminare la buia stanza è quella della lampada vicino al letto che mi fa notare il barattolo per la raccolta già aperto sul comodino e pronto ad essere riempito. Lui non dice niente, io non dico niente, avanzo e mi siedo poco accanto la sua coscia destra. Lo guardo per un attimo e noto un ghigno a tratti inquietante. Prendo il bordo delle coperte che lo coprono fino al petto, le abbasso scoprendolo piano quando già all’altezza dell’ombelico spunta fuori il suo glande. Rimango quasi a bocca aperta, continuo a calare le coperte fino a quando non lo denudo del tutto e posso guardarlo in tutta la sua interezza. Inutile dire che era grande e grosso, il cazzo clonato di suo padre, ma il suo era anche venoso, con la cappella di un rosso pompeiano e pulsante. Si era depilato da poco, cosa che apprezzai anche se la carineria mi imbarazzò un po’. Sembrava fatto di marmo e la conferma la ebbi non appesa lo sollevai dal suo addome con entrambe le mani. Cominciai subito a masturbarlo con forza cercando di estraniarmi il più possibile da quel contesto, il richiamo al suo sguardo in cerca di qualche segno di approvazione era più forte però, ma il suo sommesso ansimare mi confermava che stavo andando bene. D’un tratto interruppe il silenzio dicendomi che aveva già iniziato da un po’ ma che non era in grado di arrivare fino alla fine da solo. Gli dissi di non dire nulla perché la cosa mi imbarazzava e lui per tutta risposta cominciò ad ansimare ancora più forte facendomi capire che stava già per arrivare. A quel punto prendo il barattolo e nel farlo lascio il suo membro per un attimo, subito mi prese il polso con forza e rimise la mano dov’era
A: “ non ti fermare, continua! Al barattolo penso io”
Mi fece male, ma probabilmente era l’enfasi del momento, lo giustificai tra me e me.
Dopo qualche secondo con violenti spasmi che fecero tremare tutto il letto, venne nel contenitore che nel frattempo aveva piazzato sul glande, più rosso che mai.
Lo lasciai ad armeggiare con quel barattolo, io mi alzai e dopo essermi asciugata la mano destra sulla vestaglia andai via chiudendo la porta dietro di me. Mi recai dritta in bagno per lavarmi e non feci neanche in tempo a finire che sentii Alessandro uscire di casa. Io ritornai nella mia stanza, passando prima però dalla sua, ancora pregna di un odore forte e acuto di cazzo che io avevo contribuito a liberare. Decisi di sgombrare la mente da quanto era successo quella mattina e mi rimisi a dormire.
Mi svegliai in tarda mattinata, mi affrettai a preparare il pranzo ma Alessandro non rientrò. Cominciai a preoccuparmi e lo chiamai per tutto il pomeriggio. La sera, al culmine dell’angoscia, sentii la porta di casa aprirsi: era lui, e chi poteva essere altrimenti. Alle mie domande preoccupate replicò con un secco
A: “ho fame preparami la cena”.
E così feci. Durante tutta la cena non disse nulla, pensai che quanto accaduto quella mattina lo avesse scosso molto e quindi decisi di rompere il silenzio
M: “Ale, amore di mamma, parliamo, non fare così. Dimmi cosa c’è che non va e aggiustiamo tutto”.
Mi guardò con uno sguardo serio ed intenso, si alzò, andò nella sua stanza e tornò con lo stesso sguardo sbattendo sul tavolo un altro barattolo per la raccolta nuovo di zecca.
A: “Oggi in ospedale mi hanno detto che lo sperma raccolto non era abbastanza per gli esami, ce ne vuole di più! Adesso mi tocca stare quattro giorni in astinenza e poi rifare quello che abbiamo fatto stamattina! Capito adesso!”
M: “Va bene Ale, calmati, si tratta solo di ripetere l’esame”
A: “Calmati un cazzo! Non sei buona manco quando ti chiedo aiuto per una cosa così semplice!”
M: “Hey, non venirmi a dire che è colpa mia adesso”
A: “ Ah no? È colpa mia allora? Vuoi dire che non sono buono? Che non servo a niente? Vaffanculo stronza!”
E si ritirò nella sua stanza sbattendo la porta con forza dietro di se e chiudendosi a chiave.
Decisi di lasciarlo stare per quella sera, ma dovevo aiutarlo, non sopportavo di vederlo così, la sua già scarsa autostima rischiava di distruggerlo definitivamente, quindi dovevo aiutarlo.
Quei 4 giorni trascorsero per lo più in silenzio, ma entrambi avevamo la consapevolezza pressoché certa di quello che sarebbe successo la mattina del quarto giorno. La sera prima trovai il coraggio di chiedergli
M: ”Domani mattina stessa ora?”
A: “ Vieni alle 7 questa volta”
La risposta dapprima mi lascio un po’ spiazzata, ma poi pensai che magari volesse prendersi un po’ più di tempo questa volta, chissà.
Sono le 7, oramai le inquietudini della prima volta hanno lasciato spazio alla voglia di aiutare mio figlio. Entro nella sua stanza e sembra tutto identico all’ultima volta eccezion fatta per il barattolo che stavolta è sì sul comodino, ma chiuso. Mi reco nella stessa posizione, alla sua destra, lo scopro, ma stavolta con sorpresa e devo ammettere con un po’ di delusione lo trovo “non pronto”. Lo guardai in cerca di una giustificazione, ma trovai solo uno sguardo di sfida. Cominciai ad occuparmi del membro allora, iniziai con due dite, ma ci volle poco perché tornò ad occuparmi l’intero palmo della mano destra. L’odore era decisamente più forte dell’ultima volta, sembrava quasi che negli ultimi 4 giorni quel cazzo non abbia toccato un goccio d’acqua e ora che ci penso, non ricordo di averlo sentito farsi la doccia. Motivo in più per finire in fretta, mi dissi. Continuai e continuai ma stavolta non lo sentivo ansimare, ogni tanto alzavo lo sguardo e lui era sempre lì a fissarmi senza dire una parola e senza emettere il minimo sospiro che potesse farmi intendere anche un minimo cenno di goduria. Oramai ero un automa, volevo solo concludere quanto prima. Il silenzio fu rotto dalle sue parole
A: “ ha bisogno di essere inumidito”
M: “e come? Intendi con del gel lubrificante?
A: “no, intendo con la saliva!”
M: “ Ale, ma che dici?”
A: “sputaci sopra”
Rimasi intontita per un attimo.
M: ”ma che schifo, ma cosa dici!”
A: ”non vedi quanto è secco? Così non verrò mai! O vuoi farmi fare la stessa figura di merda dell’ultima volta? Leccati la mano e poi sputaci sopra, così sarà tutto più facile per entrambi”
Ciò che disse, in quel momento, ebbe un senso, lo metabolizzai come un qualcosa di logico e dopo un istante di tentennamento portai la mia mano destra, col fetore raccolto dal suo cazzo, alla bocca e le diedi un’ampia leccata, poi la riportai sul suo cazzo, tenendolo fermo alla base con la mano sinistra. Adesso scivolava molto meglio, ma ben presto stava tornando secco, quindi rompei ogni indugio, portai la bocca poco sopra la sua cappella trattenendo il respiro e cercai di centrarla con un abbondante sputo che colò tutto lungo la sua verga fino a lambire le palle. Ripresi con veemenza la masturbazione, il suono dello scorrere della mano sulla sua asta, adesso ben lubrificata, era interrotto spesso dai suoi mugugni di piacere, eppure sentivo che era ancora lontano dal venire, sentivo che si stava trattenendo e non capivo perché. I nostri sguardi si incrociavano sempre più spesso, volevo finirla ma lui continuava a guardarmi con quegli occhi cupi e socchiusi, fino a quando si decidette di scoprire le carte
A: “Succhiamelo”
Rimasi basita. Mi fermai di colpo e lo guardai con gli occhi sgranati
M: “cosa? Ma sei pazzo? Sto facendo questa cosa solo perché mi fai pena ed è mio dovere di mamma aiutarti. Tutto qui!”
A: “E’ tardi, abbiamo meno di cinque minuti, se continui così me lo farai ammosciare e allora dovremmo ripetere il tutto. L’unico modo che hai di farmi venire in fretta è mettendolo in bocca e speriamo che ti ricordi come si faccia”
Rimasi scioccata e offesa da quelle parole, ma mi prese anche un senso di sfida. Senza contare il fatto che quel bastardello aveva anche ragione, era tardi e se non fossi riuscita a farlo venire in pochi minuti avremmo dovuto rifarlo ed era l’ultima cosa che volevo. Tentennai parecchio, guardai il suo cazzo, guardai lui e riguardai il suo cazzo, stavolta immaginandomelo in bocca. Decisi di agire
M: ”e va bene, ma questa cosa rimane tra noi, non è naturale e che sia la prima e ultima volta!”
Quasi a volermi giustificare con me stessa.
Aprii la bocca il più possibile per farcelo stare tutto, chiusi gli occhi e così iniziai. Dapprima la mia mano destra continuava a tenere l’asta e con la bocca gli pompavo la cappella, ben presto era lui che dettava il ritmo, muoveva il bacino dandomi colpi di cazzo in bocca sempre più profondi. La mia mano era diventata un ostacolo per lui, così la tolse in malo modo e a quel punto ogni colpo che mi dava lo sentivo dritto in gola. Non avevo mai preso un cazzo così in profondità, in bocca mi sembrava persino più enorme di com’era in realtà, smisi di respirare e i miei sbuffi, misti a conati di vomito glielo fecero capire, ma la cosa non lo fece calmare, anzi. Continuò con colpi sempre più duri e sempre più profondi, arrivai al limite, cominciarono ad uscirmi le lacrime dagli occhi, tentavo di divincolarmi, ma a quel punto mi prese con forza per i capelli sbattendomi di fatto la testa contro il suo cazzo. Fortunatamente durò solo il frangente di qualche colpo, poi il suo ansimare si fece potente, capii le sue intenzioni troppo tardi perché un istante dopo una copiosa eiaculazione mi inondò la bocca.
Ero incredula, mi era venuto in bocca senza dirmi nulla. Io lo odiavo, mio marito tutto le volte che lo aveva fatto mi costringeva, perché lo ritenevo una cosa innaturale oltre che disgustosa. Ancora scioccata, si avvicinò al mio orecchio e con voce ancora rotta dall’orgasmo mi sussurrò
A: “adesso te lo tiro fuori dalla bocca lentamente. Non osare farne uscire neanche una goccia che debbo raccoglierlo”
Così fece ed io ubbidii. Trattenni tutto in bocca mantenendo lo sguardo basso. Sentii lui che prendeva il barattolo dal comodino, lo aprì e me lo mise sotto la bocca
A: ”adesso sputa, sputalo tutto dentro e sta attenta a non sprecarne neanche un po’, è troppo prezioso”
Riversai tutto il contenuto della mia bocca nel barattolo. Il suo sperma, misto al mio sputo, riempì quasi mezzo vasetto. MI intimò di sputare ancora e così feci. Quando si convinse che poteva bastare portò il contenuto delle sue azioni vicino al suo viso e controllata l’abbondante quantità chiuse il contenitore con evidente soddisfazione.
Mi lasciò lì, ancora con il naso grondante umori e gli occhi lambiti dalle lacrime per lo sforzo al quale ero stata costretta. Non si degnò neanche di chiedermi come stavo, uscì dalla stanza, si preparò e andò via di casa. Io mi ricomposi solo dopo che lui andò via. Mi recai in bagno, non ebbi il coraggio di guardarmi allo specchio, ma solo di lavarmi, intensamente, dappertutto e poi mi misi subito a letto nella speranza che nel sonno potessi smettere di pensarci, del tutto inconsapevole del fatto che mi trovavo appena sull'orlo dell'abisso nel quale mi ero cacciata...
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